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Autore: Daphne_Descends    07/09/2015    4 recensioni
Prendete l'Iliade, tagliatela a fettine sottili e fatela soffriggere, poi servitela ben calda e otterrete le vicende degli studenti di due scuole rivali, costrette per volere di presidi sadici alla fusione, che cercano in tutti i modi di sopravvivere e distruggersi a vicenda, tentando nel frattempo di evitare di innamorarsi della persona sbagliata.
"Si può dire che tutto iniziò per colpa di quel cretino di Paride.
Le mani poteva tenersele a posto, invece di provarci con quell’Elena dell’Acaia."
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Canto VII
Di come le vacanze non durano mai abbastanza

 

 

«-il capitolo e fate tutti gli esercizi alla fine. Vi avviso già che a gennaio ci sarà una verifica su questo argomento. E verranno valutati anche i compiti».
Ad ogni parola della prof potevo distintamente vedere Diomede accasciarsi sempre di più sul banco, come un palloncino sgonfio, e quando Atena uscì dall'aula si lasciò scappare un grido disperato.
«Nooo! Non ce la farò mai! Prenderò un'insufficienza e mia madre mi ucciderà! La mia vita è finita e non ho ancora sposato Enone!»
Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva e lo fissai sbigottita, mentre Achille gli lanciava una gomma sulla testa e un insulto.
«Le vacanze non sono ancora cominciate e tu sei già così catastrofico» commentò Patroclo, alzando gli occhi al cielo e iniziando a svuotare il sottobanco e a riempire lo zaino.
«Perché so già che non ce la farò mai!»
«Ma smettila!» esclamai dandogli un calcio alla sedia «Basta che ti impegni, per una volta in vita tua. Ad Enone non piacciono gli scansafatiche». Non era vero, perché Enone non aveva dei gusti così precisi in fatto di ragazzi e perché era stata con Paride, il re degli scansafatiche. Ma Diomede questo non lo sapeva, così non mi stupii quando si rialzò di botto e si voltò verso di me con un'espressione terrorizzata.
«Davvero?!» chiese con voce acuta, per poi sbattere le mani sul mio banco e farmi cadere l'astuccio aperto per terra «Mi aiuterai, vero Bri? Faremo i compiti insieme e mi aiuterai a studiare per la verifica!»
Io lo fulminai e mi chinai a raccogliere le mie cose «Perché non lo chiedi ad Ulisse? Penelope mi ha detto che passate sempre le vacanze appiccicati come una cozza al suo scoglio. E anche che sei sempre in mezzo ai piedi e inizia a dubitare della vostra sessualità».
Diomede ignorò gran parte della frase, mentre Patroclo mormorava «Chissà chi è la cozza» e Achille rideva in silenzio.
«Se faccio i compiti con Ulisse ci distraiamo e finiamo per giocare a “Viaggio nell'Oltretomba”!»
«Quanto sei assillante!»
«Per favore, Bri!»
Feci l'errore di guardarlo negli occhi mentre mi pregava e quello sguardo implorante e speranzoso mi obbligò ad accontentarlo. Anche perché dire di no a Diomede iniziava a diventare sempre più difficile, man mano che lo conoscevo.
«Va bene, ma solo per un paio di giorni al massimo» borbottai alla fine, provocando esultanza da parte sua e un offeso «Scusa?!» da parte di Achille, che aveva smesso di ridere e mi fissava incredulo.
«Che c'è, non posso mica dirgli di no».
«Sì che puoi».
«Ho deciso di aiutarlo. Perché non ti fai gli affari tuoi?»
«E perché tu non ti fai i tuoi? E' grande abbastanza per arrangiarsi da solo».
Prima che potessi rispondergli mandandolo a quel paese, Patroclo intervenne, ignorando Diomede che stava gridando allegramente verso Ulisse, dall'altra parte dell'aula «Quello che Achille sta cercando di dire è che anche lui vorrebbe fare i compiti con te-»
«Non stavo dicendo quello».
«-e che gli piacerebbe passare del tempo insieme, visto che le vacanze sono lunghe» proseguì come se Achille nemmeno avesse aperto bocca.
Studiai per un istante l'espressione corrucciata del mio compagno di banco e poi quella pacifica e leggermente divertita di Patroclo, prima di abbassare lo sguardo sul mio banco «Per certe cose basta chiedere, invece di insultare le persone. Anche se è molto probabile che adesso ti dica di no» gli lanciai un'occhiata altezzosa, in tempo per vederlo inarcare un sopracciglio.
«Perché, prima mi avresti detto di sì?» chiese ironico.
«Oh, ti piacerebbe saperlo, vero?».
«Stai scherzando col fuoco, tesoro» mormorò lui con un sorriso divertito, che mi fece capire che non se l'era presa.
Così mi arrischiai a provocarlo un po', perché non avevo alcuna intenzione di dargli l'ultima parola «No, tesoro, sei tu che dovresti stare attento».
Per fortuna non fui obbligata a vedere la sua reazione, perché in quel momento Diomede urtò il mio banco, mentre cercava di prendere al volo una penna che gli aveva lanciato Ulisse, e inciampò nei suoi stessi piedi, finendo praticamente in braccio a Patroclo, che rimase senza fiato quando lo schiacciò contro la sedia. Sia io che Achille reagimmo subito e, se lui spinse bruscamente Diomede e si accertò delle condizioni di Patroclo, che sembrava aver perso momentaneamente la facoltà di parlare, io gli tirai uno scappellotto e iniziai ad insultarlo. Perché Diomede pesava di sicuro almeno dieci chili in più di Patroclo.
