Spero che siate sopravvissuti
tutti (in un modo o nell’altro) al quasi primo mese di scuola dopo Natale. In
ogni caso io sono qui a divertirvi con un nuovo capitolo di questo parto della
mia follia.
Ma prima rispondo ai
commenti:
@Rakyr il Solitario: Già,
Aragorn è forte, però qui avrà solo una particina.
@stellysisley: Ma certo,
scusa, come vuole la tradizione dei Dunedain!
@Suikotsu: Sì, i nomi li ho
inventati io (ti pare che Tolkien si sarebbe mai abbassato a simili
livelli???). La parte di Melania ti era piaciuta?
@evening_star: Una nuova
lettrice (anzi, nuova commentatrice)! Ti perdono tutto, purchè tu perdoni me
per quella nefanda introduzione (non vorrei averti offesa, nel caso tu fossi
una del primo gruppo). Ma no, Boromir non lo odio proprio, penso solo che sia
un po’ (tanto) cretino. Poi ovviamente qui sono tutti cretini, quindi...
Imlelil
Legolas camminava sulla
strada sulle palafitte oltre la barricata. Si stava giusto chiedendo perchè mai
ci fossero quelle guardie così poco svelte e quell’alto sbarramento, quando
arrivò in uno spiazzo molto largo. Se lo ricordava: era la Piazza dei Mercanti
Avvinazzati. A destra si trovava il lago e a sinistra la taverna del Totano
Ciucco. Era attraversata da una delle vie principali, inizialmente dedicata a
Elendil, il grande re di Gondor, ma poi si cambiò il nome, troppo lungo a causa
della sfilza di antenati che dovevano comparire sulla targa secondo gli eredi
del monarca. Così ora si chiamava Via Bard, che era il nome dell’eroe che aveva
ucciso il drago Smaug alcuni anni prima e che non era così tanto interessato a
tutti i suoi antenati, a eccezione di Girion, l’antico re di Dale. E comunque
non aveva voluto quel nome sulla targa e quindi il governatore aveva deciso di
intitolarla così, mettendoci la data di nascita e di morte di Bard, anche se
era ancora vivo. Nonostante le proteste del re di Dale, il governatore aveva
stabilito che così sarebbe rimasto e che si sarebbe cambiato solo dopo il suo
decesso. Forse era per questo motivo che Bard non veniva spesso a
Pontelagolungo, ma ufficialmente era perchè aveva troppo da fare.
Legolas guardò verso la taverna
e rimase sbalordito nel vederla completamente ridotta in rovina. L’insegna,
raffigurante un calamaro che teneva in una mano, pardon, in un tentacolo una
fischetta di vino e che aveva uno sguardo vacuo negli occhi, si trovava per
terra a due passi dall’elfo. Tutte le finestre erano spaccate e i frammenti dei
vetri erano sparpagliati nella piazza. Insieme ad essi si trovavano per terra
sedie e tavoli rotti, piatti e bottiglie in frantumi e cittadini e guardie
storditi e ricoperti di bernoccoli e lividi. La porta era chiaramente
scardinata, stava soltanto appoggiata sullo stipite. Parte dei muri laterali e
del tetto erano sfondati. Regnava un silenzio di tomba. Legolas era molto
perplesso.
“Chi può aver fatto una
simile cosa? Un gruppo di nani ubriachi? No, ora starebbero gridando le loro
canzoni da ubriaconi. Allora chi?... Beorn? Speriamo che ora si sia calmato, ma
in ogni caso che cosa ci farebbe qui?”
Visto che i suoi ragionamenti
non lo portavano da nessuna parte e che voleva sapere chi aveva distrutto una
delle sue taverna preferite, decise di entrare. Si avvicinò alla porta, la
aprì, o meglio la sollevò, e la spostò di lato. Fece un passo dentro il locale
devastato. Tutti i tavoli e le sedie erano rovesciati o distrutti, così come le
bottiglie e le lanterne. Il lampadario era crollato sul pavimento sfondandolo e
facendo un grande buco da cui si vedeva l’acqua. Insomma, era uno scenario
davvero desolante. Ma Legolas non potè osservarlo subito per bene perchè
dovette gettarsi a terra per schivare una bottiglia che si infranse contro il
muro.
“Siete venuti con i rinforzi,
eh? Quanti siete? Vi avverto che, se non siete almeno venti, io non mi muovo da
qua!” gridò una voce allegra da dietro il bancone.
“Non sono una guardia degli
uomini del lago, sono un elfo!” rispose Legolas alzandosi da terra.
