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Autore: Sam27    07/09/2015    7 recensioni
Dal testo:
-Pronto?-
-Sorellina?!-
-Fratellone?!-
–Cambierai mai?-
-Dovrei?-
-Sei già arrivata a casa di mamma?-
-Sì-
-Come si sta?-
-Come ad Azkaban, solo che qui i Dissennatori sorridono-
-Attenta a non farti baciare allora-
-
-Mi piaci- sussurra -Da sempre-
-Sei ubriaco, stai delirando-
-Non te l'hanno mai detto che gli ubriachi non mentono mai?-
-Anche tu mi piaci-
-Perchè me lo dici?-
-Forse perchè sono ubriaca anche io-
-
-Sto leggendo-
-Guardami quando ti parlo!- esclama Rebecca alzando la voce.
Io alzo lo sguardo su di lei, supplicandola con gli occhi di andarsene.
-Perchè ti comporti così?- mi chiede -E' perchè sono lesbica? Lo so che vorresti avere una madre normale ma io e Monica ci amiamo e...-
-E' perchè hai tradito papà!- urlo -Ed io ti odio, Rebecca-
Lo schiaffo arriva e lo accolgo quasi con sollievo.
Alla luce degli ultimi avvenimenti Nora può considerarsi una fangirl piuttosto sfigata.
-
In un'epoca in cui la friendzone va quasi di moda ho provato a parlare della vera amicizia.
In un'epoca in cui leggere è passato di moda ho provato a spiegare com'è la vita per chi vive per i libri.
Sequel della storia: "Potremmo volare". Può essere letta singolarmente.
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Potremmo Volare'
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4. Un condannato a morte di fronte alla ghigliottina
“L’essere che, sotto il letto, aspetta di afferrarmi la caviglia
non è reale.
Lo so.
E  so anche che
se sto bene attento a tenere i piedi sotto le coperte,
non riuscirà mai ad afferrarmi la caviglia”
Stephen King


 
Il resto della settimana passa lentamente, senza che succeda nulla di particolarmente rilevante: vado a scuola, cerco di evitare le pettegole e gli stronzi, mangio e scambio quattro chiacchiere con Filippo, al pomeriggio studio con Alessandro a volte accompagnato dal suo fidato invertebrato, a cena mi limito a mangiare in silenzio e dopo cena leggo fino a che non mi addormento con la faccia sul libro. Questo fino al venerdì prima delle vacanze natalizie.
Oggi sono particolarmente felice: passerò un intero week-end a Torino e poco più di due settimane lontana dalla scuola e ad i suoi malati studenti.
Salutò Filippo e mi dirigo verso la mia classe, sono così insolitamente felice che non faccio nemmeno caso alle due profonde occhiaie che contornano i suoi bellissimi occhi. Non presto nemmeno attenzione al fatto che il gregge di persone sembra tenersi alla larga dalla mia classe. D’altronde chi sono io per giudicare questi pazzi babbani analfabeti?
Mi appresto ad entrare e subito sento il piede ottenere una leggera resistenza. Quando abbasso lo sguardo e scorgo il filo bianco in controluce è ormai troppo tardi: la puzza di marcio mi invade le narici e le uova andate a male mi cadono in testa, impregnando me e l’aria che mi circonda. La nausea sale in fretta, troppo veloce perché possa fermarla: vomito la colazione e ciò che è rimasto della cena sulle scarpe della persona di fronte a me senza preoccuparmi di chi sia, non potrei farlo neanche volendo a causa delle lacrime che mi offuscano la vista.
Le mie orecchie sono piene delle risate di chi ha organizzato tutto e di chi, complice, li ha aiutati a realizzarlo. Mi gira la testa e credo che sverrò.
-Lo trovate divertente?- domanda una voce acuta e femminile..
Alzo lo sguardo mentre del tuorlo d’uovo mi scivola giù per le guance mischiandosi alle lacrime.
