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Autore: kissenlove    06/09/2015    3 recensioni
Sequel di “Dirci Addio”.
Sai Honoka..
Da quando te ne sei andata dall’altra parte del mondo, non ho fatto altro che pensare a ciò che mi hai detto, a quelle parole che non riuscivano a uscire dalle tue labbra, lo sfogo di un dolore immenso che tu hai dovuto combattere da sola. Mi sono sentita vuota, imperfetta, ho capito che in questi mesi che avevi più bisogno di me, io non ho fatto altro che girarti le spalle. Dio, mi sento così stupida ed egoista anche!
Ma sai Honoka..
[…]
sono successe tante cose da quando sei andata via. Hikari se ne è andata, mepple non vive più con me, e io ho rischiato la vita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Honoka Yukishiro/Cure White, Nagisa Misumi/Cure Black, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And I was made for You



*** 
Carissimi lettori e lettrici! Vi faccio i miei più sinceri complimenti dal più profondo del mio cuore precuriano per essere sbarcati sul sito di Efp, essere andati dritti dritti con i paraocchi sul fandom delle ragazze graziose, di aver pescato questa storia e di esservela letti con tutto il vostro coraggio a mille. Diciamoci la verità - per una volta - ci vuole davvero... fegato per mettersi a leggere una storia, piena di miele, di sentimenti, di zuffe con Dotzuku e di una dose spiccata di stupidità per le battute quanto meno diverti di Nagisa - XD. 
Tornando seri... se nei precedenti capitoli, più o meno gli ultimi due, avete potuto approfondire il rapporto confidenziale tra madre e figlio, come nel caso di Usui/Honoka, inserendoci anche il rapporto/scontro che il nostro protagonista ha con Kiriya, il padre che non ha mai conosciuto, oppure il rapporto quanto meno confusionario e divertente che hanno Kazumi/Shogo - Kazumi/Nagisa
Nei prossimi capitoli seguenti della storia potremo approfondire meglio il rapporto tra i due giovani, e chissà... se questa volta uno dei due avrà il coraggio di fare il primo passo verso una grande storia. Come dice il titolo: sarà Usui? 
Andiamo a scoprirlo nel chappy, e nel frattempo qualche recensione, please! 
~Love



***

Sono stanchissimo, sembra che un carrarmato militare mi sia passato sopra. 

Usui Yukishiro stava camminando con passo spedito verso il semaforo, su una delle strade provinciali della città, ed essendo ormai da una settimana e mezzo che seguiva quella prassi quotidiana, ormai si era abituato a percorrerla tutte le mattine per raggiungere il liceo Verone Accademy; quella sera era stata l’ennesima nottata, da quando si erano trasferiti nella vecchia costruzione di famiglia, che lui insonne per colpa delle sue visioni che vedevano sempre il solito soggetto passargli di fronte come su un rullino fotografico. Si era seduto prima vicino alle testiera del letto, con gli occhi ben spalancati, come se ci avessero messo degli stuzzicadenti, e poi avendo intuito che nemmeno quell’espediente era in grado di conciliarli il sonno, decise di liberarsi del peso opprimente delle coperte, e trascinarsi molto cautamente nella cucina, senza svegliare in alcun modo sua madre, che dormiva beatamente, nella stanza di fronte al finestrone principale, nella stanza più grande della casa, che prima era appartenuta alla sua bisnonna. 
Dopo essere slittato nel corridoio, con in una mano una torcia, era andato verso la cucina. Si era diretto vicino al frigo, e più silenzioso di un ladro, aveva recuperato una bottiglia di latte fresco, e si era riempito un bicchiere per sé, sedendosi comodamente su una delle sedie. 
Quando non riusciva a prendere sonno il latte, così fresco e rilassante, era una mano dal cielo.
Mentre il suo bicchiere era quasi mezzo vuoto, posato sul tavolo, un’altra luce lo distolse e lo accecò. 
Non si poteva sbagliare, si mise una mano a mo di visiera, e riconobbe i fluttuanti capelli blu scompigliati di sua madre Honoka. 
-Mamma. - riuscì a dire il ragazzo, mentre Honoka posava la torcia sul mobiletto, e la restava accesa in modo che rischiarasse l’ambiente, avvolto nel silenzio più cupo, e il sonoro verso di un uccello notturno in lontananza. 
Era raro quell’unica volta che si incontrassero di notte fonda. A Parigi, essendo molto piccolo, non capitava mai che lui si svegliasse alle tre di notte per prendersi una boccata d’aria fuori dalla finestra, né tanto meno si era accorto della presenza costante di sua madre, che misurava ogni centimetro del corridoio. Lui era sempre stanco, studiava fino a tardi, poi quando riteneva giusto dare una pausa alla sua mente se ne andava a letto, e nel tepore dell’afoso clima parigino di quel periodo si appisolava, ma non si era mai reso conto che la madre non dormisse di notte. La vedeva sempre molto mattiniera, anche a Parigi, molto sveglia, non riusciva mai a captare un sintomo di stanchezza nei suoi occhi, non riusciva mai ad analizzare la sua situazione, da buono figlio che era non l’aveva mai vista da quella prospettiva. Sua madre si sedette di fronte a lui, di spalle alla fioca luce, il bicchiere del latte che si portava alle labbra, con un gesto nevrotico del polso, Usui notò una differenza quasi abissale tra sua madre di mattina e sua madre nella piena notte. 
