Non riuscivo a distogliere lo sguardo dalla
scena accanto al fuoco. Jasper si sfregava
l'avambraccio sinistro, con aria assente.
«Jasper sta
bene?», sussurrai.
«Sì. È il veleno che
pizzica».
«Lo hanno morso?», domandai,
terrorizzata.
«Cercava di essere
ovunque. Più che altro, si è preoccupato di alleggerire il lavoro
di Alice», disse Edward
e scosse la testa. «Ma Alice non ha bisogno
dell'aiuto di nessuno».
Alice fece una smorfia al suo innamorato.
«Sciocco iperprotettivo».
- Eclipse
-
~ POISON ~
Esme
attraversò il corridoio sbucando dalla porta della lavanderia. Puntava
dritto allo studio di Carlisle, quando si
fermò di scatto, scrutando Alice, davanti a lei. Le diede una carezza
sulla guancia, e un bacio sulla tempia.
- Tesoro, ti senti poco bene? Vuoi che
chiami Carlisle? – era sempre premurosa, Esme. Sarebbe stata ed era a tutti gli effetti
una mamma perfetta. Alice scrollò le spalle e
l’abbracciò di impulso.
- Non ti preoccupare. E’ tutto ok. – Esme la scrutò
un po’ e sospirò quando Alice si sciolse
dall’abbraccio.
- Non fate altro che dirmi così, tu
e Jasper. E’ ovvio che mi preoccupi per voi. E
per favore, tesoro.. chiedigli se il prurito
diminuisce.. o se possiamo provare a fare qualcosa.. che so del ghiaccio..
– pensò con incertezza. Alice sorrise e annuì. Prima di
entrare in camera e prima che Esme scendesse le scale
per raggiungere lo studio di Carlisle, la
fermò.
- .. mamma? –
A Esme
brillarono gli occhi. Le piaceva sentirsi chiamare mamma. Specialmente da
Alice.
Edward, Rose, Emmet
e persino Jasper avevano avuto delle madri e ne
conservavano, sebbene sfocati, i ricordi. Con Alice, era diverso, non
c’era termine di paragone. E quando la chiamava così, le riempiva
il cuore di gioia e di orgoglio. La fissò, in attesa.
- Ti voglio bene. – sussurrò, d’un
fiato il piccolo folletto. Esme risalì di
corsa le scale e le diede un altro bacio, stringendola forte, emozionata. Poi
riprese le scale, sorridendo, felice.
Alice accompagnò la porta sullo
stipite, con il palmo della sua piccola mano. Se fosse stata un essere umano si sarebbe gettata sul letto sospirando. Probabilmente
stanca. Sentì il “clic” della maniglia prima di voltarsi e
appoggiarsi con la schiena alla porta, con un gesto che doveva significare
lasciarsi dietro alle spalle quella giornata. Le immagini di quelle lingue di
fumo denso che si perdevano nel cielo la fecero rabbrividire. Scosse la testa. Ripensò
a Esme, preoccupata per Jasper e alla conclusione della messa in scena del pigiama
party con Bella. La stanza era quasi buia. Solo la grande
lampada vicino alla chaise longue,
nell’angolo, all’incrocio delle due enormi vetrate, illuminava
appena l’ambiente e faceva brillare le lenzuola di seta. Tutto era
immobile, perfetto. Sospirò. Anche Jasper era
perfetto ed immobile, con lo sguardo perso al di là
della vetrata. La mano si era fermata sull’avambraccio sinistro. Sorrise.
E gli si avvicinò lentamente. Lui continuava a
fissare il nulla. Ma Alice notò quel respiro
più profondo.
Quando Alice entrava in una stanza era come
se un condizionatore avesse sparato la migliore miscela di essenze
nell’aria. Si morse il labbro, continuando a fissare il buio della
foresta, senza avere il coraggio di voltarsi. Non era solo l’odore di Alice a stordirlo.. c’era tutto quell’amore
che lo investiva, ogni volta che lei lo avvicinava. Come una cascata. Come un
fiume in piena. Come lava bollente.
Alice si fermò a qualche millimetro
dalle sue possenti spalle. Poi di slancio, come fosse stato un magnete gigante
e lei un chiodino, appiccicò il suo corpicino
a quello di Jasper, allacciandogli le braccia sul
torso. Sfregò un po’ la sua guancia sulla sua
schiena e gli posò un bacio tra le scapole. Dolce, pieno di amore. Di apprensione. Di
comprensione.
Jasper
coprì le piccole manine di Alice con le sue,
lasciandosele addosso. Se stava così, immerso in tutte quelle sensazioni
meravigliose.. non faceva nemmeno più caso al
pizzicore insistente di quel morso. O quasi. Era
insopportabile. E anche se di morsi ne aveva presi
talmente tanti da contorcersi per ore, tutte le volte era un fastidio
insopportabile. Perché sarebbe rimasto lì per
sempre e si sarebbe aggiunto al migliaio di altri. E
lo avrebbe fatto apparire ancora più spaventoso. Si beò di quel
morso. Questa volta non era sopravvivenza. Questa non era una delle battaglie
della sua vecchia vita.. questo era un pegno
d’amore. Quel morso stava lì..
perché lui voleva proteggere Alice. Anche quando ne aveva
due addosso.. e lei non aveva di certo bisogno di lui per difendersi.. il
pensiero che quel neonato avesse potuto sfiorarla.. ringhiò.
