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Autore: Mel_mel98    07/09/2015    2 recensioni
Prima che sia troppo tardi, lasciami raccontare tutto quello che ancora non è stato detto.
Prima che tu te ne vada, lasciami sfogare ancora un po', resta qui con me.
Prima che tutto finisca, che tutto venga dimenticato, fermati a riflettere.
Prima che la Morte venga a prenderci, concedimi di vivere tutta la vita ancora una volta.
~ ~ ~
Per chi, come me, in quelle poche righe dedicate alla morte di Finnick non ha trovato le risposte che cercava.
Per chi pretende un addio come si deve, dalla persona a lui più cara.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

 

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“Ma ancora non capisco... eravate così giovani, come hanno potuto i tuoi genitori permettere che non tornassi più a casa ma che andassi a vivere da Finnick?”
Annie alzò la testa, incontrando gli occhi della presidentessa, che rivelavano una confusione malcelata.
Haymitch taceva, fissando un punto indistinto sul muro di fronte.
“Mia madre è morta mentre ero nell'Arena. Era sempre stata cagionevole di salute e ho sempre pensato che fosse stata un'influenza più forte delle altre ad ucciderla. Ma adesso... adesso credo che la malattia non c'entri. Certe volte il dolore uccide prima del male stesso.”
“È vero...”- mormorò la Coin con un filo di voce.
La giovane donna parve non sentirla, immersa com'era nel ricordo che prendeva piede nella sua testa: “Finnick era nella capitale da tutta la mattina, e io ero stufa di rimanere chiusa in casa, così... così iniziai a camminare verso il porto. Attorno a me si alzava una nuvola di mormorii e bisbigli, ma nessuno mi rivolgeva la parola. Raggiunsi il porticciolo dove le navi dei pescatori stavano attraccate quando non erano per mare. Lì trovai mio padre, intento a sbrogliare una vecchia rete.
Mi avvicinai a lui, con il cuore che mi martellava nel petto, e solo in quel momento mi chiesi come mai io non vivessi più con lui e la mamma. Credetti che il ritmo accelerato fosse dovuto alla gioia e all'emozione di rivedere parte della mia famiglia. Ma mi sbagliavo. Quella era paura, la sola sensazione che lui fosse mai stato in grado di farmi sentire. La sola persona grazie alla quale continuava ad esistere la famiglia Cresta era mia madre. Nonostante stesse sempre male, riusciva a tenere a bada mio padre, a farlo ragionare.
Quel giorno, quando lui avvertì la mia presenza e mi guardò negli occhi, io capii. Non so dire come feci, ma capii che non c'era più niente che ci univa. Capii che era inutile parlare, chiedere, perché non avrebbe risposto. Perché non voleva rispondere. E in cuor mio le risposte ce le avevo già. Così me ne sono andata. E dopo qualche giorno, Mags venne a raccontarmi quello che prima non aveva avuto il coraggio di dirmi.”

 

 

“Non hai mantenuto la promessa”
Haymitch parve tornare alla realtà, scuotendo le spalle come per scrollarsi di dosso pensieri troppo freddi.
“Di che sta parlando?”
“La promessa di non essere più causa di dolore per Finnick. Non l'hai mantenuta”- rispose osservando Annie, che piano piano si era abbandonato contro la parete del corridoi,
“Oh, ma insomma Haymitch, ma le sembra una cosa da dire?!”- esclamò scandalizzata la Coin.
Sembrava davvero colpita da tutto quello che aveva ascoltato.
“Che ho detto di strano? È la verità.”- ribatté lui tranquillo.
La presidentessa gli rifilò uno sguardo di disappunto: “In ogni caso non credo che...”
“Ha ragione lui”- la interruppe Annie, guardando il pavimento- “Non ho mantenuto la mia promessa. So che Finnick ha sofferto tanto quando io ero prigioniera a Capitol City. Anche se non me ne ha mai parlato davvero, lo so. Gli ho fatto male per l'ennesima volta.”
Non piangeva più ormai, dopo ore e ore di racconti. Ma era straziante vederla così triste, immersa in dei ricordi troppo duri per lei.
Seduta per terra, con le spalle contro al muro e lo sguardo vuoto. Non era proprio un bello spettacolo.
Ma se non altro, sembrava aver ritrovato quella calma e quel distacco che aveva perso quando aveva visto le condizioni del suo amato poche ore prima.
Era distante, intrappolata in quel mondo dal quale solo Finnick era capace di tirarla fuori.
Non era più parte del mondo reale, era evidente.
Non si accorse infatti dell'uomo che uscì dalla porta dell'ospedale, che iniziò a parlare in modo sommesso alla presidentessa.

