Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: _Breath    08/09/2015    1 recensioni
-Dafne Valenti?-
Dafne sorrise dolcemente, vagamente intenerita, sentendolo pronunciare il suo nome. A dispetto delle apparenze, Gabriele non era un suo normale coetaneo e non era neppure un deviato mentale come tutti le volevano far credere,ma era qualcosa di più. Un eterno Peter Pan o, magari, un Peter Pan che non aveva avuto la possibilità di crescere, che non era riuscito a varcare veramente il mondo degli adulti.
E lei aveva sempre voluto essere una Wendy.
-Si?-
-Se fossi stato un ragazzo normale, se fossi stato un tuo amico, proprio come quello lì, se non fossi stato un presunto pazzo chiuso da anni dentro uno stupido manicomio e non puzzassi come un cane abbandonato a se stesso in un deserto privo di acqua... Ecco... In quel caso, solo in quel caso, tu usciresti con uno come me?-
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


  Capitolo 2.



     Napoli, 1967. 


Dafne Valenti storse la bocca in un espressione disgustata mentre il suo insegnante di psichiatria parlava e parlava su qualcosa da lei non ben identificato.
Parlava. Dafne sapeva solo che il professor Ruggiero parlava. 
Aveva una grande bocca larga, due baffi enormi e neri ed un vocione fastidioso che le perforava la mente fino a farle venire voglia di urlare. E dentro urlava, Dafne, come probabilmente facevano anche i suoi compagni accanto a lei.
Luca, il suo più intimo compagno di studi, aveva una mano a sorreggere la sua testa bruna, gli occhi socchiusi e impugnava poco saldamente una matita. Probabilmente il suo intento ero quello di prendere appunti, ma non sembrava minimamente propenso a portarlo a termine; continuava, infatti, a disegnare cerchi senza il minimo senso, con una smorfia infastidita a disegnargli le labbra e lo sguardo vacuo.
Dafne, che lo conosceva bene, sapeva che lui aveva sonno. E non era il solo.
Non aveva dormito quella notte e nemmeno la notte prima ancora; ultimamente trascorreva tutto il suo tempo libero chiusa nella sua stanza, con le gambe inrociate e una matita fra le labbra, i capelli legati in una coda disordinata e il trucco sbavato. Doveva studiare, gli esami erano vicini e il prossimo che avrebbe dovuto conseguire sarebbe stato il più difficile di quell'anno. 
Ancora una volta, Dafne si chiese perché mai avesse deciso di intraprendere il ramo della medicina poi, una volta ricordato il motivo della sua scelta, inforcò la testa fra le spalle e sospirò.
Suo padre,era stato lui a forzare e incoraggiare quella sua debole scelta. Michele Valenti era saldamente convinto che essere un medico in quel periodo, in un'epoca non molto distante dalla seconda guerra mondiale, in una Napoli fiorente e frequentata, fosse una buona idea. 
Maledetto uomo, pensò Dafne. Maledetto uomo defunto, fastidioso anche da morto e continuamente presente nella sua vita; se la ragazza continuava a studiare questa ridicola materia che non le piaceva minimamente era senza ombra di dubbio a causa sua. Non lo voleva deludere, per nulla al mondo. 
Dafne sbuffò ancora, annoiata, scossa, frustrata, malinconica; il professor Ruggiero non la degnò minimamente di uno sguardo.  
Era ormai il suo quarto anno di univeristà, l'anno prossimo avrebbe affrontato il quinto anno, ma nonostante tutto Dafne non si era ancora abituata a quell'ambiente maturo e disinvolto che, da qualche anno a quella parte, era diventato il suo mondo. 
Nessuno apparte lei e qualche compagno di corso era veramente interessato alla sua vita; i professori la consideravano unicamente un numero, precisamente un numero da scrivere sul suo libretto. Dafne, il più delle volte, sperava di essere almeno un ventisette... che fosse scritto con una caligrafia tonda e ordinata o spigolosa e disordinata non le importava affatto: cercava solamente la sua laurea, il suo traguardo ancora lontano, per poter finalmente urlare al mondo la sua vittoria.
Per suo padre, per sua madre e per lei. 
Specialmente per lei.
Dafne era una ragazza orgogliosa, testarda e determinata. Se decideva di fare qualcosa, quel qualcosa doveva accadere. 
