Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amor31    08/09/2015    4 recensioni
"Come posso farla sorridere?", si chiede Jean.
A volte basta il gesto più semplice per rendere felice qualcuno.
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- ATTENZIONE! MISSING MOMENT DEI CAPITOLI 52-53 -
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disegni sul vetro

 
Nel corridoio del primo piano della base regnava il silenzio.
Jean uscì di fretta dalla propria stanza, in cui era entrato pochi minuti prima per prendere il mantello, e sospirando ripensò a cosa gli era stato comandato. Levi gli aveva ordinato di fare la ronda per tutta l'ora successiva e di occuparsi dell'approvvigionamento di legname per il fuoco che avrebbero acceso quella sera stessa: da qualche giorno il tempo era cambiato e l'aria si era fatta più fredda, costringendo i membri della Squadra ad uscire sempre bardati di mantelli e cappucci per evitare di rimediare inconvenienti come raffreddore, tosse e febbre. Quando il Capitano Levi si era accorto che Armin aveva iniziato a tirare su con il naso e Connie a reprimere attacchi di tosse, si era subito preoccupato che tutti stessero bene: non poteva permettersi sottoposti ammalati, date le circostanze.
Jean scese le scale buttandosi il mantello sulle spalle e annodandolo fin sotto il mento, preparandosi ad affrontare il proprio turno di guardia. Sperò vivamente che la temperatura esterna fosse aumentata, ma si disse anche di non illudersi; era sempre meglio prepararsi al peggio. Si avvicinò allo spartano appendiabiti da parete che Sasha aveva affisso per ordine del Capitano e recuperò uno dei cappelli forniti da Hanji, augurandosi di non averne bisogno, poi, incamminandosi verso la porta della base, passò davanti alla piccola cucina in cui tutte le sere si riuniva a cena con i compagni.
Lanciò distrattamente un'occhiata all'interno e si accorse di Mikasa. La ragazza era in silenzio, come al suo solito, ma sembrava ancora più assorta. Seduta al tavolo, teneva davanti a sé una tazza di quel latte che solo sporadicamente era possibile ottenere dall'interno delle Mura e la fissava senza guardarla davvero. Jean si chiese tra quali pensieri si fosse persa e ne ebbe solo una vaga idea quando la vide poggiare i gomiti sul ripiano e affondare le mani tra i capelli, sorreggendosi la testa come se la mole di preoccupazioni l'avesse resa più pesante. Mikasa sospirò, continuando ad osservare un impreciso punto di fronte a sé, e al ragazzo si strinse il cuore nel vederla in quello stato. Sapeva perfettamente che le ultime settimane della compagna non erano state facili, anzi: costretta a letto a causa delle fratture riportate nell'ultimo scontro con i Titani, sembrava essersi ripresa in fretta solo grazie alla sua straordinaria forza di volontà; aveva poi ricominciato a eseguire tutti gli ordini impartiti da Levi e aveva assistito Hanji nelle sperimentazioni sul Potere detenuto da Eren. Insomma, doveva essere davvero provata, tanto nel corpo quanto nell'anima. E questo era solo ciò che era accaduto nell'ultimo mese e mezzo, figuriamoci se avesse considerato tutto quello che era avvenuto prima di allora.
Jean rimase ad osservarla ancora per un po', indeciso se entrare nella cucina per chiederle cosa non andasse o se restare fermo sul posto per sbirciare la sua figura stanca, ma così incredibilmente bella nella sua umanità. Era conscio del fatto che Mikasa non gli avrebbe risposto oppure avrebbe cercato di evitare l'argomento se la conversazione avesse toccato quel tasto dolente, quindi si risolse a guardarla per i due lunghi minuti successivi, desiderando di poter alleviare anche solo per un istante la sofferenza che si portava dentro.
