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Autore: Delirious Rose    12/09/2015    3 recensioni
Sbatté le palpebre un paio di volte e poi aggiunse, forse più a se stesso: “Non sapevo che tu fossi una Podestaria. Questo cambia molte cose.”
Lei lo guardò confusa, come se stesse parlando una lingua che suonava familiare ma che non riusciva a capire. “Pode-che?”
“Magus, strega o qualsiasi altro termine comune per indicare una persona iscritta nel Registro: Podestarius – o Podestaria, al femminile – è il termine più corretto.”

Virginia Bergman è una ragazza come tante: le piacciono i dolci di sua madre, la Matematica e, come il 15% della popolazione, ha dei poteri che considera come un'accessorio fuori moda. Tuttavia, quando al suo penultimo anno di scuola una supplente mette in pericolo la sua media, IContiNonTornano l'aiuterà a superare le sue difficoltà: chi si cela dietro questo username, un geek grassoccio e brufoloso o... un ragioniere azzurro? E di certo ignora ciò che questo incontro porterà nella sua semplice vita.
Svegliati, bambina, e guardati dall'Uomo dalle Mille Vite.
{Nuova versione estesa de "RPN"}
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
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Podestaria

 

 

Capitolo 17

 

Virginia tirò su col naso, tamponando il sangue con la manica del maglioncino. 

“Che accidenti --” disse, girandosi verso le sue amiche e rendendosi conto di non essere nell’aula di Francese ma in un corridoio sconosciuto.   

Il pavimento di legno dorato contrastava con il candore delle pareti e del soffitto elegantemente stuccato, armonizzandosi con i lampadari di vetro ambrato; le porte avevano un aspetto sobrio ed elegante, verniciate di bianco e con le serrature e le maniglie d’ottone. Il corridoio era relativamente spoglio: la poltrona su cui era seduta, quattro tavolini alti su cui erano posati dei vasi di fiori, e alcune tele dal soggetto mitologico; vi era un resinoso odore di chiuso. La luce entrava da grandi finestre alle due estremità del corridoio e da un pozzo di luce aperto su una scala. Virginia si guardò intorno e si alzò, sorpresa di non udire il rumore dei propri passi sul parquet nudo.  

 “C’è nessuno?” chiamò, ma non ottenne risposta se non la propria eco.  

La scala scendeva con una larga spira in un atrio ampio e luminoso, con un gran tappeto persiano e un banco in legno scolpito di fianco ai piedi della scala. Virginia deglutì, incerta sul da farsi, poi si avvicinò alla scala: aveva sceso un paio di gradini, quando vide una donna vestita da colf attraversare l’atrio.  

“Signora? Mi scusi, signora, potrebbe dirmi dove sono?” chiese Virginia, scendendo le scale e correndo dietro la donna, che pareva, tuttavia, non averla sentita.   

Virginia allungò una mano per afferrarle il braccio.   

“Ma cosa…”  

Virginia si bloccò e studiò la propria mano. Aveva afferrato il braccio della donna, ne aveva percepito la ruvidezza del tessuto e la morbidezza delle carni, tuttavia era stato come stringere la nebbia. Eppure le sue mani erano reali, sentiva la secchezza della pelle, le unghie affondare nei palmi, poteva sentire il proprio respiro su di esse e il sangue pulsare nelle vene.  

Ragiona Vir’, si disse cercando di riprendere il controllo del proprio respiro. Devi esserti addormentata come un’idiota durante l’ora di Francese.  

La donna sbucò da un corridoio, reggendo un gran vassoio di metallo con una teiera, alcune tazze e té per due. Virginia fece per spostarsi e lasciarla passare, eppure questa la attraversò come se lei fosse un fantasma.  

La donna raggiunse una porta socchiusa, quindi bussò con il piede contro lo stipite ed entrò. La stanza era un salotto dai toni chiari e dalla mobilia d'antiquariato, dove le imposte socchiuse avvolgevano la stanza nella penombra e le  lingue di fuoco danzavano seducenti nel caminetto; la loro luce donavano un alone aranciato ai profili di una poltrona e disegnavano il contorno di una manica di tweed da cui sbucava un polsino chiuso da un gemello e una mano ossuta, coperta di macchie brune e rughe,  posata sul pomello di un bastone da passeggio.  Un uomo, bruno e sulla sessantina, seduto su una sedia, inclinò il busto indietro per permettere alla donna di posare il vassoio sul tavolino davanti a lui.