I suoi capelli blu notte, che si confondevano col parato della cucina erano scompigliati e spettinati, con quel ciuffo ribelle che le finiva nell’occhio, gli occhi erano scavati da profonde occhiaie, e il loro colore relativamente spento. Era uscita dalla stanza, infilandosi malamente la vestaglia panna, che lei si stringeva con la mano libera al petto, facendogli notare quanto il suo fisico si stesse lentamente deperendo, iniziando a notare la lieve magrezza del bacino, le scapole ben visibili, o le ossa ben evidenti che si intravedevano dallo scollo a cuore della sua camicia da notte. Honoka si rigirava il bicchiere tra le mani, e con l’unghia dell’indice graffiava la sua superficie.
-Così anche tu, figlio mio non riesci a dormire? - gli chiese, ancora con il volto incassato nelle spalle. -Non è bene stare svegli alla tua età, domani devi andare a scuola, e devi essere più fresco di una rosa. - il suo tono divenne leggermente intimidatorio, quasi come se lo stesse rimproverando. Usui accettò quel richiamo, facendo sì con la testa, mentre finiva l’ultima goccia lattiginosa infossata nel bicchiere. 
- Non è colpa mia. - si scusò lui, portandosi una mano ai capelli per aggiustarseli. -Sai... stavo pensando a una cosa. - 
Honoka ciondolò leggermente il capo nella sua direzione. Un bagliore vivido le attraversò lo sguardo. 
- Ti ricordi la discussione di una settimana fa?
Honoka fece cenno di sì con la testa. 
-... ho riflettuto... e ho preso una decisione. - fece lui, con un sorriso serio in volto, mentre si alzava dalla sedia. 
Andò verso il lavabo, e ci mise dentro il bicchiere, dando le spalle alla madre che stava ancora ultimando il suo. 
-Su chi tesoro? - gli chiese lei, con una voce tra l’emozionato e il perplesso, anche se un mix di emozioni la stava sconvolgendo. Poi inspirò con il naso, alzando le spalle e soggiunse. - Questa decisione è su tuo padre? - 
Usui aprì la manopola dell’acqua, goccia dopo goccia, il bicchiere si riempì, talmente tanto, che arrivò sull’orlo, per poi fuoriuscire. 
Lui osservò attento la cascata che scendeva dal bicchiere, colava giù nello scarico, e una volta che il bicchiere fu pulito, la chiuse, e si girò. 
-No, non nominarmi quella bestia. - 
Honoka abbassò ancora di più la testa, e la massa di capelli di grande lunghezza, le si spostò dalle spalle al volto, tanto da ricoprirlo. La cure bianca non voleva che il figlio pensasse che lei pendeva ancora dalle labbra di quel maniaco che l’aveva abbandonata, ma talmente che il suo cuore desiderava un suo ritorno, che non dormiva la notte, a furia di aspettarlo alla finestra, e che lui sarebbe giunto puntuale, a travolgerla con i suoi baci, con le sue carezze, facendola impazzire con quella sua aria da malvagio, da misterioso... stava ogni notte alla finestra, perché lui potesse affacciarsi da una stella, e venirla a rasserenarla con la sua presenza, ma aveva atteso ben sedici anni.. 
Era stufa che ogni persona che lei amasse se ne andasse via, così era stato con il suo amato, così era accaduto anche con Nagisa. 
Il suo cuore era stanco di soffrire, voleva essere imprigionato, e non essere più liberato. Voleva essere libero di provare amore per qualcun’altro, ma quello non sarebbe mai potuto accadere, per quanto si sforzasse, la visione di Kiriya nel suo letto era peggio di un incantesimo, era peggio che essere in una prigione blindata e non poter scappare, era peggio morire ma senza alcun tipo di anestesia. 
Usui le andò vicino, silenzioso, tanto che quando le si inginocchiò, Honoka credette di svenire: alla luce lunare i suoi occhi apparivano quelli di Kiriya, il modo in cui sapeva farla stare meglio con quel suo sorriso da principe azzurro. Ma poi si accorse che non era lui, e la teca di cristallo si ruppe. - Mamma, non è per papà. - 
-So Usui che ti piace quella ragazza, quella Kazumi, ma non potresti sperare nel ritorno di tuo padre, non ti chiedo di fargli una festa, ti chiedo di accettarlo, perché che ti piaccia o meno, io e lui ti abbiamo creato. - 
Usui si rialzò da terra come una molla a pressione. Come poteva chiedergli una cosa del genere, sì suo padre non era un assassino, né aveva causato la guerra, né gli aveva fatto niente perché lui lo prendesse così in odio.. ma aveva fatto molto di peggio, aveva abbandonato sua madre in stato interessante, e gli aveva privato del suo amore paterno per così tanti anni, che accoglierlo, con un sorriso falso in volto, sarebbe stato come dare uno schiaffo alla sua moralità, diamine! 
Il ragazzo non volle prestare la sua faccia a quella simile iniziativa, e senza accennare un gesto, prese la sua torcia, e se ne andò via. 