«Sei un idiota! L'hai schiacciato! Cosa sei, un ippopotamo? Fai più attenzione!»
«Scusa, Patro! Non volevo!» esclamò Diomede, cercando di trattenere le risate, mentre si voltava verso di lui.
«No, tranquillo» disse Patroclo senza fiato, agitando una mano e facendo un lieve sorriso.
Achille gli lanciò invece un'occhiataccia, ma non fece altro e prese il suo zaino da terra.
Io guardai l'orologio e mi affrettai a finire di riempire il mio, stando attenta a non dimenticare niente, visto che dal giorno dopo sarebbero cominciate le vacanze di Natale.
«Sei sempre così goffo» disse la voce di Ulisse, che si era avvicinato con un ghigno sulle labbra.
«Sei tu che l'hai lanciata male!».
Mentre loro iniziavano a discutere, io salutai tutti con un veloce augurio di buone feste, ignorando Achille che stava per dire qualcosa e abbracciando velocemente le ragazze, prima di uscire come un razzo dalla classe.
Avevo due buoni motivi per andare di fretta: uno, Ettore e il resto della famiglia mi stavano aspettando fuori dall'Acaia, Criseide e Paride compresi, e volevo evitare che venissero visti da chi non avrebbe dovuto vederli (ovvero, Agamennone e Menelao); secondo, volevo evitare situazioni imbarazzanti nei saluti – del genere, abbraccio o stretta di mano? – con alcune persone in particolare.
Mentre mi infilavo tra la folla nell'atrio, cercando di raggiungere l'uscita, incrociai per un attimo lo sguardo di Agamennone, ma distolsi subito il mio e aumentai ancora il passo. Non avevo bisogno di essere fermata anche da lui.
La figura di Ettore si stagliava fuori dal cancello, immobile come una statua, a braccia incrociate e con lo sguardo fisso verso l'ingresso dell'Acaia. Creusa stava discutendo con Cassandra ed Eleno, che teneva una scatola tra le mani, Paride stava smanettando con il cellulare e Criseide si controllava le unghie. Fu ovviamente Ettore a vedermi per primo e le sue labbra si piegarono appena in un sorriso, quando mi avvicinai – niente di più, chiaro, non davanti ai nemici.
Ci salutammo e Criseide mi prese a braccetto, iniziando a tartassarmi di domande, almeno finché una voce non strillò il mio nome e ci fece fermare tutti, compresi gli studenti che affollavano il marciapiede.
Quando mi voltai verso la scuola, vidi Diomede sbracciarsi da una finestra per richiamare la mia attenzione «Ricordati i compiti! Me l'hai promesso!».
Nell'imbarazzo più totale, gli urlai in risposta «Non te l'ho promesso!»
«Briii! Per favore!»
«Va bene! Va bene!» esclamai velocemente e, sperando di chiudere lì la questione, lo salutai con una mano. Lui ricambiò il saluto e io mi voltai di fretta, facendo un lieve sorriso all'espressione corrucciata di Ettore e superandolo con Criseide di fianco, che invece se la rideva.
«Cos'è, un altro ammiratore?» frecciò lei.
«E' solo un amico» sibilai in risposta, ignorando il grugnito di Ettore, che però non disse niente.
«E Achille non dice niente?»
La fulminai con un'occhiataccia, soprattutto perché Ettore stava quasi ringhiando «A Diomede piace Enone!» esclamai, pentendomene subito dopo, perché gli occhi azzurri di Criseide si accesero di malizia e interesse.
«Davvero? E a lei piace?»
«Non si conoscono nemmeno!»
«Però lui è carino».
«Basta!» esclamò Ettore, spingendosi a forza tra noi due «Parlate d'altro, cazzo!»
Io e Criseide ci scambiammo uno sguardo divertito e lo prendemmo a braccetto.
«Oh, povero Ettoruccio! Ti senti a disagio?» cominciò Cri «Per noi sei sempre il numero uno, lo sai! Ma se vuoi cambiamo argomento».
«Hai già pensato al regalo per Andromaca?»
Ettore gemette e tentò di divincolarsi, ma noi non glielo permettemmo e lui non ci provò nemmeno sul serio.
«Non sono affari-».
«-un topo!» lo interruppe la voce acuta di Creusa, facendoci voltare.
Lei e i gemelli stavano ancora discutendo, mentre Paride ascoltava con aria disinteressata.
«Che poi, si può sapere dove lo avete trovato?»
«In cortile. Aveva freddo ed è denutrito» rispose Cassandra.
«Non poteva essere un gatto o un cane? No, certo che no. Voi dovevate trovare un topo!»
«Costa meno mantenerlo, però» osservò Eleno «E poi lo teniamo in camera nostra».
«La mamma vi uccide. E se non lo fa lei, lo farò io! E se lo vede Troilo?»
«Probabilmente inizierà a portare a casa lucertole» commentò Paride, rispondendo ad un messaggio sul cellulare.
«Hanno un topo nella scatola?» chiesi con una smorfia.
«L'hanno trovato all'intervallo, mentre cercavano le solite piante per i loro giochini vudù» mi spiegò Criseide.
«Non sono giochini vudù» disse Cassandra aggrottando la fronte.
«Oh, basta. Andiamo a casa e lasciamo che ci pensi mamma» decise Ettore, aumentando il passo e trascinandoci insieme a lui.
Se quello era l'inizio delle vacanze, non osavo immaginare il seguito.