“Grazie.” Virginia vide l’altra mano dell’uomo nella poltrona. “Continua pure.”  

La voce era vecchia e affabile come quella di un nonno prediletto, eppure quel suono stridette nelle orecchie di Virginia come un gesso nuovo su una lavagna pulita. Aveva già provato quella paura atavica, anche se non sapeva dire né dove né quando.  

Il sessantenne si schiarì la voce. “Solo cinque sono Podestari, di cui tre donne. Ma queste non sono le cifre definitive: Edna ha avuto un impedimento e Loveday ha voluto fare un’ulteriore verifica prima di mandare il rapporto da Chicago.”  

 “Solo tre…” l’uomo più anziano ripeté pensieroso, sorseggiando il tè. “ Dobbiamo sperare che fra queste ce ne sia una, altrimenti dovremmo cercare altrove.”  

“Piripi, Miyuki e Nergüi stanno già cercando nelle rispettive zone, tuttavia lei sa quanto le Aiutanti siano diventate rare,” concluse il sessantenne, scuotendo la testa. “Per quanto riguarda la prima parte del rituale, invece, sono lieto di annunciarle che Bastian ha trovato qualcuno che--”  

“Sssh!” lo zittì l’uomo sulla poltrona. “C’è un intruso.”  

Virginia si sentì il cuore in gola: era un sogno, eppure la sua paura era tanto reale quanto improvvisa. Indietreggiò di qualche passo, mentre sentiva qualcuno claudicare verso di lei. 

Una forte folata di vento spalancò la porta d’ingresso, investendola con la luce accecante del sole riflesso sulla neve. Virginia sbatté le palpebre fino a quando i suoi occhi non si furono abituati all’eccessiva luminosità. Incorniciato fra gli stipiti della porta, un cervo - no, una renna dal manto candido e le corna vellutate - la osservò prima di lanciarsi verso di lei.  

Scappa!

L’attimo in cui la porta si schiuse sembrò dilatarsi nell’eternità.  

La renna incornò Virginia.   

La renna era Virginia e correva a perdifiato nella neve alta, fuggendo le luci del Nord.  

Virginia era la renna e attraversava la Tundra, calpestando con gli zoccoli i muschi e i licheni.   

Virginia correva, cercando di sfuggire al lupo solitario che le dava la caccia.  

Scappa! Corri e non ti fermare!

Il ghiaccio era duro e spesso sotto gli zoccoli; Virginia doveva solo attraversare il lago e sarebbe stata al sicuro.  

Il ghiaccio si spaccò sotto gli zoccoli e Virginia cadde; l’acqua era tanto gelida da farle male ai polmoni.  

Virginia annaspò nel tentativo di riaffiorare, ma più si muoveva più il suo corpo affondava.  

Svegliati, piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite.

   

——— • ——— 

   

“Oh mio dio Vir’ finalmente ti sei svegliata!”  

L’ansia non era completamente scomparsa dallo sguardo di Mrs. Bergman. Si chinò su Virginia, posando un bacio tremulo sulla fronte com’era solita fare quand’era bambina. 

“Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, sai?” mormorò asciugandosi gli occhi.  

Virginia sbatté le palpebre per abituare gli occhi alla luminosità della stanza e quando cercò di chiederle cosa fosse accaduto, sentì la lingua troppo pesante per muovere. Volle sedersi, ma non ci riuscì.  

“Stai ferma, o l’ago uscirà,” le disse sua madre con dolce preoccupazione.  

Solo allora Virginia notò la flebo e la sacca che instillavano nutrimenti e sangue nel suo corpo. Fissò gli occhi sbarrati su sua madre, chiedendole una spiegazione con lo sguardo. L’ultima cosa che ricordava era un disegnino scemo di Audrey durante l’ora di Francese - perché provava il bisogno di fuggire indugiare nelle sue membra?  

E poi, improvvisa, una pressione alla bocca dello stomaco.  

“Devi vomitare?” Chiese sua madre, e quando Virginia rispose con un debole cenno del capo, le porse una bacinella di cartone spesso. “Lascia che ti aiuti.”  

Con estrema delicatezza, Mrs. Bergman fece sedere Virginia, sorreggendola mentre si accasciava sulla bacinella, riversandovi il contenuto del proprio stomaco.  

