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Autore: I just wanna_    06/09/2015    0 recensioni
''Eppure lui sperava. Sperava così tanto.''
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buonanotte e Addio
 
 
Le ruote delle barelle correvano  sul linoleum mentre i paramedici si facevano strada con grida e spintoni nel corridoio d’accesso al pronto soccorso. Fermarono entrambe le barelle al centro della stanza mentre alcuni medici si avvicinavano ai due ragazzi che si trovavano stesi sulle due brande.
Un uomo e una donna. Entrambi sui diciannove anni. Incidente stradale. Lei era completamente andata. Varie ferite, graffi, fratture ancora non viste attraverso gli abiti impregnati di sangue, ma la parte peggiore era la testa. Lei era svenuta, e non sembrava voler rinvenire. Respirava ancora, rantolando, ma almeno continuava a farlo.
Lui invece si era rotto qualcosa, un braccio, una gamba, qualcosa. Rimase cosciente per qualche secondo. Provò a girare il collo, ma il collare ortopedico gli impedì di compiere quel movimento  quindi si limitò a osservare, muovendo freneticamente gli occhi da una parte all’altra della stanza. Così scorse una ragazza accanto a lui. Era convinto che fosse la sua fidanzata. Mosse una mano, spinse il braccio fuori dalla barella e toccò la mano di lei che era rimasta penzoloni da quando li avevano fatti entrare nella stanza. La afferrò e la strinse, dopo svariati tentativi e cercando di evitare i movimenti frenetici dei vari medici e infermieri.
Sentiva solo tanto dolore e tante voci. Forse era questo che lo teneva sveglio. Riuscì finalmente a toccare le dita della ragazza, sfiorò i suoi polpastrelli, poi tutto si fece così luminoso e poi così buio.


Il sole gli scaldava il viso. Sentiva l’erba sotto le dita, sentiva la terra sotto il sedere, attraverso la tela dei jeans leggeri.
Aprì gli occhi, si stese sul prato e li chiuse nuovamente. Una leggera brezza lo accarezzava. Era questo il paradiso? Solo, in un infinito Central Park?
Non gli sembrava male come prospettiva di eternità.
Ma era morto? Era davvero morto?
Aveva sentito il buio e aveva sentito il silenzio, per del tempo che gli parve infinito, ma adesso tutto attorno a lui era così vivo. Forse lo era anche lui. Forse aveva semplicemente dimenticato il passato, quello che c’era stato di mezzo tra prima e adesso, anche perché si sforzava ma non ricordava alcun Prima. Non riusciva nemmeno a capire cosa Fosse quell’Adesso.
Un prato, la luce e poi? Erano reali? Sentiva davvero l’umidità della terra con la punta delle dita? E i fili d’erba sulle braccia e sul collo?
Toccava, toccava tutto e lo sentiva ma non ci credeva e a poco a poco non toccava più e non sentiva più nulla e fluttuava. Aprì gli occhi, e sentì sotto la nuca il freddo del metallo.
Un tavolo? Un ambulatorio? Un obitorio. Cosa poteva aspettarsi. Si mise a sedere, sconvolto. Quello che aveva attorno sparì di nuovo per lasciare spazio al prato. Ma stavolta il sole era forte, era troppo forte, e lui dovette coprirsi, ma il bianco dei raggi gli passava oltre, lo colpiva comunque e sentiva che anche l’erba, e la terra e tutto l’universo erano spariti sotto quella Luce che li stava sciogliendo o li stava inghiottendo e voleva urlare ma nulla usciva dalla sua gola, una mano gli strinse la spalla.
Lui rialzò la testa e sentì il vento scompigliargli i capelli. Si voltò e una ragazza lo guardava. Lui non seppe descrivere l’espressione sul suo viso ma lui sapeva che lo capiva. Che erano nella stessa situazione.
Lei tolse la mano, continuava a guardarlo negli occhi.
È vera? È reale? Io sono reale? Cosa vuol dire reale?
 Lui le prese la mano.  Seguimi, sentiva queste parole in ogni fibra del suo corpo. Quando lei strinse la sua mano, riconobbe un tocco. Qualcos’altro si mosse in lui ma non sapeva dire cosa. Iniziò a correre.
E lei corse dietro di lui.
Ridevano e correvano e attorno a loro il mondo cambiava. Il prato scomparve, diventò un bosco, una spiaggia, un’autostrada, un corridoio, una città. Continuava a mutare, tutto in movimento, come loro.
