Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Rossini    07/09/2015    1 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 6
GHIACCIO, MORTE, TERRA, FUOCO e METAMORFOSI
 
 
                Axelion, primo erede al trono di casa Lannister, non era ancora pronto per quello che stava accadendo. Era vero però che sin dalla nascita era stato preparato in vista di quel momento: sapeva che prima o poi sarebbe toccato a lui, ma dentro di sé era anche consapevole di non essere ancora affatto pronto.
                Già appena partorito, il suo destino era stato segnato: doveva portare un nome regale e pomposo che ricordasse la casa Lannister; e cosa c’era di meglio di quei dannati leoni dorati? E così “lion” entrò a far parte del suo nome, così come accadde prima di lui con suo padre Lionel Lannister. La sua vita era sempre stata programmata: non aveva mai avuto il tempo per giocare coi fratelli Daniel e Marcus, sempre lì a prendersi a botte e a rincorrersi per tutto il giardino perché lui doveva imparare quanto prima a leggere e a scrivere, e non aveva mai avuto il tempo per guardare il cielo con le sorelle Hana e Mirietta perché le poche ore dopo la cena e prima della notte dovevano essere spese per imparare le buone maniere e la retorica che di certo gli sarebbero state più utili da re nel trattare con la gente, mentre “la visione di qualche puntino luminoso nel cielo notturno era roba da femminucce innamorate”, come gli dicevano sempre i suoi tutori.
                Ma Axelion desiderava ardentemente essere un po’ come i suoi fratelli: spensierato come Daniel, selvaggio come Marcus, curioso come Hana e libero come la piccola Mirietta. Invece lui doveva sempre eccellere in tutto quello che serviva ad un re, perché era questo ciò che doveva diventare, non poteva certo scegliere.
                Però lui voleva viaggiare,vedere tutto il Regno Unificato, visitare bordelli e taverne, divertirsi e vivere la vita per come gli si offriva; dopotutto il regno era in pace, cosa mai gli sarebbe potuto accadere lontano dal nido? Un nido, sarebbe stato bello immaginarlo così, invece non era altro che una prigione in cui la sua amatissima madre lo costringeva a stare “per il suo bene” – se lo ripeteva sempre per farsi conforto prima di chiudere gli occhi la notte – “un re amato è un re rispettato” – ed era questo ciò che doveva essere, il più amabile e rispettabile re Lannister.
                Il peso delle responsabilità aumentava nel corso degli anni, così come le aspettative su di lui da parte di ogni singolo abitante di Roccia del Re; sua madre infatti era sempre pronta a pavoneggiarsi in giro che il suo ometto sarebbe diventato il più grande fra tutti i re, “il re dei re” come diceva lei. E tutta quella pressione col tempo divenne insostenibile tanto che la fulgida e folta chioma rossa divenne brizzolata già raggiunti i venti anni. E per un re perfetto serviva una regina perfetta: quando i suoi genitori gli dissero che avevano trovato la sua futura sposa, Axelion andò su tutte le furie: non poteva nemmeno scegliersi sua moglie?! Lionel Lannister gli fece passare quell’inaspettata baldanza – tipica del fratello Marcus – rinchiudendolo letteralmente per tre giorni in totale solitudine in camera sua circondato da libri che parlavano soltanto di genealogie e di matrimoni importanti e programmati. Anche il suo matrimonio sarebbe dovuto essere inevitabilmente frutto di accordi politici: si aspettava una Tyrell, classico matrimonio che univa prestigio e ricchezza delle famiglie, esattamente per come accadde per i suoi genitori e i loro genitori prima di loro; ma non gli mostrarono una Tyrell quel giorno, conobbe invece Abigail Baratheon. La sua bellezza era unica: era minuta ma formosa, aveva lunghi capelli castani raccolti in una lunga treccia e occhi color nocciola, due labbra carnose che avrebbero invitato chiunque a baciarla, ed era gentile e premurosa, e aveva una voce così soave che avrebbe sciolto il cuore anche del più duro fra i Cavalieri della Chimera. Axelion sapeva di aver trovato la sua donna ideale quel giorno, si era innamorato a prima vista: quella donna era il suo ideale di bellezza, ne amava fisico e carattere, era perfetta, era davvero la regina perfetta. Ma nonostante tutto Axelion era furioso dentro, furioso con i suoi genitori, perché quella donna che avrebbe amato, sposato e con cui avrebbe messo al mondo altri piccoli leoncini non l’aveva scelta lui, e questo gli faceva rabbia: lui avrebbe voluto oltremodo avere voce in capitolo su una materia tanto delicata come le sue nozze. Si chiedeva se lo avrebbero mai lasciato libero almeno una volta di fare o di ottenere qualcosa che provenisse interamente da una sua scelta.