“Certo, e pensi che ti creda?
E quale sarebbe il tuo nome?”
“Beh, io sono...” Ma in quel
momento saltò fuori dal bancone una figura alta e minacciosa. Veloce come un
lampo, si lanciò contro Legolas e tirò un tremendo maglio destro. Ma lui si
gettò di lato con un grido e non si prese quella botta tremenda. Subito lo
sconosciuto si voltò e lo afferrò di scatto con la mano sinistra alla spalla
destra. Alzò di nuovo il pugno, ma in quel momento i loro occhi si incontrarono.
“Per mille risse! Legolas!”
“Per mille foglie! Imlelil!”
Infatti era proprio Imlelil,
il terzo compare di Legolas, quello che sapeva scrivere, ma adorava le risse,
per capirci. Era un elfo poco più basso del principe, aveva i capelli più corti
e leggermente più scuri ed era vestito certamente in maniera più semplice, cioè
indossava solamente delle braghe e una giacca sopra una camicia e non aveva nè
mantello nè nessuno di quei vestiti lunghi a strascico che erano soliti portare
gli elfi come Berlond, ehm, volevo dire Elrond.
“Cosa ci fai da queste parti,
Legolas? Non mi aspettavo di incontrarti. Ma sono felice che tu sia qui: un
aiuto può sempre servirmi!” disse Imlelil abbracciando felice Legolas “Andiamo
a sederci, così mi racconti.” E andarono verso il bancone. Cercarono due
sgabelli ancora intatti e si sedettero.
“Non c’è molto da
raccontare... Due giorni fa stavo tornando a casa per la Festa del
Ringraziamento con un uomo e un nano...” iniziò Legolas.
“Un nano? Da quando frequenti
quella gentaglia? A Gran Prigione cosa ti stanno insegnando?” esclamò stupito
Imlelil.
“Credimi, se fosse stato per
me non avrei mai fatto la strada con lui, ma, a quanto pare, dovevamo fare lo
stesso percorso. Quindi purtroppo sono stato costretto a sopportarlo. E, come
se non bastasse, si è mangiato un intero panino in cui avevo nascosto le
foglie!”
“Ha, ha, ha! Che cretino! A
proposito di pane, è quasi mezzogiorno. Vuoi fare uno spuntino?” chiese l’altro
elfo tirando fuori da una tasca alcuni piccoli pan di via.
“Grazie, ma ne ho ancora un
po’ del mio, senza ripieno, s’intende. Piuttosto, potresti cercare una
bottiglia di vino ancora intera?” rispose Legolas prendendo il suo lembas
(altro nome del pan di via) dalla tasca nel mantello. Mentre Imlelil si alzava
e andava a frugare fra i cocci sui ripiani e sotto il bancone, il figlio di
Thranduil riprese a parlare:“Poi siamo arrivati a Bosco Atro e lì ci è venuto
incontro Adrenalin per darmi una lettera che diceva che a casa mia si
festeggiava la Festa del Ringraziamento, ma era stata scritta da Araldin e
perciò non c’ho capito assolutamente niente! Così, dopo che il nostro amico
ubriaco se ne è andato, siamo arrivati a casa mia e mio padre e mia madre ci
hanno costretti ad aiutarli nei preparativi. Sono riuscito a parlare con
Araldin che mi ha detto che tu eri qui a picchiarti con il figlio del
governatore.”
“Già, ma purtroppo lui non
c’è più: l’ho steso quasi subito e i suoi amici l’hanno portato via privo di
sensi. Ti va bene questo vino?” domandò Imlelil sbucando da sotto il bancone
con una bottiglia di rosso e due bicchieri.
“Sì, versa pure.” Legolas
bevve insieme al suo amico, poi mangiò un po’ del suo pane e coninuò:“Alla fine
siamo scappati e siamo giunti alla diga, ma lì quell’idiota dell’uomo ha fatto
capire a Digas che ho lasciato sua sorella e ha rischiato di farci ammazzare da
quei tre pazzi. Poi io e lui abbiamo seminato il nano mentre correvamo e non
l’ho più visto.”
“Oh, bene! Ma vai pure
avanti!”
“Stamattina ho insultato non
so bene come l’uomo e quello ha cominciato a inseguirmi minacciandomi di morte.
Sono arrivato qua a Pontelagolungo circa un’ora fa e sono andato da Melania, ma
sono dovuto scappare quando è arrivato suo padre. Mentre scappavo, mi ha
raggiunto anche l’uomo e sono riuscito a sfuggire ad entrambi. Infine ho
saltato le guardie e la barricata, sono arrivato qua e tu hai cercato di
cambiarmi l’assetto facciale.”