Non si inchinava mai davanti a niente, che fosse un'imprudente oppositore dei suoi diritti o una difficoltà particolarmente ambigua. 
Qualche volta, quando proprio si sentiva scoraggiata, chinava la testa di lato, picchiettava l'indice destro sul mento e pensava. Pensava, poi pensava ancora. Infine, quando si sentiva pronta, quando finalmente aveva trovato una giusta via di uscita, sorrideva e quel sorriso, glielo dicevano tutti, era come una manna del cielo.
Dafne aveva un sorriso limpido, candido come quello di una bambina; i suoi incisivi non erano puramente perfetti, ma nel complesso il suo sorriso era bellissimo. O forse, a renderlo tale, erano i suoi occhi. 
Occhi scuri, decisamente allungati, a mandorla, ridenti. Dentro quegli occhi era facile perdersi, perché trasmettavano tanta di quella pace e tranquillità che nessuno riusciva a rimanere saldamente ancorato al terreno. Era naturale, automatico ed umano continuare a fissare il proprio riflesso dentro quelle iridi, perché tutto dentro quegli occhi sembrava più bello.
Anche ciò che, forse, in realtà non lo era. 
Dafne, inoltre, era una ragazza totalmente raffinata e la sua eleganza era palpabile in ogni suo gesto. Quando si passava una mano fra i capelli biondi per portarsi qualche boccolo indietro al viso tutti si voltavano a guardarla o forse, più semplicemente, seguivano quelle parole che uscivano dalla sua bocca così piccola e delicata. Aveva una voce dolce, mai squillante e fastidiosa; seppur delle volte tendesse ad urlare troppo o a usare epiteti poco eleganti, nessuno sembrava farci caso. O magari era una cosa che passava tranquillamente inosservata. 
Il professor Ruggiero sembrò riacquistare l'attenzione della classe nell'esatto momento in cui si lasciò sedere sopra la scrivania; il suo fisico asciutto ma per nulla atletico cadde rovinosamente sulla superficie piana in un tonfo degno di nota. 
Luca, divertito, smise immediatamente di disegnare lanciando uno sguardo alla sua compagna sulla destra. Lei ridacchiò, come anche Rachele e Dafne. 
Era un Italia molto tranquilla quella dove vivevano: i loro genitori avevano sulle spalle le memorie di una guerra che avevano ucciso molti dei loro genitori, zii, fratelli. Dafne aveva perso lo zio materno in quella guerra, distrutto da un fuoco amico che proprio sembrava destinare a rovinare la quiete della famiglia Rinaldi.  Nonostante tutto molti dei soldati sopravissuti a quella tragedia erano adesso rinchiusi in quegli ospedali specifici che lei non riusciva proprio a sopportare.
Era destinata ad essere un medico se il suo corso di laurea giungesse al termine, ma nonostante tutto Dafne era molto sensibile a molte cose.
Una di queste erano i manicomi, tanto freddi e spettrali da ricordarle le fossi comuni. C'era qualcosa di osceno, malvagio e fantasma dentro quegli edifici.
C'era qualcosa che non avrebbe mai voluto- e forse dovuto- vedere. 
Ma che, purtroppo, quel corso richiedeva necessario. 
Dafne sapeva che il professor Ruggiero parlava per esperienza quando diceva che molti dei malati ricoverati in quegli ospedali erano  vicini alla morte fisica, forse molto più di quelli che in quel momento si stavano congiungendo con l'amica morte.
Vivere là dentro, a detta del professore, era come essere rinchiusi in un mondo parallelo e solo, senza nessuno pronto a discutere con te della benché minima cosa. Nessuno, eccetto te stesso, era a conoscenza della tua esistenza. 
Molte volte, diceva il professore, i pazienti venivano maltrattati, i loro pranzi erano dimentizzati e le loro cene erano inesistenti ma niente veniva fatto per impedire ciò. Non ancora, per lo meno.
Nessuno, eccetto la paura, era al loro fianco.
I soldati rinchiusi lì dentro avevano gli spettri di chi avevano ucciso, di chi avevano visto morire, a tormentarli per sempre senza mai lasciare loro il tempo di riposare. Sognavano gli occhi dei loro compagni, le loro bocche esangui, il loro spirare verso l'alto. Vedevano i loro arti in cancrena, corpi amputati e poi lasciati in un angolo abbandonati al loro destino una volta morti. 