                Quel giorno Axelion non era andato a prender parte al Concilio Ristretto, già da tempo aveva smesso di seguire tutte le riunioni: effettivamente gli argomenti trattati col tempo erano sempre gli stessi e il tempo perso ad ascoltare parassiti sociali in cerca di un miglioramento nelle loro terre o nelle loro casate poteva venir speso meglio continuando a studiare sui libri che lo avevano accompagnato durante l’adolescenza. E così mentre Axelion era impegnato a leggiucchiare libri vecchi e polverosi di storia, politica ed economia, che avrebbero dovuto prepararlo al momento in cui avrebbe riscaldato il famoso Trono di Spade, la porta bussò molto forte. Sua moglie Abigail Baratheon era distesa sul letto nuziale e stava allattando il piccolo ma vorace Napoleon Lannister…
                «Tesoro, andresti tu alla porta?»
                «Ma certo cara». Axelion si alzò dalla sedia e si diresse alla porta. La servitù lo sapeva che a quell’ora della giornata non doveva disturbare, che il piccolo Napoleon e Abigail riposavano mentre lui cercava di finire la lettura di quegli scritti che avrebbero dovuto infondergli la capacità di gestire l’enormità del Regno Unificato.
                «Adesso mi sentono, però! Sempre a chiedere, sempre a bussare! Sono degli incapaci... no, ma adesso mi sentono: glielo faccio passare io il vizio a questi domestici».
                Aprì la porta pronto ad alzare la voce per ammonire l’infima servitù ma si trattenne alla vista di sua sorella Hana con il volto rigato dalle lacrime.
                «Cosa c’è, sorellina?» disse preoccupato Axelion abbracciando la sorella e asciugandole il volto con le dita.
                «P-Papà è... p-papà è... c-c’è stato un... un attentato... durante...» gli rispose Hana con voce tremante, cercando di trattenere altre lacrime.
                «Ok: ho capito, lascia fare a me sorellina... me ne occupo io, tu... tu resta qui con Abigail e Napoleon e chiudetevi dentro, non aprite a nessuno che non conoscete, intesi?»
                Hana annuì e si chiuse la porta alle spalle, alzando il chiavistello.
                Axelion si diresse così con il cuore in gola verso la stanza del Concilio tenendo gli occhi bene aperti. Sapeva che prima o poi sarebbe toccato a lui, ma di certo non si aspettava in quel modo e neppure in quel momento: stava davvero diventando il re del Regno Unificato? Ansia e paura lo assalirono, ma non riuscì a capire se era per l’imminente responsabilità che sarebbe gravata su di lui a breve o per la morte prematura del suo vecchio. I corridoi prima silenziosi e deserti ora cominciarono a farsi rumorosi e affollati: numerosi esponenti del Concilio scappavano in tutte le direzioni scortati dalle proprie guardie personali; alcune Guardie Reali e un manipolo di Cavalieri della Chimera si stavano dirigendo verso la stanza dell’attentato e Axelion ne approfittò per farsi scortare a destinazione. La stanza era adesso deserta, il corpo del re era stato spostato rapidamente sotto ordine di Constant nello studio personale del Gran Maestro Septimus per ricevere trattamenti di urgenza: il trono e gran parte del pavimento era tinto dal paterno sangue scarlatto. Axelion allora si fece scortare verso lo studio del Gran Maestro Septimus per sincerarsi della condizione del padre.
 
 
 
                Le due guardie che avevano adagiato il corpo del re sul letto nello studio del Gran Maestro Septimus furono invitate su richiesta del Primo Cavaliere a uscire. Septimus diede un’ultima occhiata al corridoio dallo spioncino, poi – sicuro del fatto che nessuno fosse nei paraggi – chiuse tremante la porta con tre chiavistelli e come se quelli non fossero già abbastanza girò pure la chiave.
                «Questo è un evento sconvolgente... tragico direi!» disse Septimus.
                «Tienilo in vita, vecchio... lui deve restare in vita!» gridò Constant contro il Gran Maestro.