Quando la ragazza si tirò indietro i capelli e si passò le mani sul volto stropicciato – segno di una notte insonne e riempita da chissà quali incubi – Jean seppe di dover andare. Si sistemò meglio il mantello, scivolatogli lungo una spalla, e calcò il cappello sulla testa, attraversando il piccolo corridoio che conduceva alla porta. La spalancò ed uscì, venendo travolto da un impetuoso soffio di vento che quasi gli strappò via il cappello appena indossato.
“Nuvole grigie in avvicinamento”, constatò, scrutando il cielo; doveva sbrigarsi a recuperare la legna, altrimenti sarebbe tornato alla base fradicio come un pulcino e la ricompensa sarebbe stata una bella strigliata da parte del Capitano. Si sfregò le mani, particolarmente esangui a causa del freddo, e se le portò alla bocca per riscaldarle un po', poi si decise ad attraversare lo spiazzo erboso per sparire nel bosco.
Mentre camminava, l'immagine di Mikasa non faceva altro che rimbalzargli da una parte all'altra della testa. Avrebbe veramente voluto vederla serena e finalmente priva di qualsiasi preoccupazione, ma cosa poteva fare? Parlarne con lei era impossibile, discuterne con gli altri improbabile – Connie sapeva fin troppo bene quanto Jean tenesse alla ragazza e ribadire implicitamente quel concetto continuando a preoccuparsi per lei non avrebbe di certo aiutato a mascherare quei suoi sentimenti palesi a tutti, tranne all'interessata. Allora? Come riuscire a tirarla su?
Continuò a rimuginarci lungo tutto il tragitto. Aveva già iniziato a raccogliere la legna quando ebbe l'illuminazione.
Si trascinò dietro il materiale recuperato e tornò alla base. Man mano che si avvicinava, l'idea che gli era saltata in mente appariva sempre più giusta e stupida. Avrebbe funzionato? Magari Mikasa era già stata richiamata dal Capitano Levi e non l'avrebbe più rivista prima di cena. Se così fosse stato... Be', Jean non era totalmente convinto della malvagità di quel possibile scenario, dato che avrebbe di sicuro evitato una figuraccia – e Dio solo sapeva quanto lo atterriva il pensiero di essere considerato sciocco, superficiale e incompetente dalla ragazza che amava da ormai tre anni. Se l'avesse ritrovata in cucina, allora avrebbe rischiato.
Raggiunse di nuovo lo spiazzo e vi depositò la legna raccolta. L'accetta era stata conficcata in un vecchio tronco reciso e Jean si domandò se il Capitano volesse che fosse lui a spaccare il materiale per il fuoco. Scosse la testa: aveva tempo per occuparsene. E poi la fase di approvvigionamento non era ancora conclusa, quindi non valeva la pena preoccuparsene in anticipo.
Spostò gli occhi sulla finestra della cucina. Dal punto in cui si trovava era impossibile dire se ci fosse qualcuno dentro o se la stanza fosse vuota, perciò, prendendo un bel respiro e stringendosi nel mantello, si incamminò in quella direzione, riducendo lentamente, ma a grandi passi, la distanza che lo separava dal suo obiettivo. Quando finalmente fu accanto alla finestra, sbirciò all'interno.
Dovette guardare per alcuni minuti per far riabituare la vista alla penombra che ammantava l'interno. In quel momento si augurò che non ci fosse nessuno, anche perché, se qualcuno avesse visto la sua espressione crucciata, lo avrebbe preso in giro fino a fine giornata. Solo quando i suoi occhi decisero di collaborare si rese conto che Mikasa era esattamente dove l'aveva lasciata. Non più al tavolo, ma intenta a sciacquare alcune tazze sporche in una tinozza.
Jean capì che non si era accorta della sua presenza e trasse un sospiro di sollievo. Adesso, però, sarebbe venuta la parte difficile.
Il volto della ragazza era ancora oscurato da ombre di preoccupazione. La fronte corrugata era segno di stizza, di pensieri infausti di cui non riusciva a liberarsi. Fu quella visione a convincere definitivamente il compagno ad agire.