Il seguito fu ovviamente una schifezza.
Mia madre era a casa per due settimane – l'unica nota positiva – e lei e mio padre sembravano in luna di miele, come sempre – una delle tante note negative – e io ero costretta a sentirli tubare per tutta la casa. Quando mia madre tornava a casa, tendeva a cercare di recuperare tutto il tempo perso in soli due giorni, che si trasformavano in un incubo e mi facevano sentire la mancanza della mia camera da letto, in cui entravo per poche ore di notte e pochi istanti per cambiarmi tra una doccia e l'altra. Però, nonostante questo, ero contenta di passare del tempo con lei e i continui giri per i centri commerciali mi erano stati utili per comprare i regali di Natale.
Il Natale in sé, invece, non era stato così roseo e tranquillo come me l'ero immaginato, soprattutto perché era impossibile passare una giornata tranquilla con la mia famiglia interamente riunita per tre giorni di fila. Le zie non avevano fatto altro che aggiornare mia madre sui vari pettegolezzi che si era persa – e che per la maggior parte riguardavano i nostri stessi famigliari, me e i miei cugini compresi –, lo zio Crise, Deifobo e Creusa avevano fatto fuori tutti i liquori nel bar di zio Priamo – ed erano stati male per due giorni –, io e Paride avevamo dovuto abbracciarci per farci gli auguri – pena il salto del dolce –, il topo di Eleno e Cassandra aveva mangiato con noi ad ogni singolo pasto – nella sua gabbietta posizionata su una sedia tra di loro e, grazie agli dei, non sul tavolo come avrebbero voluto quei due deficienti –, Troilo non aveva fatto altro che chiedermi di Achille – con Ettore che borbottava in sottofondo – e Criseide era riuscita a convincermi ad uscire con lei il sabato successivo. Non che odiassi uscire con mia cugina, ma sapevo che con lei succedeva sempre qualcosa che avrei preferito dimenticare. Però mi aveva rinfacciato che non passavamo più del tempo insieme e io non avevo potuto ribattere dicendo che era tutta colpa della sua storia con Agamennone, perché Ettore era proprio accanto a noi e io mi ero ripromessa di non rivelargli niente, almeno per il momento, altrimenti avrebbe davvero avuto un infarto.
Quindi era per quel motivo che mi ritrovavo in un pub, un paio di giorni prima dell'ultimo dell'anno, intenta a non digrignare i denti e a fulminare Criseide seduta di fronte a me, che ridacchiava e faceva la scema con Agamennone. Sì, perché quell'odiosa stupida oca non mi aveva messo al corrente che ci sarebbe stato qualcun altro. E quel qualcun altro era proprio la persona che meno volevo vedere al mondo.
E' stato solo un caso”, un cazzo.
Aveva programmato tutto, lo sapevo. Anche perché, se fosse stata una coincidenza – come aveva strillato non appena lui si era avvicinato –, quel borioso di Agamennone non sarebbe stato solo con Aiace Oileo. Lo stesso Aiace Oileo che mi stava seduto troppo vicino e stava ciarlando di chissà cosa da circa mezz'ora. Non avevo idea di come avessi potuto sopportare quella buffonata per mezz'ora intera, sapevo soltanto che Criseide me l'avrebbe pagata cara.
E quando lei e Agamennone si alzarono e lei mi disse «Noi andiamo un attimo fuori, Bri. A dopo», sentii distintamente la mia pazienza raggiungere il limite. Non avevo più intenzione di acconsentire a quella gigantesca e shifosissima idea: non sarei stata la sua compagna di malefatte per dividere equamente l'ira di Ettore. Se avessi voluto fare incazzare Ettore, mi sarei messa con Achille, che mi piaceva decisamente di più di Aiace ed era meno egocentrico.
«Senti» dissi con forza, girandomi verso di lui e interrompendolo nel bel mezzo dell'ennesimo auto-elogio, «tu non mi piaci per niente. Non so cosa ti abbia detto Criseide, ma finiamola qui che è meglio» mi alzai e feci per andarmene, ma la sua mano mi afferrò il braccio e mi trattenne con forza.
«Andiamo, rimani ancora un po'. Sono sicuro che so come farti divertire» disse con uno sguardo che gridava “maniaco sessuale in vista”.
«No, non lo sai» gli sibilai in risposta, cercando di liberarmi. «L'unico modo in cui puoi farmi divertire è lasciandomi squartare il tuo cadavere. E, guarda caso, questo non richiede la tua partecipazione attiva».
«Ti piace stare sopra, vero?»
Spalancai la bocca, oltraggiata, e lo fulminai con un'occhiataccia «Sei proprio uno schifoso! Lasciami andare o giuro che mi metto ad urlare».
I suoi occhi scuri non lasciarono trasparire nulla, ma la sua presa si allentò quel tanto che bastava perché potessi liberarmi con un strattone più forte e, a quel punto, mi allontanai di fretta, dirigendomi verso l'uscita. Sentii Aiace alzarsi dal tavolo e seguirmi e avrei voluto urlare per la frustrazione e mandarlo al diavolo, ma non sapevo come avrebbe reagito e di sicuro non potevo farmi aiutare da Criseide, che ormai aveva perso del tutto il cervello.
Per fortuna, non dovetti fare niente, perché una voce famigliare mi fermò e mi fece voltare verso uno dei tavoli vicino alla porta. Il volto confuso di Diomede mi fece rilasciare un sospiro di sollievo e subito cambiai direzione e mi sedetti accanto a lui.
«Cosa succede?» mi chiese aggrottando la fronte, ma prima che potessi rispondergli, Aiace si avvicinò e gli occhi chiari di Diomede si posarono su di lui, indurendosi all'istante.
«Aiace».
«Diomede».
Evitai di guardare nella direzione di quell'essere sgradito e mi limitai a fissare Diomede, che fece vagare lo sguardo per qualche istante tra me e lui. «Che vuoi?» gli chiese infine.
«Da te niente. Ma Briseide mi deve ancora qualcosa».
Mi voltai di scatto e lo fulminai «Io non ti devo proprio niente, schifoso maiale».
«Oh, andiamo, non ti sarai offesa. Era un complimento. A me piacciono le ragazze che stanno sopra».
«A me invece non piaci tu. Quindi smamma e lasciami in pace».
Lui appoggiò una mano sul tavolo e si chinò verso di me, fissandomi con uno sguardo malizioso «Mi devi un appuntamento, Briseide, uno lungo tutta la notte».
«L'unica cosa che ti devo è un calcio nelle palle!»
Per fortuna, Diomede si decise ad intervenire e si alzò di scatto, scrutando Aiace con odio «Ti conviene sparire, Aiace, o giuro che ti faccio fuori prima che tu riesca a dire “Sono un povero coglione”. E non provare più ad avvicinarti a Briseide».
Aiace sostenne lo sguardo di Diomede, poi lo abbassò su di me e infine scrollò le spalle «Sarà per la prossima volta» disse con un ghigno, prima di uscire dal locale senza guardarsi indietro.
La tensione nelle mie spalle si sciolse e io sospirai di sollievo, contenta che non si fosse scatenata una rissa, mentre Diomede si risedeva accanto a me e iniziava a fissarmi a braccia incrociate.
«Non è come pensi» mi affrettai a chiarire. «Criseide mi ha chiesto di uscire con lei, perché era da un po' che non lo facevamo, e mi sono ritrovata con quei due al tavolo!»
«Quei due?» chiese lui, aggrottando la fronte «Chi era l'altro?».
All'improvviso mi resi conto che Diomede non sapeva nulla della storia di Cri e Agamennone e mi tirai mentalmente uno schiaffo, prima di decidermi a rispondergli «Agamennone».
Lui spalancò gli occhi «Sei impazzita?! Cosa ti salta in mente di uscire con Agamennone?»