-Sapete cosa trovo divertente io?- chiede ancora la stessa voce con voce tagliente –Il fatto che il suo cervello sia superiore a tutti i vostri messi insieme-
Non so come o perché ma poco dopo mi ritrovo nei bagni delle palestre insieme ad Elisa. Sento i capelli appiccicosi, così come la maglietta e questa insopportabile puzza continua a farmi venire voglia di vomitare.
-Stai bene?- mi chiede Gabriel arrivando subito dopo di noi.
-Avresti potuto darle una mano- dice Elisa prendendo un pacchetto di salviette e porgendomene alcune.
-Cos’ho fatto?- chiede lui alzando le mani in segno di resa.
-Niente, è proprio questo il punto- ringhia lei in risposta.
-Non centro niente con loro, io. Non sapevo dello scherzo- si giustifica abbassando lo sguardo.
-E non ho riso- precisa poco dopo continuando a non guardarmi.
-C’era anche Filippo, vero?- chiedo con voce flebile mentre cerco di scrostarmi le uova dai capelli.
Lui annuisce, osservando il pavimento grigio e stantio.
-Arriverete in ritardo a lezione- faccio notare loro debolmente mentre Elisa mi asciuga i capelli con un asciugamano.
-Vai a casa, Nora- dice invece lei.
Io scuoto la testa: non voglio che Rebecca lo sappia.
-Dovresti dirlo a qualcuno.
-E a chi?- chiedo con voce bassa.
-A qualche professore o alla preside- insiste Gabriel.
-Non so neanche chi sia stato, non farò nulla- dico scoraggiata.
-Io scoprirò chi è stato- dice Elisa con voce ferma –E ci vendicheremo, puoi stare tranquilla-
Io scuoto la testa di nuovo, non perché non pensi che Elisa riesca a trovare i responsabili -lei è l’eccezione alla regola, il riscatto per tutte le bionde, il fenomeno anomalo per chi associa i capelli chiari alla stupidità- ma perché non è così che funziona la mia vita.
-Se gli dimostro che non m’importa non ci riproveranno- dico infine scrollando le spalle.
-Ti hanno appena vista piangere, come potrebbero pensare che non ti importi?- mi chiede Gabriel inarcando le sopracciglia.
-Tu sì che sei d’aiuto- gli risponde Elisa prima che possa farlo io.
Quando sono pronta a tornare in classe manca ormai una manciata di secondi all’inizio delle lezioni. So ancora di marcio ed ho i vestiti macchiati ma i miei capelli sono asciutti e mi sono calmata.
Non appena usciamo dagli spogliatoi femminili vedo Alessandro venirmi incontro a grandi falcate.
-Sono appena arrivato e mi hanno detto quello che è successo- dice mentre vedo i suoi pugni serrarsi –Credo sia ora di mettere in pratica i due anni di Box-
-Perché dovrei abbassarmi al loro livello?- domando acida.
-Devi denunciarli ai docenti, almeno.
Faccio un vago gesto con la mano. –Credo nel Karma: tutto ritorna-
-Ma ti senti?!- mi chiede Alessandro alzando la voce –Quegli idioti ti torturano da anni!-
-Sono solo prese in giro.
-Nega di essere arrabbiata allora!- esclama afferrandomi il polso.
-Mi fai male- dico con voce bassa cercando di divincolarmi.
Sento il cuore esplodermi nel petto e lo stomaco rivoltarsi ancora ed ancora. Vorrei che mi abbracciasse o che mio padre fosse qui con me, ma questo non è uno stupido sogno ad occhi aperti.
-Fa’ ciò che vuoi.
Lo dice senza guardarmi negli occhi, mi lascia il polso e mi volta le spalle, allontanandosi a grandi passi. Si morde l’interno della guancia, come fa sempre quando è arrabbiato. Rimango un attimo basita, con il fiato corto fino a che la campanella non mi riscuote.
-Fregatene- mi dice Gabriel a mo’ di saluto prima di andarsene.
So che un consiglio dato da una lumaca non vale moltissimo ma lo apprezzo comunque.
-Pronta?- mi chiede Elisa quando ci troviamo davanti alla porta della classe.
Come un condannato a morte di fronte alla ghigliottina.
-Sono nata pronta- dico lentamente, mentendo e deglutendo con forza.
