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Autore: RoryWolsey    08/09/2015    0 recensioni
"Chi sono?"
Il ticchettio dell'orologio echeggiò nella stanza.
Le mie mani erano improvvisamente appassite, tempestate da macchie marroni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Strinsi i braccioli della sedia e dondolai tra l'essere e il non essere, in un equilibrio instabile.
Con lo stoppino posi fine al fuoco di una candela, la luce lunare illuminò la stanza e il foglio sul tavolo.   
In quelle ore cercai delle risposte, il giorno era apparso eterno e la notte sospesa sospesa nel tempo.
Non fu breve né lunga, visse di vita propria ospitando cicale e falene,
avvolse anche a me nel suo manto scuro e la pregai di cantarmi la più dolce delle serenate.
Ma i minuti passarono e le risposte non vennero sussurrate o serenate cantante.
Restai interdetto sulla sedia, credendo ancora un po' allo spirito della notte che culla gli insonni.
Fissai il vuoto ed immersi le dita tra i capelli.
"Chi sono?"  

Il ticchettio dell'orologio echeggiò nella stanza.
Le mie mani erano improvvisamente appassite, tempestate da macchie marroni.
Ero l'adulto che avevo sempre ambito essere, navigavo in mari di responsabilita e delusioni.
Il corpo mi raccontava di un tempo che scorreva inesorabile.
Non prestavo attenzione al passato, ma poi mi parlava come se fossimo vecchi amici.
Lo disprezzavo poiché mi conduceva al pianto tramite i ricordi, era imperdonabile ma a volte clemente.
Si lasciava andare raccontandomi di feste dove fui il Re delle danze o il naufrago di pene d'amore.
Quante donne persi negli anni? Quante di esse ancora mi sorridono nel buio di questa stanza?
Erano tutte diverse, dai capelli scuri o chiari, ma sembravano essere tutte figlie di un'unica madre ed ogni amore sostituiva il precedente e ne conservava le stesse sembianze.

La notte mi narrava di una vita passata e le sue immagini si proiettavano sulle pareti.
Non vi erano più quadri o mobili, tutto cadeva a pezzi e marciva.
La mente m'ingannava e per breve ne fui il proprietario, poi lei tornò a governare me. 
Ripercorsi a ritroso la mia esistenza e mi accorsi che ogni evento fu guidato dal destino, a cui attribuii il nome Tesdion; poteva essere una divinità o potevo essere io, ma se fossi stato Tesdion come avrei potuto condurre me stesso ad una tanto misera esistenza?

Ero immobile nel corpo ma frenetico nel pensiero.
Passai gli anni a nascondendomi dagli altri, trattato come un appestato che si avvia alla morte pur bramando vita. Volli sempre stringere al petto la gloria che solo il popolo avrebbe potuto darmi, ma mio genio non maturò e l'albero che fu la mia mente perse foglie e frutti prima del tempo.
Avrei voluto una statua e dei fiori ai miei piedi, lodi su una targa e applausi. 
Che cosa induce la massa ad avere stima per un individuo?
La forza che esso possiede o la sua gentilezza?
Credetti che la prima fosse la risposta corretta, poiché gli uomini nella gentilezza riconoscono solo la debolezza. Così pochi furono al fianco di un poeta quale fui, tanti quelli che predicarono contro i miei versi d'amore. 

Mi voltai d'improvviso, rivolgendo lo sguardo al giardino di casa.
Dell'aria estiva che bruciava sulla mia pelle, delle lucciole e dei limoni fresci al suolo, non rimava più niente. L'autunno sembrava essere arrivato senza chiedere il permesso, ma anche esso venne rapito dal buio.
Vidi foglie secche a terra, mi ricordavano tappeti persiani e salotti per grandi feste.
Accesi un sigaro con mani da uomo esperto.
Il fumo danzò sopra la mia testa, mi avvolse e rise di me per poi posarsi su giardini di pietra imprigionati dal tempo. Il viale mutò, si fece più lungo e stretto.
Vedevo una casa dalle imposte chisue e alcune scatole all'entrata.
La dimora della mia infanzia, le scatole che mio padre imballò quando decise di andarsene.
Sentii l'odore del mosto e vidi mia madre in cucina, con le mani immerse nella farina.
Che ne restava di quei ricordi?     Solo visioni che avrei trascinato con me sino alla fine.
Allora ebbi il desiderio ardente di tramandarli e custodirli in templi sacri, 
volli narrare di quelle giornate piovose e di strade distrutte. 


