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Autore: Akilendra    09/09/2015    3 recensioni
"Come si può fermare un cuore innamorato? Come gli si può dire che deve smetterla? Smetterla di amare, perché un cuore innamorato è un cuore malato e l'amore è la sua unica malattia, l'amore è la sua unica cura. Come si può fermare un cuore innamorato?
Non si può.
Continuerà ad amare sempre, si farà male, si farà bene. Togligli l'amore e appassirà. Diventerà arido e ghiacciato, duro come il marmo. Togligli l'amore e guarirà, ma sarà morto.
Loro erano vivi. Malati di amore, ma vivi."
Questa è la storia di due parabatai: iniziata a scrivere quando avrei tanto voluto leggerla, interrotta quando ho saputo che c'era e che sarebbe uscita, completata nell'attesa dell'unica ed originale scritta dalle ben più degne mani di Cassandra Clare.
Questa è la storia di Ben e Lena.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Grazie grazie grazie a principessac, Grace0191 e Stellina1993 che hanno recensito l'ultimo capitolo!
Piccolo cambio di programma: i capitoli saranno 27 più l'epilogo, uno in più di quanti avevo detto precedentemente. 
Ecco a voi il 26: l'ultima metà l'ho scritta mesi fa, all'inizio è stata un travaglio, ma poi si è scritta da sola, tant'è che un paio di giorni fa quando l'ho riletta non ho osato cambiare una sola virgola...
Vi faccio un <3 sperando così di addolcirvi e che non mi uccidiate finito di leggere ahahahahah 






26. Non fermarti

Can you help me?
Can you let me go?
And can you still love me 
when you can't see me anymore?
(Kt Tunstall ~ Other side of the world) 



Di fuori il cielo confermava che era scesa da qualche ora la sera e che avevano perso già troppo tempo con quella pagliacciata. La brezza primaverile li accolse e gli rinfrescò il viso. Scompigliò leggermente i lunghi capelli ambrati di Lena, lei in uno scatto li mise a posto, le dita tremanti che li appiattivano e li sistemavano dietro l'orecchio. Quel gesto spezzò qualcosa dentro Ben che rimase a guardarla, alle sue spalle, immobile, sorpreso, un po' rattristato dal fatto che oramai lei non accettasse più nemmeno le carezze del vento.
Lena - la chiamò piano. Lei sembrò ridestarsi, come se fino a quel momento avesse dormito. Si voltò, lo sguardo spaurito, poi sul suo viso comparve la rabbia.
- A quelli non gliene importa niente di noi! - urlò ed era la prima volta da quando si era svegliata che pronunciava qualcosa che non fosse la risposta ad una domanda o una frase di circostanza. Aveva parlato per lei, perché voleva dire qualcosa e basta. Ed era arrabbiata, urlava, mostrava senza filtri un'emozione tanto forte.
Ben sentì il disperato bisogno di abbracciarla.
A nessuno importa veramente di noi! Se ne fregano di quello che abbiamo passato, se ne fregano del fatto che ho avuto dentro un demone superiore per settimane e che ho dovuto sconfiggerlo da sola perché chissà dove diavolo erano! Non hanno idea che sarebbe bastato un passo falso per rievocare Samael, non hanno neanche lontanamente idea di... di... - E le mancò la voce, chiuse gli occhi e strizzò i pugni. Urlò ancora di più.
Li odio, li odio tutti! Odio i loro sorrisi tirati e le loro mani sulla spalla. Li odio quando mi dicono che gli dispiace, quando abbassano la voce appena entro in una stanza, quando non ci condannano solo per pietà. Per l'Angelo, li odio quando pensano di "sapere come ci si sente", no che non lo sanno! Niente, ecco cosa sanno! Non sanno niente di me e di te, non sanno niente di noi, di quanto abbiamo sofferto, di quanto soffriamo ancora ogni volta che siamo nella stessa stanza. Loro non lo sanno che non riusciamo più a guardarci negli occhi, che abbiamo paura di non riconoscerci. Non lo sanno che soffriremmo di meno se l'altro fosse morto. Loro non lo sanno che non so per chi devo piangere. Non lo sanno che non ho nemmeno una tomba, su cui piangere. Non lo sanno, non lo sanno, non lo sanno... - Ben le si buttò letteralmente addosso, il corpo spinto contro il suo, le urla soffocate sul suo petto. Aspettò che piangesse, per asciugarle il viso, per piangere con lei. Ma quelle lacrime che aspettava non arrivarono.