Honoka rimase ferma sulla sedia, con ancora i capelli a coprirle il volto, mentre il suo corpo, nel cuore della notte, veniva leggermente scosso da tremolii. Con una mano si allontanò dalla guancia una lacrima che le stava scendendo giù dalla mandibola. 
Rimase lì, sola, malata di solitudine per un uomo che forse l’aveva lasciata per sempre, e con le lacrime che scendevano copiose dalle sue guance, si appoggiò al tavolo, e lì si addormentò. Quando Usui si svegliò di soprassalto erano le sette e mezza, tutta colpa della sua insonnia, si lavò infilandosi nella cabina doccia per una veloce doccia rigenerativa, si vestì con la solita divisa, e uscì dal corridoio, con in mano già la sua borsa. Non appena fece capolino in cucina si accorse che sua madre era ancora lì, seduta dove l’aveva lasciata, il viso rivolto sul tavolo, coperto dalla massa di capelli lunghi, le braccia incrociate a farle da cuscino, e le lacrime secche che gli fecero capire che doveva aver passato non solo la notte in cucina, ma anche che aveva pianto in silenzio, come faceva da quando lui era venuto al mondo. Non voleva svegliarla, era così ingenua e dolce quando dormiva, non la chiamò nemmeno per preparargli dei toast, si prese una merendina dal frigo e se la piazzò nella borsa come pranzo, mentre stava per andare verso l’ingresso, le diede un ultimo sguardo, e uscì fuori verso il giardino, trascinandosi la porta alle spalle. 
Aveva esagerato, ma il fatto che sua madre desiderasse quell’uomo che la faceva soffrire lo mandava in bestia.
Così non solo aveva esagerato troppo e ora sua madre era arrabbiata con lui, ma era anche in ritardo per l’appello, la giornata non poteva prospettarsi peggiore di quello che poteva già essere, come minimo la professoressa Rina gli avrebbe dato una punizione. 
Slittò verso il semaforo, fermandosi al marciapiede come da consuetudine, come da prassi. Vide le macchine sfrecciare sulle strisce e uscire immediatamente dal suo campo visivo, mentre altre persone con la sua stessa divisa attendevano il verde. 
Usui bofonchiò a sé stesso “odio essere in ritardo” stringendosi nelle spalle, e portandosi la borsa sulla clavicola destra. 
Ci vollero più di dieci minuti affinché il semaforo a comando si decidesse a passare a verde; tutte le persone al fermarsi delle macchine iniziarono a transitare velocemente dalla parte opposta, anche Usui stava per farlo, ma fu trattenuto da un richiamo. 
-Ehiiiiiii! - esclamò una persona dietro di lui. 
-Ma questa non è... - si interruppe il ragazzo, girandosi dietro, notando una trafelata ragazzina venirgli incontro. 
Usui sentì le guance andargli completamente a fuoco, chi lo aveva esortato ad aspettarla era stata una ragazzina della sua stessa età, con la capigliatura castano scuro, e gli occhi color oro, e la vaga sensazione di una che è completamente uscita di senno. 
Kazumi Fujimura fece una rapida frenata d’istinto, e finì per cadere addosso ad Usui, che per vergogna, non si lasciò scappare neanche un sibilo; i due ragazzi in mezzo alla via provinciale stavano l’uno nelle braccia dell’altra, Kazumi sopra Usui, che teneva le mani vicino ai suoi capelli sull’asfalto, con il ginocchio piegato contro la sua gamba sinistra, mentre Usui a contatto con la strada, che la guardava stupefatto. Kazumi guardandolo da così vicino, sentì il cuore andare a mille all’ora e le guance assumere un colorito simile a quello del semaforo, che intanto era passato a rosso, di nuovo. Rimasero stretti stretti, quasi come se non si fossero accorti di star dando spettacolo pubblico, ma a loro quasi non interessava erano troppo presi ad osservarsi, lei nelle sue pupille ghiaccio, lui in quelle oro. 
Kazumi non sapeva come articolare il movimento per togliersi da sopra lui, si sentiva troppo imbarazzata. 
-K-kazumi... - cercò di proferire Usui, mentre la mano della ragazza per sbagliò slittò, e lei finì con il volto vicino alle sue labbra. 
A quel punto Usui dichiarò lo stato di vacanza alla sua mente, mentre Kazumi apriva la bocca. -M...mi dispiace. - 
Usui accennò un “ah.. capisco” con la bocca, e senza che niente glielo avesse imposto, finì per accerchiare la sua mano sulla sua schiena. 
Per portarla ancora più verso di sé, sì sentì un tizzone ardente, ma vederla così da vicino gli piaceva, gli dava l’impressione di star sognando. Kazumi guardò perplessa le mani di lui che si stringevano alla sua schiena, e cercò di replicare, ma il tentativo fallì. 
Usui si alzò con il capo, e si avvicinò ancora di più alle sue labbra schiuse, stavano per darsi il loro primo bacio. 
Kazumi perse del tutto la ragione. 
Usui le accarezzò il volto, si diede la libertà di prendersi in custodia una delle sue ciocche castane, stringendole nell’indice e nel pollice, mentre prendeva nuovamente a portare la mano sotto al suo mento, e con forza si spingeva più verso di lei. 
