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Autore: lolasmiley    06/09/2015    1 recensioni
«Ma tu, chi cazzo merda sei?»
«Non ha importanza.»
Questa affermazione mi fa arrabbiare non poco.
«Senti, mi hanno sempre dato fastidio i figoni che se ne escono con queste frasi alla James Bond, anzi, ti dirò di più, mi sta abbastanza sulle palle pure lui» mi calmo per fare una breve osservazione a bassa voce «tranne in Casinò Royale, quel film mi piace.» poi riprendo il mio tono incazzato «Ha importanza eccome. Ho assistito ad un omicidio, mi hanno quasi rapita, sei arrivato tu, mi hai salvata e adesso mi porti non so dove e mi dici che non posso andare alla polizia. Ora, non si tratta di avvenimenti irrilevanti per cui chi sei potrebbe non avere importanza. Non sei sbucato dal nulla per comprarmi un gelato, cazzo. Quindi adesso pretendo delle spiegazioni perchè non ho capito assolutamente nulla di quello che è successo.»
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ashton Irwin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mille domande

(3) 

 

 

 

Mi risveglio in un posto buio, stretto. C’è odore di benzina. Cerco di dare un calcio alle pareti, ma mi fermo sentendo le voci di due uomini provenire dall’esterno. Comincio a credere di essere in un bagagliaio. 

«Dobbiamo ucciderla e basta.»

Bene. Parlano di me. Fantastico.

«Potrebbe sapere qualcosa. Torchiamola un po’ prima.»

«Ma cosa vuoi che sappia, è solo una ragazzina che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.»

«Che per caso si trovava proprio lì? Non finisci per caso in quel buco di vicolo.»

«Sentite, forse voleva giocare alla detective. Forse ha sentito qualcosa e ci ha seguiti» il terzo uomo aveva preso parte alla conversazione «secondo me non è una brutta idea interrogarla. In fondo non possiamo lasciarla qui. O’breien lo abbiamo fatto passare per una rapina finita male ma, due vittime nello stesso vicolo? Dobbiamo portarla via.»

«Hai ragione» l’uomo smette di parlare. Silenzio.

«Ehi!» una quarta voce si aggiunge «scusate, potete dirmi dove si trova il National Museum?» 

Un turista?

Rumori di colpi. Diversi pugni, calci. Rumori di lotta. Sputi di chi viene colpito in faccia. Altri colpi. Non capisco cosa sta succedendo. Poi, silenzio.

Sento armeggiare con l’apertura del bagagliaio. Terrorizzata, cerco di girarmi come posso con le gambe verso il portellone, e quando questo si apre tiro un calcio in faccia alla persona che mi trovo davanti.

«Maledizione» impreca. E’ la voce del quarto uomo. Prima di riuscire ad abituarmi alla luce cerco di trascinarmi fuori dal bagagliaio, ma l’uomo mi afferra per un braccio. Le mie urla sono bloccate dalla cravatta. Come se non bastasse, mi preme una mano davanti alle labbra e mi costringe a voltarmi verso di lui.

«Vuoi stare zitta? Hai già combinato abbastanza guai, almeno dimostra un po’ di gentilezza con chi ti ha appena salvato la vita, al posto di prenderlo a calci in faccia» sbotta «ora ti libero e ti tolgo il bavaglio, non c’è bisogno che urli.» Annuisco, guardandolo negli occhi. Lui è molto più giovane degli altri uomini. Credo abbia tra i venticinque e i trent’anni. Fa come ha detto, e getta la cravatta a terra.

«Stai bene?» chiede. Continua a tenermi per un braccio. Lo fisso, senza dire niente, indecisa se dovrei scappare o saltargli addosso abbracciandolo in lacrime per ringraziarlo. 

Tutto quello che mi esce è

«Quindi tu sei quello buono?»

Mi guarda stupito e un po’ divertito, l’angolo destro delle sue labbra si alza leggermente abbozzando un sorriso sghembo.

«Per te, immagino di sì» annuisce, e i suoi capelli ricci ondeggiano leggermente.

«D’accordo, ora puoi anche lasciarmi il braccio» cerco di scrollarmelo di dosso.

«Perchè non facciamo un giro?»

Sul serio? Alzo un sopracciglio.

«Perchè potresti essere uno stupratore.»

Comincio a preoccuparmi e mi guardo intorno, cercano qualcuno che potrebbe soccorrermi chiedendo aiuto, ma non vedo nessuno. D’altronde, anche se qualcuno mi sentisse, probabilmente nessuno mi soccorrerebbe, secondo le statistiche. Che mondo di merda. 

«Non lo sono.»

