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Autore: hinata 92    08/09/2015    1 recensioni
L'atteso (o forse no) seguito di Polvere Incantata.
A Death City volano fiori di arancio per Lucy e Simon e tutti sono pronti a festeggiare il lieto evento. Ma nessuno immagina che stanno per finire tutti vittima della più grande maledizione stregonesca della storia...
Una sorpresa in più: questa è una storia... a bivi!
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Polvere incantata'
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Nel bivio precedente avete deciso di seguire la giornata dal punto di vista di Lucy?

Allora siete nel capitolo sbagliato, cliccate pure qui per raggiungerlo.

Oppure avete deciso di seguire la giornata dal punto di vista di Simon?

Anche in questo caso siete nel capitolo sbagliato, cliccate pure qui per raggiungerlo.

Non vi ricordate alcun bivio fra cui scegliere?

capitare, cliccate qui per rinfrescarvi la memoria.

Siete convinti di seguire la giornata dal punto di vista di Kevin?

Allora siete nel posto giusto! Buona lettura!

 

 

Non abbassare mai la guardia! Cosa posso fare per proteggerli senza essere il terzo incomodo?

 

Un fascio di luce sugli occhi fece passare Kevin dal sonno al dormiveglia. Gli ci volle un po’ per riuscire a trovare la forza di aprire le palpebre.

«Buongiorno!»

La voce allegra e pimpante di Lucy lo risvegliò quasi completamente. Il ragazzo si mise seduto sul divano, sbadigliando: «Buongiorno, Lucy... che ora è?»

La ragazza avvitò la caffettiera: «Sono le otto passate, e a giudicare dalla tua faccia, hai passato più di metà della notte in bianco, vero?»

Kevin si stiracchiò: «Capita, quando si soffre d’insonnia...»

Aveva semplificato un po’ la situazione. Certo, l’insonnia cronica aveva fatto la sua parte, ma in realtà aveva passato gran parte della notte sveglio a controllare la porta della camera di Simon. Non era certo di cosa potesse fare uno Stregone Oscuro nel sonno e a giudicare dai discorsi dell’amico la sera prima, probabilmente non lo sapeva neanche lui.

«E Simon dov’è?»

«In bagno.»

«Allora mi toccherà aspettare che esca.»

Nella stanza scese un attimo di silenzio. Lucy stava finendo di preparare la colazione e Kevin, non ancora del tutto sveglio, stava cercando di riorganizzare un po’ i mille pensieri che gli avevano agitato il sonno e il dormiveglia.

In quel momento Simon entrò nella stanza, perfettamente sveglio: «Buongiorno.»

Lucy gli sorrise: «Ciao, Simon! Tutto bene?»

Il ragazzo annuì, sedendosi a tavola: «Sì, il letto era meno scomodo di quanto sembrasse a una prima occhiata.»

Kevin si limitò a fargli un cenno di saluto e si fiondò in bagno. Si buttò dell’acqua fredda sul viso cercando di svegliarsi del tutto, poi, appoggiandosi al lavello, respirò profondamente facendo appello a tutte le sue energie. Gli stava toccando un compito tutt’altro che adatto a lui. Si sentiva in colpa, era diventato praticamente uno stalker per tenere così sotto controllo il suo migliore amico, ma cosa poteva fare? I due promessi sposi non erano nelle condizioni migliori per poter tenere sotto controllo una situazione a dir poco esplosiva. Simon se ne rendeva conto da solo, Lucy sembrava fin troppo tranquilla, probabilmente rassicurata dalle parole del suo fidanzato, come se solo le buone intenzioni fossero sufficienti da sole per risolvere il problema.

Kevin si sentiva schiacciato da una responsabilità enorme. Gli sarebbe bastato abbassare la guardia nel momento sbagliato e teoricamente avrebbe condannato il mondo intero. Era tutt’altro che sicuro di farcela, ma non aveva altra scelta. Accettando il patto con Simon si era preso il compito di giudice e controllore delle azioni dell’amico, e non poteva sottrarsi. Non aveva altra scelta che uscire da quella porta e affrontare la giornata.

 

Quando anche lui si fu seduto al tavolo, Lucy servì il caffè. Sovrappensiero, Kevin afferrò la confezione del burro, senza notare che Simon aveva già a sua volta allungato la mano per prenderlo.