“Che… cosa… è… successo?” chiese con la voce roca di chi non ha parlato per anni, fissando lo sguardo inorridito sulla propria colazione parzialmente digerita e venata di bile e sangue.  

“Quando mi hanno chiamato, hanno detto che avevi avuto delle convulsioni,” rispose sua madre, posando la bacinella sul comodino. “Poi mi hanno spiegato che si tratta di uno sbalzo di Holmberg-Kassel. Una specie d’ictus, ma dovuto ai tuoi poteri.” Mrs. Bergman le diede un altro sorriso tremulo, accarezzandole i capelli, poi trasalì. “Ah, mi hanno detto di avvertire non appena ti fossi svegliata!”  

Mrs. Bergman premette un pulsante vicino al letto e dopo pochi minuti arrivò un infermiere. Questi controllò il flusso della flebo, sostituì la sacca di sangue con un'altra, esaminò la bacinella con il vomito e storse il naso all’odore acre e pungente.  

“Il Dottor Lupton verrà a visitarla fra poco,” disse l’infermiere.  

Mrs. Bergman lo seguì con lo sguardo e sospirò, poi sorrise di nuovo a Virginia. “Vuoi un po’ d’acqua?”  

Virginia annuì leggermente, guardando altrove. Nella stanza c’erano quattro letti, di cui uno occupato da una signora sulla cinquantina impegnata con un cruciverba o un sudoku. Con un grosso sospiro, Virginia si lasciò aiutare a mettersi seduta e accettò il bicchiere d’acqua che sua madre le porgeva: osservò in silenzio la superficie del liquido, come a cercare una risposta alle proprie domande, poi ascoltò distrattamente sua madre parlare di tutto tranne il suo malessere.   

Il Dottor Lupton giunse qualche minuto più tardi, e dopo aver controllato gli occhi e la bocca di Virginia, le chiese: “Come si sente?”  

Virginia fece spallucce. “Come se fossi stata investita da un rullo compressore,” rispose con voce stanca e flebile. Poi aggiunse: “Che cosa è successo?”  

Il Dottor Lupton si grattò il mento, guardando una cartellina. “Le sue triviammine sono aumentate all’improvviso: da quando è arrivata in ospedale, abbiamo ripetuto le analisi ogni ora e al momento i valori sono ancora fluttuanti. Non è nulla di grave!” la rassicurò, notando il suo sguardo atterrito. “Dobbiamo solo tenerla in osservazione per un giorno o due, e una volta che i valori saranno stabili, sarà dimessa.”  

Tuttavia, Virginia non si sentì rassicurata da quelle parole. Deglutì aria e chiese, con un filo di voce: “La mia Classe è aumentata?”  

Il medico sospirò e le mostrò la cartellina: c’era un grafico, in cui invece della temperatura corporea erano segnati i valori delle varie triviammine. “Quando è arrivata, aveva cinque virgola quarantanove unità, ma nel giro di quattro ore il valore è tornato a essere inferiore a tre. È ancora superiore rispetto a quello del suo ultimo test di Haltey, ma non tanto da giustificare un cambiamento di Classe.” Riprese la cartellina e le diede un sorriso incoraggiante. “Davvero, non c’è nulla di cui preoccuparsi.”  

“Se lo dice lei…” rispose Virginia, non completamente convinta.  

Il Dottor Lupton girò un paio di fogli della cartellina ed estrasse una penna dal taschino. “Lei era a scuola quando ha avuto la crisi, giusto?” Virginia annuì. “Stava seguendo una lezione di Scienze Soprannaturali, giusto?”  

Francese,” rispose Virginia. “Ero a lezione di Francese.”  

Il Dottor Lupton corrugò la fronte. “Il suo insegnante o uno dei suoi compagni di classe ha usato i propri poteri?”  

“No… non che io sappia. Voglio dire, ora una mia amica mi passa un disegnino scemo e ora… puff! Blackout!”   

“Uhm, uhm… capisco,” mugugnò il dottor Lupton, pensieroso. Poi si alzò e diede un altro sorriso incoraggiante a Virginia. “Domani procederemo con alcuni esami, giusto per stare tranquilli.”  