«E' Criseide che ci esce insieme».
«Cazzo, tua cugina è proprio una deficiente».
«Credi che non lo sappia?» sibilai, ripensando a quella mentecatta.
Diomede sospirò «Quindi ti era stato affibbiato Aiace?»
Feci una smorfia «A quanto pare. E' stata la mezz'ora più orribile della mia vita! Mi ha guardato per tutto il tempo come se fossi qualcosa da mangiare!»
Lui si nascose la faccia tra le mani e borbottò «Aspetta che lo venga a sapere Achille».
«No!» esclamai di colpo, senza nemmeno rendermene conto «Sei matto? Non provare a dirgli niente! Ci manca solo che quello si faccia viaggi mentali su cose che nemmeno sono successe e me lo rinfacci anche! Che poi non è successo assolutamente niente, saremo stati da soli due minuti al massimo!»
«Sei pazza?» esclamò lui in risposta «Figurati se glielo vado a dire! Mi uccide prima ancora che riesca a finire la frase! Al massimo devi avere paura che glielo dica Aiace e che ingigantisca la questione. Figurati se non se ne approfitta, quello stronzo».
Sospirai e mi passai una mano tra i capelli «Lasciamo stare» mormorai, per poi raddrizzarmi di colpo ed esclamare «Aspetta! Non sono nemmeno affari suoi! Achille non è il mio ragazzo!»
Diomede mi fissò con le sopracciglia inarcate e l'aria scettica «Sì. Certo».
«Stai insinuando qualcosa?» gli sibilai piccata.
«Dico solo che lo credono tutti».
«Ma non per questo è vero. E poi, per tua informazione, lui non me l'ha mai chiesto, quindi sono ancora felicemente single!»
Il suo sguardo si fece subito interessato e il ghigno che gli comparve sulle labbra non annunciava niente di buono «Perché, se te lo chiedesse, diresti di sì?»
Spalancai e richiusi la bocca un paio di volte, presa alla sprovvista dalla sua domanda «Ovvio che no!» riuscii a dire alla fine.
«Hai esitato!».
«Solo perché la risposta è talmente ovvia che non ho nemmeno bisogno di dirla!»
«Ah, ah. Stai diventando rossa».
«Non è vero!»
«A Briseide piace Achille, a Briseide piace Achille!»
«Diomede sta per venire ucciso, Diomede sta per venire ucciso!»
«Però non l'hai negato!»
«Non è vero, idiota!»
«Mi sono perso qualcosa?»
Una voce famigliare ci interruppe e ci fece voltare, lasciandomi a bocca aperta non appena i miei occhi si posarono sulla figura di qualcuno che non avrei mai immaginato di vedere insieme a Diomede.
Glauco mi fissò con le sopracciglia inarcate e due birre in mano «Beh?»
«Che cosa ci fai qua?!» esclamai, mentre lo guardavo sedersi davanti a noi e passare una birra a Diomede.
«Dovrei chiedertelo io» ribatté lui, fissandomi curioso.
Troppo stupita per spiegarglielo, lasciai che Diomede lo facesse al mio posto «E' scappata dal suo appuntamento al buio con Aiace Oileo» disse senza scomporsi, prima di bere un sorso di birra.
Glauco mi studiò per un istante «Ma non uscivi con Achille?»
Pestai un piede a Diomede che era scoppiato a ridere come un disperato e fulminai Glauco «Non usciamo insieme» gli sibilai.
«Oh, credevo di sì».
Prima che uno dei due potesse dire altro sulla questione, esclamai «E voi due cosa ci fate qui insieme?»
«Siamo venuti a bere qualcosa» mi rispose Glauco con un sorrisetto divertito.
«E da quando siete amici?»
«I nostri genitori sono amici, noi ci limitiamo a sopportarci».
«Ed è un segreto» cantilenò Diomede, passandomi un braccio sulle spalle e mettendomi sotto il naso il suo boccale, che io scostai con la mano «Comunque ti sei scordato le patatine, Gla».
«Vattele a prendere da solo. Non sono mica la tua cameriera».
«Che palle. Però me le mangio tutte io» borbottò Diomede, alzandosi.
«Se, se» rispose Glauco agitando una mano.
Non avrei mai e poi mai pensato che Diomede e Glauco fossero amici, o che si conoscessero di persona al di fuori delle liti in cortile. E potevano dire quello che volevano, ma si vedeva che erano amici e non semplici conoscenti: Glauco comprò un'altra birra a Diomede, che, indipendentemente da quello che aveva detto prima, divise le patatine con lui; facevano battute che io non capivo e ridevano come due dementi. Come mi spiegò Glauco, si conoscevano da quando erano piccoli e non era affatto un segreto, perché lo sapevano quasi tutti, solo che loro preferivano non farne parola perché Diomede era un idiota e Glauco uno snob – o almeno era quello che avevo capito tra gli altri insulti che iniziarono a lanciarsi.
Rimasi con loro per il resto della serata, dimenticandomi di Criseide, Agamennone e Aiace, e dopo qualche bicchiere la conversazione si spostò su argomenti che non avrei mai pensato di affrontare con loro, o almeno non con Glauco.
«Perché non mi guarda mai? Voglio dire, non sono così brutto, no?»
«Se io fossi una donna, saresti nella mia top ten».
«Ecco. Ma lei non mi caga per niente!»
Chi avrebbe mai immaginato che un Glauco brillo si riduceva ad un lamentoso essere dalla lingua sciolta? E Diomede aveva cominciato a seguirlo a ruota, dopo il quarto bicchiere e dopo che Glauco aveva proclamato “l'amore fa schifo”. Non c'era nemmeno da dire che io ero l'unica sobria del nostro strano trio ed ero l'unica che doveva davvero sorbirsi tutti quei piagnistei che rivaleggiavano con il peggior film romantico di quarta categoria.
Tra le scoperte di quella sera: Glauco era innamorato di Iliona; Iliona gli parlava sul serio solo quando dovevano organizzare assemblee di classe; Glauco organizzava assemblee di classe ogni volta che poteva per parlare con Iliona; Iliona usciva da una settimana con “uno scimmione” di quarta B; Glauco aveva provato a rovinargli il motorino, ma non ci era riuscito e in compenso aveva fatto cadere la moto della prof Artemide che ancora girava assatanata per la scuola cercando di trovare il colpevole; Diomede faceva dei sogni su Enone che avrei preferito non sapere; Diomede invidiava Glauco perché almeno lui era nella stessa classe della “donna della sua vita”; Glauco aveva ribattuto dicendo che “la donna della sua vita” non lo cagava di striscio. Poi entrambi avevano deciso di nominarmi loro consulente personale in faccende di cuore, come se fossi un qualche guru dell'amore. La mia vita era già incasinata abbastanza senza aggiungerci anche le loro magagne.
«Forse non ha mai pensato a te in quel senso» li interruppi esasperata.
Entrambi mi fissarono con un'espressione sconvolta, ma gli occhi di Glauco sembravano brillare di un lampo di coscienza «Già» sussurrò come se gli avessi svelato il mistero della vita «Devo solo convincerla a prendermi in considerazione per una futura e seria storia romantica».
Feci una smorfia alle sue parole: l'alcool aveva degli strani effetti su Glauco.
«E io? Enone mi odia! Non le ho ancora detto scusa per averla baciata!»
Mi massaggiai le tempie e per un attimo accarezzai l'idea di alzarmi e tornarmene a casa, ma non potevo lasciare Diomede senza una risposta, così mi decisi a fare qualcosa che ad Enone non sarebbe piaciuto.
«Ok, quando ci troveremo per studiare mi porterò anche lei. Adesso però smettetela di assillarmi!»
Diomede esultò e mi abbracciò, mentre Glauco cantava le mie lodi dall'altra parte del tavolo. In che razza di situazione mi ero andata a cacciare? Enone mi avrebbe ucciso.