«Ehi!»

Il ragazzo, una volta accortosi dell’amico, non resistette e gli fece un occhiolino malizioso: «Di prima mattina non abbiamo i riflessi così pronti, eh?»

Simon gli restituì un sorriso furbetto: «Parla l’eterno insonne che poi crolla a metà giornata... almeno io ho più autonomia!»

Si guadarono per un attimo con aria di sfida, poi scoppiarono a ridere. Per un attimo sembrava essere tornato tutto alla normalità, come se fossero a casa durante una colazione qualsiasi.

Un attimo, però, perché proprio dopo la colazione Kevin si rese conto che la situazione era tutt’altro che normale. Decisamente non era da Simon, né da Lucy, mettersi a fare i piccioncini in sua presenza. Gliel’avevano promesso anni prima, nel momento in cui si erano fidanzati, e fino a quel momento non avevano mai mancato la parola. Kevin si rifugiò nel corridoio, mordendosi un labbro e trovando come unica via di fuga il bagno. No, non era l’infrazione della promessa il problema, neanche lontanamente. Quello che lo preoccupava era quanto dovessero aver sofferto i suoi amici per arrivare a infrangerla senza neanche rendersene conto. Li aveva aiutati nel modo migliore o avrebbe potuto fare qualcosa di più? E come doveva comportarsi da lì in avanti?

Tutte domande senza risposta, che gli opprimevano la mente e il petto, e a cui, lo sapeva benissimo, avrebbe dovuto trovare una soluzione completamente da solo.

 

Il pranzo si svolse senza particolari problemi e, dal modo in cui Simon e Lucy gli rivolgevano la parola, chiedendogli pareri su qualunque argomento, Kevin capì che si erano resi conto di averlo fatto sentire il terzo incomodo e che stavano cercando in ogni modo di rimediare. Questo lo sollevò leggermente, forse il momento di crisi era passato.

Tuttavia, dopo pranzo, Lucy lo sorprese di nuovo con una richiesta inaspettata, che lo prese in contropiede.

«Sei sicura di voler fare tutto da sola? Possiamo aiutarti, non mi dà alcun fastidio e credo neanche a Simon... vero?»

«Infatti.»

Ma Lucy sorrise: «Andate, tranquilli! Abbiamo promesso di tenere pulita questa casa e lo faremo. Oggi lo faccio io, e magari un altro giorno ci dividiamo i compiti, ok? Andate a farvi una passeggiata, e mentre siete fuori comprate un po’ di pane per cena, va bene?»

Kevin sospirò, molto dubbioso. Simon le prese una mano.

«Sei sicura? Non mi piace l’idea di lasciarti da sola...»

Lucy annuì: «Sicurissima. Andate, non vi piace stare chiusi in casa, lo so.»

Il ragazzo si morse un labbro e le lasciò la mano: «Va bene... ma non staremo via molto.»

«Mi troverete qua al vostro ritorno, non vi preoccupate.»

Kevin aprì la porta: «Allora a dopo.»

Lucy li salutò con la mano e con un bel sorriso: «Buona passeggiata.»

Non appena la porta si richiuse, fra Simon e Kevin scese un’atmosfera di puro imbarazzo. Non erano mai rimasti da soli dall’inizio di quella storia.

Simon rivolse il suo sguardo dall’altra parte: «Scusa per prima. Siamo stati un po’ inopportuni nei tuoi confronti.»

Kevin fece un mezzo sorriso. Aveva avuto ragione.

«Non ti preoccupare, lo capisco, era da tanto che non avevate un po’ di tempo per voi.»

Dopo una piccola pausa, in cui inutilmente aspettò che il suo migliore amico dicesse qualcosa, il ragazzo continuò con una classica frase di circostanza, giusto per smorzare un po’ l’imbarazzo: «Allora, dove andiamo di bello?»

Simon ridacchiò amaramente: «Caschi male, Kevin, non so nulla di questa città, l’esperta qua è Lucy.»

«E allora andiamo ad esplorarla, che ne dici?»

Il ragazzo alzò le spalle: «Non mi pare che ci sia molta altra scelta.»