Sentivano la puzza di morte, cuori che cessavano di pompare sangue, polmoni che inalavno l'ultimo respiro. E poi, infine, quei soldati vedevano bambini orfani, morti anche loro, tristi e disperati. Sognavano bambini che si appoggiavano alle loro gambe, chiedendo loro aiuto, bambini che sarebbero stati destinati ad una morte più veloce di quella che invece poi li spetta. Perchè quei bambini, poi, salteranno in aria insieme alla loro gamba, al loro braccio, nell'esatto momento in cui una bomba finirà loro troppo vicino. E niente, nemmeno il dolore fisico, cancellerà quello morale di aver udito quell'ultimo urlo straziato, invocato, mozzato.
Quei soldati, dice il professore, sono martoriati in eterno dalle loro paure, dai loro ricordi, da loro stessi e da un qualcosa che non avrebbero dovuto vivere. Da qualcosa che, però purtroppo, hanno assaggiato con troppa fatica. 
Oppure vi erano altri pazienti, altre persone, altre anime in pena con storie differenti, sempre diverse ma con sempre lo stesso filo conduttore che era il destino a portarli in un triste manicomio.
Fratelli di orrende vicissitudini.
Il professore narrava queste cose con certezza, con una fitta consapevolezza nei suoi occhi chiari celati dietro un paio di occhiali dalla montatura leggera. Dafne lo guardò a lungo, lo vide stringere le mani in grembo, i denti piccoli che risaltavano dalle sue labbra sottili sotto dei baffi orrendi. Il suo modo di parlare era rigido, freddo, triste.
Guardandolo,Dafne pensò che anche suo fratello o qualche suo caro dovesse essere in quelle condizioni da lui descritte. 
Una fitta al cuore, forse quel cuore che un bambino aveva perso tanti anni orsono, la fece tentennare per qualche secondo. Poi, dopo, solo dopo, solo quando Luca le rivolse uno sguardo familiare e agonizzante, anche lui spaventato da quelle parole, tornò a respirare.
E sorrise ancora, Dafne. 
Sorrise con le labbra, carnose e gentili, ma non con gli occhi. 
Perché quegli occhi a mandorla, belli ed orientali, quella volta rimasero vuoti. 



Dafne guardò la pioggia scivolare lungo il vetro della finestra, lasciando dietro di se una scia umida e retta. Dominata dall'impulso di seguire quel percorso con le dita, fu quasi tentata di aprire la finestra, portare un braccio fuori, e lasciarsi bagnare da quelle calde lacrime del cielo. Poi, però, timidamente, si arrese davanti l'evidenza del clima glaciale che sicuramente vi era al di fuori della sua stanza. 
Era inverno.
Il 13 Dicembre, con precisione. 
Avrebbe tanto voluto vedere la neve scivolare con altrettanta tranquillità sopra il marciapiede che circondava il suo appartamento, eppure non era molto fiduciosa. Viveva a Napoli da sempre, da quando era venuta al mondo, e mai aveva avuto la gioia di assaggiare un fiocco di neve con la lingua. Dafne agognava il momento durante il quale un po' di quella pioggia speciale le avrebbe sfiorato il naso, il palmo delle mani e infine le scarpe di tela. 
Era un suo sogno fin da quando aveva quindici anni e, forse, fin quando avrebbe continuato a vivere in quella città, mai si sarebbe concretizzato. Ma purtroppo era così che la vita andava. 
Con riluttanza Dafne tornò a dedicarsi agli appunti di medicina, seppur la sua voglia di studiare fosse sotterrata sotto quella stessa neve inesistente. 
Sorrise nel momento stesso in cui, con lentezza, si passò una mano dietro il collo e infine dietro le orecchie in una carezza delicata ed intima. Per un solo istante le parve quasi di udire la voce di Luca  ricordale che lo studio non portava a nulla, se non ad una gobba fastidiosa e antiestetica come quella di Leopardi.
Lei aveva riso, di una risata spontanea e genuina, e lui aveva riso con lei perché era sempre un piacere vedere su quel bel volto di donna il ritratto della felicità. Specialmente se si era la causa. 
Aveva un bel sorriso Luca, questo lo sapeva Dafne. Era un bel ragazzo, con i suoi capelli scuri e i suoi occhi verdi, la sua pelle olivastra e sempre abbronzata. Le due fossette che nascevano spontaneamente ogni qual volta che lui sorrideva erano incantevoli, come se queste fossero nate solo per essere due crateri di uno stesso vulcano, precisamente il vulcano degli ormoni di ogni ragazzina in via di sviluppo.