Portami a casa, ti prego, Ben - chiese alla fine. Lo stava davvero pregando.
Tornarono all'Istituto aggrappati l'una all'altro.

Quella notte non si sentiva di lasciarla sola, né di lasciarsi solo. Così quando lei diede voce al desiderio di entrambi — Dormi come me stanotte — non si sentì di dirle no, né di dirsi no.
Bastò avvertire da sotto le coperte la presenza dell'altro per far comprendere ad entrambi che non sarebbero riusciti ad addormentarsi subito come niente fosse.
- Spegni la luce, per favore - Non sapeva perché glielo avesse chiesto: lei era più vicina, Ben invece per arrivare all'interruttore dovette sporgersi dall'altra parte del letto. Si allungò sul suo corpo e nel farlo i loro addomi si sfiorarono. Quel breve contatto strappò inevitabilmente un sospiro ad entrambi. 
Ora che era più facile guardarsi Ben era deciso a non staccare un attimo lo sguardo dal volto di lei. Incoraggiati dal buio gli occhi ripercorrevano il ricordo dei suoi tratti, di tanto in tanto arrivava poi il tocco delle sue dita a chiedere una conferma che Lena concedeva in silenzio.
Riconobbe ogni linea del suo corpo e baciò ogni centimetro della sua pelle. Quando arrivò lì, dove la runa era ormai sbiadita, sentì Lena irrigidirsi tra le sue braccia. La strinse più forte quando i singhiozzi cominciarono a scuotere il suo corpo, baciò quella cicatrice che avevano in comune e baciò anche le sue mani ogni volta che cercavano di fermarlo. Anestetizzò con le labbra il dolore e mischiò le sue lacrime con le proprie.
Perché non si sentisse sola, per non sentirsi solo.
Poi nel buio, con le lacrime asciutte sul viso ma fresche nella mente, Lena parlò con un filo di voce.
- Era bello, eh? - Ben non rispose, la avvicinò un po' di più al suo petto ed ad occhi chiusi posò un bacio tra le sue scapole. Sotto la maglia leggera riusciva a sentire con le labbra il calore della sua pelle. Lena era inquieta e quel leggero tocco di labbra, invece di calmarla, la agitò ancora di più. Si voltò impaziente, le coperte attorcigliate intorno alle sue gambe, e lo fronteggiò. Ma erano finiti i tempi in cui non serviva la luce per vederlo, ora davanti aveva solo il buio. Si agitò ancora di più, il respiro le diventò corto, le mancava il fiato. Erano vicinissimi, eppure si spinse ancora di più contro di lui.
Se non poteva vederlo, doveva almeno sentirlo.
- Non ti manco, Ben? Non ti manca essere il mio parabatai? - Era così vicina che poteva sentire il suo cuore batterle nel petto. Ed anche se era buio non era difficile immaginare la piccola piega che si era formata tra le sue sopracciglia, o il labbro stretto tra i denti per quella sua tremenda abitudine di punirsi da sola.
Ben si chiese per cosa si stesse punendo in quel momento.
- Tu mi manchi così tanto - Oh, Lena, ti prego, non fare così.
Ma io sono qui - La voce tremante lo tradì. 
Sono qui, Lena. Non mi senti? - Il suo abbraccio si era fatto urgente, le sue mani le percorrevano la schiena e lasciavano una scia bollente al loro passaggio.
Sentimi, Lena. Io sono qui. Tu sei qui. - La baciò, un tocco leggero di labbra, rispettoso, così diverso dai baci che si erano sempre scambiati. Lena prese quel bacio ma non lo diede. Sciolse una mano del loro abbraccio e poco dopo Ben avvertì il piccolo palmo di lei posarsi sulla parte sinistra del suo petto. Avrebbe giurato di sentire la vecchia runa bruciare sotto il suo tocco.
Ma non sono più qui - disse accarezzando con tocco leggero e struggente quel segno che un tempo li aveva uniti e che ormai era ridotto alla cicatrice di una bruciatura. L'abitudine e i ricordi suggerivano a Ben che probabilmente era appena comparso un sorriso triste sul viso di lei ed i suoi occhi sorprendentemente blu si erano aperti più che mai. Se si sforzava, poteva quasi vederli brillare in quel buio.