Il resto della giornata fu pieno di noia interrotta regolarmente dai prelievi di sangue e la sostituzione di flebo, e l’unica nota di colore fu l’arrivo di alcuni compagni di classe venuti a trovare Virginia. Eugene e Sharon le portarono una copia degli appunti e i compiti delle lezioni comuni; Chantal e Audrey, invece, raccontarono nei minimi dettagli quello che era successo, enfatizzando la reazione loro e di Madame Bossuet. Tuttavia, poco prima delle cinque un’infermiera li cacciò via, facendo presente che le visite non erano ammesse durante i pasti. Anche Mrs. Bergman andò via, promettendo di tornare più tardi.  

Virginia lesse gli appunti dopo la cena e fu felice di vedere i suoi genitori arrivare dopo le sette, dato che sua madre le aveva portato un pigiama pulito, alcuni libri di testo, qualche snack e il caricabatteria del cellulare. I Bergman restarono a farle compagnia fin quanto possibile, quinti tornarono a casa dopo aver parlato con il medico di turno, lasciando Virginia sola con la propria noia.  

Fu dopo aver finito i propri compiti e giocato un po’ con proprio cellullare, che Virginia ricordò d’aver detto a Biagio che si sarebbero visti su Skype dopo le nove. Scorse rapidamente i propri contatti e, ritenendo inopportuno telefonare, preferì mandargli un messaggio.  

[ Scusa se non sono connessa: sono in ospedale e senza laptop. - V ]  

La risposta arrivò poco dopo.  

[Buonasera, Virginia.  
 Spero non sia nulla di grave  - B. ]

Virginia sorrise, notando che Biagio aveva risposto esattamente come si aspettava.  

[ Bah, niente di ché:  devo stare in osservazione. ]  

[ Osservazione? Hai avuto un incidente? - B. ]  
[ Dove sei ricoverata? - B. ]  

[ Nah. Triviammine sballate e sono alla Neurologia di Amersham. ]  
[ È una gran rottura perché non ho niente da fare, a parte studiare o giocare a Candy Crush. ]  

In un certo senso, si sentiva lusingata di percepire una vena di preoccupazione nei messaggi di Biagio, nonostante non ne vedesse la necessità. Il suo messaggio successivo non fu immediato come i precedenti.  

[ Quali sono gli orari di visita? - B. ]  

[ Dalle 3 alle 8, ma non durante la cena. ]  

[ Sono permessi i fiori o devo pensare ad altro? - B. ] 

[ Mi basta la compagnia. ]  

[ A domani, allora. Dormi bene. - B. ]  

Virginia fu tentata di chiedergli se avesse intenzione di visitarla nei suoi sogni, ma desistette. Non voleva che Biagio fraintendesse la sua curiosità per un invito a continuare un comportamento che lei riteneva inaccettabile, per cui limitò ad augurargli la buonanotte.  

   

——— • ———

   

Virginia trascorse la mattina seguente facendo diversi esami, da un colloquio con il primario a una risonanza magnetica, passando per un elettroencefalogramma. Inizialmente aveva temuto che le facessero fare un test di Haltey completo, ma non fu necessario. Dovette ripetere le analisi del sangue, tuttavia nel primo pomeriggio le confermarono che i valori si erano stabilizzati. Dopo il pranzo, sua madre venne per portarle un cambio pulito ma, a parte una telefonata di Ines e una chiacchierata con la sua vicina di letto, anche il secondo pomeriggio fu alquanto noioso.  

Fu poco prima delle quattro che Virginia ricevette un messaggio da parte di Biagio, chiedendole in quale stanza lei fosse e, circa una decina di minuti più tardi, lo vide entrare con un’orchidea rosa e accompagnato da Linda. Virginia arrossì, un po’ per il sorriso che Biagio le aveva rivolto e un po’ perché avrebbe preferito indossare qualcosa più femminile di un pigiama con Brontolo o delle pantofole a porcellina.   

“Buon pomeriggio, Virginia. Come stai?” le chiese Biagio, posando l’orchidea sul comodino e guardandola come aveva fatto quando le aveva portato i macarons.  

“Ciao!” disse a sua volta Linda, ancora vestita con l’uniforme della sua scuola.  

“Ciao,” rispose a sua volta Virginia. “Sto bene, anche se annoiata. Ma domani mi dimettono.”  