“Pensavo che fossi un’altra
delle guardie che vengono da ieri a cercare di arrestarmi.” si scusò Imlelil
mentre mangiava il suo lembas.
“Ma cosa ci fai tu qui? Che
cosa è successo alla locanda?” chiese Legolas, anche se pensava di sapere la
risposta.
“Beh, ieri l’altro di sera
ero venuto qua con Adrenalin per farci una bella bevuta siccome lui doveva
partire per Rohan per ritirare gli incassi e non ci saremmo visti per un po’.
Stavamo brindando allegramente alla salute delle guardie di frontiera che non
riescono mai a prenderci quando è entrato il figlio del governatore. Allora
l’oste gli è venuto incontro e gli ha detto che gli faceva un grande onore con
la sua visita nella sua umile taverna e mille altri salamecchi del genere. Poi
gli ha dato il tavolo migliore e gli ha anche promesso uno sconto sulle sue
consumazioni. Adrenalin mi ha guardato deciso e mi ha detto:- Shai cosha gli fascio
a quel bellimbushto? Adescio lo prendo, lo avvolgo in un tappeto e lo butto
sgiù da un ponte! Uha, ha, ha, ha!!!- Io ho cercato di fermarlo, ma lui si è
alzato e ha spaccato la sua bottiglia di vino in testa al ragazzo. Poi ha
chiesto all’oste se aveva un tappeto, ma in quel momento tutti gli sono saltati
addosso per quello che ha aveva fatto. Sebbene controvoglia, dopo aver svuotato
il mio bicchiere, ho sollevato il mio tavolo e l’ho tirato addosso agli uomini
che avevano immobilizzato Adrenalin. Lui ne ha approfittato per scappare, dopo
aver rubato un’altra bottiglia di vino, ma io non ho potuto perchè l’attenzione
si era rivolta su di me. È scoppiata una rissa tremenda che è andata avanti
fino al mattino di ieri. Ti risparmio i particolari cruenti, ma ti basti sapere
che ho steso tutti quelli che non sono scappati subito a cercare rinforzi. Poi
li ho buttati tutti fuori, compreso l’oste, e mi sono seduto sul bancone per
riprendere le forze un attimo mangiando il lembas e bevendo qualche bottiglia.
Ma a quel punto è iniziato il bello: sono arrivate le guardie per arrestarmi.
Allora sono saltato dal bancone e mi sono appeso a una trave del soffitto. Da
lì ho tagliato i sostegni del lampadario che è crollato colpendo una parte dei
soldati e facendoli cadere nel lago attraverso il buco che si era formato per
il colpo. Vedi, è quello lì.” e indicò lo squarcio nel pavimento “Poi ho
spezzato con un’ascia presa dai soldati una colonna portante dall’alto e ho
fatto crollare il tetto su un’altra parte degli uomini che volevano catturarmi.
I restanti sono scappati in preda al panico portandosi via i feriti. Nel
pomeriggio sono tornati con dei rinforzi. Li ho respinti fino a tarda sera
lanciandogli addosso tutto quello che mi capitava sotto mano, perfino l’insegna
della taverna. Poi hanno cercato di prendermi dal lato facendo un buco nel muro
là a sinistra, ma io ho rotto gli ultimi sostegni e così la parete gli è
crollata addosso, facendoli finire nel lago. Dopo non mi hanno più disturbato,
si sono limitati a costrutire forificazioni per impedirmi di scappare. Ma
ovviamente non basterebbero due barricate a intrappolarmi, se non fossi io che
voglio vedere quanto tempo ancora quei cretini cercheranno di prendermi! Ha,
ha!” concluse Imlelil cominciando a ridere.
“Credo che adesso sia meglio
fuggire, in ogni caso. Ho sentito che il governatore sta radunando tutti gli
uomini abili per arrestarti una volta per tutte.” lo informò Legolas.
“Oh, che peccato! Va bene,
andiamo. Almeno stavolta non si potrà dire che il principe Verdefoglia e i suoi
compari distruggono sempre le taverne dopo le risse, perchè, come vedi, questa
è ancora in piedi.” disse l’altro elfo. Legolas scosse la testa pensando che
sarebbe bastato un soffio di vento a buttar giù l’edificio in cui si trovavano.
Così si alzarono dagli sgabelli, attraversarono il pavimento facendo attenzione
a non cadere nel buco e sollevarono la porta per uscire. Quando furono fuori,
Imlelil si girò un attimo per guardare la taverna del Totano Ciucco. Una
lacrima gli scese attraverso la guancia. “Quante risse e quante sbronze ho
fatto là dentro! Sob! Chissà se ne potrò fare ancora?”