E se non sono più qui, è come non esserci - Ben sentì le lacrime scendergli dagli occhi e non aveva né la forza né la voglia di provare a fermarle. Arrivarono le mani di Lena sul suo viso. Arrivarono non con la pretesa di asciugare le lacrime, ma con la premura di dare conforto, in un gesto a cui solo lei avrebbe potuto dare quell'intensità. Ben sentiva il suo tocco e le sue parole facevano un po' meno male, tutto diventava un po' più sopportabile. Perché era lì, nonostante tutto. Perché se non poteva più sentirla dentro di sé era un conforto poterla almeno sentire accanto a sé.
Evidentemente però per lei non era lo stesso.
Non c'era alcun conforto nella sua voce, né nelle parole che gli aveva rivolto. C'era piuttosto una malinconica rassegnazione.
Ma tu invece ci sei ed anche io ci sono. Non ti basta questo, Lena? - Il suo silenzio fu la risposta più efficace ed in quel silenzio Ben la accolse ancora una volta fra le braccia. Le sue parole la cullavano, una dolce ninnananna in quella notte così buia.
- Un giorno basterà... -.


Ben non avrebbe saputo dire con precisione cosa fu a svegliarlo. Non era ancora giorno, si intravedeva la sagoma del sole verso est e la luce non era entrata nella stanza filtrata dalle tende. Eppure era sveglio. Prima di vederlo, sentì che Lena non era più tra le sue braccia. Nell'incoscienza del dormiveglia tastò l'altra parte del letto senza trovare il suo corpo. Quando le sue dita si chiusero intorno alle lenzuola aprì gli occhi.
- Lena... - Non rispose.
Gli ci volle un attimo per rintracciarla nella penombra, un attimo per mettere a fuoco la sua mano sulla maniglia, un attimo per rendersi conto del borsone che stringeva nell'altra mano. Infine gli ci volle un attimo, un attimo ancora, per capire la situazione.
Non gli sarebbero bastati tutti gli attimi, da qui all'eternità, per farsene una ragione.
Si alzò di scatto e la raggiunse con una rapidità che non sapeva di possedere. 
Che fai? Dove stai andando? - Le dita serrate intorno al suo polso minacciavano di bloccarle la circolazione. I suoi occhi passarono dal borsone alla mano ancora poggiata sulla maniglia. Si fermarono nei suoi e vi lessero dentro una verità sconcertante.
- Tu te ne stai andando... - Lo disse quasi senza rendersene conto, ma non per questo fece meno male. 
Lena era una statua di cera, il corpo rivolto verso la porta, il viso verso di lui. Se ne stava immobile, incapace di muoversi mentre Ben farfugliava frasi sconnesse, disperate, senza senso. Non riusciva a capacitarsi di ciò che stava accadendo.
Ben... - lo chiamò con voce cauta. Abbassò gli occhi sulle dita di lui strette intorno al suo polso sottile.
- Lasciami, ti prego - Vide accendersi nei suoi occhi un fuoco che conosceva bene.
No che non ti lascio! - In risposta le sue dita si serrarono ancora di più, avrebbero lasciato un livido, Lena lo sapeva. La tirò per il braccio, verso il centro della stanza, dove non c'era assolutamente niente a cui potesse appigliarsi. Il borsone le cadde di mano.
Spiegami cosa stavi facendo - Si stava sforzando di mantenere un tono calmo, di mandare avanti una conversazione civile, perché non poteva davvero essere come sembrava. Eppure la sua mascella era contratta, la postura rigida, gli occhi un po' troppo aperti. Poteva mentire al resto del mondo, ma non a lei. Lena scoprì di essere ancora brava a leggere i piccoli indizi del suo corpo.
Ma non basta, Lena. Non basta.
- Ben... - Perché diavolo continuava ad usare quel tono accondiscendente? I suoi pugni si serrarono lungo i fianchi.
Dimmi cosa stavi facendo! - urlò così forte che Lena chiuse gli occhi, non le aveva mai gridato contro in quel modo.