Chiacchierarono del più e del meno per un po’, e Virginia non poté fare a meno di notare le occhiate sempre più insistenti che Biagio rivolgeva a sua sorella. Poi lui si scusò e uscì dalla stanza, lasciando Virginia sola con Linda. Questa rimase per un po’ in silenzio, poi sedette sul bordo del letto.  

“Non è vero che doveva fare una telefonata urgente,” esordì Linda con un fil di voce.  

Virginia inarcò un sopracciglio e borbottò: “Oh? Beh, bisogna ammettere che tuo fratello è strano. Voglio dire, la sua ragazza è in ospedale e non le da neanche un abbraccio…”  

“Lo so, ma lui è fatto così: più tiene a una persona, più è freddo nei suoi confronti, almeno fin tanto che c’è gente intorno,” rispose Linda, indicando con la testa la vicina di letto e i suoi visitatori. Sospirò e dondolò le gambe. “È uscito per permettermi di scusarmi senza dovermi imboccare le parole,” ammise infine.  

Virginia corrugò la fronte. “Di cosa dovresti scusarti?”  

Linda strinse le labbra, prese un profondo respiro e arrossì. “Scusaperilfiltrodamore,” disse tutto d’un fiato.  

“Scusa? Potresti ripetere, non ho capito molto bene quello che hai detto.”  

“Ehm… Scusa per il filtro d’amore?” ripeté più lentamente Linda, con gli occhi bassi e le dita allacciate.  

Basita, Virginia sbatté le palpebre basita. Lanciò un’occhiata alla porta, intravedendo un gomito di Biagio, e ripeté a denti stretti: “Scusa?” 

Virginia sentì un improvviso fiotto di bile nel retro della bocca quando l’impressione d’essere stata raggirata – usata e abusata – la travolse come un’onda di marea. Fu un po' come essere trascinata indietro.

Linda non rispose subito, e osservò per un po’ suo fratello. Poi strinse le labbra e mormorò: “Ricordi quando sei venuta per aiutarmi con la torta e mi chiedesti quali spezie avessi usato per il vin brûlé? Beh, avevo aggiunto un filtro d’amore. Biagio non c’entra nulla!” si affrettò ad aggiungere, guardando Virginia. “Non solo non lo sapeva, ma l’ho dato anche a lui. Non avreste dovuto saperlo…”  

Virginia boccheggiò, sentendo una sensazione sgradevole attorcigliarle le viscere. Avrebbe voluto urlare, ricordare a Linda la truffa dell’estate precedente ma non poteva, non in ospedale. Guardò la sua vicina di letto e i suoi visitatori, i quali continuavano a ridere e chiacchierare; guardò la porta e parte del profilo di Biagio, di cui poteva percepire il desiderio di intervenire in quella conversazione. Virginia respirò profondamente più volte per stemperare la propria indignazione.  

“Fammi capire. Mi hai fatto innamorare di tuo fratello?” sputò, incapace di celare la sua stizza.  

“Io non faccio innamorare nessuno: avete fatto tutto da soli. Io ho semplicemente dato una spintarella,” disse Linda sulla difensiva. “Biagio è pieno di difetti e a volte è così borioso che non so se dovrei prenderlo a ceffoni o a pedate nel sedere. Ed è troppo orgoglioso per chiedere aiuto - pozioni incluse. Ok, non avrei dovuto intromettermi, ma gli voglio bene e se fossi rimasta con le mani in mano, Biagio avrebbe fatto lo stesso errore del nonno con Estela.”  

“Per quanto possano essere nobili le tue intenzioni, non cambia il fatto che --” Virginia lanciò un’altra occhiata alla vicina di letto e abbassò ancora di più la voce. “ -- che mi hai drogata! Drogata per l’amor d’iddio!”  

“Spiacente, ma devo contraddirti: un filtro d’amore non altera le capacità mentali e non da dipendenza,” rispose Linda con un’alzata di spalle - un gesto che ricordò a Virginia la snervante nonchalance di Biagio. “E poi ho esitato fino all’ultimo se dartelo o meno.”  

 “Oh?” disse Virginia, inarcando un sopracciglio e non sapendo se chiedere dettagli o dirle di zittirsi.  

Neve che nasconde chissà quali segreti, innocenti o turpi che siano. Virginia si rese conto di quanto quella immagine calzasse a Linda.  