Dafne era sicura che la sua sorellina Beatrice ne sarebbe rimasta incantata e che, probabilmente, avrebbe invidiato quel braccio che in quel momento avvolgeva la sua schiena. Probabilmente si sarebbe invidiata anche lei, se solo si fosse vista ad occhi esterni.
Chiunque avrebbe invidiato quella ragazza che camminava con passo fiero accanto ad un altrettanto bel ragazzo, la postura eretta, le spalle larghe e un libro sotto braccio. Nella tasca dei jeans posteriori di lui fuoriusciva un foglio ripiegato, con qualche disegno privo di senso ai bordi; quello, pensò lei, era sicuramente quel foglio nato nelle migliori intenzioni per prendere appunti dal prof. Ruggiero, ma morto come martire vittima della noia più abissale. E come dargli torto!
Luca la spinse delicatamente dentro la biblioteca, facendola passare per prima, in modo elegante e come un perfetto galantuomo. Dafne lo guardò con un sopracciglio alzato. -Sei diventato tutto un tratto gentile, Luke?- gli domandò, uno sguardo circospetto. 
Lui inforcò la testa nelle spalle, la presa sul libro che andava riforzandosi. -Può darsi.- le rispose- O forse, semplicemente, volevo levarti dalla mia visuale; proprio davanti a te, qualche secondo fa, c'era una ragazza niente male con un altrettanto sedere niente male. Mi farebbe piacere stringere amicizia con loro, sai?-
La ragazza si passò una mano sugli occhi sporcandosi i polpastrelli di nero, segno che quel poco di trucco che si era passata sulle palpebre la mattina prima di uscire era definitivamente crollato. Crollato, esattamente come la sua sopportazione e, contemporaneamente, la sua pazienza.
Nonostante tutto, Dafne falsificò un sorriso.
-Lo so che i tuoi ormoni sono ancora in fase di sviluppo, come d'altronde anche il tuo cervello, ma ti ricordo che io sono una ragazza. E, dunque, sapere quanto frequenti siano le tue erezioni non faranno eccitare anche me per dimostrarti, infantilmente aggiungerei, che la lunghezza del mio membro è superiore al tuo.-
Luca rise divertito, gettando la testa all'indietro con fare esilarante. -Come sei sboccata, mia piccola Daf!- disse dandole una pacca sulla schiena, trattenendosi dallo scendere ancora di più, nonostante fosse sua intenzione. 
Lei gli sorrise ancora con fare angelico. -Non vorrai forse dirmi che ti scandalizzi per così poco, vero? Ti ricordo che siamo laureandi in medicina, quindi queste determinate espressioni non dovrebbero infastidirti. Come neppure il sangue.-
Luca si accigliò per qualche istante, pensieroso ed enigmatico, poi storse la bocca in un'espressione riflessiva che Dafne gli aveva visto addosso solo poche volte nella vita. 
-Non sono affatto infastidito da queste cose e dovresti saperlo bene. Sono interessato, anzi, a tutto ciò che implichi un bisturi e una sala operatoria. Non per niente ho scelto di diventare un chirurgo, non trovi?-
-Veramente io pensavo che tu avessi scelto di diventare un chirurgo per avere l'opportunità di rifare, e dunque anche tastare e vedere, molti seni e molti sederi!-
Luca rise ancora, sempre più divertito. -Oh, anche questo è vero!- acconsentì alzando le mani al cielo- ma questo era prima di diventare maturo. Perché sì, prima che tu possa interferire con il mio strabiliante monologo, io sono maturo!- 
Dafne alzò i suoi scurissimi occhi al soffitto, si passò una mano tra i capelli e si morse le labbra. Non voleva ridere, non poteva ridere, non dentro quella stanza quando ogni minimo rumore veniva interpretato come un inflazione alla  legge pari, quasi, all'omicidio del presidente Kennedy del '63.
Con riluttanza digerì la sua risata, lievemente disgustata dal sapore amaro che aveva. Nello stesso momento Luca si sedette al suo fianco, lasciando strisciare la sedia in moso palesemente rumoroso sul pavimento; qualche studente alzò lo sguardo dai propri appunti e lo trucidò con lo sguardo, ma lui non parve farci caso o forse non volle farci caso. 