                «Constant, ti ho già detto che non conosco la cura, poiché non conosco cosa abbia causato quelle ferite... onestamente non credo neppure che esista un rimedio per quelle ferite... questo è davvero un evento tragico!»
                «Vecchio idiota! A cosa ti servono quelle medagliette, targhette, onorificenze e i titoli di cui disponi se non puoi salvare il tuo re? Ti sono utili solo per affascinare qualche bimbetto?» inveì Constant.
                «Vi prego di moderare i toni, Lord Primo Cavaliere; io resto sempre il migliore tra tutti i Maestri qui alla capitale e il mio aiuto può esservi di vitale imp...» rispose Septimus alzando la voce, ma fu subito interrotto da Constant che si impose alzando ulteriormente il tono: «Migliore?!! Darmi aiuto, dici?! Non sei in grado di tenerlo in vita e l’unica cosa che sai fare meglio è avvelenare la gente! Spiegami come tu possa essermi di aiuto in una situazione del genere se non andandotene immediatamente da questa stanza; la tua presenza nonché inutilità mi disgusta: va’ via immediatamente!».
                Septimus fu sul punto di rispondere qualcosa ma il re, che sembrava essersi momentaneamente ripreso aprendo gli occhi e avendo borbottato parole indecifrabili, attrasse la loro attenzione distogliendoli dalla loro lite.
                «Co-Constant, fratello mio...» esordì il re singhiozzando del sangue dalla bocca. Il Primo Cavaliere si fiondò sul letto del fratello per udire meglio, Septimus invece rimase immobile vicino alla porta incredulo del fatto che il re potesse ancora essere in vita.
                «Lionel, dimmi cosa è successo… cosa hai visto, cosa hai sentito? Ogni indizio potrà esserci di aiuto per trovare il colpevole di questo atto scellerato» chiese con insistenza Constant al fratello.
                «Non lo so... non ho visto nulla, era buio... poi qualcosa di freddo e tagliente, come due spade o degli artigli, mi ha trafitto proprio qui» disse il re, poi con la mano si toccò la ferita al petto come per accertarsi della grandezza dei due fori «sto... sto morendo,Constant... io volevo solo chied...»
                Constant interruppe il fratello con un cenno della mano poi comandò al vecchio: «Septimus, lascia subito la stanza e raduna tutti i presenti al Concilio in una sala, e che nessuno di loro osi portarsi scorte personali. Chiunque non si atterrà a tale ordine verrà subito considerato come sovversivo nei confronti della Corona e giustiziato come traditore. Tutti coloro che invece non sono reperibili saranno considerati maggiori indiziati per il tentato omicidio del re o complici di tale atto. Non accettare alcun tipo di rifiuto: mobilita tutta la Guardia Reale e i Cavalieri della Chimera presenti a Roccia del Re, se è necessario».
                Septimus annuì e con rapidità inaspettata aprì la porta precedentemente sigillata, saltò fuori e la richiuse; il tintinnio delle targhette e medagliette cominciò ad affievolirsi e suggerì a Constant che il vecchio era lontano, e che lui e suo fratello erano rimasti in totale solitudine.
                «Constant... non ho molto tempo... lasciami parlare...» disse il re. Gli occhi erano spenti, ridotti a due fessure, il re riusciva a stento a tenerli aperti. Un rivolo di sangue partiva dalla bocca e tingeva di rosso la scura barba del re. «Constant... prenditi cura della mia famiglia... ti prego...»
                «La tua famiglia dici? Io non faccio parte della tua famiglia, non è vero? Non lo sono mai stato, non ti è mai importato di me, dei miei desideri e della mia di famiglia! Della famiglia e della felicità che avrei potuto avere e che per colpa tua mi sono stati sottratti!! E ora mi chiedi questo, proprio tu?» gli urlò contro Constant. Il re moribondo continuò con affanno: «Intendi... Anita... mi spiace Constant... so quanto tu ci tenessi a lei... ma io ero il re e... ho dovuto scegliere da re... so quanto questo ti abbia fatto soffrire... non c’è stato giorno che io non abbia... sofferto al pensiero di ciò che avevo fatto... ma ho dovuto scegliere... da re...»
                «Tu l’hai lasciata morire! L’hai lasciata morire! Solo per salvare la vita a un vecchio nobile decrepito! Dovevi scegliere lei! Non era di nobili origini, ma era nobile dentro: nell’animo! Dovevi scegliere lei!» gridò Constant guardando in cagnesco Lionel.