Mi accorgo di aver varcato la soglia solo quando Elisa si scusa con il professore di greco per il ritardo, prendiamo posto negli unici due banchi rimasti liberi ai due estremi opposti della classe: mi cede quello in prima fila ed io mi siedo malvolentieri.
Il professore decide di fare un piccolo ripasso ed io avverto che il mio corpo stringe la penna, iniziando a prendere appunti mentre la mia mente è concentrata su tutt’altro. Sento gli sguardi dei miei compagni puntati su di me, sembrano spilli ed aghi che si conficcano nella carne. Qualche risata che non so se sia rivolta alla sottoscritta ma che mi fa comunque stringere la penna così tanto da far sbiancare le nocche. Erano due anni e mezzo che nessuno mi prendeva più in giro e che non mi facevano qualche stupido scherzo.
Come ho potuto fidarmi di Filippo?
Chissà che non sia proprio lui il mio boia.
-Mi dispiace per quello che è successo sta mattina- mi sussurra il mio compagno di banco che è niente popò di meno che Francesco, l’idiota con il pallone al posto del cervello.
Non gli rivolgo neanche uno sguardo anche se sento il suo su di me, inutile dire che sono rimasta sorpresa dalle sue parole ma non ho intenzione di cedere così facilmente.
-Le uova marce, eh? Io avevo suggerito di aggiungere anche altro ma Giulia ha detto che era troppo cattivo.
Faccio finta di non prestargli attenzione mentre cerco di non pensare cosa intendesse con ‘altro’.
Passo l’intervallo in un angolo della classe: non ho alcuna voglia di andare a cercare Alessandro. Improvvisamente, però, una ciambella spunta sotto il mio naso facendomi venire l’acquolina in bocca e Elisa mi affianca, condividendo con me quel ben di Dio.
Non so perché non ci siamo mai frequentate prima, forse eravamo troppo prese dai nostri problemi e dall’odiare il resto del mondo per poter pensare che esistesse qualcuno per cui valga la pena di farsi buttare un secchio di uova marce in testa.
Quando finalmente arriva la sera sembra un piccolo miracolo: finalmente potrò rifugiarmi nei miei libri e non pensare né ad Alessandro, né a Filippo, né a nessun altro. La giornata scolastica, dopo lo scherzo delle uova, è passata piuttosto lentamente e in modo decisamente straziante; anche la professoressa di matematica sembrava burlarsi di me quando, a metà della lezione, ci ha guardati infastidita ed ha detto: “Consiglierei anche a qualcuno di voi di lavarsi ogni tanto, sento un odioso odore di uova marce!”. Ovviamente tutti sono scoppiati a ridere ed io non sono riuscita, ancora una volta, a scomparire a Narnia. Sono andata a casa a piedi dopo averlo detto a Filippo con una mezza frase biascicata a due metri di distanza e, sinceramente, non sono molto sicura mi abbia sentito, ho comprato un pezzo di pizza per strada e arrivata a casa mi sono messa a studiare da sola poiché Alessandro non è venuto. Ivan mi ha chiamata per definire gli ultimi dettagli per domani ed ho preparato le valigie appena più serena.
Ora la cena sta trascorrendo come al solito: in un glaciale silenzio intervallato dall’irregolare suono dei cucchiai contro i piatti o dei bicchieri sul tavolo. Riesco ad arrivare alla fine senza aver rotto nulla e mi considero salva quando do l’ultimo morso alla mia mela ma, probabilmente, la strega doveva aver avvelenato quel frutto rosso perché Rebecca mi guarda con gli occhi da grande discorso. Si schiarisce persino la voce prima di iniziare a parlare.
-Michela ti aveva promesso che avrebbe fatto sistemare la tua stanza, ricordi?- mi chiede tentando di sorridere.
Io sento la mascella scricchiolare ed il stomaco tentare di non rigurgitare tutto quello che ho appena ingerito mentre un capogiro mi sorprende, seguito da uno strano presentimento.