Dafne trattenne un ennesimo sorriso nascosto velocemente dietro il suo libro di biologia, largo quasi il doppio di lei. Luca vide quel sorriso e non trattenne uno suo, poi si allungò al suo fianco, quasi sdraiandosi sul tavolo sopra il quale avrebbero dovuto studiare.  Un ragazzo seduto poco distante da loro, su quello stesso tavolo, alzò lo sguardo curioso da quell'altrettanto curioso movimento.
-Tornando al discorso di prima, Daf, oggi mi sono reso conto del tuo tentennamento mentre Secchia spiegava.- 
Secchia, rifletté lei, era il delizioso soprannome con il quale il suo compagno chiamava il Professor Ruggiero quando lui non era a distanza ravvicinata. Il perché lei ancora lo doveva capire.
-Ah, tu dici?- domandò lei con nonchalance cercando di risultare del tutto vaga, ma Luca non si lasciò scoraggiare; la guardò, le regalò un sorriso sfrontato ed annuì.
Dafne prese, da sotto il tavolo, a tormentarsi le mani a disagio mentre, quasi di riflesso, anche le sue labbra subivano la stessa tortura. 
Per un solo istante, forse solo uno, Dafne si guardò veramente intorno studiando attentamente ciò che la circondava. 
Una ragazza stava appena inforcando i suoi occhiali da vista dalla montatura leggera, uno sguardo deciso ma scoraggiato, mentre un ragazzo poco distante da lei chiudeva disperato un libro sul tavolo che riprodusse un fastidioso rumore. Due amiche stavano leggendo una pagina dello stesso paragrafo, stringendosi la mano e cercando di darsi coraggio per affrontare il prossimo esame; dopo una dettagliata analisi, Dafne pensò che dovesse essere quello di anatomia, da lei affrontato solo due anni prima. Ricordava ancora con orrore le notti passate su quello stesso libro, a studiare quei termini e quelle teorie che lei proprio non digeriva. Ma nulla, nemmeno anatomia, sarebbe stata tanto brutta quanto l'esame che avrebbe dovuto affrontare da lì a qualche mese. Forse il peggior esame in tutta la sua carriera di laureanda, in tutta la sua carriera di studentessa.
La maturità?
Oh, che terribile baggianata al confronto!
Lo sguardo della ragazza cadde, quasi autonomamente, senza che lei potesse controllarlo, sul libro accantonato sotto quello di onconologia clinica. Il volume, grosso e maestoso, terribilmente spaventoso di psichiatria la fissava di rimando e il suo sguardo, valutò la ragazza, non aveva niente di amichevole. Rabbrividì ancora, ma non per il freddo.
Luca vide quella sua reazione e, senza poter trattenere un ennesimo sorriso, le circondò nuovamente  le spalle con un braccio quasi cercasse di darle forza. E, forse, un po' ci riuscì. 
-Fammi indovinare- le disse seguendo la direzione del suo sguardo, divertito. -Psichiatria nun te  scenn proprio, giusto?-
La ragazza si voltò verso di lui, il volto pallido e gli occhi spiritati. -Diciamo che preferirei rifare l'esame di anatomia ogni giorno della mia vita.- chiarì con enfasi, strappandogli un ulteriore sorriso. O forse era sempre lo stesso di sorriso che non si decideva ad abbandonare la sua faccia. 
-Come sei tragica, Daf! E' solo una materia, e poi Secchia è un bravo insegnante: sono sicuro che non farà domande tanto difficili durante il colloquio orale.-
-Tu dici?- 
-Ne sono assolutamente certo. Anche perché non saprebbe formulare nemmeno lui domande più complesse del semplice "Allora signorina, potrebbe ripetermi il suo nome lentamente?"
Dafne nascose il viso nel petto del suo amico per trattenere una risata particolarmente vistosa. 
