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Autore: Castiga Akirashi    10/09/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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«Donkey!» esclamò Giovanni, vedendo il suo amato Primeape cadere a terra con un tonfo, senza forze.
*«Amico, stai bene?!»* chiese preoccupato Wing, il Pelipper compagno di squadra.
Ma Donkey, svenuto, non rispose. Lunatone e Solrock levitavano di fronte a loro, quasi indenni. Tell e Pat sembravano irriconoscibili. A braccia incrociate, in piedi, specchiati l'uno all'altra. E implacabili.
Giovanni fece rientrare l'amico e tentò il tutto per tutto: «Vai, Wing! Usa Idropulsar!»
Il Pelipper volò verso gli avversari e sparò un violento getto d'acqua dal becco. Lunatone si mise davanti a Solrock, usando lo Schermoluce, mentre il compagno caricava un cono di luce solare che si abbatté il turno dopo sul povero Pelipper, sottoforma di Solarraggio. Il Pokémon volante resistette ma uno Psichico gli bloccò ogni movimento e Solrock si scagliò contro di lui con tutto il suo peso, mandandolo KO e mettendo fine all'incontro.
Giovanni lo fece rientrare, sconvolto. La battaglia era durata pochissimo: Tell e Pat avevano una strategia perfetta, rodata in anni di sfide, mentre lui, avendo fatto pochissimi incontri doppi, non aveva capito come fare. Ed era stato schiacciato dalla loro forza. Non riuscì più a rimanere lì. La vergogna della delusione lo fece fuggire via. Pat guardò Tell, un po' dispiaciuta, e mormorò: «Non è che forse ci siamo andati giù troppo pesanti?»
«È nostro amico ma questo non deve cambiare le cose.» le rispose Tell: «Se Giovanni vuole la medaglia Mente, dovrà fare meglio di così.»
«Al nostro posto, c'è chi avrebbe paura della reazione materna!» rise la sorella, dandogli un buffetto.
Tell sorrise e rispose: «Athena sarebbe d'accordo con noi.»
Giovanni uscì dal centro Pokémon ancora giù di corda. Guardò il mare. Fece uscire Pelipper e fece rotta verso Orocea. Doveva fare una cosa di vitale importanza.
A Zafferanopoli, invece, in quel momento, Lily stava uscendo da scuola, abbattuta per quel tema a sorpresa. Sperò di essersela cavata, commentando con l’amico Felix il disastro, ma si bloccò vedendo una figurina ferma sul marciapiede.
«Martha! Che ci fai qui?!» chiese, avvicinandosi a lei seguita dall’amico.
«Sorellona!» esclamò la bionda ragazzina di nove anni, correndole incontro e cingendole la vita: «Non voglio più tornare a casa! Voglio venire con te e papà! Ti prego! Ho paura!»
«Calmati sorellina.» mormorò dolcemente Lily, accarezzandole la testa: «Forza, raccontami tutto.»
«Il compagno della mamma è cattivo!» urlò lei, scoppiando in lacrime: «È cattiva anche lei! Non la voglio più vedere, mi odia!»
Lily capì al volo cosa intendesse la sorella. Sembrava davvero spaventata e lei sapeva benissimo come si sentisse. Tenendole una mano intorno alle spalle per confortarla, con l’altra prese il cellulare ma Felix intervenne per aiutarla e mormorò: «Ehi, Mary. Queste lacrime non sono da te. Dov'è il tuo bel sorriso di sempre?»
La bambina avvampò di colpo, notando il ragazzino solo ora che le aveva rivolto la parola, e balbettò qualcosa mentre la sorella chiamava il padre. Quando lui rispose, disse: «Papà, Martha è disperata e vorrebbe venire a vivere con noi. Non me la sento di rimandarla a casa in queste condizioni…»
Raphael annuì e rispose: «Chiama N e chiedigli se ha un posto. Al limite vado sul divano. Con Daisy me la sbrigo io.»
«Ok, pa’. Ci vediamo dopo.»
«Ciao.»
Lily mise via il cellulare sospirando, ma si fece passare la malinconia e il ricordo, e disse, sorridendo alla sorella: «Ehi, Mary. Per stanotte vieni da noi. Sei contenta?»
«Davvero?!» chiese lei, illuminandosi di colpo.
Lei annuì e la sorellina le prese la mano, trascinandola e urlando: «Andiamo, andiamo!»
Lily fece un cenno di saluto a Felix, che mimò il gesto di usare il cellulare. Lei annuì, lo salutò nuovamente, e quando lui si fu allontanato, disse: «Aspetta, Mary! Devo prima dirti un paio di cose.»