«E dovrei crederti perchè..?» lascio la domanda in sospeso.

«Uno stupratore non ti avrebbe salvata.»

«Touchè. Tuttavia non mi sembra una buona idea andarmene con uno sconosciuto.»

«Sì se non sei chiusa in un bagagliaio. Muoviti, è meglio togliersi dai piedi.»

Mi trascina via. Non riconosco la zona di Dublino in cui siamo, non sembra il punto in cui ho incontrato quegli uomini. Mi volto. Accanto all’auto con il bagagliaio ancora aperto, non vedo nessuno. Un brivido mi scorre lungo la schiena.

Ora: due opzioni mi vengono in mente, così su due piedi. Uno: li ha uccisi l’uomo che mi sta quasi tenendo a braccetto, prendendoli a pugni. Due, sa modulare la voce, è schizofrenico e il discorso l’ha fatto tra sè e sè.

«Mi porti alla polizia?» chiedo mentre il mio cervello lavora senza sosta per dare un senso a tutta la situazione delle ultime... ore? Quanto tempo è passato da quando sono uscita dal bar?

«No.»

Ah, bene. Questo non esclude nessuna delle due ipotesi ma anzi, ne conferma una. Più probabilmente la prima. Lo osservo mentre attraversiamo la strada; -non guardo prima di attraversare, do per scontato che l’abbia fatto lui, come sempre quando attraverso insieme a qualcun altro- anche se la seconda opzione è più improbabile, a sostenerla c’è il fatto che non sembra abbia fatto a botte.

«Sono testimone di un omicidio, credo. Hanno ucciso qualcuno, poi sono arrivata io, mi hanno presa e...» cerco di spiegargli, ma lui mi interrompe.

«Puoi andare più piano, per favore?»

Smetto di camminare, lo guardo negli occhi e poi lo squadro, non comprendendo bene la sua richiesta. Restiamo così un attimo, a guardarci negli occhi senza capirci.

«Che c’è?» chiede, alzando le spalle.

«Sei ferito a una gamba?» domando a mia volta, cercando con gli occhi qualche traccia di sangue sui suoi jeans scuri.

«No.» 

Non lo guardo in faccia, continuo a cercare tracce di traumi che possono averlo indotto a chiedermi di rallentare.

«Una caviglia slogata?»

«No.»

«Hai problemi a un’anca?» insisto.

«No» mi fissa allibito.

«Una protesi che ti fa male quando cambia il tempo? In effetti prima pioveva» annuisco della mia stessa osservazione, notando l’asfalto ancora bagnato e le pozzanghere ai lati della strada «oppure una tendinite? Oppure...» faccio una pausa, cercando di ricordare cos’aveva mia nonna al ginocchio, ma non mi viene in mente «problemi al ginocchio?»

Noto che sta per dire qualcosa ma continuo nel fare il mio elenco.

«Eppure a me sembrava che camminassi normalmente. Voglio dire, non ho osservato per controllare che camminassi bene ma se non fosse stato così allora penso che mi sarei accorta... Hai una gamba di legno?»

«Puoi rallentare?»

Inarco un sopracciglio e faccio una smorfia, alzando i palmi delle mani verso l’alto nel linguaggio universale del “ma che cazzo..?”.

«Di nuovo? Ma che cazzo di problemi hai? Siamo fermi!» 

Lui apre la bocca per dire qualcosa, scuotendo la testa, poi stringe gli occhi e li punta nei miei. Non capisco bene se i suoi sono marrone chiaro o verdastri. Serra le labbra e riprende a camminare. Abbassa la mano che teneva stretta attorno al mio avambraccio e la stringe alla mia. Sono sconvolta per un secondo, poi realizzo che adesso stiamo entrando in una via dove c’è un po’ di gente che passeggia e che probabilmente si insospettirebbe se vedesse un ragazzo trascinare una ragazza per il braccio. Dopo questo piccolo ragionamento durato un paio di secondi, soddisfatta delle mie deduzioni mi ricordo della mia repulsione verso il tenere per mano le persone, così mi strappo alla sua stretta in modo brusco e incrocio le braccia al petto.

«Scusa, ma vorrei evitare di perderti per strada o che scappassi via» mi porge di nuovo la mano. Vedendo che non la accetto, la infila in tasca. «Oppure potrei ammanettarti, vedi tu.»

Manette?

«Odio tenere le persone per mano,» ribatto «preferisco le manette» aggiungo borbottando.