Scappiamo, scappiamo, corriamo. Non dobbiamo restare qui per forza. Non parlavano, non dicevano una parola. Correvano e queste frasi rimbombavano dove avrebbe dovuto battere il loro cuore. Avevano entrambi il fiatone. O credevano di averlo, come il riflesso di una vita passata di cui loro non facevano più parte.
Non riuscivano a fermarsi. Erano mano nella mano, e lui si girava a guardarla, mentre lo sguardo di lei, restava fisso nel suo. Confuso e incerto. Si muovevano all’infinito. Ma verso dove? Dove andavano?
E intanto tutto si evolveva.
Ma mentre lui correva e l’orizzonte continuava a non esistere, e quello che c’era intorno a loro in realtà era solo un’ombra sfocata, lei lasciò andare la sua mano.
Fissando qualcosa che solo lei poteva vedere. Un dettaglio in mezzo a quell’ombra sfocata.
Lui si fermò poco più avanti, e mentre il suo sguardo era concentrato su di lei la realtà attorno a loro si deformava fino a manifestarsi ai due, in tutta la sua falsa tridimensionalità. Come nel prato.
Erano in un parco divertimenti e lei era rimasta a fissare una ragazzina che prendeva dello zucchero filato. O meglio dire, l’immagine di quella ragazzina che difatti scomparve un secondo dopo, come tutti nel parco. Sapevano ormai che tutto quello che era attorno a loro non era reale, e forse era meglio così.
Subito dopo guardò la ragazza.
Lei continuava a fissare il carretto anche dopo che la bambina si era dissolta.
Ne vuoi un po’?
Possiamo mangiare?
Lei si voltò a fissarlo.
Voglio restare qui per un po’.
Tutto quello che vuoi.
Lei si voltò, iniziò a passeggiare. Lui la seguì a ruota, come incantato, e subito dopo qualche passo le fu accanto.
Cosa hai visto?
Lei restava a fissare la ghiaia, calciando di tanto in tanto qualche sassolino più grande.
Come scusa?
Cosa hai visto quando ti ho trovato?
Lei si fermò e rimase a guardarlo intensamente.
Lui si fermò, ma non si voltò. Rimase a fissare la ghiaia.
Obitorio. Tu?
Stavolta si girò verso la ragazza. La guardava curioso.
Lei distolse lo sguardo. Non sembrava imbarazzata, sembrava confusa. Osservava con i suoi occhi grandi tutto quello che c’era intorno a loro, allungò una mano e sfiorò la transenna che la separava dalla ruota panoramica. Fece qualche passo in avanti, fino all’ingresso e si accomodò su un posto a sedere.
La seguì anche stavolta. Si sedette al suo fianco e la ruota partì.
Arrivarono fino in cima. Anzi, fecero più di un giro, ma non tennero il conto di quante volte superarono il punto di partenza. Fissavano solo il panorama.
Che non c’era.
Era tutto grigio. Probabilmente era così che vedeva un miope. Tutto confuso dopo soli pochi metri. Sfocato e in movimento. Come una strada affollata, come una corrente che non aspettava altro che loro per portarli chissà dove.
Io ho visto te.
Disse la ragazza.
Lui la guardò. E lei scomparve. Anzi la ruota scomparve. Loro erano di nuovo sotto l’albero. Lui aveva la testa poggiata sul grembo di lei e lei gli carezzava la fronte. Quelle parole risuonavano ancora. Come un Eco.
Dove stai andando?
Lei lo guardava con preoccupazione.
Non sto andando da nessuna parte. Ma brucia.
E in quel momento sentì qualcosa che non aveva sentito da quando si era trovato sul prato.
Si alzò di colpo, sedendosi. Per un attimo pensò di essere nuovamente in obitorio, ma stavolta non c’era nulla attorno a loro, se non la corrente in movimento che li circondava.
Ma a lui non importava. Sentiva solo la testa bruciare e voleva gridare ma non poteva e non usciva nulla dalle sue labbra.
Cercò di alzarsi ma non ce la faceva.
Si portò le mani alla testa, mentre sentiva il suo corpo pulsare. Lei era sempre dietro di lui, stavolta si era alzata in piedi, e cercava di sostenerlo.
Dove vai? Dove stai andando? Resta con me. RESTA CON ME.
E intanto la corrente era lì che gli turbinava attorno, e lo confondeva. Poi la luce, di nuovo la Luce. Che li avvolgeva entrambi.
E la testa gli scoppiava tra le mani.