Martha si bloccò e fissandola chiese: «Cioè?»
«Cioè… con me e papà vive un altro signore, che si chiama N. È un tipo un po’ strano, ma non devi aver paura di lui. Ok?»
«Ma io…» cominciò a rispondere la bambina, terrorizzata, ma la sorella la interruppe dicendo: «Mary, lo so cosa ti ha fatto. Credimi. Ma ti assicuro che di lui non c’è da preoccuparsi. È gentile e tanto dolce…»
Lily arrossì appena, ma poi scosse la testa, si riprese e disse: «Di lui non devi avere paura. Fidati di me.»
«Cercherò…» mormorò lei, aggrappandosi alla sua maglia in cerca di protezione.
«Brava, piccola. E un’altra cosa… con noi vivono tanti Pokémon, ma Daisy si sbaglia quando dice che sono cattivi. Sono delle creature buone e simpatiche!»
Martha arretrò, impaurita, ma Lily le sorrise e aggiunse: «Capirai cosa intendo quando arriva lo zio. Mi porta sempre lui a casa perché è lontana. E terzo… te lo dico anche se per ora non serve, stai lontana da Giovanni.»
«Chi è?»
«Il mio fratellastro. E lui è veramente “astro”, non come te. È antipatico, violento e cattivo. Non parlargli nemmeno che è meglio.»
Martha annuì, prendendo la mano della sorella e cercando di memorizzare tutte le avvertenze, mentre lei prendeva il cellulare e faceva il numero. Dovevano aspettare Pidg, quindi avevano tempo.
«Ciao, N.» salutò arrossendo lievemente quando l’uomo rispose con un elegante: «Dimmi pure, mia cara.»
«Hai un altro posto in casa?» chiese lei, quasi cinguettando, tutta contenta di sentirlo.
«Per chi, se mi è lecito saperlo?»
«Certo che ti è lecito!» rispose lei, ridacchiando divertita: «È per la mia sorellina. Ti spiego meglio quando siamo lì.»
«Non c’è problema, Lilith.» annuì lui, con un sorriso: «C’è tutto lo spazio disponibile. Vi attendo sull’uscio.»
«Va bene N, grazie! A dopo!»
«Ciao.»
Martha la guardò perplessa e lei le fece segno con il pollice in su. La sorella le rispose con un sorrisone.
«Pidgeoooo!» esclamò una voce.
Pidg fece due cerchi su di loro, ruotando la zampa per scaldarla, e scese di quota, preparandosi all’atterraggio.
«Ciao, zio!» salutò Lily quando il Pokémon si posò vicino a loro.
Lui ammiccò, poi guardò incuriosito la bambina al fianco della nipote, che si nascondeva dietro alla gamba della sorella, fissandolo quasi terrorizzata.
«Zio Pidg, ti presento Martha, la mia sorellastra.» disse la ragazzina, rispondendo allo sguardo perplesso del Pokémon, che poi comprese il significato di quella parola. L’umano aveva tradito la sua sorellina. E l’avrebbe pagata… ma solo dopo il processo.
Martha invece esclamò: «Noi siamo sorelle!»
«Sì, sì… comunque, Martha, lui è Pidg.»
«Ma è un…» iniziò a dire la piccola, impaurita, ma Lily le completò la frase dicendo: «Pokémon, sì. È il fratello acquisito della mia mamma. Dai andiamo. La casa è lontana ed è meglio arrivare presto.»
Mary guardò il rapace con un po’ di timore. Era grande e forte. Ma non sembrava cattivo. Pidg arruffò le piume e ammiccò, per farle capire che non voleva far loro del male. Abbassando la testa fino al suo livello, strusciò le piume sotto la sua mano. Lei gli accarezzò piano la testa, sentendo com’era morbido e sorrise. Lily sorrise a sua volta, la prese in braccio e la mise sul collo del Pokémon. Martha non smise di coccolarlo nemmeno mentre la sorella saliva dietro di lei o Pidg decollava verso Hoenn. Il Pokémon le portò entrambe senza fatica e in un’oretta di volo arrivarono alla casa. N era sulla porta che le attendeva e le salutò con la mano quando vide la sagoma del rapace stagliarsi nel cielo. Il rapace atterrò dolcemente. Lily scese e aiutò la sorella; poi disse, indicando l’uomo sulla soglia della porta di casa: «Mary, lui è N.»