-Alcuni colleghi del fratello di Michela arriveranno subito dopo cena per portare via i mobili, lo so che non è un’ora adeguata ma le stanno facendo un favore e non possono venire nelle ore lavorative.
Annuisco mentre la curiosità e la paura si mischiano al purè.
-Quindi tu dormirai nella stanza di Filippo.
-Lui dorme in salotto?- domando fingendo tranquillità.
-No, dormirà nella sua stanza.
-Allora devi esserti sbagliata: volevi dire che io dormirò in salotto- insisto annuendo solennemente.
-Tu e Filippo dormirete nella stessa stanza stanotte.
-Credo di aver capito male- insisto afferrando il tavolo con tanto trasporto da far sbiancare le nocche.
-No, Nora.
Non so se scoppiare a ridere, pensare che Rebecca voglia che io mi accoppi prima dei diciotto anni o mettermi ad urlare. Nell’indecisione decido di bere un bicchiere di vino per metabolizzare la notizia ma, non appena sfioro la bottiglia, sento lo sguardo di Rebecca trucidarmi le dita perciò mi accontento di un po’ acqua.
-E’ solo una notte!- esclama Michela –E puoi stare tranquilla: Filippo è un bravo ragazzo-
Questa volta tento di scoppiare a ridere ma l’acqua mi va di traverso ed inizio a sputarla sul piatto ed a tossire. Avverto lo sguardo dei miei tre coinquilini puntati su di me mentre mi asciugo un rivolo di bava scivolato al mio controllo.
-Tu non vuoi che perda la verginità a diciassette anni, vero?- domando con calma rivolta a Rebecca.
Lei strabuzza gli occhi, Filippo arrossisce fino alla radice dei capelli e Michela tossicchia senza guardarmi.
-E’ la seconda volta che mi metti in stanza con un ragazzo sconosciuto potenzialmente sociopatico.
Filippo non prova nemmeno a ribattere, impegnato com’è ad essere imbarazzato.
-Avevo insistito affinché dormissi nella stesa stanza di Alessandro perché ti piaceva!- esclama ricordando l’episodio di due estati fa.
-E volevi farti perdonare per quello che ci tenevi nascosto?- domando cauta alludendo al suo tradimento.
-Ora stai superando il limite, Nora- dice mentre la sua voce si alza di un’ottava –Oggi non sei nemmeno andata dalla psicologa-
Mi batto una mano sulla fronte: con tutto quello che è successo me ne ero completamente dimenticata; poi guardo Filippo e mi lascio scappare un verso indistinto. Perfetto: ora la mia già inesistente vita sociale è stata disintegrata. Ora, oltre che ragazza santa e sfigata che passa la sua vita sui libri, sono anche una possibile psicopatica, questo non appena il belloccio seduto lì diffonderà la notizia ai suoi cari amici.
-Vado a farmi una doccia- dico infine alzandomi e spostando rumorosamente la sedia.
Infilo un pigiama che sia veramente un pigiama al posto della solita maglia sformata ed ignoro la moltitudine di uomini che entrano nella mia stanza, dirigendomi in quella di Filippo. La sua ha una scrivania sul lato, i muri neri ed arancioni, è tappezzata da innumerevoli poster su artisti musicali e film e, al centro, torreggia un enorme letto a una piazza e mezza.
Il pigro criceto che cammina nella mia testa inizia già ad immaginare che cosa un adolescente possa fare con un letto così grande quando noto, con mio estremo sollievo –o quasi-, che  qualcuno ha posizionato un altro letto il più lontano possibile dal suo.
Provo a contattare Alessandro ma lui continua ad ignorarmi perciò lancio il cellulare sul cuscino sbuffando sonoramente.
-Cosa c’è?- mi chiede Filippo sdraiato comodamente tra i cuscini, lanciandomi un’occhiata inquisitoria.
Sei serio?
-Alessandro non risponde ai miei messaggi.
-Tanto domani partite insieme, no?