“Smettila di fare il
sentimentale! Ora andiamo di qua, verso Nord. Al porto prenderemo in prestito
una barca, poi sbarcheremo più su e andremo ciascuno per la sua strada. Tu
andrai a cercare Adrenalin per vedere che non si sia messo in qualche guaio, io
farò perdere le mie tracce...”
“E poi andrai da Melania,
eh?” chiese Imlelil ammiccando.
“Insomma, sono fatti miei o
no?” domandò Legolas sbuffando.
“Come no? Però poi ci penso
io a salvarti dai genitori e i fratelli infuriati!”
“Senti, è vero che mi hai
aiutato un po’ di volte, ma non vorrai contare anche quella volta a Rohan...”
“Certo che sì! Ho anche
rischiato di farmi calpestare da un cavallo! Quindi sono ben 236 le volte che
ti ho salvato!”
“Ma tieni anche il conto? Che
cosa vuoi? Che ti paghi?”
“No, vorrei che mandassi
qualcun altro sulle tracce del nostro amico sempre ubriaco. È praticamente
impossibile cercare di capire dove potrebbe essere!” esclamò Imlelil.
“Ma sì, sarà andato a
stordire qualcuno, ad avvolgerlo in un tappeto e buttarlo giù da un ponte.
Basta che lo aspetti sul ponte del fiume Selva e lui verrà da sè.” rispose
Legolas “E adesso muoviamoci!”
Mentre loro parlavano,
qualcosa si avvicinò dall’acqua alla palafitta. Si arrampicò su e mise sul
legno della piazza la sua mano che stringeva un bastone preso in acqua e per
questo completamente marcio. Poi salì e si trovò in ginocchio a pochi metri dai
due elfi intenti a parlare. La figura grondante d’acqua si erse in piedi, si
scostò i capelli castani dal viso e alzò la mazza fradicia.
“SEI MORTO, LEGOLAS!!!
IAAA!!!” gridò lanciandosi alla carica. A quell’urlo i due elfi si girarono e
si scansarono appena in tempo per evitare il colpo che si infranse per terra
insieme al bastone.
“Un altro uomo che vuole
botte, eh? Prendi questo!” fece Imlelil e lo colpì alla mascella con un
tremendo gancio destro. L’uomo, colpito in pieno, volò per tre metri e poi atterrò
svenuto.
“E con questa fanno 237, caro
Legolas!” disse accarezzandosi il pugno destro. Il figlio di Thranduil si
avvicinò all’uomo svenuto e lo osservò. Anche se era bagnato fradicio e
leggermente più pulito, si riconosceva facilmente, almeno lo riconosceva chi lo
conosceva.
“No, questa non conta. Non è
un papà o un fratello infuriato! È Aragorn, quell’uomo del Nord che ho offeso
senza accorgermene di cui ti ho parlato.” rispose Legolas.
“Ma che importa, ti ho
salvato o no? Perciò...”
“Attenzione, Legolas figlio
di Thranduil e Imlelil! È il governatore di Pontelagolungo che vi parla! Siete
completamente circondati! Arrendetevi e dovrete solo pagare per i vari danni,
ma non vi sarà torto un capello! Altrimenti farò andare all’attacco tutte le
mie truppe!” tuonò una voce proveniente dalla barricata.
“Ehi, perchè hanno detto il
nome di tuo padre e non del mio?” chiese Imlelil sorridendo.
“Boh, perchè forse il mio
paga.” e aggiunse rivolto verso la barricata “Non pagherò una sola moneta per
una rissa che avete iniziato voi! E inoltre prima dovrete prenderci!”
“È proprio quello che intendo
fare! Avanti, prendeteli!” gridò il governatore, ma nessun soldato si mosse.
“MUOVETEVI, RAZZA DI CODARDI!!!”
“Si muova lei, sor
governatore! Siamo solo in trenta e ce ne vogliono almeno il doppio per fermare
quel mostro e il suo amico principe!” disse un soldato sempre dietro la
barricata. Allora gli uomini cominciarono a discutere animatamente sul come e
sul quando attaccare i due elfi, senza però controllare se gli elfi fossero
ancora là.
“Perchè continuano a
insultare me e non te?” domandò Imlelil un po’ arrabbiato.
“Sarà perchè sei tu che hai
quasi distrutto la taverna!” rispose Legolas e bisbigliò “Ora mentre discutono,
scappiamo, d’accordo?”
