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Autore: theuncommonreader    08/09/2015    6 recensioni
[Orfeo/Euridice]
Lui, che componeva dall’età di quattro anni, il Mozart del rock, lui e la Musica non avevano più niente da dirsi.
Scritta per l'evento "Winter Is Coming Weekend" indetto dal gruppo FB "We are out for prompt".
Genere: Angst, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tartaro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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the sound of disappearance

WE ARE OUT FOR PROMPT - WINTER IS COMING WEEK 31 AGOSTO - 6 SETTEMBRE

Titolo: the sound of disappearance

Personaggi: Orfeo; Euridice; Giasone. OrfeoEuridice.

Prompt © Marta CrackedActress: Mitologia greca, OrfeoEuridice. Modern AU: Orfeo è una rockstar in declino dopo aver perso la sua musa.

Note: Il titolo è una citazione di Suzanne Finnamore.

[Per correttezza, scrivo che è un poco riveduta dall'originale, nonostante sia rimasta perlopiù identica. Ho solo cambiato qualche parola e l'ordine di un passaggio o due, per rendere il tutto più scorrevole.]


OoOoOoOoOoO

La pressione del bracciolo duro del divanetto in finta pelle contro la nuca si stava facendo dolorosa, ma Orfeo non cambiò posizione. Teneva gli occhi fissi sul pavimento, su una macchia marrone-verdastra che spiccava sulla moquette consunta, resa gialla dalla luce artificiale. Il vecchio orologio a muro ticchettava fastidiosamente dalla parete di fronte, ricordandogli implacabile il passare di ogni secondo.

Presto, lo schermo dello smartphone, abbandonato sul tavolino basso in legno sintetico di fronte al divano, si sarebbe illuminato – l’ennesima chiamata di Giasone, che per l’ennesima volta si sarebbe doverosamente informato sulla sua salute; lo avrebbe esortato e implorato di dimenticarsi il buco di topo in cui aveva deciso di rintanarsi, di raggiungere lui e gli altri nell’hotel a sei stelle dove una camera vuota lo attendeva a braccia aperte, completa di piscina idromassaggio coperta e vista sull’oceano; gli avrebbe raccontato l’ennesima costosa cazzata combinata da uno dei ragazzi, nel goffo tentativo di tirarlo su ma finendo con l’essere il solo a riderci sopra; infine, avrebbe buttato lì qualche frasetta indagatoria sul parto che si stava rivelando la nuova canzone, una gestazione che tardava a concludersi. Troppo.

Gli avrebbe ricordato che erano sotto contratto per un altro album, almeno, e su quella minacciosa nota avrebbe concluso la telefonata, per tornare a spassarsela con – moglie, amante, senza un pensiero al mondo. Orgoglioso di aver fatto il proprio dovere di frontman e migliore amico.

Si passò una mano sul viso, sfregandosi gli occhi.

Ad Orfeo non serviva l’orecchio assoluto per trovare la sfumatura falsa nel suo tono di voce: conosceva Giasone da prima ancora che Medea gli mettesse in testa di essere il figlio spirituale di Mick Jagger, quando i Misterika non erano che gli Argonautika, un gruppo con troppi chitarristi e troppo poco talento che si esibiva per le sole orecchie sorde della nonna di Giasone, nello scantinato di casa sua.

Allora come oggi, era sempre stato consapevole di essere meno un amico e più un’insperata botta di culo per quelle rockstar della domenica che a malapena sapevano leggere uno spartito coi sottotitoli; figurarsi comporre il “rock più sublime dai tempi degli Stones”, come gli ricordavano i caratteri di un rosso urlante bordato di bianco della copertina del giornale che portava il loro nome dalla cornice in equilibrio precario sul cassettone accanto al letto, abbastanza lontana da essere al sicuro dalla sua ira.

Orfeo sorrise quasi ringhiando, pregustando il piacere velenoso che avrebbe provato a sbattere in faccia la verità a quei falliti che vivevano e prosperavano nella sua ombra: non c’era alcuna canzone, né le cose sarebbero cambiate in futuro. Onestamente, non riusciva neanche a vederlo, un futuro, o a concepire di volerne uno.

Lui, che componeva dall’età di quattro anni, il Mozart del rock, lui e la Musica non avevano più niente da dirsi. 

Si sentiva impolverato come la custodia della sua chitarra, che non aveva toccato dal giorno in cui il fattorino, ricompensato con una lauta mancia, l’aveva trasportata su per i quattro piani dell’albergo e sistemata con adorazione nel punto più luminoso della stanza, il posto d’onore. 

Appena si era chiuso la porta alle spalle, Orfeo l’aveva spostata sotto il letto con un piede, senza alcun riguardo per la compagna di più di vent’anni.

Che riguardo aveva avuto per lui il dio della musica, portandosi via la sua ragione di vivere? 

Ognuna delle sue canzoni da cinque anni a quella parte erano state per lei. Erano state lei, l’Euridice che viveva nella sua mente, Euridice coi capelli rosa pallido e le fasi della luna sulla spina dorsale. Erano state il suo rossetto rosso e le sue trecce. I braccialini della fortuna al polso destro, che non levava mai per superstizione. La sua passione per le bolle di sapone giganti, per la pastiera napoletana e il caffè al ginseng. Le diete che aveva iniziato e che non aveva concluso. L’allergia ai pollini, agli acari, ai gatti a pelo lungo.

L’Orfeo che gli aveva tirato fuori chissà da dove –in vita e quando essa aveva preso a spegnersi.

Il cancro era stato un processo lento. Un nodulo al seno, dall’aria del tutto innocua, che se l’era mangiata, rendendola ogni giorno più fiacca, ogni giorno meno lei. I capelli rosa erano caduti a terra come i mazzi di fiori dei suoi fan, che avevano vissuto con loro ogni attimo - pregato per loro, e Orfeo li ringraziava con la musica più dolce che mai gli fosse riuscito di trasporre dalla mente alla carta. 

Gli incassi aumentavano, Euridice si faceva sempre più magra e più stanca.

Ma erano felici, si disse, anche allora. Euridice amava la sua musica. Doveva esser stata contenta di averlo portato all’apice. Felice di lasciargli una sfavillante carriera, al posto dei propri abbracci, dei propri baci.

Ormai, Orfeo poteva solo sognarla: sognava una chitarra fatta delle sue ossa bianche; le corde, i suoi capelli. Sognava di poterla rendere suono, lei che era un corpo morto, il buco nell’anima che gli aveva lasciato il dio della musica, con cui non si poteva contrattare.

Orfeo era secco, prosciugato. Ma, pensò, alzandosi finalmente e ignorando lo schermo illuminato del telefono, aveva un armadietto pieno di alcolici per colmare il suo vuoto.

   
 
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