Quando non gli rispose in un secondo gli fu di fronte. Lena aveva lo sguardo abbassato verso il pavimento, Ben verso di lei. Sentiva il suo respiro accelerato sulla fronte. Sfilò la pelle dalla morsa dei suoi denti ed afferrandole il mento la costrinse a guardarlo. Quante volte in quegli anni aveva compiuto quello stesso movimento? Ora non urlava più e forse era peggio.
Dove credevi di andartene, eh? - Se non fosse stato così vicino Lena avrebbe potuto fingere di non aver sentito. Combatté contro le sue dita per cercare di distogliere lo sguardo.
- Lontano... - Lui sbuffò una risata amara. A quel suono Lena reagì visibilmente. Sentì sotto le dita il viso di lei contrarsi, vide le spalle chiudersi impercettibilmente su loro stesse ed agì di conseguenza.
- Lontano? Lontano da cosa? - chiese in tono di scherno. Voleva che reagisse, voleva che esplodesse.
Parlami, Lena.
Lontano da tutto questo, lontano dal dolore... - Lontano da te.
Le dita del cacciatore si allentarono leggermente e Lena ne approfittò per sfuggire dalla sua presa. Fece un passo indietro e quella piccola distanza messa tra loro non era che il riflesso di una molto più grande. Il primo dei tanti passi indietro che stava per fare. O forse avanti? Sperava che sarebbero stati passi avanti, era per questo che se ne stava andando. No? 
Sei una pessima bugiarda, Lena - Le parole le riecheggiarono dentro e la sua voce le ricordò di una volta, tempo prima, in cui lui le aveva pronunciate, allo stesso modo. Sì tuffò in ricordi che ora sembravano appartenere ad un'altra vita e ad un'altra persona. Troppo lontani per essere raggiunti, persino troppo lontani per essere ricordati. Era così stanca.
Quando Ben fece un passo avanti, lei ne fece uno indietro e quando lui avanzò ancora, lei si impegnò a mantenere tra loro quella piccola distanza che aveva conquistato.
- Un attimo fa, quando ti ho beccata con la valigia in mano, con le dita sulla maniglia, quando te ne stavi andando come una ladra, tu non stavi scappando dal dolore... - La sua voce era così bassa... - Tu stavi scappando da me. Proprio come stai facendo ora - Un ultimo passo indietro in risposta a quello di lui in avanti e la stanza le ricordò che non era infinita. Lena percepì dietro di sé il duro della parete e più sù il freddo della vetrata della finestra. Si sentì in trappola. La sua fuga sembrava finita, lui avrebbe potuto facilmente azzerare le distanze tra loro, li separava solo un passo... 
Dimmi, pensavi di andartene così? Senza una parola, senza una spiegazione... - Ogni fibra del suo corpo rispecchiava la tensione che c'era nella sua voce. In un gesto frustrato sollevò le braccia ai lati della testa, le dita divaricate fra loro, i tendini tesi spasmodicamente tremavano. Chiuse gli occhi ed urlò di nuovo buttando fuori tutta l'aria che aveva in corpo.
Per l'Angelo, Alena! Pensavi che non me la meritassi una spiegazione? - Ora tremava tutto, visibilmente. Anche le palpebre tremavano incapaci di sollevarsi. Per qualche secondo Lena dondolò sui talloni lottando contro impulsi contrastanti. Doveva muoversi, doveva andarsene, doveva fare qualsiasi cosa, ma non doveva restare ferma. Ferma no. Fermarsi voleva dire pensare e se pensava...
Non fermarti. Non fermarti. Non fermarti.
Si mosse con una velocità che rifletteva la sconsideratezza del suo gesto, si mosse impulsiva come non era mai stata. Ben artigliò l'aria alla sua sinistra, la zampata di un leone. Le cinse i fianchi senza nemmeno aprire gli occhi. La imprigionò in una gabbia di braccia.
Braccata, costretta, in trappola. Il cuore di Lena batteva così forte che riusciva a sentirlo. Le tremavano le labbra, le tremava il viso, tremava tutta e tremava anche lui.
Perché mi fai questo? - Ansimò - Perché ci fai questo. Perché, Lena? - Il suo abbraccio forzato era come un nodo: più si dibatteva e più le si stringeva addosso.
Fermati, Lena.
Non fermarti.