Annuisco, lasciandomi andare a peso morto sul letto. Anche da qui si sentono i rumori dei mobili spostati e del nastro adesivo applicato sulle prese elettriche. Vorrei dormire per dimenticare quest’assurdo e disastroso venerdì ma credo che mi sarà impossibile ancora per un po’. Rimango sdraiata inerme ad osservare il soffitto mentre Filippo ascolta la musica tamburellando con il dito il ritmo della canzone, lo osservo di sottecchi. Dopo qualche minuto lo vedo arricciare il naso ed annusare l’aria.
Subito arrossisco, abbassando lo sguardo.
-Lo senti quest’odore?- mi chiede togliendosi le cuffie.
-Intendi quello di uova marce?- gli chiedo con un filo di voce.
Non so se sono più delusa, arrabbiata, triste o vendicativa, perché non si possono provare tutte queste emozioni insieme, vero?
Lui mi lancia una breve occhiata che non riesco bene a decifrare.
-No, sembra più vaniglia- dice arricciando ancora il naso.
-Oh- mormoro appena –Dev’essere il mio bagnoschiuma-
-Senti Nora, riguardo…- inizia lui serio, tirandosi a sedere.
-Ho veramente sonno- lo interrompo stizzita e frettolosa –Buonanotte-
Mi rifugio tra le coperte, seppellendo la faccia nel cuscino e deglutendo, mi accorgo solo in questo momento che gli uomini devono essersene andati perché la casa è avvolta dal silenzio. Un silenzio che fa quasi venir male alle orecchie.
 
Rebecca mi sta guardando come farebbe con uno scarafaggio o con la figlia che non ha mai voluto. Sorride, i denti aguzzi come pietre. – Filippo sarebbe stato un figlio perfetto come Alessandro ma tu, Nora, come puoi competere con loro? O solo con tuo fratello Ivan? Povera piccola ingenua. Così brutta e così stupida.
Michela, al suo fianco, annuisce e sorride sincera.
Vorrei rispondere qualcosa di pungente, vorrei dirle che neanche lei è stata una madre degna di questo nome ma dalla mia bocca non esce nulla mentre i miei occhi si riempiono di lacrime. Cerco di parlare ma non ci riesco, sono ferma ed impotente, bloccata, immobile.
-Davvero hai pensato che potessi mai piacermi?- le dà man forte Filippo –Andiamo, Eleonora! Sii realista-
Si avvicina, quasi come se dovesse baciarmi, all’ultimo, però, scoppia a ridere inclinando la testa di lato. Indietreggio di qualche passo mentre vedo con la coda dell’occhio Alessandro allontanarsi di spalle, vorrei rincorrerlo ma Filippo mi blocca la via di fuga.
Ora non è più solo lui a ridere ma anche moltissime altre persone di cui non riesco a scorgere i volti, in piedi di fianco a me.
-Voi non sentite questo odore di… non so… sembrano uova- dice Filippo continuando a ridere –Uova marce-
Le persone iniziano a farsi più vicine, stringendomi in una morsa di ghiaccio, mi schiacciano un piede, l’altro, mi tirano i capelli, premono sulla mia cassa toracica. Mi sento malissimo, mi sembra di non riuscire a respirare. Tutto gira.
Mi sveglio di colpo, spalancando gli occhi in cerca di luce e la bocca in cerca di aria, sento i capelli sudaticci appiccicati al volto, con un calcio getto via le coperte e mi passo una mano sulla faccia scoprendola bagnata di lacrime.
Che sogno stupido, penso scuotendo la testa eppure non posso fare a meno di lasciarmi scappare un singhiozzo.
Tutte le scene tornano a popolare la mia mente, mischiandosi alla realtà, creando un vortice pietoso che mi fa girare la testa, mi aggrappo con forza al cuscino mentre continuo a piangere. In un attimo è come essere nuovamente nel sogno, circondata da persone care e sconosciute che cercano di soffocarmi. Annaspo in cerca d’aria mentre mi sembra di sentire nell’aria un insopportabile odore di cibo andato a male.
-Nora- mormora Filippo nel buio.
Probabilmente, se non mi sentissi così male, mi spaventerei e penserei con ironia alla sua incredibile dote di spaventaNora.
-Tutto bene?- chiede ancora in un sussurro.