                «Perdonami fratello... ti prego... e... promettimi che ti prenderai cura della mia famiglia...» bisbigliò il re alzando la mano verso Constant «perdonami... e giuramelo... io sono il tuo re: giuramelo»
                «Puoi giurarci, mi prenderò cura personalmente della vita di ognuno di loro!».
                Lionel versò un’ultima lacrima di speranza, ma lo sguardo iracondo di Constant gli dimostrò che suo fratello né lo aveva mai perdonato né mai l’avrebbe fatto. Il re chiuse gli occhi, sicuro di aver raggiunto la sua ora, tutto divenne nero; anche i suoni cominciarono ad affievolirsi, quasi fino a sparire... dopodiché Constant iniziò a recitare una formula in una lingua sconosciuta e il re si sentì gelare dentro; era forse quella la sensazione della morte? Il gelo continuò a diffondersi in tutto il corpo, fin dentro alla gola, si sentì soffocare, poi improvvisamente… il nulla! Ogni tipo di percezione esterna ed interna era svanita. Il sangue aveva istantaneamente smesso di sgorgare dalla ferita coagulandosi come per magia e il re aveva ripreso a respirare anche se con affanno, come se l’aria fosse estremamente rarefatta.
                «Neppure la più spregevole delle creature si meriterebbe una fine simile… ma non ho avuto altra scelta: non potevo permettermi di lasciarti morire proprio adesso... resterai così, ibernato nell’attimo prima della morte... davvero terribile,la Necriomanzia...» sussurrò tra sé Constant di Casa Lannister.
                Poi qualcuno aprì la porta sbattendola con vigore contro la parete, Axelion era arrivato. Ciò che stava per vedere avrebbe determinato il suo futuro; era davvero pronto ad accettarlo? Il cuore iniziò a battergli fortissimo, quasi come a uscirgli dal petto; il fiatone, forse causato dalla corsa forse dall’ansia, non accennava minimamente ad arrestarsi, al contrario aumentò ancora rendendo quegli attimi lunghissimi e pesanti. Di fronte a lui, sul letto intriso di sangue, il re riposava come in un lungo e profondo sonno: era un po’ pallido in volto, volto nel quale non c’era certamente un’espressione serena; ma sembrava stare bene, respirava.
                «Sta bene?» chiese Axelion, riacquistando un minimo di calma.
                «Sì, è fuori pericolo. Ha solo bisogno di riposare per un po’, di lui mi occuperò io personalmente...» mentì Constant.
                «Cosa è successo? Chi è stato?»
                «Indagheremo al meglio, lascia fare tutto a me... torna pure dalla tua famiglia»
                «Lui è la mia famiglia! È mio padre!» disse con fermezza Axelion «Farò il possibile per essere d’aiuto...»
                «Non è necessario: ho tutto sotto controllo»
                «Ma il re non può regnare in quello stato! C’è bisogno di qualcuno che agisca al posto suo finché non si riprende; credo di essere pronto, sono stato preparato per questo»
                «La legge afferma chiaramente che nella condizione in cui il re non fosse momentaneamente in grado di governare sarebbe il Primo Cavaliere a farne le veci. E costi quel che costi mi impegnerò al massimo per scoprire chi ha ordito questo attentato. Ti ripeto, ho tutto sotto controllo, lascia fare a me... torna da tua moglie e tuo figlio».
                Quelle parole ebbero un duplice effetto su Axelion: da un lato lo rincuorarono decisamente poiché lo sollevarono da ogni tipo di “grossa” responsabilità, in fondo Axelion lo sapeva: dentro di sé non era affatto pronto per essere re; d’altro canto invece lo rattristarono: suo padre era quasi morto e lui ancora non aveva acquisito le capacità e la determinazione necessaria per regnare. Era forse un fallimento? Non poteva fare nulla per rendersi in qualche modo utile? Doveva lasciare tutto in mano allo zio? Un barlume inaspettato di determinazione sbocciò come un fiore primaverile dentro di lui; doveva fare qualcosa, doveva reagire a quella disgrazia, quell’avvenimento avrebbe dovuto essergli di insegnamento.
                «Non voglio starmene senza fare nulla: dimmi cosa posso fare, ci deve essere qualcosa che posso fare... per mio padre, per la mia famiglia, per il Regno» disse Axelion allo zio.