Poi l'autunno lasciò il posto ad un inverno freddo. Il viale tornò piccolo e trasformò in una piazza.
Le luci delle lampioni illuminarono la lastra ghiacciata nella fontana, il gelo mi avvolse e trasformò le pareti in ghiaccio. Il pavimento era ormai un tappeto di neve disseminato di orme piccole, poi grandi e più marcate sino a diventare quelle di un uomo che si trascina sui propri passi.
Volevo aggrapparmi a mobili, fotografie, cercare riparo.
La coltre bianca aveva sepolto tutto ed io rimasi bloccato sulla sedia gelida.
Feci appello al ricordo di un focolare minacciato dalla bufera, ma si spense anche nella mia mente.
Udii melodie lontane, risuonarono nelle grotte della memoria e mi abbandonarono
mentre il vento imperiava su tutto.
Sulle labbra fredde ancora il verso di una poesia, scritta negli anni della giovinezza. 
Fui vittima di stagioni andate e del tempo.
Fui bambino allegro, giovane aitante, adulto ed in fine anziano. 


L'edera cominciava a crescere sulle pareti, i fiori si fecero spazio tra la neve.
Le rose cominciarono a vincere sul ghiaccio e tulipani si intrecciarono alle mie caviglie.
'aria primaverile si pose quieta nella mia vita, si occupò di accarezzarmi ricordandomi la seta sulla pelle.
La brina sulle mie braccia ringiovanite cominciò a sciogliersi grazie al sole che sorse.
La neve divenne erba che crebbe attorno ad ogni oggetto nella stanza.
Sul letto la coperta rossa della mia gioventù, la cartella piena di libri.
Il vento caldo giunse estraneo alla porta della conoscenza e suscitò in me ardore,
ma anche timore e rammarico per tempi andati e nuovi.
Questi mi spinsero ad un addio a qualcosa di conosciuto, ambito e abbandonato.


L'inverno mi lasciò e con sè portò via una parte di me.
Cedette il posto al lieve vento che mi promise tutto e niente, si aggrappò ai miei capelli tornati castani.
La pelle ancora liscia e non più avvizzita, le gambe forti e i vestiti integri.
Sul foglio delle scritte cominciarono a prendere forma, date di anni mai vissuti nel futuro si scolorirono,
cedettero il posto a compiti di storia non finiti.
Il canto degli uccelli della mattina giunse lieto al mio udito come qualcosa di conosciuto.
Il lontano rumore delle vetture mi suggerì l'inizio del giorno.
Mi chinai a raccogliere gli ultimi petali di fiori nella stanza, ma al mio tocco scomparvero.
Così anche l'edera sulle pareti, l'acqua delle neve che aveva allagato la stanza.
Sentii di aver perso una parte di me, più la rincorrevo e più sfuggiva tra strade affollate da ombre e parole mai dette. La mia vita percorsa in una sola notte sembrava essere appartenuta a qualcun'altro.
Passato, presente e futuro convertirono in un unico punto.
Tutto apparve come un sogno, uno di quelli che fanno svegliare nel mezzo della notte, che sfuggono alla memoria. Il cortile fuori di casa sembrava una grande scenografia per una recita a teatro,
la finestra e i mattoni apparivano come di carta.
Ogni colore, cartaccia a terra, oggetto o profumo risultavano nauseanti.


Ricorsi a ciò che in me aveva sempre suscitato stupore: con la fantasia costruii boschi, castelli o case piene di fiori freschi, ma anche questi crollarono e scapparono dalla mia presa.
In lontananza un vinile riproduceva le melodie di una vecchia canzone jazz.
Una forza mi inchiodava alla sedia e solo il bussare alla porta mi fece alzare di scatto, disorientato e malinconico.
Una donna in vestaglia da notte entrò senza che le dessi il permesso.
Aveva i capelli grigi raccolti in una lunga treccia, il volto stanco. 
Riconobbi mia madre e mi sembrò di ritrovare una terra lontana e perduta nelle ore della notte.
"Sei sveglio? E' ora di andare a scuola!" 
Richiuse la porta una volta accertatasi che fossi alzato e pronto per una nuova giornata, per gli ultimi giorni di liceo.


Avevo percorso in una sola notte la mia vita, la mia mente mi aveva ingannato o forse narrato un futuro imminente.
Nulla nella stanza sembrava riportare i segni reali di quelle stagioni cambiate in tempi inesistenti.
Il mio corpo non sembrava essere mai invecchiato.
Eppure quando aprii la porta, a terra vi era ancora una rosa rossa che al mio tocco divenne cenere. 
   
 
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