“Va bene, andiamo.” Si girarono
e cominciarono a correre, ma ancora una volta un urlo di rabbia costrinse il
figlio di Thranduil a fermarsi.
“MALEDETTO BASTARDO! Crepa,
miserabile donnaiolo!” Bausciòn era appena salito anche lui sulla piazza dal
lago e grondava d’acqua da ogni parte. I suoi baffoni si erano afflosciati
sulla bocca e sul mento e tremava di freddo e di rabbia. Con un ruggito sollevò
la lancia gocciolante e la scagliò verso Legolas. Imlelil, nonostante la sua
grande abilità nel salvarlo, non si mosse. Neanche lui spostò un solo muscolo,
rimase fermo e impassibile. Tutti e tre guardarono la lancia volare, ovviamente
mancare sia Legolas che il suo amico di tantissimo e centrare in pieno la
parete frontale della taverna. Ma la potenza con cui Bausciòn aveva lanciato l’arma
era inversamente proporzionale alla precisione della sua mira e ciò significa
che era stata gettata con una forza incredibilmente grande, poichè aveva
mancato un bersaglio distante solo quattro metri di ben tre metri e mezzo.
Quindi quando colpì il muro, quello scricchiolò in maniera sinistra, ondeggiò
avanti e indietro e cominciò a crollare sulla piazza.
“Oh, no! Scappiamo!” gridò
Legolas e Imlelil fu perfettamente d’accordo.
L’uomo invece non fece in
tempo e la parete di legno cadde rumorosamente addosso a lui e a tutti quelli
svenuti nella piazza. I due elfi fuggirono verso nord, ma subito si trovarono
di fronte un’altra barricata. Alcuni uomini la stavano scavalcando domandandosi
stupiti la causa del frastuono e non appena li videro, puntarono le lance e
intimarono:“Fermi! Chi siete? Che cosa è successo? Cos’era quel frastuono?”
“Ma come, non lo sapete???”
ribattè Legolas con voce dura.
“Ehm, no...” risposero i
soldati un po’ intimoriti.
“E non sapete neanche chi
siamo noi???” domandò Imlelil con lo stesso tono dell’amico.
“No... Ci potreste dire chi
siete?” chiese il soldato più vicino osservandoli e cercando di ricordarsi se
aveva già visto due persone simili.
“Già, chi siamo?” bisbigliò
Imlelil all’orecchio a punta del figlio di Thranduil.
“Sono Turgon, il nuovo
comandante elfico assunto dal governatore, e lui è il mio vice! Più rispetto
quando ci si rivolge a un superiore e al suo luogotenente!!! Quel rumore è il
segnale della carica! Sbrigatevi o l’attacco potrebbe fallire! All’attacco di
corsa o vi affibbierò venti giorni di punizione ciascuno!!!” gridò Legolas
battendo per terra i piedi. Nonostante non sapessero niente di un nuovo
comandante elfo nè di un segnale così strano e rumoroso, le guardie partirono
tutte di gran carriera, atterrite dal pericolo di beccarsi una brutta punizione
mettendo in discussione l’ordine di un superiore che urlava così tanto. Quando
rimasero soli, i due superarono la barricata e ripresero a correre.
“Sono davvero strani gli
uomini: basta fare la voce grossa e subito credono a qualunque cosa e
obbediscono a qualunque ordine. È davvero impressionante il senso di potere che
si prova!” esclamò Legolas.
“Sì, però la prossima volta
lo faccio io quello più importante. Sono stanco di fare il tuo vice! E poi, che
nome sarebbe ‘Turgon’?”
“Boh! Mi è venuto in mente
all’improvviso, mi sembra di averlo sentito in una lezione di Berlond, fra le
centinaia di nomi e soprannomi. Speriamo che non sia ancora vivo questo
signore, perchè non vorrei procurarmi un altro nemico nel caso in cui non
capiscano che ero io e si mettano a cercare uno che si chiama così.”
“Già, sennò dovrei essere lì
a proteggerti anche da lui. Ecco il porto!” esclamò Imlelil perchè erano
arrivati al luogo di attracco settentrionale delle imbarcazioni del Lago Lungo.
Era un porto abbastanza grande e costituito da una lunga banchina da cui
partivano vari pontili. Erano attraccate molte barche che trasportavano beni di
commercio da Dale e soprattutto pesce del lago e perciò c’era un gran puzzo.
Tante persone erano occupate a scaricare le merci e a metterle su dei carretti
o su delle bancarelle per venderle subito lì. Il porto era pieno di gente
insomma, tra quelli che scaricavano, caricavano, vendevano e compravano.