«Piacere!» esclamò subito la bionda bambina, ancora eccitata dal volo, correndogli davanti e tendendo la mano all’uomo, che la strinse sorridendo e rispose: «Piacere mio. Io sono N.»
Martha e N fecero subito amicizia. Lei era una bambina solare, come suo padre, e riusciva a fare amicizia con chiunque. Anche con lo scontroso bambino che apparve dalle scale e che disse: «Chi si vede. Ciao, Sapientina.»
Lily lo squadrò, non troppo felice di vederlo, e rispose: «Mostriciattolo. Già di ritorno con la coda tra le gambe?»
Giovanni si irritò, ancora abbattuto per la sconfitta, e fece per tornare di sopra, ma Martha corse verso di lui, sorrise sincera e disse: «Ciao! Tu chi sei? Io sono Martha!»
Lui la fissò perplesso: era raro che qualcuno fosse così gentile con lui. Con un mezzo sorriso titubante, rispose: «Beh, piacere. Io mi chiamo Giovanni.»
«Che bel nome! Spero che diventeremo amici!» esclamò di nuovo lei, sorridendo.
Lui ricambiò, stupito da tanta gentilezza. Poi prese le scale e tornò in camera. N sospirò e mormorò: «Purtroppo però non ho più letti. L'unica sarebbe che Martha resti sul divano, ma non mi sembra molto ospitale.»
«Non è un problema per me.» intervenne la bambina: «A patto che Pidg mi faccia compagnia!»
Il Pokémon la fissò, con un sorrisetto, e la bambina esclamò, abbracciandolo: «È tanto simpatico e carino!»
Lily e N si guardarono, sorrisero, annuirono e lei chiese: «Per te va bene, zio?»
Lui annuì, abbassando la testa e permettendo alla bambina di accarezzarlo tutta contenta, e così ebbero deciso. Verso sera, cominciarono a preparare la cena. Raphael sarebbe arrivato a momenti, così si divisero i compiti. N come sempre si chiuse in cucina, mentre Lily e Mary apparecchiavano la tavola. Quando finalmente anche Raphael rientrò, il ragazzino scese per cena, unendosi agli altri. L'avvocato sorrise ed esclamò: «Ciao, Giovanni! Quando sei tornato? Come va il viaggio?»
Lui borbottò qualcosa di incomprensibile, imbarazzato dal suo interessamento, e poi rimase in silenzio; durante la cena, però, si fece coraggio e mormorò: «Signor Grayhowl... potrei vedere la mia mamma cinque minuti?»
Ormai aveva chiara la situazione. Ogni secondo era prezioso e voleva rivederla. E quell'uomo poteva aiutarlo. Raphael sorrise e promise che avrebbe esaudito la sua richiesta. Finita la cena e passata un po’ la serata, si prepararono per andare a dormire. Lily e Giovanni andarono in camera fissandosi in cagnesco, N tornò nella sua e Raphael mise Martha a dormire.
«Sei sicura che non vuoi venire nel mio letto, Mary?» chiese, preoccupato per lei.
«No, papà! Voglio stare qui con Pidg!» rispose lei, sorridendo al Pokémon.
Pidg ammiccò di risposta, mettendosi comodo accanto al bracciolo dove lei posava la testa, e Raphael le diede un bacio sulla fronte, rimboccandole le coperte.
«Buonanotte, piccola mia.»
«’notte papà.»
Raphael andò in camera sua, raccomandando Mary al cognato; lui annuì e la vegliò finché non fu sicuro che stesse dormendo. Poi si addormentò a sua volta, mettendo la testa sotto l'ala. Più tardi, nel cuore della notte, N scese e bussò alla camera di Giovanni, sussurrando: «Lilith? Sei sveglia?»
Rimase tutto silenzioso per un po’, finché la porta non si aprì e la ragazzina chiese: «Che… che c’è?»
Era avvampata, nascosta fortunatamente dal buio, e le erano venuti in mente un milione di motivi per giustificare una visita di N alla sua camera di notte. Lui aspettò un momento, ma quando non sentì rumori, chiese: «Giovanni dorme?»
«Penso di sì…» rispose lei, in un sussurro.
N controllò di nuovo che nessuno fosse sveglio, poi le prese la mano e la allontanò dalla porta. Lei avvampò ancora, mentre il cuore cominciava a batterle forte; lui la adagiò al muro, si chinò alla sua altezza, guardandola fissa negli occhi, e chiese: «Mi è parso di capire che tu sai perché Martha ha paura del suo patrigno. Mi duole chiedertelo, però… vorrei capire. Tale paura non può nascere da una cosa di poco conto.»