Lui mi porge il gomito, tenendo la mano in tasca. Lo osservo un attimo, poi lo prendo a braccetto, apprezzando questo compromesso: sono io che mi sto reggendo a lui e potrei lasciare la presa in qualsiasi momento, e questo mi fa sentire più al sicuro. E poi mi ha salvato la vita, quindi non credo voglia farmi del male. E se anche volesse, finchè non mi tiene per mano e siamo tra la gente, ho buone chances di scappare. Almeno credo.

«Sei un poliziotto?» 

Lui sorride, guardando dritto davanti a sè, poi scuote la testa.

«No, non direi.»

«Hai parlato di manette» scrollo le spalle.

«Non serve essere un poliziotto per averle.»

«Sei un gigolò?» ridacchio, pensando a delle manette coperte di pelliccia rosa che avevo visto una volta in un negozio di articoli per carnevale.

«Ancora una volta, no.»

Sorvolo sulla mia battutina che non l’ha fatto ridere.

«D’accordo, senti, prima ti stavo dicendo che devo andare alla polizia. Tipo adesso. Chiama il 911» poi mi ricordo che siamo in Irlanda, non negli USA, e mi sento un’idiota «...o qualsiasi sia il numero per le emergenze qui.» 

Abbasso il tono di voce, avvicinandomi un po’ a lui.

«Hanno ucciso qualcuno, d’accordo? E io ero lì. Credo che sia per questo che mi hanno presa» lui resta impassibile «...sono un testimone. Dovrei rilasciare una deposizione, dire quello che ho visto e finire in tribunale a giurare di dire “tutta la verità e nient’altro che la verità”.»

Lui prende un respiro profondo e inizia a parlare.

«Ufficialmente, lascerò che sia archiviata come una rapina finita male. Ufficiosamente, non avrebbero comunque nessuno da processare, quegli uomini hanno già pagato per tutto quello che hanno fatto.»

Lo interrompo, sconvolta dalla tranquillità con cui pronuncia quelle parole.

«Vuoi dire che li hai uccisi?» sputo fuori la domanda che mi tenevo stretta da quando ero uscita dal bagagliaio. Lui la ignora, e ho il terrore di avere ragione. Riprende il suo discorso. 

«...Quindi non mi sembra una buona idea andare a sollevare polvere dicendo di aver assistito ad un omicidio, soprattutto finchè hanno degli uomini infiltrati nel corpo di polizia. Potrebbero pensare che tu sappia qualcosa.»

Sto in silenzio per un po’. Valuto dove potrei scappare. Adesso. Potrei iniziare a correre. Ma se lui ha davvero steso tre uomini che nonostante l’età sembravano piuttosto in forma, dubito che riuscirei ad andare lontano con la mia preparazione fisica. Al massimo farei due metri. Anzi, credo che sarebbe abbastanza veloce da bloccarmi prima. Magari farmi lo sgambetto e fingere che io sia caduta per sbaglio. Scelgo di collaborare, per il momento.

«Ma tu, chi cazzo merda sei?»

«Non ha importanza.»

Questa affermazione mi fa ribollire la rabbia anche nelle orecchie.

«Senti, mi hanno sempre dato fastidio i figoni che se ne escono con queste frasi alla James Bond, anzi, ti dirò di più, mi sta abbastanza sulle palle pure lui» mi calmo per fare una breve osservazione a bassa voce «tranne in Casinò Royale, quel film mi piace.» poi riprendo il mio tono incazzato «Ha importanza eccome. Ho assistito ad un omicidio, mi hanno quasi rapita, sei arrivato tu e hai ucciso quelli che mi hanno rapita -se ho capito bene-, e adesso mi porti non so dove e mi dici che non posso andare alla polizia. Ora, non si tratta di avvenimenti irrilevanti per cui chi sei potrebbe non avere importanza. Non sei sbucato dal nulla per comprarmi un gelato, cazzo. Quindi adesso pretendo delle spiegazioni, perchè non ho capito assolutamente nulla di quello che è successo.»

Prendo un respiro profondo dopo la mia lunga arringa conclusiva.

«Quando ti ho detto di rallentare intendevo che parli troppo veloce» si limita a dire.

«Ah» mi lascio sfuggire. Ha ragione, mi dimentico spesso che a volte parlo troppo veloce. Prima che io possa ribattere che non ha risposto alla mia richiesta, riprende a parlare.

«Vorrei darti delle risposte, capisco che tu ne abbia bisogno. Non lo posso fare, però.» fa una pausa e quando riprende a parlare sembra rivolgersi più a sè stesso che a me «Tu sei... Un imprevisto. Hai cambiato completamente il corso delle cose.»

«Non sai se puoi darmi delle risposte?» ripeto. «Ti rendi conto che non mi interessa e che le voglio lo stesso, vero? Spiegami cosa sta succedendo o mi metto a urlare e ti prendo a calci in culo.»