Camminarono per un po’ in silenzio. Fra i due era calata un’atmosfera d’imbarazzo, cosa che non capitava loro da molto, moltissimo tempo. Kevin ricordava una sensazione simile solo i primissimi tempi in cui si era unito alla loro squadra, quando, venendo da un mondo totalmente diverso, fatto di violenza fisica e psicologica, quasi sempre non sapeva cosa dire e alzava un muro fra sé e il mondo. Quel muro era stato smontato, giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, dai sorrisi incoraggianti di Lucy e, soprattutto, dal modo di fare di Simon, che oltre che con le parole sapeva esprimersi con la musica e con i suoi gesti, giorno dopo giorno. Nei primi giorni alla Shibusen l’aveva profondamente ammirato per questo, e quell’ammirazione si era poi trasformata in sincera amicizia. Ora, per la prima volta da quando lo conosceva, era Simon ad avere eretto un muro, e lui non era certissimo di avere la stessa capacità dell’amico di smontarlo. Ci avrebbe provato con tutte le sue forze, ma temeva profondamente che il suo atteggiamento avrebbe finito per sfondarlo, invece, e non era sicuro di cosa avrebbe potuto trovare in quel momento dall’altra parte.

I loro piedi, intanto, li avevano portati su una via piuttosto trafficata e movimentata, e tuttavia più silenziosa di quanto si aspettassero. In un paese che si reggeva in gran parte sull’omertà degli abitanti, ognuno si faceva gli affari propri, guardandosi in giro sospettosamente e stringendosi nelle giacche, spesso cercando di non farsi notare.

Kevin si sentì a disagio. Gli ricordava anche troppo bene il gruppo di kishin con cui aveva viaggiato anni prima, anche se l’architettura della città non era poi così dissimile da quella di Death City, e l’accostamento di due parti della sua vita così contrastanti erano per lui un pugno nello stomaco.

Fece ancora qualche passo sovrappensiero, poi si rese improvvisamente conto che Simon non era più alla sua sinistra. Preoccupato, tornò sui suoi passi fino a ritrovare l’amico, dietro l’angolo di una casa, a fissare una rissa fra gente sconosciuta. Fece per chiamarlo, ma si fermò. Oltre a non essere una buona idea attirare l’attenzione dei contendenti, c’era un altro dettaglio che lo stava preoccupando non poco: il colore dei capelli di Simon si era fatto improvvisamente più scuro. Il ragazzo osservava la scena attentissimo, senza nemmeno sbattere le ciglia, e l’ansia s’impadronì per un secondo di Kevin. Un secondo, però. Se Simon stava cedendo al suo lato oscuro, doveva fermarlo, subito!

Gli appoggiò una mano sulla spalla proprio nel momento in cui l’amico aveva fatto un passo verso il gruppetto. Quasi immediatamente Simon mise anche la sua mano sopra la sua, con una presa forte e decisa, come se volesse spezzargliela.

«Qui non c’è nessuna panetteria, Simon. Andiamocene.»

Non era stata la sua uscita migliore, d’accordo, ma non gli era venuto in mente niente di meglio per distrarre l’amico che ricordargli quello che Lucy aveva chiesto loro di fare.

Simon si voltò di scatto. I suoi occhi erano ancora azzurri, ma con un luccichio di perfidia che normalmente gli era alieno. Kevin lo guardò con tutta la determinazione che aveva in corpo. Non aveva paura dello Stregone Oscuro, si erano già confrontati faccia a faccia una volta, poteva farlo ancora.

«Non vorrai far preoccupare Lucy, vero? Ci sta aspettando a casa ed è quasi ora di rientrare.»

L’espressione smarrita che per un istante aleggiò sul volto di Simon non appena udì il nome di Lucy rassicurò Kevin. Anche questa volta era riuscito a far indietreggiare lo Stregone Oscuro.

Il ragazzo abbassò lo sguardo e s’incamminò con passo più veloce del solito: «Sì, hai ragione. Andiamo.»

Kevin lo seguì, dispiaciuto. Forse era stato un colpo un po’ troppo basso, ma sapevano entrambi che non c’era stata altra scelta. In ogni caso, non poteva più permettersi di abbassare la guardia.