 

“Annie... Annie!”
La voce del mentore la risvegliò piano piano.
“Andiamo Annie, è l'ora di andare da Finnick.”
Lo sguardo della ragazza mostrava la sua confusione, il suo stordimento.
“Non era questo quello che più desideravi? Rivedere il tuo innamorato? Bene, adesso è arrivato il momento. Forza, sbrigati”- c'era qualcosa di terribilmente strano nella sua voce.
Ma Annie parve non farci troppo caso.
La prese pazientemente per mano, e la condusse fino ad una stanza poco lontano.
Aprì la porta per lei. “Forza, Annie. Va' da lui.”- mormorò, senza guardarla negli occhi.

Mosse qualche passo in avanti, finché non raggiunse una sedia, posta accanto al letto sul quale giaceva Finnick.
Con il cuore a mille, gli sfiorò la mano. Era fredda, immobile.
Come quelle dei tributi che le avevano sempre dato la caccia nei suoi incubi.
Gli occhi della ragazza si riempirono di sgomento, rischiò per un pelo di cadere a terra. Fortunatamente Haymich era ancora lì, e la sostenne afferrandola per un braccio.
“Annie, ascoltami bene adesso:...”
“No... non è vero...”- mormorò con un tono di voce appena percettibile lei, che pareva ormai irrecuperabile.
“Ascoltami: Finnick in questo momento non può muoversi, né tanto meno parlare, a causa di alcuni farmaci che gli hanno somministrato. Ma se vuoi... beh, puoi stare qui con lui se vuoi”- disse serio il mentore del 12.
Come risposta, vide il volto di Annie rigarsi di lacrime silenziose.
Lottava, faceva di tutto pur di non cedere al dolore. Ma era evidente a tutti che non avrebbe resistito a lungo in quelle condizioni.
“Annie, è vivo. Per adesso devi farti bastare questo.”

E dopo quelle parole incontrò lo sguardo più duro che avesse mai visto, il dolore più profondo che qualcuno avesse mai mostrato di fronte ai suoi occhi. E sì che lui era entrato in un'Arena assieme ad altre 47 persone.
“Sì, come no Hyamich. È vivo. Come me e come te. Vivo.”- c'era così tanta rabbia in quelle parole, così tanto rancore.
“Già, come noi. È vivo, e dovresti ringraziare il cielo per questo.”
“Ah sì certo, ho mio marito disteso immobile su un letto di ospedale, un figlio in arrivo e una crisi isterica in corso, e dovrei pure ringraziare qualcuno?! Ma chi, chi devo ringraziare per tutto questo? Di chi è il merito?!”

Gridava, gridava ancora una volta, dopo tanto silenzio di fronte al prossimo.
Gridava incurante della gente che la guardava, che la indicava.
Non le importava se la chiamavano pazza, o esaurita. Perché era esattamente così che si sentiva.
Gridava perché, per l'ennesima volta, qualcuno si era portato via il suo futuro, dandole in cambio un orrendo presente.
Perché la Morte, dopo cinque anni, si era presa ancora gioco di lei.
“Annie, per favore, calmati... E soprattutto non urlare, non vorrai che ti senta...”- tentò l'uomo, comunque non troppo deciso.
“Chi, chi non dovrebbe sentirmi!? Voglio che mi sentano, invece. Voglio che mi sentano fino a Capitol City, voglio che il presidente in persona possa udire il mio grido di dolore.”
“No, io mi riferivo a lui...”- replicò l'altro, accompagnando le sue parole con un movimento della testa in direzione del letto.