Lei gli toccò la spalla di nuovo.
Lui aprì gli occhi. Di nuovo la ruota panoramica. Ma ebbe solo il tempo di guardarla un’ultima volta. La testa, bruciava. Bruciava ancora e non voleva smettere. Peggiorava. Bruciava sempre più. Si alzò in piedi, sulla ruota panoramica.
Lei cercò di afferrarlo dalla maglia.
Resta con me. Dove vai? No. Non scomparire. Ti prego. Non voglio restare sola.
Queste le parole che lo seguivano, mentre la Luce tornava ad avvolgerlo. E mentre si dimenava per sfuggire dal suo tocco e dalle fiamme nella sua testa cadde.
O così doveva sembrare. Cadde dalla ruota, ma non cadde davvero. La Luce lo avvolse come un baco e lo trascinò e l’unica cosa che potè vedere furono la ruota panoramica in fiamme e la ragazza. Anche lei bruciava. O forse era lui a bruciare. Ma la luce era troppa, non riusciva più a vedere. E fu di nuovo buio.
Sentiva il calore però, il caldo che gli scoppiava in testa, e sentiva il suo corpo pulsare.
Una gamba, un braccio. In più punti.
Ora poteva sentire che il suo corpo respirava, perché era il dolore a ricordarglielo. Ogni respiro una fitta lancinante.
Era vivo, allora. Nessun obitorio. Nessun paradiso. Nessuna eternità in un Luna Park abbandonato.
Ma allora lei? Lei chi era? Lei cos’era?
Doveva tornare indietro? Doveva andare avanti? Voleva sapere. Lei dov’era? Era ancora lì, da sola. Cosa avrebbe fatto? Era così terrorizzata.
Avrebbe dovuto correre e tornare da lei. Almeno per dirle Ciao.
Mosse un braccio, o almeno ci provò, ma rimase pressoché immobile.
Sentiva un ronzio ma appena mandò quell’impulso e il braccio si limitò a rispondere solo lievemente sentì attorno a lui dei sussurri.
Tanti sussurri e tanti respiri concitati.
Chi c’era lì? Forse c’era lei. Doveva sapere. Spalancò le palpebre ma anche queste ci misero un po’ di tempo ad eseguire gli ordini. E quando lo fecero la luce lo avvolse di nuovo.
Mugugnò qualcosa, e si rese conto che stavolta quello che usciva dalle sue labbra potevano sentirlo anche le sue orecchie. Si rassegnò. Non era tornato indietro, quindi chiunque fosse accanto a lui in quel momento non era lei.
Lei era ancora sola.
Chiuse di nuovo gli occhi, voleva riposare, ma subito dopo i medici arrivarono, assillandolo.
Resti sveglio. Si ricorda come si chiama? Sa perché è qui?
Coma. Risveglio. Che fortuna. Menomale. Si rimetterà. Fatelo riposare. Tenetelo sotto controllo. Buona serata. Arrivederci. Infermiera mi chiami se di bisogno.
Rispose a tutto, seguì le varie conversazioni ma non vedeva l’ora che tutti uscissero per vedere chi fosse la persona nel letto accanto al suo.
Quanto aveva dormito non gli importava, quanto era stato fortunato nemmeno. Era dannatamente furioso. Stirò il collo, spinse la testa in alto sul cuscino, per superare i numerosi vasi di fiori che rivestivano la stanza.
E lì la vide. Con la testa ancora bendata. Ma era lei.
Era sicuro.
Abbandonò la testa sul cuscino ed inspirò fin quando il fianco destro non lanciò una dolorosa fitta.
Ancora stordito cercò di muovere il braccio. Di spingerlo verso la ragazza. Ci riuscì dopo mezz’ora. Non riusciva a muoverlo e a spostarlo a suo piacimento a causa del gesso alla gamba e alle costole doloranti ma spinse sé stesso al limite pur di arrivare al suo obiettivo.
Colmò la distanza tra i due lettini col suo corpo, appoggiandosi di peso al basso comodino che li separava.
Afferrò la mano di lei e la guardò in viso.
Nessun cambiamento. Nessun segno. Lei non c’era.
Eppure lui sperava. Sperava così tanto.
 E rimase lì a fissarla, mentre la macchina continuava a farla respirare, ed era quello l’unico suono che echeggiava in quella stanza. E che riempiva i corridoi.
Mentre lui continuava a stringerle la mano e tutti gli altri continuavano a morire e a vivere nelle stanze attorno a loro.
  
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