Lily si rabbuiò, vedendo che nessuno dei mille motivi che aveva pensato si era avverato, anche se da una parte era contenta che N non avesse avuto strane intenzioni nei suoi confronti.
«Richard Ragefire… è un bastardo.» rispose secca la ragazzina, sia per il ricordo di ciò che aveva passato, sia per il fatto che la visita avesse Martha come oggetto di discussione: «Io so perché lei ha tanta paura. L’ho passata anche io. O almeno… spero non l’abbia davvero toccata.»
N non voleva girare il coltello nella piaga, così fece per chiudere il discorso, ma lei gli strinse la mano, volendo che quel momento non finisse mai, loro due soli, e sussurrò: «Vuoi saperlo?»
«Se ti addolora, non importa. Non voglio risvegliare brutti ricordi…»
Lei scosse la testa e rispose: «È un … pervertito. Se dovessi tornare da Daisy, probabilmente non mi farebbe più niente perché ormai ho quattordici anni. Ma Martha… ha la stessa età di quando ha provato… con me…»
La presa di N si strinse di colpo. L’uomo era sempre calmo e quasi imperturbabile, ma sentire che Lily era stata toccata così vilmente, l’aveva fatto infuriare. E non poco. La ragazzina strinse la mano con le sue, mentre le lacrime dell’umiliazione scendevano dai suoi occhi, e continuò: «Per un anno non mi ha fatto nulla, perché mi nascondevo… ma quando mi ha visto la prima volta… ha tentato fallendo un paio di volte perché Daisy tornava sempre prima del previsto a casa. Ma poi ci è riuscito. Non so perché sia ancora libero. Qualche denuncia se l’è presa, ma non è servito a nulla. Non è mai stato incriminato.»
N le porse un fazzoletto, ma lei scosse la testa e si posò a lui, singhiozzando silenziosamente per non svegliare nessuno. In quel momento era felice e triste al tempo stesso. Felice perché poteva stringere forte N, senza preoccuparsi di inventarsi una scusa, ma quella brutta esperienza l’aveva segnata. E fino a quel momento, aveva avuto un brivido di terrore ad ogni contatto fisico. Tranne che con lui. Ma forse perché sapeva, o sperava, che lui non avesse cattive intenzioni nei suoi confronti. Era in uno stato strano, a metà: la sua compagnia la faceva stare bene, voleva che l'abbracciasse, che la stringesse, ma temeva allo stesso tempo che potesse andare oltre. Non sapeva cosa provasse lui e questo la terrorizzava. Ma quando lui la strinse piano, accarezzandole la testa, lei sentì che tra quelle braccia non doveva temere niente.
«Sei al sicuro ora.» sussurrò lui, cercando nei limiti del possibile di confortarla.
«Lo so.» rispose lei, chiudendo gli occhi, avvolta tra le sue braccia. Lui le asciugò le lacrime dolcemente, non sapendo che altro fare per aiutarla e sostenerla. Sembrava così fragile in quel momento… La accompagnò in camera e lei andò nel letto.
«Se ti serve qualcosa, non esitare…» sussurrò lui, rimboccandole le coperte.
«Grazie, N… ti voglio bene.»
Lui le sorrise, accarezzandole la testa, poi uscì, chiudendo piano la porta.
Nel letto di sopra, Giovanni era perplesso, ma furioso. Dalla reazione di Lily, qualcuno aveva tentato di fare del male a Martha. Chi aveva osato tentare di nuocere una creatura bella e dolce come lei?
“Io lo scoprirò.” pensò furioso: “E gliela farò pagare.
La mattina dopo, in tarda mattinata, Raphael era alle prese con il telefono. Anzi, con la persona all’altro capo.
«Non me ne frega niente. Se lei ha paura di venire da te, resta con me, punto.» sbottò nel ricevitore: «Me ne infischio! Martha sta da me. Vieni in tribunale se vuoi, ma finché piange quando le dico “andiamo dalla mamma”, da te non ci torna.»
«Smettila di accusarmi di cose assurde, Raphael! Non farei mai del male a mia figlia!»  rispose furibonda Daisy, ancora incredula nel constatare che la piccola era andata a piangere dal padre.
«Certo, così si è inventata tutto!? Dai Daisy piantala con queste cavolate!»
«Piantala tu! Come pensi che potrei farle del male?!»
«Non tu, ma quella simpatia del tuo nuovo ed ennesimo amante! E ancora mi chiedo come ti viene in mente di lasciare mia figlia nelle mani del primo che passa!»