Non ce la faccio - Si sentiva soffocare - Non ce la faccio. Non ce la faccio. Non ce la faccio... - Lo ripeté finché le parole non persero il loro significato - Non ce la faccio a sopportarlo, a starti vicino, ad avere sotto gli occhi quello che ho perso... Per me è insopportabile già ora, ma sarà sempre peggio - Non sapeva decidersi se guardarlo o meno. I suoi occhi non si fermavano abbastanza a lungo in un punto per poter guardare veramente qualcosa - Sempre peggio, sarà sempre peggio. Non ce la faccio... - 
Non fermarti. Non pensare.
Era tentato di urlare, ancora, sovrastarla con la voce come stava facendo col corpo. Ma anche se li avesse coperti, i suoi sussurri agitati non sarebbero svaniti. Ce li aveva dentro, ecco cos'era. La sua voce sottile che ripeteva le parole in una litania sincopata, la preghiera di una disperata, ce l'aveva dentro, ce l'aveva in testa.
Parlò a voce bassissima.
- Pensi che i tuoi problemi lontano da me scompariranno come per magia? È questo che pensi, Lena? - Quando lei si interruppe ed alzò lo sguardo verso il suo fu la dimostrazione che parole sussurrate potevano arrivare alle orecchie più in fretta delle grida.
Annuì con la testa. Gli occhi arrossati sembravano così grandi in quel momento, luccicavano all'orlo delle lacrime, due pozzi blu in cui potevi perderti.
C'era lo sguardo di una bambina sul quel viso di donna.
- Non sono io il tuo dolore, non è da me che devi scappare - Le accarezzò i capelli e lei chiuse gli occhi abbandonandoglisi contro. Tremendamente incoerente eppure giustissimo.
Fa così male, Ben. Voglio solo che non faccia più così male - Avrebbe dovuto rassicurarla, avrebbe dovuto dirle che il dolore presto se ne sarebbe andato, che se rimaneva con lui sarebbe andato tutto bene. 
Lena... - Avrebbe dovuto mentire, incatenarla a sé con vane promesse, avrebbe dovuto...
Non smetterà mai di fare male - La sentì irrigidirsi contro di lui e, quando si divincolò dalla sua presa, schiuse impercettibilmente le braccia lasciandole credere di essersi liberata con le sue sole forze. Lena fece qualche passo indietro e più si allontanava, più il respiro si faceva meno sincopato, le spalle si raddrizzavano un po', le mani smettevano di tremare.
Ben la guardava, avrebbe voluto strapparsi la pelle di dosso.
- Se penso che sarà così tutti i giorni, per il resto della mia vita... - Non fermarti. Non pensare.
Preferirei essere morta, Ben. Preferirei morire in questo istante piuttosto che passare un altro minuto a guardarti sapendo che non potrò mai più averti - Aspettò che si vuotasse completamente la bocca di quelle parole, poi non resistette più e dovette riavvicinarsi.
Sembrava che la storia della loro vita si fosse concentrata in quel breve lasso di tempo. Non era esattamente ciò che facevano sempre? Si cercavano e si respingevano, si avvicinavano così tanto da fondersi insieme, si allontanavano senza mai perdere d'occhio la strada per ritrovarsi. Si erano sempre ritrovati.
Come avrebbero potuto perdersi? Tu puoi perderti un braccio? Ecco, loro non potevano perdersi. Erano legati. Erano uno in due. Erano... Erano.
Ora il filo si era spezzato. Ora se si spingevano troppo lontano non si sarebbero più ricongiunti come gli estremi di una calamita. Ora occorreva essere bravi a non cadere.
I cacciatori hanno un buon equilibrio, no?
- Pensavo che avessimo deciso di comune accordo che spettasse a me la parte dell'egoista, Lena - le soffiò in faccia. Era così vicina... 
Riesci ad immaginare cosa vorrebbe dire la tua morte per me? Puoi immaginarlo? - Certo che posso.
- Ma certo che puoi... - La sua voce si spense inseguendo un discorso chiaro nella sua testa, ma invisibile agli occhi di Lena. Gli vennero in mente Geremia e le sue parole.
Tu ce l'hai ancora una parabatai.
Come poteva essere così cieca da non vedere? Come poteva ostinarsi a tenere gli occhi chiusi?