“Oh, Hyamich, pensavo non mi reputassi così sciocca”- e a quel punto, quella che parlava non era più la Annie delle conchiglie raccolte sul fondo del mare, dei baci impacciati al tramonto, dei silenzi preziosi.
Quella Annie era sparita. Morta insieme a colui che l'aveva tenuta in vita per tutto questo tempo.
Adesso era quella pazza incapace di controllare i suoi pensieri, ma capace di uccidere a sangue freddo. Quella degli Hunger Games, egoista, sarcastica. Quella così attaccata alla vita, da desiderare la morte.
Proprio così, nella sua esistenza dopo gli Hunger Games c'erano stati solo paradossi.
Una vittoria destinata solo a chi viene sconfitto, una felicità di quelle tristi, il coraggio dei paurosi di fronte agli incubi.
I suoi occhi non erano vuoti, ma pieni, pieni di quell'odio così profondo e vero, colmi di dolore tanto da traboccare.
“Non ho bisogno di un colpo di cannone per riconosce un morto, Haymich. E nemmeno tu dovresti”

 

E allora, neppure lui seppe tenerle testa.
Di fronte alla semplice verità, di fronte a quella consapevole sincerità, lui non poteva davvero fare più niente.
Avevano messo in scena quella inquietante finzione per renderle meno doloroso il distacco dall'uomo che voleva dire così tanto per lei, che l'aveva amata e protetta come nessun altro.
Avevano tentato di illuderla che ci fosse una speranza, ma per quelle come Annie le speranze se ne erano andate da tempo, avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto capirlo dal modo in cui parlava di suo padre poco prima, e avrebbe dovuto impedire che la prendessero in giro.

“Mi dispiace tanto Annie”- balbettò leggermente.
Era colpito lui stesso dalla propria reazione: mai si era fatto impressionare dalla Morte.
Neppure quando quella si era portata via Maysilee che teneva per mano, neppure quando aveva avvolto tra le sue spire alcuni tra i suoi più grandi amici, come Chaff.
Ma lì non erano agli Hunger Games, non c'erano sangue e boschi selvaggi in cui nascondersi, né acque torbide di laghetti troppo piccoli per ricordare il mare e grida di battaglia.
C'era solo un corpo vuoto coperto da un lenzuolo bianco e una donna sfregiata da una ferita incurabile.
E poi c'era lui, immobile, imbarazzato, inerme di fronte alla scena che i suoi occhi gli mostravano.

 

Annie guardava gli occhi ormai chiusi per sempre di Finnick, mentre i singhiozzi le scuotevano il petto tanto da farle male.
Ma niente, niente faceva male come sapere che era tutto finito.
Era finita la gioia, erano finite le carezze e i sussurri.
Era finita la calma, così come l'amore.
Che cosa c'è, al di là della linea che divide i vari momenti della vita?
Annie c'era, al di là del limite. Aveva superato quel confine con tutto il corpo. E non vedeva assolutamente niente.
Grida riempirono la sua testa, e sapere che Finnick non sarebbe arrivato a fermarle non l'aiutò a reagire.
Perché Annie non era forte, l'aveva sempre saputo. Era arrabbiata, stravolta. Pazza.
Ma nessuno di questi aggettivi contiene la forza, dentro di sé.

Haymich assisteva impotente al dolore di quella donna dai capelli rossi ormai sbiaditi, spenti.
La afferrò per le spalle, la trascinò via dalla stanza sollevandola dal pavimento, mentre lei opponeva inevitabilmente resistenza.
La teneva ferma mentre un medico si avvicinava e rapidamente le infilava una siringa nel braccio.
E poi la cullava, mentre Annie si addormentava contro la sua volontà, dritta verso un mondo brutto almeno quanto quello reale.
Haymich sentiva gli occhi bruciare, ma non piangeva. Non piangeva mai, lui.
Forse non era la Morte stessa che lo lasciava sconvolto.
Era il comprendere una cosa che spesso i Vincitori tendono a dimenticare.
Certe volte anche alla Morte piace uscire fuori di casa.
E certe volte è più crudele verso chi evita, piuttosto che verso chi si porta via.