Daisy non lo lasciò nemmeno finire di parlare, seccata da quelle accuse, e rispose a tono: «Tieniti la tua orfana, Raphael, ma Martha è mia e la rivoglio indietro! Non le ho fatto nulla!»
«Sentitela! Ne parli come se fosse un oggetto Daisy! Martha non è solo tua. Io sono suo padre e ho il dovere di proteggerla.»
«Non sa nemmeno cosa sta dicendo quella bambina! Ha nove anni, si sarà inventata tutto per costringermi a farla venire da te!»
«Capisco solo che ha paura di qualcosa. E finché non sarà lei a voler tornare, il discorso finisce qui.»
Raphael sbatté il telefono nella sua sede, sbuffando, lasciando Daisy in compagnia di un ripetitivo “tu, tu, tu”, e sbottò: «Che vada al diavolo quella maledetta arpia!»
«Papà...?» mormorò una timida voce dietro di lui.
Lui si voltò e sorrise alla secondogenita, calmandosi subito e cercando di non sembrare troppo furibondo: «Ciao, Mary… dormito bene?»
La bambina gli saltò in braccio, piangendo e urlando: «Papà! Mi sei mancato tanto! La mamma non voleva che io ti vedessi! È cattiva, non voglio più stare con lei!»
Martha si era trattenuta davanti agli altri, ma ora voleva solo abbracciare il suo papà e versare disperata tutte le sue lacrime; tra le sue braccia forti si sentiva al sicuro come in nessun altro posto.
«Mi sei mancata anche tu, piccola.» mormorò lui, accarezzandole piano la testa: «Cosa ti ha fatto?»
Lei si strinse alla sua giacca e rispose, con la faccia premuta sulla camicia ormai bagnata: «Il compagno della mamma è cattivo. E lei non mi difende, non c’è mai. Ho tanta paura papà…»
«Tranquilla, piccolina. Se non vuoi andare dalla tua mamma, resterai con il tuo papà. O almeno lo spero…»
«Perché?» chiese lei, incredula che il suo super papà non potesse fare qualcosa.
L’avvocato sospirò e rispose: «Perché legalmente i figli devono stare con la madre se i genitori sono separati. E se, come in questo caso, non sono sposati, teoricamente parlando, sei più figlia sua che mia.»
«Ma Lily…» cominciò ad obbiettare lei, ma lui la interruppe e disse: «Lily non è figlia di Daisy. Sua madre è impossibilitata a tenerla e quindi sono riuscito ad avere l’affidamento totale.»
«Voglio stare qui con voi.» urlò la bambina, in un mezzo capriccio, non comprendendo la serietà del discorso paterno: «Stamattina mi ha svegliata una strana foca con la colazione in cima al corno. Si è messo a fare il giocoliere! Faceva ridere tantissimo!»
Raphael ridacchiò immaginandosi la scena e rispose: «Lui è Maru. E non è una “strana foca”, è un Samurott. È simpatico, vero?»
«Simpaticissimo!» annuì lei, con ancora le lacrime agli occhi ma sorridendo.
Lui le asciugò gli occhi dolcemente, poi disse: «Vai a giocare ora. Devo parlare con N.»
La bambina saltò giù dalle sue gambe, ripresasi da quell’attacco di tristezza, e corse a cercare Lily o Giovanni, per stare un po’ in loro compagnia. N apparve dalle scale, dove era rimasto mentre padre e figlia parlavano, sedette accanto a Raphael e chiese: «È così dura?»
Lui annuì e rispose: «Sì. Vodel mi odia perché difendo Athena. Non mi concederà mai l’affidamento di Martha maledizione. Vorrei tanto sapere cosa diavolo ha fatto quel tizio…»
L’amico sospirò, ma rispose: «Quando se la sentiranno, te lo diranno loro.»
«Tu sai qualcosa vero?»
«Sì. Ma non potrei mai rivelare una confidenza. Nemmeno al loro padre. L’ho promesso, mi duole.»
Raphael alzò le mani e borbottò: «Mi arrendo. Do' battaglia anche troppo in tribunale.»
N annuì tristemente, ma poi chiese: «Ma perché dovrebbe emettere la sentenza Vodel? Non è una questione civile?»
«Sì, ma Daisy la metterà giù sicuro sul penale, denunciandomi per rapimento. Te lo garantisco sul mio nome.»
Mentre cercava di pensare ad un modo per tenere Martha, Raphael andò da Lance a chiedere un colloquio informale con la sua cliente. Aveva promesso, dopotutto. Il Campione acconsentì e quando furono soli nella stanza, l'avvocato aprì la porta e fece entrare il bambino.