                «Ma certo, ragazzo mio, c’è qualcosa che puoi fare... sei un tipo sveglio: raggiungi Septimus e cominciate ad interrogare i presenti, annotate ogni particolare ma soprattutto segnate chi non è presente. Io vi raggiungo a breve, il tempo di sistemare una dozzina di guardie qui fuori, per impedire a quegli assassini di completare l’opera».
                L’idea non dispiacque ad Axelion: avrebbe fatto qualcosa di utile ma non troppo rischioso, e non era neppure solo a farlo. «Va bene, corro...» e il primogenito Lannister sparì dalla stanza.
                Fu in quel momento che Constant pensò tra sé e sé: “Maledizione!...proprio adesso che ero entrato in possesso dei poteri di Duhenlar, ho dovuto consumarli per salvare la vita al re... questo tempismo è sospetto, fin troppo sospetto; deve esserci sotto qualcosa: o Lorthan mi ha tradito, o Requiem ha cambiato i piani o c’è qualcun altro che sta ficcando il naso in faccende che non gli riguardano... in ogni caso, chiunque si frapponga tra me e il mio obiettivo sarà travolto dalle gelide fiamme di Constant di Casa Lannister!”
                Constant uscì dalla camera, chiuse la porta e con lo schiocco delle dita della mano destra la ricoprì tutta con uno strato di fuoco, poi posò la mano sinistra sullo strato appena creato e quello si congelò di colpo: la camera adesso era sigillata dal fuoco e dal ghiaccio, e dentro il re era protetto da una magia di ibernazione; nessuno avrebbe più certamente torto neppure un capello a Lionel Lannister! Constant si allontanò in cerca degli uomini della sua guardia personale per mandarli a pattugliare i corridoi di accesso alla camera.
 
 
 
                Lord Shane Tyrell rimase terrorizzato per qualche minuto a fissare le tre strane creature, quelle che erano appena diventate le sue guardie del corpo personali; la cosa paradossale era che probabilmente Shane avrebbe avuto bisogno di altre guardie del corpo che lo proteggessero da quelle tre guardie del corpo. Shane non si sentiva affatto sicuro, era tremante e sudava freddo, ed era difficile sudare freddo a Dorne; inoltre era sicuro che il mostruoso mago lo stesse fissando attraverso la maschera rendendo ancora più inquietante e terrificante l’atmosfera nella stanza. Gronf e Ranf adesso messi a confronto con la creatura dagli occhi infuocati sembravano due mostriciattoli carini e affettuosi: Gronf si guardava attorno emettendo quello che sembrava un grugnito, Ranf invece usciva e rientrava la lunga lingua biforcuta in continuazione e sembrava interessato a qualcosa che svolazzava nel soffitto. Quella situazione era insostenibile per Shane, così decise di aprir bocca, quantomeno per tentare di socializzare con le sue nuove guardie del corpo.
                «Non che voglia mancare di rispetto, ma… che cosa siete? Cioè... intendo... non sembrate umani...». Passò qualche secondo prima di ricevere una risposta dal mago, ma quei secondi sembrarono interminabili minuti per Shane che già appena aperto bocca si era pentito di averlo fatto. «Ah! Beata ignoranza! La gente di adesso conosce davvero ben poco del proprio passato... Gronf e Ranf sono due Metamanti... hanno potenziato notevolmente le loro doti fisiche grazie alla magia di Kimera che dà loro la possibilità di fondersi con le bestie: magia interessante certamente, ma il suo abuso causa l’impossibilità di ritornare come prima… beh come ogni tipo di magia del resto, ahahah. Io invece sono un Geomante... soddisfatto, mio signore?» rispose quello a Shane con una non troppo velata ironia sull’ultima parola.
                Shane non era stupido: sapeva che quelle guardie del corpo non erano altro che delle creature messe lì per tenerlo sottoscacco; certamente suo fratello Lorthan doveva avere qualche piano in mente per accettare una cosa del genere. Il Geomante effettivamente gli aveva dato un qualche tipo di risposta, ma non quella che invece il principe di Altogiardino cercava; la curiosità e l’intraprendenza vinsero sulla paura e Shane continuò: «Sì, chiaro» mentì Shane che non aveva capito nulla tra Kimera, Metamanti e Geomante «Ma non avevo chiesto cosa foste in quei termini... intendevo... siete forse dei demoni? Quelli che si fanno chiamare Necriomanti?». La sfacciataggine gli costò caro: quantomeno per il sol fatto di avergli fatto ritornare la strizza nel momento in cui il Geomante si fiondò su di lui alzandolo di mezzo metro per il colletto del lungo abito a tema floreale.