- L'abbiamo scelto, Lena. Abbiamo scelto di essere parabatai - Le mani scivolarono sulle sue spalle, la scossero come fecero le sue parole.
- Si, ma io... Io non ho scelto questo - Parlava il panico per lei, cieca paura. Ecco qual era la verità: aveva paura. Ora che aveva sperimentato il più profondo dei dolori aveva paura perché sapeva cosa voleva dire. 
Dicono che la sofferenza più grande sia quella che stai vivendo, se ti guardi indietro, non c'è niente che ti sembri confrontabile con ciò che stai attraversando. È nella natura umana sfuggire dal dolore ed in quel momento Lena era ciecamente convinta che stare fermi significava aspettare che arrivasse il dolore. Doveva muoversi, doveva andarsene, doveva scappare dal dolore. Era stanca, così stanca. Voleva solo andare via dal dolore.
- Mi consumerà, Ben. Non riuscirò mai a sopportarlo, mi ucciderà. Devo andarmene, non capisci? È troppo, è... - Non la lasciò finire, le parlò sopra, la zittì con parole che, anche se non erano sue, lei avrebbe riconosciuto. Parole su cui un tempo aveva giurato.
Dove andrai tu andrò anch'io. Dove morirai tu morirò anch'io, e vi sarò sepolto. L'angelo faccia... -
Smettila! Ti prego, smettila! Non siamo più parabatai, Ben! - Dopo che l'ebbe urlato, per un momento, tutto tacque. La lasciò di botto, come scottato. 
Non dire così - Per un attimo si voltò dall'altra parte, un vano tentativo di impedirle di leggere sul suo viso quanto quelle parole l'avessero ferito. Un tempo sarebbe stato lo stesso, ma ora Lena era troppo distratta dal proprio dolore per pensare anche al suo. Lena non aveva intenzione di fermarsi.
Stavolta fu lei ad avvicinarglisi. Aveva addosso la paura travestita da rabbia quando alzò una mano e se la batté sul petto, un tocco che un tempo avrebbe sentito anche lui.
Perché non dovrei dirlo? Non c'è più. Te l'hanno bruciata addosso, Ben. Non c'è più nessuna maledettissima runa che ci lega! - Era diventata così egoista? Credeva forse che non ricordasse il ferro che calava su di lui ustionandogli la carne? Credeva che non sognasse ogni notte le torture che aveva subito?
Tornò a guardarla, in faccia un'espressione disgustata.
Come puoi ridurre tutto ad una questione così materiale? - Fermati, Lena.
- Quando hai giurato davanti a Raziel, quando mi guardavi le spalle in battaglia, quando mi tracciavi sul braccio un'iratze... Eri legata alla tua stupida runa o a me? - Gli bolliva il sangue nelle vene. Si abbassò su di lei, così vicino che poteva vedere le vene del suo collo pulsare.
Fermati, Lena.
Quando facevamo l'amore... - disse nel tentativo di colpirla a fondo. La vide irrigidirsi, le ciglia che cercavano disperatamente di non lasciar passare le lacrime.
O aveva fatto centro...
E tu come puoi confondere quello che c'è stato tra noi con il nostro legame? - 
... O aveva completamente mancato il bersaglio.
Mai avrebbe immaginato di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca.
- Oh, Lena... Come puoi tu pensare che le due cose siano divise! - Piangi, Lena. Disperati. Urlami contro. Ma non guardarmi così.
Dov'è che vedi questo netto confine? Non ci siamo forse battuti per far capire che il nostro amore non era solo una questione di carne, Lena? Come fai ora a banalizzarci in questo modo? Perché mi mortifichi così? - No, non voleva banalizzare ciò che c'era stato tra loro e no, non stava cercando di mortificarlo. Quello che Ben non riusciva a capire era che, mentre lui sapeva esattamente ciò che voleva, Lena si sentiva più che mai divisa. Era una guerra civile quella che aveva dentro, stava solo cercando di limitare i feriti. Non poteva impedirle di proteggersi.
Mi sembra di parlare con una sconosciuta... Non ti riconosco più, Lena - Senza rendersene conto aveva appena detto le uniche parole che non avrebbe dovuto. Quella frase, pronunciata con collera per scuoterla, giunse alle orecchie di lei come un'amara conferma.
Non sono più la tua parabatai.