“Come faremo a ‘noleggiare’
una barca? Ci vedranno tutti!” domandò Imlelil facendosi largo fra la folla.
“Non c’è da preoccuparsi,
basterà usare la nostra solita abilità, astuzia e intelligenza per fare un
lavoretto pulito senza che nessuno si accorga di noi, come quella volta che
rubammo tre cavalli a Rohan.” rispose Legolas molto sicuro di sè.
“Ti ricordo che quella volta
ci riuscimmo perchè c’era Adrenalin a distrarre tutti con i suoi vaneggiamenti
da ubriaco. Ma qui non c’è nessuno che possa distogliere l’attenzione di tutti
e permetterci di prendere una barca.” Mentre parlavano, un personaggio di
alcuni capitoli fa si faceva largo tra la folla. Per definirlo si potrebbe
usare l’espressione ‘ombra del passato’, sia perchè certamente apparteneva al
passato di molti, sia perchè sembrava un po’ un’ombra da quanto era magro. Era
un uomo vecchio, esile come un fuscello e magro fino alle ossa, anch’esse assai
sottili. Aveva un po’ di gobba sulla schiena, coperta da un mantello nero che
scendeva fino agli stivali troppo larghi e che aveva anche un cappuccio che
nascondeva completamente il suo volto. L’unica cosa che si intravedeva era una
fioca luce gialla verdognola. Nella mano destra, bianca e scheletrica, teneva
l’impugnatura di un bastone così corto che non arrivava neppure a terra.
Osservava i due elfi
insistentemente, soprattutto quello con tutti i capelli in ordine, e a quanto
pare doveva averlo riconosciuto. Infatti sollevò il bastone e, mentre un lampo
di luce gialla brillava sotto il cappuccio, lo agitò nella direzione degli elfi
pronunciando parole incomprensibili. Ma in quello stesso istante un tizio
piuttosto corpulento lo spinse con una spallata e lui cadde di lato. Perciò
l’incantesimo che stava lanciando non colpì Legolas, invece centrò in pieno un
carretto pieno di pesci poco distante. Ci fu una piccola esplosione e il suo
intero contenuto volò sopra il porto. Tutti guardavano stupiti la scena,
compresi Legolas, Adrenalin e il vecchio stregone, che borbottò qualcosa come “Dannazione, ho sbagliato di nuovo
l’incantesimo! Non doveva esplodere e neanche colpire il pesce!” Passato lo stupore, la gente cominciò a chiedersi
cosa fosse successo. Specialmente il proprietario del carretto era interessato
a scoprire chi aveva mandato in cielo l’intera pesca della mattinata. Scese
dalla sua barchetta e gridò:“Chi è stato? Dov’è quel vandalo maledetto?”
Il vecchio cominciò a
strisciare nel tentativo di allontanarsi inosservato, ma una donna con una
cesta con tre pesci lo indicò dicendo:“Lui! É stato quel vecchio con il bastone!”
“Dev’essere uno stregone!”
fece un signore con una canna da pesca.
“No, è un ladro!” gridò un
giovanotto che stava sfilando il portafogli dalla tasca dei pantaloni dell’uomo
con la canna da pesca.
“A me sembra tanto un evasore
fiscale!” disse un ramingo che portava ricamato sulla manica della giacca la
sigla ATA (“Agenti delle Tasse di Arnor”).
“È un maleducato che spinge
le persone.” suggerì il tizio piuttosto corpulento che lo aveva spinto prima.
“A me ricorda mio zio.”
borbottò un tale.
“È la copia del mio defunto
marito! Ahimè!” si lamentò una vedova tutta vestita di nero con un terribile
nasone.
“È un poveraccio senza un
quattrino, un miserabile senza dignità!” sbottò un barbone che faceva
l’elemosina in un angolo della piazza.
“È un vecchio cretino: alla
sua età fa ancora scherzi così deficienti!” commentò un anziano signore ben
vestito che faceva lo sgambetto a un ragazzo che correva.
“È comunque meglio di quel
fallito di mio marito! Sigh! Me lo aveva detto la mamma!” disse una donnona tirando
un pugnone sul capo del maritino.
“Spero che sia uno che sappia
spiegarmi cosa è successo!” gridò il proprietario del carretto afferrandolo per
il collo e sollevandolo da terra. Nel compiere questo gesto il cappuccio del
vecchio calò giù e tutti videro che indossava una maschera di metallo con due
fori per gli occhi.
“Ho capito chi è: un matto!
