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Autore: Feynman    09/09/2015    1 recensioni
Gallipoli.
Marina vive a Roma, ma a Gallipoli c'è sua madre.
Serena vive a Firenze, e anche sua madre è a Gallipoli - come tutta la sua vita, d'altronde.
Serena e Marina erano Schiele perché avevano colore.
***
Finchè l'uomo avrà occhi, avrà respiro,
vive la mia parola, e in lei sei vivo.
***
[Prequel di "Siamo Soutine e partecipante al Contest “V’è un piacere nello scrivere”, bandito da Chloe R. Pendragon e AmahyP sul Forum di efp]
Genere: Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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III.

 
 
Sua madre aveva passato giorni e giorni a parlare di Serena, di quanto fosse intelligente, arguta, un’ottima compositrice e bellissima, ma questo sua madre non lo aveva detto. La notte, quando Carlotta rientrava a casa dopo aver salutato Maria, Marina aspettava che la sorella si addormentasse, allora accendeva il piano luminoso sul quale disegnava e lasciava che la matita prendesse vita: disegnava fiamme, occhi scintillanti, figure danzanti e mani che stringevano sigarette. A Marina bastava chiudere gli occhi per vedersela davanti in ogni momento e in ogni luogo.
Gianpaolo l’aveva contattata molte volte, in quelle settimane di lontananza, e le sue risposte erano sempre a monosillabi e anche scocciate, a volte. Il ragazzo le parlava dei compiti di matematica, del libro di chimica che avrebbero dovuto leggere durante l’estate, dei problemi di fisica di cui Marina non aveva mai capito nulla eppure lui continuava a cercarla, a volerla sentire e a riempirla di frasi dolci e carezzevoli. Le diceva che sentiva la sua mancanza, che la vedeva in ogni dove e lei immaginava di parlare con Serena e non con Gianpaolo; sostituiva la voce nasale del ragazzo con quella bassa e sensuale della ragazza e si sentiva meglio.
Si era chiesta tante di quelle volte perché continuasse a stare con lui, se non lo amava e si era risposta che lo faceva per suo padre, per dimostrargli quanto fosse normale, in realtà. Suo padre aveva bisogno di essere rassicurato e Marina gli dimostrava che sicuramente avrebbe frequentato la facoltà di medicina e fuori di ogni dubbio si sarebbe sposata e avrebbe fatto dei figli.
Te ne devi fottere, di tuo padre.
Già, se ne doveva fottere di suo padre, ma Serena cosa ne poteva sapere? Lei viveva con sua madre e il padre lo aveva completamente cancellato dalla sua vita. Lei componeva musica, usciva la sera, non aveva pensieri sul rendere felici le persone che le vivevano accanto. Serena se ne fotteva di tutti, mentre Marina veniva fottuta.
Scosse la testa con forza e strappò il foglio, pieno di disegni e schizzi veloci, dall’album da disegno e lo gettò nel cestino, stizzita. Quella era tutta colpa della madre che non la finiva mai di parlare bene di Serena, ecco perché continuava a vederla ovunque. Sentì qualcuno bussare alla porta ma non si voltò, sicura che fosse sua sorella Carlotta che si era dimenticata qualcosa, prima di uscire con Maria. Il rumore, però, si ripeté e Marina si sentì costretta a rispondere con un mugugno: era di cattivo umore e chiunque fosse, non avrebbe ricevuto un trattamento diverso.
«Posso entrare?».
Bene, era talmente impazzita che adesso sentiva anche la voce di Serena, in camera sua.
«Sarebbe buona educazione rispondere, sai?».
E faceva anche la spiritosa, oltretutto.
«E va bene».
Una mano calda le afferrò la spalla e la costrinse a girarsi, facendo roteare la sedia girevole della scrivania. Marina fu costretta ad accettare il fatto di essere impazzita visto che, davanti a lei, c’era Serena con le braccia intrecciate sul petto e una borsa a tracolla ai piedi. «Tua madre mi ha chiesto di farti uscire di qui» le disse, sedendosi sul suo letto, rimanendo il più lontana possibile. «E direi che ha anche ragione. Da quanto non pulisci o non apri le finestre?».
«Sto ancora dormendo, e non so nemmeno perché ti sto rispondendo».
Serena alzò un sopracciglio ma non chiese nulla, all’altra ragazza. Marina, notando che Serena non aveva aperto bocca, tornò al suo album da disegno, distogliendo l’attenzione dall’altra.