«Giovanni!» esclamò Athena, felice di vederlo, aprendo le braccia e accogliendolo tra le sue.
«Ciao, mamma.» mormorò lui, saltandole in braccio, facendo inclinare la sedia, e stringendola forte.
Raphael sorrise, vedendo quanto fossero legati, e uscì, mentre lei chiedeva: «Allora, piccolo mio, come stai? Hai seguito il mio consiglio?»
«Sì.» annuì lui: «Ho cominciato il viaggio ed è proprio di questo che ti volevo parlare.»
Lei lo guardò perplessa, mentre gli si riempivano gli occhi di lacrime e mormorava: «Io... ho vinto sei medaglie, credevo di essere ormai forte. Ma...»
Athena sorrise e chiese: «Fammi indovinare: Tell e Pat ti hanno rispedito a casa a calci.»
Lui tirò su con il naso ed esclamò: «È stato terribile, mamma! Non sembravano neanche loro! Nessuna pietà!»
Lei lo strinse e spiegò: «Gio, devi capire che Tell e Pat hanno un ruolo. E non possono permettere che i sentimenti interferiscano. In quel momento, loro erano i Leader e tu lo sfidante. Niente in più.»
«Ma ora...»
«No, Gio, non penseranno mai che sei debole o simili. Resterete sempre amici e, anzi, se tornerai più forte, saranno felici di sfidarti ancora. Ma devi allenarti con il doppio. Pensa alle debolezze, deve esserci equilibrio. Chiedi aiuto a Maru e Shikijika... noi tre li abbiamo sconfitti!»
Giovanni si asciugò le lacrime. La mamma aveva ragione. Tell e Pat non avrebbero mai potuto disprezzarlo solo perché aveva perso la lotta. E lui doveva dimostrare di aver imparato la lezione. La strinse forte, grato del consiglio, e mormorò: «Grazie. Tornerò vincitore.»
«Ci conto!» sorrise lei, ricambiando la stretta e tornando in cella, dopo averlo salutato.
Il momento di gioia datole dal suo bambino, però, durò poco perché, quando quel giorno tornò la ragazzina a trovarla, Athena sentì che qualcosa non andava. Il tono di voce, il comportamento, la tensione nell'aria... c'era qualcosa di strano. Così, chiese: «Cosa ti è successo oggi?»
Colta in flagrante, Lily borbottò: «C-cosa? Perché?»
«Hai paura… si sente dalla voce.» ribatté la donna, pensando che forse ora aveva paura di lei. Magari aveva scoperto qualcosa su di lei, qualcos'altro, che l'aveva spaventata maggiormente. Un video, un racconto... poteva aver visto qualunque cosa.
Cercando di controllare la voce, Lily rispose: «Ti sbagli… sto bene.»
«Non mi mentire. Non sei capace.» sbottò la donna, notando che quel difetto lo aveva anche lei. Non era mai stata capace di mentire ma era brava a velare la voce di minaccia, la giusta dose per farsi dire tutto ciò che voleva. Lily fece un respiro profondo, cercando di scacciare la paura, ma pareva tutto inutile. Ma come confessarlo? Si vergognava così tanto... le venne in mente che lei aveva confessato traumi del passato per spiegarle la nascita del Demone. Perché non fare altrettanto? Glielo doveva, dopotutto...
«Mi hanno ricordato una persona che… mi fa tanta paura.» borbottò quindi, trattenendo a stento il tremore.
«Come mai?»
Lily titubava a rispondere, così Athena le prese la mano, attraversando le sbarre e sperando che lei non scappasse. Quella stretta gentile, diede sollievo alla ragazzina che continuò: «La compagna del mio papà aveva un amante. Lo portava spesso a casa, ma io mi nascondevo in camera. Un giorno però lui mi vide.
Mi guardò strano, e poi venne nella mia camera. Io non ricordo dove fosse lei, ma…»
La voce le si ruppe in piccoli singhiozzi, che cercava di trattenere. Si sentiva ferita e umiliata, e si vergognava immensamente. Sentì la stretta della donna farsi più forte. Athena bruciava di rabbia. Se c’era una cosa che la faceva infuriare, era proprio quella vigliaccheria.
«Ci è riuscito solo u-una volta ma… è b-bastato…» mormorò la ragazzina, fra le lacrime.
Senza riuscire a trattenersi, cominciò a singhiozzare, disperata, e si rannicchiò vicino alla cella.