Portiamolo al manicomio!” gridò un tizio che camminava sulle mani.
“Io credo che potrebbe essere
il fratello gemello di uno fra i più importanti re della Terra di Mezzo e che
gli potrebbe essere stata messa questa maschera perchè non ci siano guerre
civili nel suo regno.” ipotizzò un signore grassoccio con dei baffoni e folti
capelli ricci.
“Che idea balorda! Ma come
t’è venuta?” gli riposero tutti eccetto il vecchio e i due elfi.
“Volevo farci un romanzo...”
borbottò quello allontanandosi.
“Ehm,
caro signore, sono molto dispiaciuto per i suoi pesci, ma posso spiegare...” disse lo stregone ancora sollevato qualche metro da
terra.
“Bravo, e sarà anche meglio
che ti sbrighi!” sbraitò il proprietario del carretto. In quel momento tutta
l’attenzione della gente era rivolta a quei due e nessuno faceva caso ai due
elfi che confabulavano.
“Imlelil, mi pare di averlo
già visto quel tale, ma te lo dico io chi è per noi: il diversivo che ci
serviva!” bisbigliò Legolas all’amico. Poi salirono con movimenti furtivi sulla
barchetta del proprietario del carretto, staccarono gli ormeggi e salparono del
tutto inosservati. O meglio li vide solo il vecchio stregone che gridò:“Attento! Quei due elfi ti stanno
rubando la barca!”
L’uomo lasciò la presa e si
voltò insieme a tutti quanti soltanto per vedere la sua barca allontanarsi.
“La mia barca!!! Maledetti
ladri!!!” urlò per la rabbia e poi si voltò verso l’incappucciato “Sono tuoi complici
vero???”
“Noooo!
Non sono miei complici, anzi li detesto! Dovreste inseguire loro, non perdere
tempo con me!” rispose cercando di
allontanarsi.
“Che razza di verme
traditore! Accusa i suoi complici pur di salvarsi!” gridarono tutti.
“Prendiamolo!” urlò la donna
con una cesta con tre pesci.
“Catturiamolo!” gridò il
signore con una canna da pesca.
“Borseggiamolo!” esclamò il
giovanotto che aveva sfilato il portafogli dalla tasca dei pantaloni dell’uomo
con la canna da pesca.
“Controlliamogli la
dichiarazione dei redditi!” urlò il ramingo che portava ricamato sulla manica
della giacca la sigla ATA.
“Spingiamolo!” ordinò il
tizio piuttosto corpulento che lo aveva spinto prima.
“Facciamogli uno scherzo
cretino!” propose l’anziano signore ben vestito che aveva fatto lo sgambetto al
ragazzo che correva.
“Bastoniamolo!” gridò la
donnona tirando un altro pugnone sul capo del maritino.
“Ricoveriamolo!” berciò il
tizio che camminava sulle mani.
“Ricaviamo un romanzo dalla
sua storia!” suggerì il signore grassoccio con dei baffoni e folti capelli
ricci.
“No, la cosa migliore è una
soluzione non violenta che accontenti tutti!” sentenziò l’ex proprietario del
carretto e della barca “Uccidiamolo!!!”
E così tutta la folla,
urlando per mostrare che era d’accordo, cominciò a inseguire il vecchio che
scappava a perdifiato. Lui correva e correva incespicando per via del mantello
e degli stivali troppo larghi. Poi si disse:“Un momento! Io sono Atragulaiuniliantauthro-Pant!
Pant!-nounatraono-Puff! Puff!- waìseskolirfrà Rauthr, sì insomma, Alcarin, e
sono uno stregone! Non è decoroso che fugga così! Ora userò un incantesimo di
teletrasporto. Mi funziona quasi sempre e mi porterà in un luogo relativamente
sicuro.”
Agitò il bastone mentre era
ancora in corsa e, sotto gli occhi della gente ancor più sbalordita, scomparve
in una nuvoletta di fumo.
Riapparve molte migliaia di
miglia lontano in una caverna sulle Montagne Nebbiose. Alcarin, dopo aver
ripreso fiato, pensò:“Non
sono riuscito a prendere quel maledetto imbroglione di Legolas! Ma lo troverò!
Oh, se lo troverò! Lo cercherò ovunque vada! Sarò la sua ombra!” Spinto da questi pensieri, gridò:“E QUANDO LO TROVERÒ ME LA PAGHERÀ
CARA!!!”