«Senti, neanche io sarei voluta venire ma…».
«Sto ancora dormendo e questo è un sogno» rispose Marina, come se fosse la conclusione più logica.
«Ti posso assicurare che non stai sognando».
«Lo dicono tutti i sogni».
Serena sospirò. «Perché dovresti sognarmi?».
«Perché ti sogno ogni notte».
Si alzò dal letto di Marina e si sporse sulla spalla della ragazza, per vedere cosa stesse facendo di così importante. Marina era completamente assorta e i capelli biondi fermati da una matita, le solleticavano il naso quando poggiò il mento sulla sua spalla.
«Nei film, in momenti come questo il ragazzo bacia la ragazza».
«Nei film degli anni ’90 succede così, sì».
Serena abbassò la testa e guardò la mano di Marina che muoveva la matita sopra il foglio: tracciava linee precise e sinuose ma la figura era difficile da inquadrare.
«Sembra una bistecca sul fuoco» le fece notare, prendendo il foglio in mano.
Marina riprese il foglio, voltandosi verso l’altra. «Be’, non è una bistecca».
«Ah no? E cosa si presuppone che sia?».
«Tu» confessò, fissandola negli occhi. Serena non arrossì, ma rimase in silenzio e solo dopo sessanta estenuanti secondi di silenzio, iniziò a ridacchiare trascinandosi dietro anche Marina.
«Dovremmo uscire sul serio. Pensavi fossi un sogno».
«Lo penso ancora, in realtà» sussurrò Marina, alzandosi dalla sedia per dirigersi verso l’armadio e tirare fuori un paio di pantaloncini. «L’altro giorno ti ho trattata di merda e me ne sono uscita con quella… cosa».
«La cosa del ragazzo?».
Marina annuì e si sfilò la camicia da notte, dalla testa. Serena rimase in silenzio, a guardarla ma dopo poco distolse lo sguardo, voltandosi dall’altra parte e tossì, imbarazzata.
«Mai vista una ragazza nuda?» scherzò Marina.
«Anche troppe, in realtà. È per questo che… insomma…».
«Sto con Gianpaolo solo per sembrare il più normale possibile, a mio padre».
«Si fa tutto per i genitori, non è vero?» le chiese, ridendo. Marina le poggiò una mano sulla spalla, come Serena, prima, aveva fatto con lei e la fece voltare. Le due ragazze erano alla stessa altezza. Gli occhi di Marina erano lucidi, le labbra di Serena erano aperte e il fiato di lei accarezzava il viso dell’altra. Serena sentiva il peso della mano di Marina sulla sua spalla e Marina sentiva il calore di Serena sul fianco e sulla schiena. Come erano arrivate, a quel punto?
«Sei tu che devi dirmi di fermarmi, Marina» sussurrò Serena, a pochi centimetri dalla bocca dell’altra ragazza.
«Non credo che lo dirò, Serena».
Serena la baciò, delicatamente. Fu solo un leggero sfiorarsi, all’inizio. Marina doveva abituarsi all’idea di star baciando una ragazza e di essere praticamente nuda, davanti a lei. Capì che sarebbe stata lei a dover fare il prossimo passo perché, Serena, non l’avrebbe mai fatto; dopotutto Marina le aveva detto di essere fidanzata con un ragazzo e Serena non voleva prendersi responsabilità di sorta, ma Marina non amava Gianpaolo ed era sempre più sicura, anche quando toccò il labbro inferiore di Serena con la sua lingua, di starsi innamorando della ragazza e che se ne stava altamente fottendo di tutto il mondo all’esterno. Serena, sentendo che l’altra ragazza stava facendo forza, aprì le labbra e lasciò che iniziasse a esplorarle la bocca, mentre si costringeva a non pensare che Marina, probabilmente, lo aveva già fatto con un ragazzo dai lineamenti sconosciuti. Fu per quello che Serena la prese in braccio e la inchiodò all’anta dell’armadio, accarezzandole la schiena e le cosce, ancorate ai suoi fianchi. Marina le baciò le guance, le palpebre, la fronte e di nuovo le labbra mentre Serena le succhiava la pelle del collo, lasciandole un vistoso succhiotto viola.
«Questo rimarrà per un po’» le sussurrò Serena, prendendo fra i denti il suo orecchio.
Marina ansimò forte contro il collo di Serena e le afferrò i capelli, alla base della nuca e li tirò indietro, facendole inarcare il collo per ricambiarle il favore: Marina le lasciò il segno del suo passaggio in corrispondenza della giugulare e sentì Serena gemerle contro, voltarsi e buttarla sul letto.