Kazumi rimase immobile, mentre con paura, vedeva il naso di Usui combaciare con il suo, e le loro fronti infrangersi come il mare sugli scogli, le loro bocche stavano iniziando ad avvicinarsi, quei dieci centimetri lei li poteva contare sulle dita. 
Usui intensificò il movimento, diminuendo la distanza. 
Che faccio se mi bacia?
Kazumi si chiedeva fermamente se doveva ucciderlo dopo o ricambiare. 
Aveva letto in una rivista che se un ragazzo ti appresta a baciare per la primissima volta, c’erano tre diverse opzioni. 
-A se gli piace, e se lui ti piace, devi fare la strafottente. 
- b- se non ti piace, dagli uno schiaffo, così almeno imparerà a prendere certe iniziative. 
-c- denuncialo. 
Denunciarlo? Non era nelle sue corde quel gesto estremo, magari senza troppi giri di parole, avrebbe affermato che la scuola e la faccia del vicepreside li stavano aspettando e così lui si sarebbe alzato, e sarebbero andati via di lì, visto le persone che li stavano osservando. 
No! No! doveva assolutamente impedire tutto quello
Kazumi sospirò. - Ehm, Usui. Faremo tardi! - gli esclamò da sopra le labbra sue, mentre lui gliele stava incatenendo alle sue. 
-Che ti importa. - le sussurrò, provocandole un certo terrore che le sbarrò gli occhi. -Pensa... a me.. e a te, Kazumi. - 
No! Non posso baciare per la prima volta un tale idiota, no! Devo assolutamente fermarlo.
Kazumi lo guardò ancora una volta. Sarebbe stato bello sapere come erano le sue labbra tra le sue, ma non era così che lo voleva quel momento, così preparò la sua mano, e quando lui stava per baciarla, gliela impiantò su una guancia. 
Il gesto schioccò molto velocemente nell’aria, e il ragazzo si separò velocemente da lei, rialzandosi. 
Adesso sarà arrabbiato? Mi dispiace, non volevo dargli uno schiaffo, volevo solo fermarlo, dannata me!
Kazumi si rialzò, facendo appello alle sue poche forze, visto che le aveva consumate tutte e recuperando la cartella, finita in strada, si girò verso Usui, che si stava massaggiando ancora la guancia, con le cinque mani sue stampate. La ragazza gli andò vicino. 
- S-scusami Usui, non volevo. - 
Il ragazzo si portò la mano alla guancia un po’ gonfia. 
- Ma che ti credi ragazzina? - 
Kazumi mise su una faccia perplessa. 
- Cosa? Che mi credo, che intendi? - 
Usui indicò il suo volto, e più precisamente le sue labbra. 
-Credevi che queste mie labbra baciassero le tue? Illusa! - 
In un attimo il rimpianto per quello schiaffo svanì dalla mente di Kazumi, gliene avrebbe voluto tanto dargliene un altro, ma per mettergli a posto l’ultimo neurone rimastogli nel cervello, ancora non funzionante. 
-Sai che non ti capisco? - fece lei, imbronciata. - Prima ti comporti da innamorato patentato... e poi ti trasformi in un mostro. - 
Usui si portò la borsa alla spalla, e una volta che il semaforo passò a verde, transitò sulle strisce, con a seguito Kazumi. 
-Io non sono un mostro. - rispose lui, con voce dura. 
Kazumi aumentò il passo, camminando accanto a lui. - Ah sì? Non mi sembra Usui Yukishiro. - 
-Perché ti interessi della mia vita? - chiese lui, con tono ancora più duro. - Non sono cose che ti riguardano, Kazumi. - 
La ragazza abbassò il volto alla strada, ripensando al momento prima, al momento in cui tra di loro c’era stata una forte affinità, un forte collegamento, in quel momento lei era stata rapita completamente da lui, e lui stava per baciarla, se solo non lo avesse fermato così duramente, ma era necessario, sì Usui era carino, non era come altri ragazzi che aveva conosciuto, non era brutto,  lo confessava che non gli era indifferente, ma da lì a baciarlo, ci voleva tanta acqua sotto i ponti. Probabilmente si era arrabbiato per quello. 
Kazumi iniziò a farsi il lavaggio del cervello, vedendo il viso del suo compagno cambiare totalmente, con i segni somatici più aperti alla rissa, e gli occhi di ghiaccio più freddi di un iceberg. Forse la colpa era sua, forse la colpa era del momento, lei non era una tipa che dava dimostrazioni romantici in pubblico, e non era certamente la ragazza che si faceva un ragazzo ogni mese... a lei interessava una relazione seria, non troppo complicata, travolgente, molto travolgente, con un ragazzo che provasse lo stesso. 
- Senti, ho fatto qualcosa di male per caso? - si fece coraggio la ragazza, mentre lentamente salivano la scarpata. 
Usui, vicino a lei, non rispondeva. Stava in silenzio, composto, sempre con quella sua eleganza da nobiluomo. 
Kazumi riprovò. 
- Rispondimi, ti prego! Ho fatto qualcosa di male? - 
Di nuovo il silenzio. Usui aveva lo sguardo fisso in avanti e non la degnava dei suoi occhi blu. 
Kazumi non godeva di una pazienza di ferro, e stancata da questo suo comportamento, si parò dinanzi a lui. 