Dovete sapere, cari lettori,
che è molto importante conoscere il significato delle parole. Se uno vi sfida a
un duello di fioretto, non vuol dire che lui vi voglia sfidare a una gara di
botanica. Allo stesso modo è utile conoscere che cosa significhi la parola
“relativamente”: significa che qualcosa è qualcosa rispetto a qualcos’altro. Ad
esempio, Gimli è basso paragonato ad Aragorn, ma è alto paragonato a... Ops, ho
sbagliato esempio! Beh, comunque avete capito, no?
Perciò Alcarin era in un
posto relativamente sicuro, perchè non c’era nessuna folla inferocita che
voleva ucciderlo. Però la relatività della sicurezza non era legata anche al gridare a voce alta. Infatti dopo che ebbe gridato, la caverna si trasformò
in un luogo relativamente insicuro a causa del fatto che si svegliò la famiglia
di orsi in letargo. Mentre attaccavano Alcarin uno di loro commentò:“Roar moar
broan! Frof ras bon? Moan!” (Traduzione dall’orsesco:“Questo è troppo magro,
deve far schifo come la carne secca di qualche giorno fa! Perchè non ci sveglia
mai qualcosa di più buono? Uffa!”)
Lo stregone non sapeva bene
la lingua degli orsi, ma fuggì comunque a gambe levate (perdendo tra l’altro
uno stivale), poichè aveva intuito che la situazione era decisamente
pericolosa.
Intanto Legolas e Imlelil
navigavano sul Lago Lungo, o meglio, remavano.
“Quindi quel vecchio che ci è
servito come diversivo era uno che non avevi pagato?” chiese Imlelil muovendo
il remo nell’acqua.
“Sì, ma non c’è problema:
stando a quello che mi ha raccontato potrebbe benissimo diventare un nostro
cliente! Da giovane era davvero molto più allegro rispetto ad ora. Comunque se
si ripresenta a Bosco Atro, fagli la mia offerta.”
“Non sarebbe ancora meglio se
facessimo pagare il conto a tuo padre?”
“Meglio di no, credo che gli
arriverà una richiesta di risarcimento spaventosa dopo quello che è successo a
Pontelagolungo!”
“Guarda che la taverna l’ha
distrutta completamente quel ciccione del papà di Melania, non io!”
“Eh, che ci vuoi fare! La
legge è ingiusta. Il governatore dovrà per forza trovare una fonte di
risarcimento e un capro espiatorio o stasera non sarà più governatore. Vedrai
che prenderà un povero cretino che non c’entra niente e lo getterà in pasto
alla folla infuriata.” concluse Legolas.
“Dove andrai ora?”
“A Dale, penso. Dopotutto i
conti con gli abitanti lì sono stati saldati e non hanno motivo di avercela con
me, giusto?” chiese guardando interrogativamente Imlelil.
“Perchè me lo chiedi? Saranno
mesi che non ci metto piede!” rispose offeso “Io invece non ho la minima
intenzione di cercare Adrenalin! È adulto e sa cavarsela da solo!”
“Ti devo ricordare quella
volta ha dato tutta la merce a una famiglia di tassi perchè era così ciucco da
non accorgersi della differenza tra loro e gli uomini del Dunland?”
“Ma anche tu avresti potuto
fare confusione: sono tutti coperti di peli allo stesso modo! E poi non ci
voglio andare, voglio fare quel che mi pare durante queste vacanze, come te!”
“Non è che queste siano le
mie migliori vacanze... Allora dillo ad Araldin di trovare Adrenalin.”
acconsentì Legolas.
“Bene! Allora andiamo a riva,
io devo scendere per tornare a Bosco Atro.”
Girarono la barca con i remi
e si diressero alla riva del Lago Lungo. Imlelil tirò una tremenda pacca sulle
spalle a Legolas e poi scese salutandolo.
“Ah, già: se incontri i
guardiani della Diga, potresti dirgli che sono da tutt’altra parte, in un posto
lontanissimo e sperduto?” domandò il figlio di Thranduil all’amico che
ridacchiò.
“Sì, ma certo. Meglio che li
mandi fuori strada, altrimenti dovrò salvarti la vita la duecentotrentottesima
volta!” rispose ridendo mentre si allontanava sulla riva sabbiosa.
“Uffa! La
duecentotrentasettesima non contava!” gli gridò Legolas, ma ormai era lontano e
non lo sentì. L’elfo prese i remi e ricominciò a navigare sul lago e sul Fiume
Fluente fino ad arrivare l’indomani, dopo aver fatto una tappa a riva durante
la notte, a scorgere la città di Dale all’ombra della Montagna Solitaria quando
il sole iniziava a sorgere.