La sera dell'ultimo dell'anno chiesi ad Enone se un giorno voleva venire da me a studiare e lei, povera illusa, accettò senza sospettare niente. Mi sentivo uno schifo a mentirle, ma mi ripetei che era per il bene di tutti: suo, di Diomede e soprattutto della mia salute mentale.
Guardarla sorridere e divertirsi era un colpo al cuore, soprattutto perché sapevo che sarei stata io a rovinare tutto.
«Non ti sembra di esagerare?» mi chiese Criseide, seduta accanto a me sul divano. Purtroppo ero stata costretta a raccontarle tutto, perché mi aveva assillato di domande sulla sera in cui mi aveva abbandonato e la prima risposta che le avevo dato – “Vai al diavolo, stronza manipolatrice!” – non le era andata bene.
«Mi odierà!»
«Smettila. Non ti parlerà per qualche ora per la rabbia e poi non ti parlerà per qualche giorno per l'imbarazzo».
«Grazie tante».
«Non stai facendo niente di male. Gli stai solo dando la possibilità di chiederle scusa. Non la stai mica fregando con un appuntamento al buio».
La fulminai «A differenza di qualcun altro, vero?»
«Andiamo, credevo solo che Aiace potesse farti passare una serata diversa. Magari potevi sfogare tutta quella frustrazione repressa che ti provoca Achille. Anche se credo sia meglio sfogarla con lui, che con Aiace» rispose, lanciandomi uno sguardo malizioso che mi fece arrossire.
«Non sono frustrata! E non ho intenzione di sfogarmi con nessuno! Men che meno con uno che non conosco!»
«Non ti agitare, ti ho già chiesto scusa».
Sì, era venuta da me a scusarsi e poi si era messa sul mio computer a cercare il profilo facebook di Achille per sbavare sulle sue foto del mare dell'estate scorsa. Quella maniaca.
Decisi di ignorarla e concentrarmi sulla corsa di bighe che stavano facendo Ettore ed Enea alla playstation. Era un gioco ridicolo e vecchio quanto mio nonno, ma a loro piaceva.
Eravamo a festeggiare a casa di Ettore, la mezzanotte era passata da un pezzo, gli zii se n'erano andati dallo zio Crise con Troilo e Polissena, Deifobo era uscito con i suoi amici e oltre ai miei cugini c'erano soltanto Enea, Andromaca, Enone ed Elena, che però si era imboscata con Paride in camera sua e per fortuna era da almeno un'ora che non si facevano vedere. Anche perché Enone era quasi impazzita a doverli guardare scambiarsi effusioni per tutta la cena. Creusa e Andromaca avevano dovuto trattenermi, prima che spaccassi di nuovo il naso a quel cretino di Paride. Però c'era da dire che, una volta andati via, Enone si era ripresa piuttosto bene e quello mi faceva sperare che poco a poco le stesse passando.
L'imprecazione di Ettore mi distolse dai miei pensieri e mi accorsi che si era di nuovo ribaltato con la sua biga. «Certo che fai proprio schifo» gli dissi con un ghigno.
Lui mi fulminò, mentre Enea se la rideva e tagliava con calma il traguardo, vincendo per l'ennesima volta.
«Voglio la rivincita!» esclamò con foga.
«E' la quinta volta che me la chiedi» osservò Enea, ma non si lamentò quando Ettore tornò al menù di gioco e impostò un'altra partita.
Io scossi la testa e sorrisi ad Enone quando venne a sedersi accanto a noi sul divano.
«Cassandra mi ha letto le carte! E' stata una forza».
«Non dovresti ascoltare quello che dice. Non ci azzecca mai» disse Criseide.
«Però è divertente».
«Non ti dico cosa ha letto a me. Una schifezza completa» aggiunsi io, mentre mi allungavo per prendere il cellulare sul tavolino, che lampeggiava per l'arrivo di un messaggio.
Quando lo aprii, mi ritrovai a fissare i volti sorridenti di Penelope, Tecmessa e Laodamia e una scritta che mi augurava buon anno. Sorrisi, commossa da quel pensiero, ma l'attimo durò poco perché Criseide mi aveva tolto il cellulare di mano e mi si era buttata quasi addosso, allungando un braccio dietro di me per far avvicinare anche Enone.
«Sorridete. E niente smorfie, Bri».
Sorrisi divertita, capendo cosa volesse fare e le lasciai scattare la foto. Quando mi ridiede il telefono scrissi un “buon anno” e inviai la foto e il messaggio a Penelope. Per una volta Criseide aveva fatto qualcosa di intelligente.
«Volete qualcosa da bere?» ci chiese Enone rialzandosi e sistemandosi il vestito.
«Un bicchiere di spumante, grazie» rispose Cri.
«Io niente».
Il mio cellulare vibrò di nuovo, mentre Enone andava in cucina e io aprii la risposta che mi aveva inviato Penelope, mentre, da brava impicciona, Criseide spiava da sopra la mia spalla.
Leggere “Diomede ha gradito la foto” ci fece scoppiare a ridere e non potei fare altro che fotografare Enone a figura intera, mentre rientrava in salotto, e mandare l'immagine a Penelope, prima che lei potesse scoprirmi. Anche se le risate sguaiate di Criseide le fecero alzare un sopracciglio. Prima che potesse chiedermi qualcosa, mi buttai giù dal divano e gattonai velocemente verso la televisione, dove Ettore aveva perso un'altra partita.
«Sei una schiappa» commentai, sedendomi a gambe incrociate, fregandomene del fatto che indossassi una gonna.
Ettore mi lanciò un'occhiataccia e mi buttò il joystick in grembo «Prova tu allora, visto che sei così brava».
«Certamente» risposi con un ghigno e lanciai uno sguardo ad Enea che ricambiò con un sorriso di sfida.
Da quel momento Ettore non riuscì più a giocare perché io ed Enea monopolizammo la playstation e ci sfidammo a tutti i videogiochi disponibili. Scoprii di essere particolarmente dotata in “Viaggio nell'Oltretomba” e negli altri giochi d'azione, mentre ero una vera schifezza nelle corse e in “Olimpiadi”.
«Lancia più in alto quel giavellotto! Così non arriva nemmeno a due metri» mi stava gridando Ettore.
«Taci! So quello che faccio!» Non era affatto vero, ma dovevo almeno fingere di capirci qualcosa per non farmi prendere sottogamba. Anche se Enea se la rideva da una decina di minuti e probabilmente aveva già capito che non avevo idea di che tasti premere. Senza contare che Criseide ed Enone continuavano a distrarmi per farmi fotografie e mi chiamavano e punzecchiavano finché non mi giravo.
«Dai qua!» esclamò alla fine Ettore, strappandomi il joystick di mano e prendendo il comando.
«Due contro uno?» chiese Enea tra le risate «Siete sicuri che basti?»
Ovviamente non bastava, perché Ettore se la cavava meglio in “Olimpiadi” che in “Bigamania”, ma rispetto ad Enea rimaneva comunque un principiante. Nemmeno insieme riuscivamo a batterlo, almeno finché Creusa, stufa che le stavamo rubando il ragazzo, non decise di strappare il joystick di mano ad Ettore e battere Enea in ogni partita.
«Adesso posso riavere quello che mi spetta?» sibilò, afferrandolo per un braccio e tirandolo su dal tappeto.
Lui non fece una piega e si limitò a sorridere divertito «Chi vince prende tutto» disse, mentre veniva trascinato verso la camera di Creusa.
Ettore si lamentò un po', soprattutto per quello che avrebbero fatto di lì a poco, ma poi si stravaccò sul divano insieme ad Andromaca e nessuno dei due ci fu più per il resto di noi. Che poi eravamo rimaste solo io, Cri ed Enone, perché Cassandra ed Eleno erano già andati a dormire da un pezzo.
O meglio, eravamo rimasti solo io, Cri, Enone e il mio cellulare, che mia cugina mi porse con un sorriso malizioso.
«Penelope ti ha mandato una foto. Non ti dispiace se l'abbiamo guardata, vero?»
Fissandola sospettosamente mi ripresi il telefono e aprii il messaggio di Penelope. Quello che mi ritrovai davanti mi fece aprire anche la bocca e gli occhi. Soprattutto gli occhi.
«Dopotutto le cose belle bisogna condividerle» continuò lei divertita.
Io nemmeno le risposi, troppo sconvolta per pronunciare una sola parola.
Sul mio schermo, l'immagine di Achille in canottiera, con i capelli umidi e lo sguardo concentrato rimase illuminata in alta definizione.
Altro che le foto del mare, quella era decine di volte meglio, accidenti. Dannata Penelope.