 

La cena fu silenziosa, tremendamente silenziosa, di un silenzio rotto solo dal rumore delle posate in cui le parole timidamente accennate da Lucy e a cui Kevin rispondeva per educazione stridevano come un gesso sulla lavagna. Simon non disse neanche una parola, fino a quando non s’alzò dal tavolo: «Scusatemi, ho un po’ di mal di testa, vado a stendermi un po’.»

Lucy lo guardò preoccupata: «Passo più tardi a portarti qualcosa?»

«No!»

Kevin cercò di fare finta di niente, ma non gli era affatto sfuggito il tono allarmato con cui l’amico aveva pronunciato l’ultima parola, prima di prendere un profondo respiro e continuare: «No, Lucy, ti ringrazio, mi serve solo una buona dormita.»

La ragazza annuì: «Va bene, allora. Buonanotte.»

«Buonanotte.»

Kevin non aveva aperto la bocca per tutta la discussione, e non lo fece fino a che Simon non si fu chiuso in camera.

«Non sta bene.»

La ragazza sorrise conciliante: «Lo ha detto anche lui. È un periodo stressante per tutti, un po’ di mal di testa è normale.»

Come faceva Lucy a dare una risposta del genere? Era cieca, stupida o bugiarda?

«Sai cosa intendo.»

Lucy si alzò portando via le stoviglie, ma non rispose.

No, non era né cieca, né stupida né bugiarda. Era disperata, e a quanto pareva non aveva trovato altre soluzioni che fingere di non vedere i problemi.

Sospirò.

«Vado in bagno.»

Ne approfittò per bagnarsi il viso, ma senza mai smettere di tendere l’orecchio per cercare di cogliere qualsiasi suono proveniente dalla camera di Simon. Gli unici rumori che sentì furono quelli dei piatti che stava lavando Lucy. Uscendo dal bagno, si fermò per un attimo di fronte alla porta della stanza dell’amico. Nulla, neanche il più piccolo respiro. Un’ansia all’apparenza ingiustificata lo prese alla bocca dello stomaco e lo portò a chinarsi e a guardare dal buco della serratura. La mascella gli cadde nel vedere quali devastazioni Simon stava compiendo alla sua camera, uno sfogo in piena regola di pura magia oscura, uno spettacolo affascinante e raccapricciante allo stesso tempo, da cui non riuscì, neanche volendo, a distogliere lo sguardo, nemmeno quando l’amico si mise a quattro zampe e si trasformò in un enorme lupo nero, diventando ancora più aggressivo e feroce. Kevin rimase immobile, paralizzato non tanto dalla paura, quanto dall’indecisione. Cosa doveva fare? Sfondare la porta e cercare di fermarlo? E se in quello stato non lo avesse riconosciuto e lo avesse ucciso? Senza contare che a pochi metri di distanza c’era anche Lucy, ignara di tutto...

Improvvisamente il lupo si fermò, come esausto, e riprese l’aspetto di Simon. Il ragazzo si guardò intorno, poi, con pochi semplici gesti, rimise la camera esattamente com’era prima, senza lasciare la minima traccia di quello che era accaduto. Kevin osservò tutto attentamente, sentendosi contemporaneamente più rilassato e più preoccupato di prima. Più rilassato, perché a quanto pare Simon non aveva perso totalmente il controllo, anzi; più preoccupato, perché se l’amico sentiva il bisogno di sfogarsi in quel modo dopo due soli giorni, probabilmente la sua fragilità psicologica era ancora più grave di quanto avesse immaginato.

Kevin prese un profondo respiro. No, non doveva abbassare la guardia, mai. Ora, più che mai, tutto dipendeva da lui e dalla sua capacità di essere l’ago della bilancia.

 

Kevin: E ora che fa? Prende la chiave e...

 

Soul Eater, Richiamo di sangue, 17° capitolo: L’ultima cosa che avrei voluto vedere! Una giornata di ordinaria follia?

 

Lucy: Kevin! Che hai fatto all’occhio?

Kevin: Si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato... hai una bistecca, per caso?

 

 

Ed ecco a voi il bivio che avete scelto! Cosa succederà quindi nella “tranquilla” cittadina in cui i nostri eroi sono andati a cacciarsi? Lo scoprirete nel prossimo capitolo!

CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Hinata 92

 

  
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