-Ora mi rispondi! - esclamò, furiosa. Usui incatenò il suo sguardo gelido nel suo. 
- Cosa vuoi, Kazumi. - 
La ragazza sulle prime fece un balzo in avanti. 
Sto diventando come quel mostro. Il pensiero di star diventando come Kiriya terrorizzò Usui in modo particolare, il fatto di trattare le persone con freddezza non risolveva il suo problema esistenziale, era arrabbiato perché Kazumi lo aveva respinto nel suo bacio, ma lo era molto da trattarla così male... il fatto era che il discorso con sua madre lo aveva a dir poco scombussolato. 
Sapere che un giorno avrebbe aperto la porta, e si sarebbe ritrovato dinanzi la figura strafottente di Kiriya, il padre che non voleva nemmeno conoscere e che sua madre accoglieva serena, come se non se fosse mai andato, lo mandava su di giri. Lo colpiva, lo faceva soffrire, lui che da piccolo aveva conosciuto il dovere di non dare dispiaceri a sua madre, lui che aveva dovuto accollarsi le responsabilità di uomo di casa, e aveva deciso di crescere in fretta per rimediare ai problemi economici. Lui, che a Natale, stava a casa da solo e sua madre a lavorare come una schiava in fabbrica, lui che non credeva nemmeno esistesse Babbo Natale, come non credeva che al mondo potesse esserci una bestia come suo padre. Lui che era sempre solo, senza amici, lui che non li aveva mai cercati quegli amici. 
Come aveva sofferto, e come avrebbe ancora dovuto patire la sua situazione. 
Kazumi si avvicinò nuovamente a lui, e gli prese una mano tra le sue, costringendolo a guardarla negli occhi.
Quegli occhi che da una settimana gli facevano perdere il sonno. 
Quella bocca che voleva ad ogni costo. 
Quel visetto un po’ vivace che ritrovava nel soffitto di casa sua, puntualmente. 
Quel suo fisico, quel suo corpo dolce, che voleva stringere a sé. 
Voleva Lei. 
- Guarda che di me ti puoi fidare, Usui. - gli disse, con un sorriso sincero in volto. 
Usui aprì il suo cuore, sentiva che veniva inondato di felicità, sentiva che tra poco sarebbe esploso come una pignatta. Si spostò, e avvicinandosi molto lentamente, e sciogliendo il contatto con la sua mano in modo che fosse libera, le mise una mano sui fianchi, per poi chiuderle, e spingerla verso il suo petto. Usui si ritrovò ad esaudire tre delle sue pazzie, forse quattro, quel contatto col suo corpo. 
Adesso mi darà un altro dei suoi schiaffi
Kazumi però, stette al suo gioco. Non appena avvertì il suo petto toccare il suo orecchio, si liberò delle braccia, e le portò su per la clavicola, ma dato che era molto alto, le fece scivolare su per la schiena. Il vento di prima mattina si librò nell’aria, Usui portò una mano sopra i capelli di Kazumi, accarezzandoglieli, e sentendone il profumo, mentre Kazumi alzandosi un poco sulle punte, infilò il collo nella piegatura della spalla. Nessuno dei due sembrava sciogliere l’abbraccio, ne avevano bisogno, entrambi. Ne avevano un assoluto bisogno. 
Quando Usui si rese conto di ciò che aveva appena fatto, il suo viso subì un totale cambiamento, e quei tratti tirati, divennero più solari e sereni, a quel punto Kazumi si staccò dal suo petto, anche se non voleva. - Stai sorridendo! - esclamò compiaciuta. 
- Tutto per merito dalla mia compagna di banco, no? - la canzonò lui, toccandole il viso; si avvicinò, e le loro fronti rimasero attaccati.
- Scusami Kazumi, non era mia intenzione... - 
-Figurati, Usui! Scusami tu... - e la ragazza indicò la guancia sgonfiata. - Per lo schiaffo. - 
Usui si grattò la nuca. - Me lo meritavo, no? - 
Kazumi fece segno di no con la testa. Aveva esagerato, non doveva, infondo le piaceva la loro chimica perfetta. 
I due ripresero a camminare verso i cancelli della Verone



Erano appena passate le nove, la classe di Kazumi e Usui era impegnata con la lezione di chimica. 
Rina, con una scusa che Kazumi aveva afferrato al volo, li aveva messi vicini anche per fare gli esperimenti. Era stato un colpo basso da parte di un insegnante, ma dopotutto è un’amica di sua madre, doveva aspettarselo comunque, però doveva ammettere che essere in squadra con Usui era un bel punto a suo vantaggio, e non solo, la professoressa Rina osannava la loro chimica perfetta. 
Kazumi osservava con aria critica il lavoro professionale di Usui, ma più precisamente e per essere più sincera, osservava lui; non aveva fatto altro da quando la professoressa Rina si era messa a spiegare i composti chimici, stava prendendo un vizio, ma Usui non solo aveva l’aspetto da principe uscito dalle fiabe, era anche affascinante di suo, gli occhialini che si era messo gli stavano benissimo, lo facevano assomigliare a un dottore, il camice bianco si confondeva con la sua pelle bianca. Era semplicemente un chimico perfetto. 