Pochi giorni dopo Capodanno, prima che cominciasse di nuovo la scuola, mi ritrovai seduta al tavolo della mia cucina con Enone e i libri di storia davanti. Stavamo aspettando Diomede – non che lei lo sapesse, visto che le avevo detto soltanto che ci sarebbe stata un'altra persona oltre a noi – e io avevo una paura terrificante del momento in cui si sarebbe resa conto che l'avevo imbrogliata.
Quando il campanello suonò, balzai in piedi, fiondandomi ad aprire. Il saluto troppo allegro che avevo sulle labbra si gelò non appena i miei occhi incrociarono quelli azzurri di una persona che non era Diomede.
«Che diavolo ci fai qui?!» esclamai facendo un passo indietro.
«L'ho invitato io» mormorò Diomede, agitato il doppio di me, mentre guardava nervosamente alle mie spalle «Lo so che l'hai fatto per me, ma non potevo stare da solo con lei!» sussurrò con forza.
«Ma perché proprio lui?» gli chiesi disperata, cercando di non guardarlo.
«C'è anche Patroclo» mi indicò alle loro spalle, dove intravidi il sorriso gentile dell'unica persona che in quel momento avrei fatto entrare volentieri.
«Ciao» mi saluto lui, con una tranquillità che non aveva nessun altro.
«Ci fai entrare?» domandò Achille, appoggiandosi allo stipite della porta.
Stringendo le labbra mi feci da parte, proprio mentre Enone si affacciava dall'ingresso della cucina.
«Tutto bene, Bri? Cosa- oh» si irrigidì appena, quando i suoi occhi si posarono su Diomede. Lui fece un passo verso Patroclo, che si schiarì la gola e gli diede una leggera gomitata, spingendolo in avanti.
Stavo per chiedergli cosa aveva in mente di fare, quando Diomede, impulsivo come al solito, si avvicinò velocemente ad Enone, che invece fece un passo indietro, ed esclamò «Scusa se l'altra volta ti ho baciato!» il tutto guardando un punto non definito sopra la sua testa.
Enone arrossì immediatamente e io mi trattenni dallo sbattermi una mano in faccia, cosa che invece non si preoccupò di fare Patroclo.
«E?» lo esortò Achille, facendolo sobbalzare e affrettarsi a sfilare lo zaino e tirare fuori una scatola di cioccolatini della pasticceria in centro, dove ci eravamo incontrati la prima volta.
«Questo è per scusarmi! Se non ti piacciono puoi anche prendermi a pugni! Anzi, puoi prendermi a pugni anche se ti piacciono! Perché sono solo un-».
Prima che Diomede potesse finire di insultarsi, Enone lo interruppe prendendogli di mano la scatola e ringraziandolo con un lieve sorriso imbarazzato.
«N-non ti preoccupare, me n'ero già dimenticata».
Evitai di dire che non era vero, perché se non altro la questione era sulla buona strada per risolversi senza ulteriori drammi, e spinsi tutti in cucina.
«Ok, siamo qua per evitare di far prendere un'insufficienza a Diomede alla prima verifica, quindi nessuna distrazione» esclamai, togliendo di mano ad Enone i cioccolatini e posandoli sul banco della cucina.
«Scordatelo, io sono qua solo per fare i compiti di storia. Non me ne frega un cazzo dei voti di Diomede».
«Sei proprio senza cuore! E io che ti ho pure invitato!»
Patroclo alzò gli occhi al cielo e li interruppe prima che potessero cominciare a discutere. «E' meglio se cominciamo. Briseide ed Enone ci hanno già aspettato a sufficienza».
Entrambi si zittirono e tirarono fuori i loro libri, non mancando di lanciarsi un'ultima occhiataccia.
Anche se Enone aveva un programma diverso, riuscimmo a lavorare tutti insieme senza problemi e ci misi davvero poco a fare tutti gli esercizi del capitolo, soprattutto da quando Enone, una volta finiti i suoi, si prese in carico l'istruzione di Diomede, che continuava a farci rallentare e perdere tempo con le sue domande poco opportune, tanto che Achille si era trattenuto a stento dal strozzarlo.
Fu mentre discutevamo del modo migliore per fare uno schema comprensibile a quella testa vuota di Diomede, che una chiave girò nella serratura della porta d'ingresso e le voci dei miei genitori riempirono l'appartamento, facendomi gelare. Ero convinta che sarebbero rientrati per cena ed era per quel motivo che avevo invitato Diomede ed Enone proprio quel giorno, perché far vedere a tutti come i miei si comportassero ancora da fidanzatini era terribilmente imbarazzante. Ma ovviamente i miei avevano avuto la bella pensata di tornare prima e Diomede di invitare anche Achille e Patroclo.
Feci una smorfia quando si accorsero della gente intorno al tavolo della cucina.
«Oh Briseide, non sapevamo che avevi ospiti! Ciao, Enone» disse mia madre, scrutando tutti quanti.
Certo che non lo sapevate, non ve l'ho detto apposta.
«Stiamo solo facendo i compiti di storia» risposi, mentre loro si toglievano i giubbotti «Ma abbiamo quasi finito». E tra poco se ne andranno da questa casa di pazzi.
«Di già?» chiese mio padre «Perché non vi fermate per cena?»
Enone mi lanciò uno sguardo solidale, quando si accorse del panico che stava sorgendo dentro di me.
«Non ci presenti?» domandò mia madre, guardandomi con uno sguardo che non mi piaceva.
«Loro sono Patroclo, Achille e Diomede. Loro sono i miei genitori» borbottai velocemente.
Si scambiarono i soliti convenevoli e strette di mano e dopo cinque minuti me li ritrovai sicuri ospiti a cena, perché a mia madre non potevi mai dire di no.
«Allora siete i nuovi compagni di classe di Bri» stava dicendo lei, mentre affettava le verdure aiutata da tutti e tre. Nonostante l'imbarazzo, avrei voluto scoppiare a ridere e scattare una foto, perché non era cosa di tutti i giorni vedere Achille, Diomede e Patroclo affettare verdure seduti intorno ad un tavolo con mia madre. Ma l'assurdità della cosa e il fatto che stessi sbaccellando i fagioli insieme ad Enone me lo impedì.
«Sì, siamo anche seduti tutti vicini» rispose Patroclo, completamente a suo agio, mentre Diomede spiava il lavoro di Achille cercando di imitare quello che faceva.
«E com'è la mia Bri nella nuova scuola?»
Patroclo esitò, non sapendo cosa rispondere. In effetti non mi comportavo sempre benissimo e l'avere quei tre vicino non aiutava a concentrarmi, ma era meglio se mia madre non l'avesse saputo. «Forse dovrebbe chiederlo ad Achille, visto che è il suo compagno di banco».