Marina indossava solo un reggiseno sportivo e un paio di mutande in microfibra, il suo ventre era piatto e Serena si gettò sul suo ombelico, leccò la pelle e succhiò, rilasciandola con un sonoro schiocco. Marina continuava a stringerle i capelli e la riportò sulle sue labbra, famelica.
«Non porti troppi vestiti, per quello che stiamo facendo?».
«Speravo tu potessi darmi una mano, in realtà» le rispose Serena, scoprendole un seno e leccandole il capezzolo che, quasi subito, si inturgidì e fece gemere l’altra un po’ più forte di prima. «Queste cose il tuo ragazzo non te le fa, vero?». Marina riuscì a fare un gesto di diniego con la testa, aprì gli occhi e vide Serena, sopra di lei, che la guardava con le iridi completamente inghiottite dal nero della pupilla. Marina la prese per le spalle e la fece alzare dal suo seno, si tirò su a sua volta e le sfilò la canotta: Serena non portava il reggiseno, sotto.
«L’hai fatto per me?».
«Non pensavo che saremmo andate a finire così» le rispose, riprendo a baciarla dolcemente e riportandola con la schiena sul materasso. «Oggi è solo per te, dear».
Serena finì di sfilarle il reggiseno, le baciò entrambi i capezzoli, obbligandola ad aprire le gambe per posizionarsi in mezzo. Gli inguini combaciavano e Serena iniziò a strusciarsi contro di lei, continuando ad accarezzarle i fianchi e la schiena fino alla base. Le mani si spostarono dai seni, al ventre, fino a raggiungere il bordo delle mutande che, lentamente, vennero sfilate e lasciate scivolare lungo una gamba. Marina sentì il contatto ruvido tra le sue cosce e i pantaloncini di jeans che Serena ancora indossava e decise di smetterla di star ferma e di sbottonarglieli. Glieli sfilò in fretta, assieme alle mutande e le agganciò le cosce attorno ai fianchi, costringendola ad entrare in contatto con lei, pelle contro pelle. Serena ansimò dalla sorpresa per l’improvvisa vicinanza con l’inguine dell’altra e decise di iniziare a muoversi contro di lei, continuando ad accarezzarla e baciarla.
Presto, i gemiti di Marina si fecero sempre più alti e Serena respirò sempre più a fatica. La stanza, con le serrande abbassate e le finestre chiuse, si fece incredibilmente calda e i corpi delle due ragazze iniziarono a costellarsi di gocce di sudore. Marina annusò l’odore di sale, fumo e menta di Serena e lo trovò ancora più eccitante della prima volta perché, adesso, Serena sapeva anche di lei.
Marina portò una mano fra i bacini e iniziò a toccare Serena, facendola urlare per la prolungata eccitazione non ancora sfogata e decise di inserire un dito, di sfiorarla lì dove anche lei, quando suo padre non era in casa e Gianpaolo la lasciava insoddisfatta, si toccava. Serena iniziò a muoversi più in fretta, attorno al suo dito e Marina si rese conto che Serena stava per fare lo stesso, con lei, ma che l’aveva preceduta, lasciandola sorpresa. Serena, però, si scostò e Marina le diede una leggera pacca sul sedere e l’altra la guardò: «Avevo specificato che oggi era per te» le disse, ansimando leggermente e scostandosi i capelli da davanti agli occhi. Tracciò un percorso infuocato, con la lingua, dal collo di Marina fino ai fini peli biondi del pube, schioccandole un bacio sul Monte di Venere e riempiendosi le orecchie con i gemiti sempre più alti della ragazza. Marina alzò la testa e fu costretta ad attaccarsi alle lenzuola per non cadere dal letto: il tocco della lingua di Serena le stava provocando una scarica di brividi che dalla base della schiena le arrivarono fino al cervello. Sentì le sinapsi aumentare, le costole distendersi e i polmoni aprirsi in cerca d’aria, avvertì la sua voce uscirle fuori dalla gola e gridare, gridare per interi secondi mentre Serena continuava, senza pause, aggiungendo anche le dita, oltre alla lingua. Voleva farla impazzire, ne era certa. Sentì i muscoli della gambe cederle, le mani erano informicolite per quanto forte aveva stretto le lenzuola finché, finalmente, un abbacinante lampo bianco dietro le palpebre la liberò definitivamente e la fece crollare, finalmente spossata e senza pensieri.