Una mano si posò sulla sua guancia e un pollice le asciugò le lacrime, mentre la voce della donna, stranamente dolce, mormorava: «Non può più farti del male, ok?»
Lily si posò alle sbarre, per trovare conforto nell’abbraccio materno, mentre Athena la stringeva piano, cercando di non farle male, anche se dentro di lei divampava il fuoco dell’ira. Ora poteva ancora nuocerle. Bisognava fare in modo che non ci fosse più nemmeno il minimo rischio.
Nel frattempo, le previsioni di Raphael si avverarono. Lui e Daisy finirono nel tribunale penale perché lei lo denunciò di rapimento di minore. Vodel emise la sentenza di affido a Daisy e intimò all’uomo di riconsegnare la figlia alla donna, senza possibilità di vederla mai più. Raphael tornò a casa furibondo. Quella strega lo aveva giocato come un novellino. Mollò un pugno contro il muro. Non poteva sfogarsi, non aveva una spalla su cui piangere… Però ora lei era tornata. Prese il telefono… poi lo rimise giù. Aveva già tanti problemi. Perché turbarla con anche i suoi?
Prese la valigetta e andò al carcere per chiarire alcuni punti della difesa, ma soprattutto per vedere la sua piccola pazza. Sperava che il solo vederla lo avrebbe fatto sentire meglio. Accordarono e dieci minuti dopo i due erano lì, insieme. Stavano distanti mentre parlavano di cavilli legali, ma poi Lance spense tutto, lasciando loro la privacy di cui avevano bisogno. Athena sedette sulle sue gambe, posandosi a lui, e lui la strinse, appoggiando il mento sulla sua testa.
«Raphael, che cos’hai?» chiese d’un tratto lei, alzando lo sguardo e fissandolo negli occhi.
«Cosa?»
«Non fare il finto tonto con me. Lo capisco quando hai qualcosa che non va.»
Lui si rattristò, ma rispose: «Non è nulla…»
«Raphael… sei il mio ragazzo, io ti amo e voglio che tu sia felice. In questo momento non lo sei. Possibile che tu non lo capisca?» gli sbottò secca, guardandolo negli occhi e ripetendo le parole che lui stesso aveva detto a lei, molto tempo prima.
«È che… mi sento uno schifo a dirtelo, piccola pazza.» borbottò lui di risposta, imbarazzato.
«Non mi farai mai schifo…»
«Ho una figlia con Daisy.» dichiarò secco, quasi per sfidarla a non avere reazioni.
Athena gelò sul posto, inorridita e sgomenta, e lui disse: «Ecco. Vedi? Ora…»
«Sssh.» mormorò solo lei, posandogli l’indice sulle labbra: «Sta’ zitto. Mi riprendo. È normale dopotutto. Io dovrei essere morta quindi non capisco perché stupirsi tanto.»
«Lo so, sono un idiota. Però mi servivano i suoi soldi e lei… beh, diciamo che pensa solo a quello. Anzi meglio dire che… sapevo non mi sarei mai più innamorato. L’unica che avrebbe accettato senza diciamo romanticismo era lei… non gliene fregava molto in realtà, bastava accontentarla qualche volta. Martha è stata un incidente di percorso. Ma ora Daisy usa lei per tenermi legato a sé.»
Athena sbuffò, non potendo trattenersi dalla voglia di scannare quella donna solo per il fatto che fosse andata a letto con il suo Raphael, ma poi sbottò: «Quella dannata bionda non cambierà mai…»
«Sai che… mi ha tolto la paternità?»
«Cosa?!»
«Già…» rispose lui, sconsolato e triste: «Mary ha paura di qualcosa in quella casa e l’altro giorno è venuta da me dicendo che non voleva più stare con la mamma. L’ho tenuta con me un paio di giorni, ma poi Daisy mi ha trascinato in tribunale e ti lascio immaginare che sentenza ha emesso Vodel.»
Intuendo, la compagna rispose: «Non la puoi più vedere.»
«Esatto. Maledizione, per me non è un incidente. Le voglio bene… è mia figlia.»
Lei gli accarezzò una guancia, cercando le parole per consolarlo. Ma non le veniva in mente nulla. Raphael era in quella situazione perché difendeva lei. Era tutta colpa sua se l’amore della sua vita era nei casini.
Lui la strinse più forte. Non voleva nient’altro. Solo sentirla lì, al suo fianco, in qualunque situazione.
Non sapendo cos’altro dire, Athena mormorò: «Ti amo, avvocato scemo. So di non poter fare molto chiusa qui dentro… però sappi che non ti lascerò mai.»