Lei invece somigliava a un secchione rachitico, perso in una marea di formule. 
Kazumi si era appoggiata al tavolo, con una mano disposto su quello, e uno a sollevare con prepotenza il suo viso, quando lanciava sospiri languidi a destra e a manca, tanto che Ran, che era di fronte a lei e la stava fissando, sghignazzava ferocemente, facendola diventare paonazza in volto, quando Usui si fermava ad osservarla con la provetta di composto a mezz’aria. 
- Tutto bene, Kazumi? - 
La ragazza presa sul fatto si rialzò dalla posizione, e con fare imbarazzato, si inchinò in segno di perdono. 
- Ti va di aiutarmi con questo esperimento? - chiese Usui, inarcando il sopracciglio. 
Era ancora più carino
-S-sì! Ovvio, certo... dimmi cosa devo fare e lo farò! Signor-sì! - portandosi la mano destra sulla fronte. 
Usui sospirò, poggiando la provetta nell’apposito contenitore, visto che il contenuto era ritenuto addirittura esplosivo. 
-Non ho bisogno di tutta questa durezza di spirito. Su, Kazumi. Sciogliti. - 
Kazumi cercò di rilassarsi, ma in realtà le risultava complicato, visto che era alla presenza di un ragazzo che le faceva perdere di vista la bussola, che le faceva provare sentimenti assurdi e che le faceva andare in corto circuito il cervello. Sì, lui era un tipo molto più... sciolto, lei invece no, si sentiva peggio di stare incatenata con mille lucchetti alla merce di animali famelici. 
Provò a contrarre le spalle, muovendole, per vedere se riusciva a prendere con molta calma quella dannata lezione.
- Cosa devo fare, caro Usui, futuro biologo internazionale? - 
La ragazza si mise mascherina e guanti di protezione e si avvicinò a Usui per avere qualche indicazione. 
- Dovresti mischiare questo contenuto con l’azoto, mi spiego.  - fece Usui, mostrando una provetta, un liquido giallo, e un gas incolore. 
-Non è che se lo mischio mi scoppia in mano? - chiese, spaventata, portandosi la provetta a distanza di sicurezza. 
- Non penso... - Usui si portò una mano sotto al mento. - A meno che tu... non sbagli le dosi, non succederà niente. - 
-E se... per un caso ... dovessi sbagliarle? - 
Usui guardò la sua compagna. -Allora potremmo veder saltare la scuola che dici? - 
Kazumi sospirò sollevata. - Fiu, vabbé io voglio che scoppi, ma così è troppo. - 
Usui sorrise divertito. 
-Su avanti, mischia, e non aver paura. - 
Kazumi si portò più vicino le due provette, e con grande attenzione, tergiversò il liquido giallo in quello incolore. Questo assunse un aspetto aranciato, e si stabilizzò nella provetta. Kazumi si permise un secondo sospiro di sollevazione. 
-Bene... adesso dobbiamo riscaldarlo. - continuò Usui, confiscando dalle mani della sua collega la provetta. - Kazumi, mi porti il bollitore?  - 
-A che ti serve il bollitore, tu che sei l’esperto me lo spieghi? - 
-Non di certo a bollire la pasta, ma.. faremo giungere il contenuto alla temperatura di 200° in modo da avere una sorta di reazione chimica, capito Kazumi? -
La ragazza si massaggiò la tempia, nel duro ragionamento dell’aver compreso, e abbassandosi sotto al mobiletto, recuperò ciò che Usui le aveva richiesto. Chiuse l’anta, e diede il macchinario nelle mani del ragazzo, che lo appoggiò sul tavolo. 
Kazumi con attenzione osservò ogni movimento chiaro e tangibile del suo amico. Rovesciò il contenuto nella provetta in una teca più grande e leggermente più tonda, poi con l’aiuto di fiammifero accese una fiammella sotto, mentre il liquido al suo interno bolliva. 
Kazumi fu tentata di indietreggiare, visto il pericoloso sbuffare della teca. 
- Ehm... io dovrei andare. - 
Usui la tirò per una spalla. 
-Dove vai? Non abbiamo ancora finito, non si lascia un lavoro a metà. - 
-Assì.. no non intendo il lavoro, ma alla mia vita ci tengo. - precisò la ragazzina, indicando la teca. 
- Ma dai, mica scoppia? - 
-Ne sei sicuro! Faccio prima a mettermi al riparo no? - 
Usui fece segno di no con la testa, colpendola lievemente con il pugno della sua mano. - Certo che delle volte sei tanto intelligente.. - 
- Questo è un complimento, Usui... - fece lei, contenta. 
- Ma alle volte sei talmente stupida, che mi fai paura. - 
La ragazza sbuffò. 
-Non è colpa mia... è difesa personale, non voglio finire arrosto! - 
- Non finiremo arrosto, smettila di dire certe cose.. - la rimproverò Usui, i due nella loro discussione dimenticarono molto ingenuamente la teca che stava bollendo, dimenticarono il loro esperimento, e il tempo necessario per spegnerla, tanto che alla fine quando se ne accorsero era troppo tardi, e il contenuto stava quasi per esplodere. Usui accortosi della pressione molto alta, fece in tempo a tirare verso di sé Kazumi, e a spingerla contro il mobiletto. La teca iniziò a frantumarsi piano piano, e quando Rina si avvicinò ai due per sapere se avevano fatto, la teca esplose con tutta la sua forza, e il contenuto si riversò sulle pareti della piccola stanza, e invase a fiume il tavolo, finendo anche e sopratutto sulla faccia di Rina, che cadde a piedi alzati, per terra. 