Sentì gli scricchiolii del materasso e lo avvertì abbassarsi, accanto a lei. Seren le coprì entrambe con il lenzuolo azzurro caduto a terra e le baciò teneramente la tempia sudata, scostandole i capelli dalla fronte. Le baciò le palpebre abbassate, le spalle doloranti e le guance arrossate. Passò quasi l’intero pomeriggio a sussurrarle, nelle orecchie, tutto quello che avrebbero potuto fare con ancora un mese a disposizione. Marina si accorse che non si era mai preoccupata del rumore che aveva fatto, delle grida e dei gemiti che avevano riempito la sua camera da letto e, ancora assonata, si voltò nell’abbraccio costrittivo di Serena. «Ci avrà sentite qualcuno?».
«Tua madre è uscita dopo che io sono entrata in camera tua. Andava da mia madre».
«Che fortuna» disse, stiracchiandosi e avvolgendo il petto nudo di Serena, con un braccio. «Spero di non aver fatto una brutta figura».
Serena si sollevò, appoggiandosi alla mano e iniziò a giocare con una ciocca di capelli biondi, come aveva fatto la settimana precedente sulle scale bianche. «Affatto» la rassicurò, posandole un bacio a fior di labbra. «Che ne dici di una sigaretta?».
«Non è un cliché, quello della sigaretta dopo il sesso?» le chiese, scherzando, Marina e beandosi della pelle nuda e abbronzata dell’altra, mentre si piegava a cercare il pacchetto di Marlboro nella borsa di tela.
«Tutto questo è stato un cliché cinematografico, Marina» rispose l’altra, accendendo la sigaretta, si sedé sul lenzuolo e iniziò ad accarezzare la coscia dell’altra. «Se fosse un film, a questo punto dovrei declamare una poesia».
«Be’, puoi provarci» scherzò Marina, alzandosi e togliendo la sigaretta dalle labbra di Serena che, velocemente, l’afferrò per la nuca e le soffiò il fumo all’interno delle labbra.
«Aspira» sussurrò.
Marina lo fece e Serena, rimanendole vicina, approfondì il bacio. L’altra sentì il suo sapore mischiarsi al fumo e al sapore di dentifricio, all’odore di Serena e al gusto della sua lingua.
«Ti dirò uguale a un giorno d'estate?» iniziò Serena, sfiorandole le spalle, adagiandola di nuovo sul materasso e salendole a cavalcioni.
«Più temperanza tu hai, più dolcezza:
i molli bocci sferza il vento al maggio
e l'estate ha scadenze troppo brevi.» continuò, baciandole le clavicole e mordendole il collo.
 «Talor l'occhio del cielo a dismisura
arde, e si vela il dorato sembiante,
e per sorte o mutevole natura
pur inclina ogni cosa bella e cade.» le sussurrò, soffiandole sui capezzoli e leccandoli.
 «Ma la tua estate eterna non scolora
e non si priverà di tua bellezza,
non ha vinto su te la morte, l'ombra,» le rivelò, guardandola negli occhi e carezzandole le guance di nuovo rosse.
«quando al tempo tu cresci in linee eterne.
Finchè l'uomo avrà occhi, avrà respiro,
vive la mia parola, e in lei sei vivo.» concluse, posandole un bacio sulle labbra che, Marina, volle approfondire affondando la sua lingua nella bocca dell’altra, assaggiandola di nuovo, finché non fosse arrivato il momento di dire addio.
Ma, come le aveva sussurrato Serena, finché lei avesse avuto gli occhi, l’altra sarebbe vissuta e le avrebbe raffigurate sempre così: abbracciate nella sua camera da letto, con le serrande abbassate e la prepotente luce estiva che voleva penetrare comunque, nel loro rifugio lontano dal mondo esterno.
Sarebbero state come Gli Amanti di Schiele.
Sarebbero rimaste come loro, abbracciate infinitamente e impresse su tela.
I capelli color mogano di Serena, la pelle bianchissima di Marina, il fumo fra le labbra e il rossore sulle loro guance.
Le servivano solo i colori, per vivere infinitamente come Amanti.
Perché loro avevano colore.





N.d.A.

E Serena e Marina hanno fatto le cose, finalmente. 
Il sonetto, che ho usato, è di William Shakespeare ed è il numero XVIII. 
Hasta la vista, 
Feynman
 
   
 
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