La rabbia che l'aveva invasa poco prima scemò velocemente. Era come se stesse guardando la scena fuori dal proprio corpo. Si sentiva lontana, distante, come se non stesse accadendo tutto a lei. Come quando leggi un libro di cui sai già la fine: sai come andranno le cose, però lo leggi uguale ed in cuor tuo hai già accettato quel finale, perché sai che è così che deve andare. E quando arrivi a quella fine che sapevi già in partenza, ti convinci che è valsa comunque la pena di intraprendere quel viaggio di parole, che in qualche modo ti ha cambiato, o che magari ti ha aperto gli occhi su chi sei. Quello che accade subito dopo è che vuoi altre pagine. Non importa che ti piaccia o meno quel finale, ne vuoi un altro. Uno che non conosci, che non puoi prevedere, uno che ti sorprenda. Vuoi un'altra possibilità.
Lena avrebbe tanto voluto che quella non fosse la sua ultima pagina, voleva un altro finale ed un'altra possibilità.
Non lo stava ascoltando.
- Lena! - la scosse per attirare la sua attenzione volata chissà dove. Si ridestò bruscamente con Ben che le ripeteva per la terza volta una domanda che era in realtà un'accusa. Si chiese come faceva, lui che come lei li aveva provati entrambi, a confondere il sentimento degli innamorati a ciò che lega due parabatai. Glielo avrebbe spiegato, avrebbe difeso le proprie ragioni, ma all'improvviso non trovava la forza di gettarsi in una discussione come quella, non ne trovava un senso. Aveva la bocca asciutta e la testa vuota, le parole non le erano mai sembrate tanto inutili. Troppe, troppe parole. Leggere, piume in balia del vento, volavano via quelle parole. Era così stanca.
- Lena! Ti prego... Di' qualcosa! - Parole, altre parole. Troppo leggere per rimanere, sarebbero volate via, portate dal vento. Proprio come Lena. Il vento avrebbe portato via anche lei. Troppo leggera per rimanere, stava già volando via...
- La Lena che ti ama non ti lascerebbe per niente al mondo - Parole pesanti quanto piume vorticarono per la stanza. Lo guardava mentre pronunciava quella che era al tempo stesso una dichiarazione ed una condanna. Così tanta intensità in un solo sguardo.
- Eppure è colpa sua se adesso siamo divisi - Oh, Ben, se solo non mi avessi amata, se solo non ti avessi amato... Mi avresti ancora. Ti avrei ancora.
- Questo, la tua parabatai, non riesce proprio a perdonarglielo - L'intensità del suo sguardo e di quelle parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso. Per un attimo barcollò confuso, un'instabilità emotiva che si ripercuoteva sul suo corpo. Si appoggiò alla parete, avrebbe giurato di poter cadere.
Forse i cacciatori non hanno un equilibrio così buono.
Tu sei sconvolta. Tu non sai quello che dici. Magari non oggi, magari non domani, ma abbiamo tutta la vita davanti. Hai una vita davanti a te, Lena, un futuro. Ma se te ne vai... - Gli si ruppe la voce e per qualche secondo non fu in grado di continuare. La mano con cui non si appoggiava al muro copriva il suo viso, le dita scosse da un tremolio che solo lei era in grado di percepire.
- Se te ne vai, Lena, non c'è futuro. Se adesso te ne vai, sarà stato tutto inutile - Non osava guardarla, il suono della sua voce era già abbastanza per destabilizzarlo.
Se non me ne vado impazzirò. Il dolore mi ucciderà - Nei lungi attimi di silenzio che seguirono l'unico suono che si percepiva era quello che producevano le sue unghie mentre raschiavano il muro. Non si mosse di un millimetro.
Alla fine fu Lena a muoversi. Non col corpo, però. La sua voce si mosse per lei.
- Ma non lo senti quanto mi fa male, Ben? - La stanza non era vuota, allora perché sentiva l'eco intorno a sé?
Non lo senti quanto mi fa male, Ben? Ben? Non lo senti? Mi fa male, non lo senti? Ma non lo senti quanto mi fa male? Lo senti, Ben?
Perché quando si è parabatai basta chiudere gli occhi per sentire ciò che sente l'altro. 
Ma non lo senti quanto mi fa male, Ben?
Chiuse gli occhi. Tutto ciò che sentiva era il grande vuoto che gli si era aperto dentro.