Quando Usui si rese conto del disastro, si portò una mano in fronte. - No, non può andare tutto storto. - 
Anche Kazumi fece capolino dal mobile, sussurrando. - Invece sì... - e sbattendo di proposito la testa sul tavolo. 
- Colpa tua Kazumi, avresti dovuto spegnerlo a 200° gradi! - 
- Ah no... scienziato perfettino... io non avevo questo compito, tu dovevi spegnerlo.. ma poi abbiamo litigato e.. - ma lui la interruppe. - Ecco appunto! Tu mi hai fatto perdere la bussola, per colpa tua! - 
-Hai sempre ragione tu, Usui eh? - domandò, sarcastica lei, mentre d’un tratto alle loro spalle comparì la faccia oblunga del vicepreside. 
Usui e Kazumi scattarono in piedi come due molle, mentre il signore davanti a loro osservava il pasticcio che avevano creato; si appuntò più gli occhiali sul naso, e con una faccia a dir poco pietosa, li indicò urlando. - Ahhhhhhh! Sempre voi, non vi stancherete mai di combinare casini e farmi perdere sempre più capelli! - 
-Veramente non siamo noi... - cercò di replicare la ragazzina, ma Usui le mise una mano in faccia. - Tsk. Ma sei matta, come minimo adesso ci danno il carcere, non ci crederanno mai Kazumi! - gli sussurrò. 
- Non era per quello... ma per i suoi capelli, capisci li sta perdendo perché sta diventando vecchio. - rispose lei. 
- Guarda che vi sento! - esclamò il vicepreside, pugnalandoli con il suo sguardo. - E ora in giardino, a togliere le erbacce, muoveteviiiii! - 
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata di intesa, e con facce un po’ dispiaciute, sgusciarono via verso l’uscita. 


Erano da sei ore sotto al sole per cercare di rimediare al disastro che avevano combinato durante la lezione. 
Usui stava inginocchiato comodamente, come se fosse da tutti i giorni togliere le erbacce dal giardino, una punizione che un giorno il vicepreside dette anche a sua madre Honoka e a zia Nagisa per aver rovinato un quadro sul preside, ma in realtà non era stata di loro la colpa, non gli importava che gli facessero male le mani a furia di tirare, né che gli facesse male la testa per il sole, stare con lei lo ripagava. 
Invece Kazumi con quelle occhiaie che si era ritrovata sembrava una zombie, il sudore che gli gocciolava dalla fronte, le mani rosse dalla fatica, le smanie di una che non ce la fa più. Usui osservandola, mentre si apprestava a eliminare un nuovo filo di erba, ripensava nuovamente a sua madre, quando in uno dei loro incontri notturni, di tanto in tanto, le aveva raccontato, con il sorriso ben visibile sulle labbra di quando zia Nagisa e lei, al ritorno dalle vacanze, furono duramente punite dal vicepreside, e andarono a raccogliere le erbacce in giardino. Nagisa, reduce da una notte di studio, era stanca e aveva la schiena a pezzi, ma non per questo barava sulla punizione, così sua madre le disse che avrebbero fatto del loro meglio per adempire al meglio quel compito. Kazumi gli ricordava molto Nagisa. 
Nelle foto avevano gli stessi occhi, e la stessa corporatura gracilina. 
Era come guardare uno specchio, peccato per i capelli, visto che non erano dello stesso colore
Quando Kazumi si accorse della risatina del suo amico, di fronte a lei, strappò con ferocia un filo di erba, esclamando:
- Perché diamine ridi, Usui Yukishiro! - 
Il ragazzo tirò un altro filo di erbaccia. 
- Niente... ridevo di te. Sai mi ricordi qualcuno che ho visto solo in foto. - 
Kazumi ciondolò con la testa. 
- Chi? - 
- Non te lo dico. Comunque, riposati se vuoi. Sei stanca vedo.. - 
- Ma no! Cosa te lo fa pensare.. ho solamente sonno... e un po’ di caldo. - 
- Bene, vai a riposarti qui posso continuare io che ho energia a sufficienza per entrambi. - gli disse lui. 
- E lasciarti qui a sbrigare la nostra punizione?  - fece lei, dilatando le pupille. - Niente affatto! Non baro sulle punizioni! - 
Usui rise al vederla nuovamente energica. 
-Facciamo del nostro meglio per accontentare quel pesce lesso. - 
Kazumi si lasciò scappare una risatina. 
- Sì! - 
I due si impegnarono molto duramente per adempire la loro punizione. Lasciarono il piccolo giardinetto davanti all’istituzione, quando finirono di togliere tutte le erbacce, e le riposero nel cesto. Erano le tre quando la figura rachitica del vicepreside tornò a disturbarli, e loro avevano finalmente finito, il vicepreside li lasciò liberi, così Kazumi e Usui, che aveva in braccio l’enorme cesto, tornarono in classe. 