 

 

Nota dell'autrice
La vita è una ruota, diceva il mio capo scout quando ero lupetta.
Forse è per questo che ogni volta che sentivo dire "Il ciclo della vita" io mi sono sempre ritrovata a pensare ad una bicicletta.
Prima non sai stare in equilibrio, e stai seduto sul seggiolino mentre qualcuno guida per te. Poi impari e inizi a pedalare da solo, ma sempre legato a chi prima ti aveva guidato da una corda sottile.
Così sottile e così facile da spezzare.
Quando spezzi ogni legame, volente o nolente incontri la libertà, con tutti i suoi pregi e difetti.
La paura dell'ignoto, il brivido dell'avventura, l'opportunità vera di conoscere il prossimo.
Ed è così che va letta la storia: come un lungo giro in bicicletta.
Annie inizia il suo percorso con i fili già spezzati, dal dolore, dalla paura e in un certo senso, da Capitol stessa.
Annie comincia a pedalare senza sapere esattamente cosa fare, senza volerlo davvero. Ha una bici troppo grande per le sue gambe gracili.
E poi ha incontrato Finnick, che senza rendersene conto affiancandosi a lei le ha dato una buona ragione per riprendere la sua bicicletta sporca di sabbia e consumata dal sale e pedalare ancora.
E così, se inizialmente affrontano situazioni, osservano luoghi ognuno per conto proprio sul suo veicolo anche se insieme, piano piano problemi e scenari analoghi si ripresentano davanti ai loro occhi mentre loro guidano lo stesso tandem. Stesse frasi ricorrono nella storia, la loro storia, e anche se le parole sono identiche, non sortiscono il medesimo effetto tra i due la seconda volta che vengono pronunciate.
È una ruota la vita, un alternarsi di alti e bassi imprevedibile e implacabile.
Quando si è in altro non si deve far altro che alzare le braccia e godere del vento tra i capelli.
Quando si è in basso c'è solo da fare un bel respiro e spingere più forte sul pedali.

 

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Ringraziamenti
Bene, come sempre quando arrivo al termine di queste lunghe pubblicazioni che mi sono costate tempo e fatica ma che mi hanno data altrettanta soddisfazione, voglio ringraziare coloro che mettendo la storia tra le preferite, seguite o ricordate mi hanno supportato e soprattutto coloro che mi hanno consigliato attraverso le loro recensioni.

adele_12
AlnyFMillen
Conny Guitar
felpata91
Frozen_River
marti_tr
Milkendy
MrsRotlin
PazzaDiCioccolato
sacher_torte
Shehrazad
Sophia_S
zl_0920

Partendo dal presupposto che sono davvero grata a chiunque abbia commentato i primi capitoli e non i secondi, mi sento in dovere di ringraziare in modo speciale una persona fantastica che ho conosciuto grazie a questa storia e da cui ho imparato molto, non solo come scrittrice ma anche come lettrice e “abitante di EFP”.
Grazie AlnyFMillen, so che l'ho già fatto in passato, ma questa è l'ultima volta che posso ringraziarti in questa storia per il tuo impegno e dedizione nelle recensioni.
Sappi che comunque non ti libererai di me nonostante sia finita questa ff! ;)
E adesso, dopo riflessioni e ringraziamenti finali... è proprio finita.
Spero che questo epilogo non vi abbia lasciato troppo amaro in bocca (un po' era voluto, ma mi dispiacerebbe aver esagerato!) e di trovare qualche commento complessivo sulla storia, per capire come voi l'avete letta e interpretata, a prescindere dalla mia visione delle cose.
Alla prossima,

Mel

   
 
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