Con quale coraggio le diceva che poteva sopportarlo?

Si staccò di scatto dal muro, aveva un disperato bisogno di sfogarsi su qualcosa, e si ritrovò lei davanti. Frustrato fece dietrofront. Tutto ciò che aveva voglia di prendere a pugni in quel momento era il proprio viso, ma si accontentò ugualmente di colpire il muro.
Successe così velocemente che Lena se ne accorse solo quando vide la rientranza che era comparsa nella parete e i pezzetti di intonaco che venivano giù tra scie di polvere. Lo sguardo si spostò automaticamente su Ben.
E questa vorresti chiamarla abitudine?
Il suo petto si alzava e si abbassava in movimenti rapidi e sincopati, teneva la mano destra vicino alla gamba, penzolava con le dita semichiuse in una posizione rigida. Dalle nocche sbucciate goccioline di sangue cadevano sulla moquette. Anche lui la guardava. Niente ebbe più importanza.
Lena ci mise meno di un secondo a raggiungerlo.
Che ti sei fatto? - una domanda mormorata come un rimprovero mentre si inginocchiava ai suoi piedi e sfiorava in punta di dita la mano ferita. Avrebbe voluto fargli un'iratze, ma non era più la sua parabatai e quella runa avrebbe avuto più effetto se se la fosse tracciato da solo.
Oh, Ben... Che ti sei fatto? - Di battaglie ne aveva combattute, di ferite ne aveva viste e subite eppure non riusciva ad essere insensibile quando a versare il sangue era lui. Se solo si fosse resa conto che una mano rotta non era nulla in confronto al male che gli stava facendo...
- Non è niente - E per un attimo fu tentato di spostare il braccio perché l'orgoglio del guerriero gli diceva di non lasciarsi compatire, eppure non lo fece. Non c'era orgoglio davanti a Lena. Non si sottrasse a quel tocco leggero, anche se bastava a ricordargli che non era fatto d'acciaio.
In un gesto spontaneo e tremendamente giusto Lena avvicinò il viso e lentamente baciò ognuna delle nocche ferite.
Il suo sangue sulle sue labbra.
Sapeva che non avrebbe resistito a lungo senza toccarla, non ci provò nemmeno a resistere. L'altra mano, quella sana, si posò come calamitata sul suo viso. Accarezzò la guancia morbida, lo zigomo scolpito; sfiorò le piccole efelidi vicino la curva dolce del naso; e poi ancora su: le palpebre di quegli occhi che aveva chiuso, le sopracciglia, la fronte liscia, l'attaccatura dei capelli ambrati. Qualcosa brillò agli angoli dei suoi occhi, l'attirò a sé e non servì vedere le lacrime per sapere che stava piangendo. Piangeva inginocchiata davanti a lui, abbracciando la sua gamba. Ad un punto smise di contenere i singhiozzi, li lasciò uscire rumorosi, disperati, sinceri. Piangeva e non c'era modo di farla smettere.
Ma non lo senti, Ben?
- No. Non lo sento, Lena. Mi dispiace così tanto. Non lo sento. Non lo sento più -.

Piangeva mentre spostava il viso dalla sua gamba. Piangeva mentre si alzava in piedi, mentre afferrava per il manico il borsone. Piangeva mentre spingeva in basso la maniglia, mentre apriva la porta, mentre passava accanto a quelle persone che, là fuori, attirate dalle grida, avevano probabilmente origliato tutto il loro discorso. Piangeva quasi correndo per quel corridoio che non avrebbe più attraversato, per quei ricordi che stava scansando. Piangeva perché sentiva dietro di sé i passi di Ben e perché sapeva che stavolta non poteva raggiungerla.
Pianse quando uscì dall'Istituto, quando fuori il vento la spinse indietro. Quando lui la chiamò per la centesima volta.
Quando urlò una parola a cui, prima di allora, aveva sempre risposto.

Non fermarti.
Si fermò. Immobile per un attimo mentre tutto dentro di lei correva.
Non si voltò. Non rispose. Riprese a camminare.
Sul suo viso c'erano lacrime che non si sarebbero mai asciugate.


La parola rimase sospesa nell'aria mentre se ne andava.
Urlata, come una domanda.





«Sempre».
  
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