Achille alzò la testa quando sentì pronunciare il suo nome, ma gelò sotto lo sguardo curioso di mia madre. I nostri occhi si incrociarono per un istante e lo fulminai, cercando di fargli capire di fare attenzione a quello che stava per dire. Altrimenti si sarebbe trovato un coltello piantato in mezzo alla fronte.
«E'... attenta» si limitò a dire, procurandosi un sorriso soddisfatto da mia madre.
«Ma è anche insopportabile, vero? A volte sa essere così rigida... Non so proprio da chi possa aver preso».
«Mamma!» esclamai esterrefatta, mentre quei quattro traditori scoppiavano a ridere.
«Oh, andiamo, lo sanno tutti che non sei estroversa come me e tuo padre. Sei una testarda, impulsiva e a volte anche violenta» ribatté lei.
«Grazie, mamma, davvero» borbottai. Non ti potevi neppure fidare più dei tuoi genitori. Poteva direttamente dire che facevo schifo ed ero lo scarto della società, o che mi avevano adottata e non ero nemmeno imparentata con loro. Il ché, a pensarci bene, non era nemmeno un grande dramma.
Però lei non lo fece e mi strinse con un braccio, lasciando perdere le verdure e facendomi affondare la faccia nel suo seno «Ma sei lo stesso la mia adorabile bambolina!» esclamò allegramente.
Ormai il mio livello di imbarazzo aveva superato il punto massimo da un bel pezzo, per cui mi limitai a divincolarmi e sfuggire dalla sua presa, con il volto rosso come un peperone. Lei mi strizzò le guance e dovetti tirare un calcio sotto il tavolo a Diomede per farlo smettere di ridere.
«Vero che è adorabile?» chiese mia madre al resto della stanza «Scommetto che a scuola fai strage di cuori».
A quelle parole fu il mio, di cuore, a iniziare a battere come un tamburo e, se possibile, arrossii ancora di più, guardando ovunque tranne che nella direzione di Achille. Ci mancava solo che mia madre venisse a conoscenza del Fattaccio, una delle poche cose che mi ero premurata di nasconderle.
«Non ne ha idea!» esclamò Diomede e, come se quello non bastasse, diede di gomito ad Achille e aprì di nuovo quella boccaccia «Vero?»
Achille non cambiò espressione, ma si limitò a pestare un piede a Diomede – non che l'avessi visto, ma potevo immaginarlo data l'espressione di quel pettegolo – e fare un sorriso soave a mia madre, che fece passare lo sguardo da me a lui e poi ridacchiò.
«Oh Briseide, potevi dirlo subito che Achille è il tuo ragazzo, non c'è bisogno di vergognarsi!».
E se Diomede scoppiò di nuovo a ridere e Patroclo ed Enone cercarono inutilmente di non seguirlo a ruota, io avrei voluto solo sotterrarmi, mentre incrociavo lo sguardo divertito del mio presunto ragazzo. Perché diamine credevano tutti che stessimo insieme? Non ci parlavamo quasi!
«Oh, aspetta che lo sappia tuo padre!»
«Non c'è niente da sapere!» esclamai imbarazzata, cercando di frenare quella pazzia momentanea «Non stiamo insieme per davvero!»
Mia madre mi guardò con la bocca imbronciata «No?»
«Stiamo insieme per finta» disse Achille ironico.
«Non stiamo insieme, punto e basta!» esclamai fulminandolo.
Lui però si sporse sul tavolo verso di me «E' divertente come continui a negarlo».
«E' divertente come continui ad illuderti! Non mi hai mai chiesto niente, o sbaglio? Hai fatto tutto da solo!».
«Perché, vuoi che te lo chieda sul serio?»
«No!»
«Ehm, chi vuole qualcosa da bere?» domandò mia madre ad alta voce, interrompendo la nostra discussione. Mi tappai immediatamente la bocca, ma continuai a fissare Achille, mentre gli altri si affrettavano a chiedere qualcosa per riempire quel silenzio. Dopo pochi istanti, lui distolse lo sguardo e chiese con cortesia un bicchiere d'acqua. Io mi imbronciai e tornai alla mia porzione di fagioli, seguita presto da Enone, e tutti tornarono a chiacchierare come se niente fosse.
Sapevo per certo che mia madre mi avrebbe chiesto spiegazioni, una volta che gli ospiti se ne fossero andati, ma non avevo idea di cosa dirle. Achille mi ha baciata più volte contro la mia volontà, ha detto a tutti che sono sua e mi ha obbligata a trasferirmi nella sua scuola? Perché quella era solo una parte della verità e l'ultimo punto non era nemmeno del tutto corretto; in realtà, potevo praticamente considerarlo una specie di amico, per cui avevo una leggerissima cotta che riguardava i suoi occhi, la sua voce e i suoi addominali, ma quello non significava certo che gli sarei caduta tra le braccia come una pera. Avevo una mia dignità da difendere e Achille non era la persona giusta per me.
Mi arrischiai a guardarlo da sopra la scodella di fagioli: stava tagliando una zucchina e sorrideva divertito mentre mia madre raccontava una vecchia storia, i suoi occhi azzurri brillavano e la sua mascella era coperta da un velo di barba bionda.
Sentii il mio cuore stringersi e un groppo formarsi nella gola, perché, diamine, io gli piacevo davvero. Era impulsivo, irascibile, geloso e arrogante; non ci eravamo conosciuti nel migliore dei modi e dava sempre tutto per scontato. Ma era anche lo stesso ragazzo che ascoltava ogni cosa gli dicessi, che mi faceva copiare in classe, che mi accompagnava sotto la pioggia a prendere i miei cugini più piccoli, che mi sorrideva e mi stava vicino quando ne avevo bisogno, che mi faceva battere forte il cuore e mancare il respiro, come mai mi era successo prima, che aveva detto che aveva una cotta per me e che, cavolo, di sicuro sarebbe venuto sotto il mio balcone con un mazzo di rose rosse, se solo gliel'avessi chiesto. E fu quella consapevolezza, che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avessi chiesto, che fece crollare tutto. Perché se qualcuno era disposto a fare di tutto per te, anche qualcosa che normalmente non avrebbe mai fatto, significava che ti amava davvero.
Non riuscivo a concepire il fatto che Achille amasse me. Avevamo solo diciassette anni, continuavo a rifiutarlo e rispondergli male; non gli avevo mai concesso niente, nemmeno un'occasione, eppure lui continuava a volere me. Per quanto ancora sarebbe durato? Il tempo necessario perché anche io mi innamorassi di lui? O sarebbe tutto finito prima ancora di cominciare?