La trovarono vuota, visto e considerato che gli studenti erano andati tutti via. 
-Non immaginavo fosse così tardi... - iniziò Usui, recuperando i libri sotto al suo banco. 
-Sono solo le tre, e siamo rimasti solo noi. - 
-Uhm, già è vero. - fece Usui, guardandosi attorno; l’aula era completamente vuota. 
Kazumi strisciò la sedia sul pavimento, e vi si sedette con tonfo esausta, con le braccia portate indietro insieme alla testa. 
-Uhm... ho la schiena a pezzi. - biascicò. 
- Mi sembra normale, dalle nove fino alle tre. Siamo stati per la bellezza di sei ore lì fuori. - disse lui, facendo un veloce stretching con i muscoli dell’avambraccio e polso, che non avevano fatto altro che strappare fili. - Adesso ho bisogno di una bella doccia e di un letto.. - 
- Perché? - domandò lei, seduta accanto a lui. - Ti vedo molto esausto. Dimmi, stai dormendo? - 
-Adesso ti preoccupi per me, scoiattolino? - 
Kazumi si imbronciò. Era da un pezzo che non lo sentiva più chiamarla in quel modo. 
- No.. no.. io non preoccupo per te, figuriamoci. - fece lei, incrociando le braccia, con un vaga sensazione di superamento. 
- In effetti... non posso dire di star riposando come si deve. - 
- Hai qualcosa che non va? - 
Usui scosse il capo. 
- Solo che... sono molto combattuto su una cosa. - 
Kazumi lo stava ancora osservando con la coda dell’occhio, lasciandosi dondolare pericolosamente dalla sedia, con due piedi impuntati contro il banco, in attesa di scoprire quel momento non di complicità ma di conversazione pacifica, destinata a diventare profonda tra pochi secondi. Usui si stava letteralmente lasciando andare, tra poco avrebbe dato sfogo ai suoi pensieri ad alta voce, tra poco le avrebbe confessato che mentre lei aveva un padre, lui non lo aveva mai conosciuto, mentre lei viveva in una vera famiglia, la sua invece non somigliava minimamente a quel genere, tra poco le avrebbe confessato il motivo per cui non dormiva tutte le notti... 
- In realtà... era un pensiero che non mi aspettavo. - continuò, gettando un’ombra di mistero nei suoi ragionamenti. 
Kazumi alzò un cipiglio. 
-Va bene, puoi continuare. Non ci sto capendo niente! - 
- In poche parole... non dormo la notte perché penso sempre alla stessa cosa. - fece lui, guardando intensamente colei che le stava vicino. 
- Bene. Puoi dirmi chi è “quella cosa”? - chiese lei, in trepidante attesa, e in bilico sulla sedia. 
Usui serrò gli occhi,  assaporando le sue visioni in tutti i loro dettagli, e lei era sempre tra queste, in tutte le posizioni, persino le più stupide, lei era presente... magari nell’acqua durante la doccia che scivolava dalla sua pelle, o nelle strade che percorreva, negli occhi di sua madre quando egli si specchiava, nei pranzi solitari, nelle lenzuola della notte... dappertutto lei era lì. 
Si portò una mano al petto, sospirando. Guardando il lato destro la vide, non era una delle sue immaginazioni perverse, i suoi capelli venivano leggermente trasportarti al vento, il colore castano scuro risultava evidente e più chiaro alla luce del sole. 
Sei bella da guardare.
I suoi occhi guardavano imprimendosi ogni singolo dettaglio nella testa. 
I dettagli della bocca, un po’ piccola, i dettagli del suo nasino, i dettagli della sua pelle leggermente più scura rispetto alla sua, i dettagli del suo corpo, che col dito lui pareva percorrere, i dettagli della sfumatura oro dei suoi occhi, un po’ peperini, i dettagli di quella sua corporatura tanto gracilina che aveva per un momento deciso di abbracciare, la convinzione che quel momento fosse il più perfetto. 
Le prese delicatamente la mano con un gesto affrettato, tanto che lei al vederle tra le sue mani, lasciò che i suoi piedi scivolassero via dal banco, e che la sedia tornasse in un tonfo sonoro a contatto col pavimento, mentre i loro occhi piano si confondevano, si toccavano, si scrutavano ma non si evitavano come prima. Usui gli strinse ancora di più la mano nella sua. 
- La cosa a cui penso da un po’ sei... - 
Kazumi lo osservò. Si masticava il labbro, chiudeva di nuovo gli occhi e faceva lunghi sospiri, come se gli costasse quello sforzo. 
- Sei tu. - 
Il tempo si fermò. 










Angolino della Love!

Contenti? O rimborsati... be’ in ogni caso un piccolo screzio c’è stato, ma non è un vero e proprio flirt... 
Ovviamente questa scena è solo un piccolo assaggio per quello che succederà invece tra di loro, se volete scoprirlo basta che leggete il prossimo e recensite. Io come al mio solito ringrazio tantissimissimo Rosanera ricordandole che adoro le sue recensione, e perché no?
Anche la mia oneee-chan Zonami84! 
Spero vi piaccia il capitolo, detto questo - non ho niente da dire più, grazie - mi ritiro. 
~Love









 
   
 
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