                «Necriomanti? Mi stai forse prendendo in giro?! Osa soltanto definirmi uno di quei cosi spregevoli e non sarò più tanto sicuro di riuscire a controllare la mia voglia di spezzare qualche osso! I Necriomanti, maledetti loro, hanno distrutto tempo fa tutta la mia gente usando malefici di ghiaccio e morte! Io ho appreso la magia della terra da Kyrios, e tramite essa distruggerò il loro maestro! E, caro il mio Shane Tyrell, noi siamo stati tutti umani come te una volta, con la differenza che ci siamo migliorati... chiamateci pure demoni se più vi aggrada, ma non considerateci mai di livello inferiore! O questo vi costerà caro, molto caro» detto questo, il mostro lasciò la presa e Shane cadde a terra. Dunque il Geomante si avvicinò al tavolo precedentemente danneggiato, poggiò la mano sopra di esso e dal punto di contatto si dipartirono delle crepe che lo distrussero in mille pezzi.
                Shane strisciò in un angolino della stanza continuando a tremare e mugolare,; nuovamente non aveva capito neppure la metà delle cose dette da quel demone, capì soltanto che non avrebbe più dovuto mancare di rispetto in alcun modo se avesse voluto continuare a tenere la testa attaccata al collo quantomeno, e ipotizzò che quei Necriomanti forse avevano a che fare con gli Estranei di qualche millennio prima…
                «Mio signore, credo che abbiate bisogno di un tavolo nuovo. Ne consiglio uno in ebano» detto questo il Geomante si allontanò dalla stanza e ritornò fuori nella scalinata ad osservare il sole alto e caldo nel cielo «Sarà con queste mie arti di fuoco e terra che toglierò il gelido respiro a Requiem! Oh Kyrios, mio maestro! Giuro che non vi deluderò».
 
 
 
                «Credo che abbiamo conversato a sufficienza, non trovi? Adesso, Daniel di Casa Lannister, entra nel falò e apprendi la Piromanzia da Phira: lei ti guiderà» disse Nidhogg.
                «Entrare nel falò? E Phira? Che c’entra Phira? Non è tipo morta secoli e secoli fa?»
                «Il corpo muore, giovane Piromante, ma l’anima se temprata e fortificata rimane immortale, quantomeno se si adopera la giusta magia» rispose Nidhogg mostrando le sue zanne a mo’ di sorriso. Poi continuò: «Quel fuoco non ti brucerà, ma sta attento: sei fatto di carne ed ossa come tutti gli uomini, ogni altro fuoco al di fuori di questo consumerà la tua carne, non sei né un drago né un Targaryen dopotutto. Avanti entra» e con un colpo di coda spinse Daniel nel falò.
                Il fuoco lo avvolse tutto, ma non bruciava: dopodiché tutta la stanza prese fuoco; tutto divenne fiamme: le pareti e l’intera grotta divennero apparentemente incandescenti; Nidhogg sparì e Daniel capì con certezza di non trovarsi più nella caverna. Ovunque c’era solo e soltanto fuoco, era come stare in una grande stanza ma senza mura né soffitto, ogni cosa era… fuoco. Al centro di quella che sembrava un’infinita stanza in fiamme c’era qualcosa, un corpo fiammeggiante accovacciato su un braciere, come se stesse dormendo. Daniel si avvicinò incuriosito: era una giovane donna. Bellissima, aveva lunghi capelli di fuoco che cadevano fino a metà della schiena, il corpo era fatto di fuoco ma le fiamme non nascondevano quella che doveva essere stata una formosità non indifferente, quantomeno in quella che era stata un tempo la sua forma umana. La donna si destò, si alzò dal braciere e aprì gli occhi: il suo sguardo incrociò quello attonito di Daniel; erano due occhi dorati luminosi e caldi come il sole: un vero spettacolo! Daniel distolse subito lo sguardo, era impossibile fissarla a lungo data la sua luminosità e fece per ritrarsi ma Phira lo afferrò per le mani, incrociò le sue dita con le proprie e con una voce calda e rincuorante disse:
                «Benvenuto, giovane apprendista. Io sono Phira e questa… è la Prova del Fuoco».
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Rossini