La mia risposta la ebbi dopo cena, al momento dei saluti, quando Achille si chinò su di me e mi sussurrò all'orecchio «Prima o poi te lo chiederò sul serio. E voglio un sì come risposta».
E sperai, prima o poi, di riuscire a darglielo, quel sì che anche il mio cuore aveva cominciato a volere.

 

 

 

 

 

 

A/N: Ebbene sì, il nuovo capitolo. E anche a tempo di record, per i miei standard!
In questo capitolo non succede poi molto, per quanto riguarda Achille/Briseide (a parte la scena finale), però Diomede compare praticamente quasi quanto Briseide e per me va bene lo stesso!
Più seriamente, per quanto riguarda le note: ci troviamo durante le vacanze di Natale (anche se dal prossimo torneremo di nuovo a scuola); "Viaggio nell'Oltretomba" è un videogioco stile sparo-qua-e-là, zombie e chi più ne ha più ne metta, il tutto attraversando l'Ade (che non posso chiamare Ade perché Ade è già un personaggio), mentre "Olimpiadi" è chiaramente un gioco di sport e "Bigamania" una specie di Formula Uno, ma con le bighe.
Per quanto riguarda il resto, mi sembra di far fare a Briseide sempre la parte della vittima, senza volerlo: prima Enio, poi Achille, poi Agamennone e infine Aiace. E il bello è che avrei voluto evitare di farle fare la donzella indifesa, ma mi vengono in mente solo scene del genere (tranquilla, Bri, prima o poi ti faccio picchiare qualcuno).
La scena con Diomede e Glauco si riferisce alla loro storia nell'Iliade, ovvero, mentre si stanno per affrontare in battaglia, scoprono che sono legati da vecchi vincoli di ospitalità e decidono di non sfidarsi, ma di scambiarsi come dono le armi.
Poi, siccome non ci sono abbastanza coppie crack, ecco sbucare una Glauco/Iliona che non è mai esistita.
Infine, che altro dire? Temo di essere andata un po' troppo veloce con questo capitolo, soprattutto nella parte finale, e di non aver affrontato bene alcuni argomenti, ma mi è venuto un colpo di ispirazione e ne ho approfittato. Inizialmente i genitori di Bri non dovevano nemmeno esserci, ma invece sono arrivati e poi doveva essere tutto più divertente e invece sono finita sul sentimentale. Ma ormai quello che è scritto è scritto.
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto, lasciato un commento e inserito la storia in una delle liste. Grazie!
Spero vi piaccia e spero di sentire cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo!

   
 
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