I miei occhi spalancati dal terrore riescono a distinguere la sua sagoma alzarsi dal letto e venire verso di me. Mi porto una mano al petto, tentando inutilmente di inspirare, credo che se aprirò ancora un po’ gli occhi i miei bulbi oculari rotoleranno sotto l’armadio.
E’ come se qualcuno si fosse seduto sul mio petto e non lasciasse entrare l’aria, boccheggio ed il mio cuore batte sempre più veloce. Ho paura, non so di cosa o perché ma il panico mi attanaglia le viscere e si fa spazio nelle vene, scorrendo al posto del sangue.
-Che cos’hai?- mi chiede sedendosi al mio fianco, preoccupato.
Continua a chiedermelo ma non riesco a parlare, riesco solo a tentare di dare aria ai miei polmoni mentre ansimo in cerca di ossigeno. Lui mi scuote appena con l’unico risultato di accrescere la mia paura già al suo culmine.
-Nora- dice appoggiando una mano sulla mia e sfiorandomi il petto –Credo tu abbia un attacco di panico, devi tranquillizzarti-
-Non… ci… riesco…- mormoro sempre più terrorizzata.
Un attacco di panico, non credo di averne mai avuto uno. Sembra che anche i miei pensieri si stiano facendo meno lucidi mentre Filippo tenta invano di calmarmi. La persona seduta sul mio petto deve essersi fatta più pesante perché sento che anche la testa inizia a dolermi.
-Vado a chiamare Rebecca- dice infine nervoso, facendo per alzarsi.
-No- riesco solo a mormorare scuotendo forte la testa.
Mi brucia la gola ed ho il petto in fiamme, credo di aver bisogno di un estintore ed un’enorme dose di ossigeno. Ansimo ancora ma l’aria non vuole entrare, resta sospesa al mio fianco, burlandosi di me come tutto il resto. Boccheggio, il petto brucia, la testa martella, i pensieri si confondono e nelle mie vene divampa l’incendio mentre la paura prende possesso del mio corpo.
Filippo mi guarda negli occhi indeciso sul da farsi poi mi bacia.
All’inizio penso che sia un’idiota: io ho bisogno di ossigeno e lui blocca una delle principali vie di entrata dell’aria. Subito dopo penso che voglia uccidermi, poi mi accorgo sul serio di quello che sta succedendo: mi sta baciando. Noto con un certo nervosismo che le mie labbra e le sue sono unite e la sua lingua si muove lentamente insieme alla mia, la sua mano è premuta contro la mia guancia. Quando si allontana mi lascio scappare un lungo sospiro, riprendendo a respirare.
E’ come riemergere in superficie dopo attimi di agonizzante naufragio, è come se prima stessi annegando. Ora sento una pace profonda in tutto il corpo mentre il cuore riprende il proprio battito e la paura si allontana.
-Grazie- mormoro ansimando –Come…?-
-Ho visto da qualche parte che un bacio può arrestare un attacco di panico- dice distogliendo lo sguardo –Su Teen Wolf, mi sembra-
Improvvisamente sento una rabbia sorda farsi spazio dentro di me, sovrastando per la prima volta la mia natura da fangirl.
-Mi hai baciata- sibilo allontanandomi impercettibilmente.
-Io…- dice perplesso.
-Non potevi trovare un altro modo che non implicasse l’uso degli ormoni?
-E’ l’unica cosa che mi è venuta in mente! Stavi soffocando se non l’hai notato!
-Sei un idiota, Montesanti.
La mia frase, detta di getto e con una nota amara di risentimento mi porta a qualche anno fa, quando il suo passatempo preferito era far parte del R.V.N..
Non riesco a dire nient’altro, non presto nemmeno più attenzione a quello che mi dice mentre mi rannicchio sotto le coperte e tento di dormire, serrando gli occhi, rifiutandomi di pensare al sapore dolciastro che mi ha lasciato in bocca. Mi massaggio il collo al quale avverto ancora una dolorosa morsa, come se qualcuno avesse appena azionato la ghigliottina.
Devo ammettere, però, che il boia bacia dannatamente bene.

 
  
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