Lui posò la fronte sulla sua, perdendosi in quei due pozzi rossi che tanto amava, e rispose: «E io nemmeno… non ci separerà mai più nessuno. Ti amo anch'io, piccola pazza.»
Si scambiarono un lungo bacio, simbolo dell’amore che provavano l’uno per l’altra, poi Raphael la salutò, triste perché non voleva lasciarla di nuovo sola in quel posto, e tornò a casa.
Quella sera, dopo cena, Lily lo fissò un momento, rivedendo quello sguardo triste e spento, e chiese: «Papà… non c’è nessuna speranza di far venire qui Mary per sempre, vero?»
Lui scosse la testa e rispose: «No, purtroppo. I figli restano quasi sempre con la madre. Se poi il padre di turno è dipinto come il peggiore…»
«Non è giusto. Quella vipera non può tenersi Mary così!»
«Purtroppo la legge è dalla sua. Se riuscissimo a dimostrare che Daisy trascura Mary con le sue tresche, forse avremmo qualche possibilità. Ma lei è troppo furba…»
La ragazzina ci pensò su poi chiese: «Mettere delle telecamere?»
«Senza un motivo valido, non si possono usare le registrazioni come prove legali… un esempio potrebbe essere che lei si scorda di andare a prendere Mary a scuola per chissà quale motivo…»
«Si può fare, papà… prendi un giorno di sciopero. Mary scrive la comunicazione sul libretto, falsifichiamo la firma, Daisy non va a prenderla, e Mary viene qui!»
«Non è legale, Lily.»
«Ma se nessuno lo scopre, che male c’è?» chiese una voce, interrompendo il loro discorso.
I due si voltarono di scatto e Giovanni apparve sulle scale, fissandoli intensamente, con l'onnipresente mazza sulla schiena; fermatosi in fondo alla rampa, aggiunse: «Il piano della Sapientina può funzionare, signor Grayhowl. Basta solo volerlo.»
«Non è molto etico andare contro la legge… soprattutto per me.» commentò lui, ponderando il piano.
«Non è etico che una madre se la spassi con una figlia a carico.» rispose il ragazzino, continuando a fissarlo e senza retrocedere: «Non è etico che il mondo se la prenda con una donna che ce la mette tutta per essere una buona madre e nessuno le crede. Eppure tutti lo fanno.»
«Per una volta siamo d’accordo, Mostriciattolo.» concordò Lily, anche se seccata di doverlo ammettere.
Giovanni espresse il suo disappunto dell’essere d’accordo con lei con una smorfia, ma poi aggiunse: «Potrei anche aiutarvi. Innocentemente, potrei portare Mary alla polizia dicendo di averla trovata che cercava la mamma fuori da scuola.»
«E da quando tu sei innocente?» chiese pungente Lily, mentre Raphael si lasciava scappare un sorriso, immaginandosi la lezione che avrebbero dato a Daisy; sovrappensiero, commentò: «Devo ammettere che è un piano diabolicamente geniale. Probabilmente non mi lasceranno Mary subito, ma ho molte più speranze al tribunale civile.»
«Quindi? Lo facciamo?» chiese Giovanni.
Prima che Raphael potesse rispondere, Lily chiese, pungente e socchiudendo gli occhi sospettosa: «Perché vuoi aiutare tu? Qual è il tuo scopo?»
«Fatti gli affari tuoi.» ribatté lui.
«Sono affari miei, carino. Lei è mia sorella.»
Lui la fissò, acido. Non poteva confessare di voler rivedere la bambina, quindi si arrese e borbottò l'altro motivo che lo aveva spinto ad aiutarli: «Oh, e va bene... se lui..» rispose, indicando Raphael: «... è felice, lo è anche la mamma.»
Raphael rimase toccato da quella frase. Aveva sempre visto Giovanni come solo una peste ingestibile, ma il bambino voleva bene davvero ad Athena. E lui doveva costruire un rapporto. Come aveva fatto N, doveva imparare a comunicare con lui. Dopo l’ultima riflessione, disse: «D'accordo, ecco il piano. Scoprire quando è il giorno di sciopero e se gli insegnanti scioperano. Poi, falsifico la firma di Daisy e Mary riporta a scuola la comunicazione. A quel punto, Giovanni va da Jason e fa la sua scenetta. Mi raccomando Lily, devi dire a tua sorella di portare a me il libretto e non a sua madre.»
«Me lo faccio dare e glielo porto il giorno dopo.»
«Perfetto. Dovrebbe funzionare. Poi, in tribunale, si vedrà.»

  
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