Jean picchiettò debolmente contro il vetro della finestra, ma evidentemente il rumore fu coperto dallo sciacquio dell'acqua nella tinozza, perché Mikasa non alzò lo sguardo. Allora ci riprovò, stavolta battendo con più forza. Al terzo tentativo, gli occhi della giovane incontrarono i suoi. Un'espressione perplessa plasmò il suo volto, costringendola a sollevare un sopracciglio nel chiedersi di cosa avesse bisogno il compagno di Squadra. 
Jean agì con una naturalezza che credeva di aver perso: alitò sul vetro e ne fece appannare una piccola parte. Poi, con l'ingenuità tipica di qualsiasi bambino, disegnò una faccina sorridente che rimase impressa sulla finestra per poco più di un minuto, esposta com'era al vento gelido proveniente da ovest.
Guardò Mikasa oltre lo smile finché quest'ultimo non scomparve. A quel punto rimasero soli, a fissarsi reciprocamente senza che ci fossero ostacoli o intermediari tra di loro. Jean sentì il cuore battere lentamente, ma assestando colpi che echeggiarono fin nello stomaco, aspettando che la ragazza raccogliesse il consiglio che aveva disegnato per lei sul vetro. Nei suoi occhi leggeva sorpresa, come se avesse dimenticato di aver compiuto anche lei quel gesto da bambina, quando la cucina di casa si riempiva di vapore e del profumo dei cibi più gustosi che sua madre sapesse preparare, e sperò che gli rispondesse con un sorriso, seppur velato.
Non riuscì a decifrare ciò che le labbra di Mikasa, chiuse e immobili, avrebbero voluto dire. Allora, credendo di essere stato frainteso, Jean le rivolse un sorriso rassicurante, un sorriso che le gridava "Non cedere alle preoccupazioni, sii felice. Io sarò sempre qui per te". Poi si voltò verso il bosco, deciso a riprendere le proprie mansioni lì dove le aveva interrotte.
-Cosa stai guardando?-.
La voce di Eren fece sussultare la ragazza, che teneva ancora le mani immerse nell'acqua della tinozza e gli occhi fissi sulla finestra. Gli rivolse un'occhiata veloce e poi tornò a sbirciare oltre il vetro, riprendendo a pulire le ultime tazze rimaste.
-Ah, c'è della legna da spaccare-, proseguì Eren, avvicinandosi alla finestra e accorgendosi del cumulo depositato da Jean. Poi, rivolgendosi a Mikasa, che aveva abbassato repentinamente gli occhi per evitare di essere di nuovo colta in flagrante, continuò: -Il Capitano sta discutendo con Historia a proposito di ieri sera. È ancora terrorizzata... Comunque, io vado ad aiutare Faccia da Cavallo. Se qualcuno mi cerca, sono fuori-.
Senza aggiungere altro, Eren raccolse il mantello che aveva poggiato su una sedia appena era entrato in cucina e uscì, tirandosi il cappuccio fin sulla fronte per contrastare il vento che aveva visto scuotere forsennatamente gli alberi intorno all'accampamento. Mikasa sentì il cigolio della porta d'ingresso e, rimasta sola, spostò un'ultima volta lo sguardo sul punto del bosco in cui il compagno era sparito. Non ci fu nessuno a cogliere il tenue sorriso che le illuminò il volto, mentre le sue labbra si schiudevano pian piano per articolare un unico suono: -Jean-, disse, insicura di averlo pronunciato sul serio. -È così che si chiama. Solo Jean-, aggiunse, come se avesse voluto correggere Eren.
Era bastato un piccolo smile sul vetro a farle riscoprire quanto fosse bella la normalità. Quella goccia di felicità arse in lei per il resto della giornata e con essa l’immagine del ragazzo che con tanta devozione era tornato indietro solo per rischiarare i suoi pensieri.

   
 
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