Lui sorride a labbra serrate, senza guardarmi, poi mi lancia un’occhiata divertita. Si ferma, mi appoggia le mani sui fianchi e mi attrae a sè. Sto per colpirlo sul petto, indignata dal fatto che improvvisamente si prenda tutta questa confidenza, quando mi sussurra “scusa” vicino all’orecchio.

«Scusa, davvero, ma così nessuno ci sente» bisbiglia «dimmi che cos’hai visto.»

Chi dovrebbe sentirci?

«Te l’ho già detto» sbotto irritata, forse a voce troppo alta.

«Nient’altro? Hai sentito che dicevano qualcosa?» 

«Perchè dovrei dirtelo se tu neanche mi dici chi sei?» ribatto.

Lui si allontana, impassibile.

«D’accordo, come vuoi. Addio» riprende a camminare, stavolta senza tenermi al suo fianco, e lo fisso allibita mentre si allontana. Resto interdetta per un paio di secondi, poi corro verso di lui, scansando un paio di pedoni che vengono nella direzione opposta.

«Cosa vorrebbe dire?» domando, una volta abbastanza vicina a lui.

«Vorrebbe dire che dovresti andartene per la tua strada, e io per la mia» risponde senza nemmeno girarsi verso di me. Questo mi dà ancora più fastidio.

«Ma sei solo maleducato o anche stronzo, che ti diverte non guardarmi negli occhi quando mi parli?»

«Non ho tempo. Vattene e basta.»

Vorrei tantissimo tirargli un pugno in faccia, ma per oggi abbiamo già stabilito le mie scarse capacità di combattimento.

«D’accordo, andrò alla polizia allora» dico con nonchalance, scrollando le spalle, sperando di attirare la sua attenzione.

«Come vuoi, se hai un forte desiderio di morte, questa è la scelta giusta, bingo!» schiocca le dita.

«Mi stai minacciando?» 

Il desiderio di colpirlo aumenta ogni secondo che passa.

«No, affatto. Ma ti ho già detto che ci sono troppi poliziotti corrotti per andare a raccontare quello che ti è successo. E’ meglio per te starne fuori e dimenticare quello che è successo. Non stiamo parlando di bella gente. Non stiamo parlando di ragazzini di una gang.» si ferma e si gira verso di me, per una volta guardandomi dritta negli occhi «Sei libera di credermi o no, ma tutto quello che sto dicendo e facendo è per il tuo bene. Stanne fuori.» fa una pausa di un paio di secondi, e poi aggiunge: «Per favore.»

Lo guardo, confusa e con la mente piena di ancora troppe domande, senza sapere che cosa fare, cosa dire, cosa provare.

Dovrei fidarmi di lui? Mi sta dicendo la verità? Chi diavolo è? Chi erano quelle persone? In che cosa sono finita? Dovrei davvero evitare di andare alla polizia? 

Lo guardo cercando le risposte nei suoi occhi, ma vedo solo delle sfumature di castano, verde chiaro e una punta di sincerità che per un secondo gli attraversa lo sguardo, che si fa più dolce e meno indecifrabile. Non appena riesco a cogliere questo cambiamento lui si volta e riprende a camminare a grandi falcate senza guardarsi indietro e svanisce velocemente tra la folla, lasciandomi lì schiacciata dalle mie mille domande.

 

 

 

❀❀I’m baaaaack ❀❀
(aggiorno già adesso perchè ho finito di scrivermi tutta la trama, più o meno, e la settimana prossima non so quando avrò accesso a internet {poi devo anche portare il mio gatto dal veterinario perchè gli tolga la steccatura alla gamba aiut} e con l’inizio della scuola dubito che riuscirò ad aggiornare più di una volta a settimana :c)

tornando alla storia: sono schifata dai titoli che do ai miei capitoli, help.

comunque abbiamo fatto conoscenza di emh, lui ahahah be’ penso si capisca perfettamente chi è ma non ve lo dico solo per fare finta che sia un segreto 

ho delle domande per voi ragazze/i:

cosa ne pensate di quello che è successo ad alice? 

voi cosa fareste? 

avete qualche risposta per le domande che si è posta?

(sono terrorizzata all’idea che nessuno di voi risponda aahahah plis fatemi felice)

btw anche se la storia non ha molto successo vorrei ringraziare i quattro gatti che hanno messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate! grazie grazie grazie! sono felice che vi piaccia e sarei contenta di sapere i vostri pareri :)

 

 

ps. se avete bisogno di banner contattatemi pure :) qui potete trovare dei miei lavori

 

 

  
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