Alice strinse di più la presa.
- Che c’è..? –
sussurrò con le labbra ancora tra le sue scapole.
Jasper si portò la manina di Alice che stava appoggiata dove un tempo batteva il suo
cuore sulle labbra e la sfiorò con un bacio, dolcemente.
- C’è che ti amo. – lo disse tutto d’un fiato.
Alice mollò la presa e si infilò
agile come una gatta tra il suo corpo e la vetrata, fissandolo seria. Le dita
della sua mano accarezzavano ancora le labbra di Jasper.
Avvicinò la punta del naso alla sua mandibola, correndo veloce lungo
l’incavo del suo collo, strofinando la guancia sulla stoffa morbida della
maglietta sulla sua spalla e si fermò a un
centimetro dal morso. Vi poggiò le labbra con
delicatezza, sfiorandolo appena, poi lo fissò di nuovo.
- Lo so. - disse, seria. Lui la scrutava
silenzioso. – Ma non c’era bisogno di
provare a farsi fare a pezzi per dimostrarmelo. –
Jasper sorrise,
arrogante.
- .. “farsi fare a pezzi”
.. – le fece il verso, sarcastico. Alice sbuffò, contrariata.
- Boria! Sei pieno
di boria! - Jasper la interruppe con una ghigno e lei lo sfidò.
- .. eri dappertutto. Eri davvero
dappertutto, Jazz. E non ce n’era bisogno. Se ti
avessero fatto del male io.. io.. – Jasper la zittì con un bacio. Preoccupazione,
agitazione, ansia.
Se con gli altri gli bastava stringere una mano, o appoggiare il
palmo della sua su una spalla.. con Alice c’era
bisogno di più impegno. E soprattutto, quando era con lei, così
vicina.. non sapeva gestire nemmeno le sue di emozioni!
Fu irruento, potente, passionale. Ogni muscolo di Alice s’irrigidì. Le passò una mano
sulla schiena avvicinandosela con foga, facendo aderire i loro corpi.
Alice
sentiva che il suo cervello era andato in reset. Non
seppe più pensare ad altro, altro che non fosse la pelle, le braccia, le
mani, il profumo, le labbra, il desiderio di Jasper.
Finiva sempre così. Gli infilò una mano tra i capelli, scese in
una carezza sul suo orecchio.. è glielo
tirò con forza, allontanandosi, di scatto. Jasper
aprì gli occhi, fissandola interrogativo.
- Non si può mai discutere con te!
– lo rimproverò, un po’ confusa.
Jasper scosse la testa, divertito,
baciandole la fronte. Alice sbuffò, incrociando le braccia. Poi la terra
le mancò da sotto i piedi. Rise, di una risata cristallina. Mille
campanellini. Stava a penzoloni su una spalla di Jasper, come un sacco di patate. O di cemento.. era lo stesso.
Jasper si
lanciò sulla porta del grande bagno della loro
camera e mentre la raggiungeva si lasciò dietro le sue scarpe e
sfilò le ballerine di Alice che ricominciò a ridere.
- Jazz, stiamo per fare una doccia? … vestiti? – lui
sorrise. Maledette visioni.. non c’era modo di
sorprenderla. – Sì, perché puzziamo di
vampiro bruciato. E mi fa schifo. – Jasper lasciò scivolare Alice sul
piatto della doccia e chiuse la porta di vetro smerigliato, lei aprì
il rubinetto, cogliendolo di sorpresa. Il getto dell’acqua li
investì. Alice rise ancora, maliziosa, questa volta.
Si stava stretti là dentro con tutto
quel Jasper.
La maglietta gli si era incollata al torso e disegnava quel
corpo perfetto. Alice lo percorse con una carezza
febbrile, prima di afferrare il bordo della maglietta e sfilargliela
velocemente. Lui la sovrastò, spingendosi contro le piastrelline
a mosaico e infilandole una mano dietro la schiena. Alice lo baciò con
foga, armeggiando coi bottoni dei suoi jeans. Si
chiese perché aveva ancora il vestito addosso. Poi sentì Jasper sbuffare. Rise forte. Campanellini. Una manciata di bottoni tintinnarono sul piatto della doccia.
Alice fece un finto broncio. I suoi occhi ridevano. Jasper
la fissò, fintamente colpevole. Era un bel gioco.
-Jazz.. era un Dolce & Gabbana! - Irritazione e divertimento. E desiderio. La schiacciò col suo
corpo marmoreo, gli occhi erano una fessura minacciosa. – E chi se ne frega. – ghignò. E riprese a baciarla e ad accarezzarla e a stringerla a sè.
E se un ambientalista si fosse
lamentato della durata di quella doccia, avrebbero sempre potuto mangiarselo.