-Sono seria, Luke! A me quella materia mi terrorizza. Hai sentito oggi cosa ha detto il professore? Quando ci ha descritto i manicomi, le persone che ci sono dentro, gli orrori che hanno vissuto? Io..io non credo di farcela.-
-Non credi di farcela.. cosa?-
Dafne sospirò.- Non credo che potrei sopportare i loro dolori, le cose che hanno visto. Non penso di poter diventare uno psichiatra, un qualcuno che possa aiutarli quando ne hanno bisogno. Il professore oggi ha detto che vengono maltrattati perché nessuno li vuole bene.-
Luca le accarezzò una spalla, confortandola. -Sì, Daf, c'ero anche io, ma ringranziando Dio noi dobbiamo solo fare questo esame, non vivere in quei centri per il resto della nostra vita! E' solo un esame, capisci? Finirà tutto presto, prima di quanto tu credi, e poi potrai bruciare questo libro insieme a tutti gli appunti ridicoli che ti ostini ancora a voler prendere a lezione. O, magari, se lo ritieni più opportuno, potrai rivenderlo.-
La ragazza alzò la testa dal suo petto per poterlo guardare negli occhi. I suoi occhi scuri, quasi neri, persi in quelli chiari di lui, erano glaciali. Mettevano soggezione. 
-Possibile che tu riesca ad essere così maledettamente superficiale?- lo accusò.
-Io? Superficiale io? Ma ti ascolti, Daf? Sei tu che stai costruendo mille castelli in aria, demolendoli ancor prima di aver posizionato l'ultima bandierina colorata sulla cima. Hai ventiquattro anni, amica, non cinquantacinque. L'età della menopausa è ancora lontana, quindi goditi la vita.-
-Cosa centra adesso?-
-Centra perché tu hai paura di tutto, come se tu stessi andando a morire. Ma non stai per morire, devi solo affrontare un esame e credimi, il patibolo è cosa ben diversa. Cosa potrebbe mai succedere di brutto? Secchia non ti riconoscerà come la grande studentessa che tu sei? Bhè, tanto piacere! Accetterai con umilità quel ventidue e poi gli bucheremo le ruote della macchina, niente di più facile e divertente. Devi solo avere fede.-
Dafne scosse la testa, un ombra di sorriso sul tenero volto, poi si passò una mano dietro il collo in un tic nervoso. 
Quando parlò, la sua voce era roca. -Luke, mi spieghi come fai?-
Lui la guardò dolcemente, come se fosse una bambina. -A fare cosa?-
-A essere così tranquillo, così solare. A non farti problemi per niente. Potrebbero rubarti l'auto in questo istante e tu forse ironizzeresti anche su questo.-
Il ragazzo mosse la testa a destra a sinistra facendo schioccare il collo in un suono tonfo e sordo. -Penso che la vita sia una sola, unica e irripetibile, e che dunque questa valga la pena di essere vissuta. Penso che siamo appena usciti da una guerra mondiale e non che la stiamo ancora combattendo.-
Dafne lo guardò come si guarda un mentore, come si guarda un padre e un fratello maggiore i quali entrambi non aveva; suo padre era morto e la sua unica sorellina era di sette anni più piccola di lei. 
Tenne posata la sua mano sull'ampio petto di lui, ascoltando il suo cuore rieccheggiare in quel silenzio completo, rotto solo dai loro discorsi. 
-Fai bene a pensarla così, sono molto orgogliosa del tuo ottimismo.-
Lui ricambiò il sorriso, dolcemente.- Anche io lo sono del tuo pessimismo, sai? Siamo una perfetta coppia io e te, ci completiamo.- 
Dafne scosse il capo e i suoi grandi orecchini produssero un rumore forte e assordante scontrandosi sulla sua mandibola. 
Con sguardo attento la ragazza tornò a fissare ciò che li circondava: il grande lampadario sopra di loro, una penna nera che si scalfiva contro un foglio e infine un libro che cadeva sopra il pavimento, lanciato da uno studente particolarmente in crisi.
Tutto era nella norma. Tutto era nella norma, specialmente perché a Febbraio sarebbero iniziati i primi esami. 
Dafne sorrise, respirando la disperazione di molti coetani, il loro lampante terrore seppur causato da materie diverse. Improvvisamente, forse perché Luca la stringeva ancora a se, non si sentì più sola. 
Alzò la testa dalla spalla del suo amico, respirando ancora una volta la sua colonia, poi si inumidì le labbra. Sapeva che lui l'avrebbe mandata al diavolo, ma sapeva che l'avrebbe accompagnata anche lì se solo glielo avesse chiesto, dunque mise da parte il suo spropositato orgoglio e lo guardò con uno sguardo da cucciolo indifeso.
Non a caso lui la chiamava Bambi, il più delle volte.
-Luke, mi accompagneresti da una parte domani pomeriggio? Ti prego.... tu lo sai che ti voglio bene, vero?-



  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: _Breath