Linda annuì lentamente. “Ignoravi i tuoi sentimenti ed eri pronta a rinunciare a lui.” La osservò con attenzione, tanto che Virginia si sentì arrossire. “Biagio ha bisogno di qualcuno come te, capace di sostenerlo e di pretendere sostegno. Qualcuno che non si lascia accecare da…” Linda si morse le labbra. “Dal nome, dal prestigio o da qualunque altra cosa.”  

Virginia distolse lo sguardo. “È un complimento?” ribatté acidamente.   

“Solo un dato di fatto. Io conosco la fonte della tua forza e della tua fragilità.” Linda si allungò verso di lei e le strinse una mano, rivolgendole un sorriso incoraggiante. “Pace, allora?”  

“Io direi che, prima di far pace, dovremmo pensare a un castigo,” disse Biagio, raggiungendole. Poi si rivolse a Virginia: “Suggerimenti?”  

Virginia strinse le labbra e incrociò le braccia sul petto. “Sai, dovrei essere molto, molto arrabbiata.”   

“E mi trovi perfettamente d’accordo,” rispose lui severamente. “Linda ha oltrepassato il limite del buonsenso.”  

“Intanto, se non lo avessi fatto, chissà se adesso sareste insieme,” insinuò Linda, saltando in piedi e puntando i pugni sulle anche.  

“Qualcuno cerca disperatamente di tirare l’acqua al proprio mulino, mh?” disse Biagio poco convinto, inarcando un sopracciglio. “Abbiamo avuto più volte questa discussione, Linda.”  

 “Sei tu che hai insistito affinché Virginia lo sapesse, mio carissimo Signor Fratello cui voglio tanto bene!” rispose lei, alzando il mento con aria di sfida. “Se ci tenevi così tanto, perché non glielo hai detto tu stesso?”  

“Hai visto che faccia tosta, Virginia?” le chiese Biagio, indicando sua sorella infastidito.   

“Io avrei una mezza idea su chi possa averla ispirata,” rispose Virginia, decisa a non voler avere a che fare con il loro litigio e rendendosi conto di quanto Linda somigliasse al fratello.  

L’arroganza dev’essere un tratto di famiglia, pensò un po’ sconsolata. Non riusciva a immaginare Mr. Aldo Tricano con così tanta boria. Ma anche Biagio non ti aveva dato quest’impressione, quando lo hai conosciuto.  

“Parliamo d’altro o giuro che vi caccio entrambi a pedate,” borbottò infine Virginia.   

Biagio e Linda si guardarono un attimo, poi lei tornò a sedersi sul letto e inclinò la testa.  

“Virginia, cosa ne pensi di storie alla Princess Diaries, in cui il o la protagonista è in realtà il membro di una famiglia reale in incognito?” le chiese a bruciapelo.  

Virginia inarcò entrambe le sopracciglia. “Bah, per quanto sia un cliché, se la storia è scritta bene, la trama è interessante e i personaggi sono ben caratterizzati, non dico di no. Se vuoi dei suggerimenti, dovresti chiedere a Chantal: lei posta su Wattpad e sua madre è un’autrice di  romanzi sentimentali.”  

“Sono sollevata,” rispose Linda, con eccessivo entusiasmo. “Ho una mezza idea di scrivere una storia così ma avevo un po’ paura del fattore cliché.” Poi sorrise a suo fratello e aggiunse: “Che ti avevo detto?”  

Biagio si limitò ad alzare gli occhi, poi disse: “A proposito di amici, non dirmi che siamo gli unici venuti a visitarti!”  

Virginia annuì. “Papà e Finn non possono muoversi: c’è del lavoro da fare e Fairy Red Poppy dovrebbe partorire in questi giorni. Lo stesso per mamma: prima delle cinque non può muoversi dalla sala da tè. I miei amici, invece…” Controllò l’ora sul proprio cellulare. “… dovrebbero arrivare da un momento all’altro.” Biagio annuì, pensieroso, poi Virginia trasalì e aggiunse. “Ieri mi avevi detto che c’era qualcosa di cui volevi parlarmi.”  

“Ne abbiamo appena parlato, Virginia,” rispose lui, guardando prima lei, poi sua sorella.  

“Oh? Oh… capisco,” sibilò Virginia, capendo a cosa si riferisse, e non potendo impedirsi di aggiungere. “Pregate che Bob non lo venga mai a sapere o passerete entrambi un brutto quarto d’ora. Soprattutto tu, Biagio.”  

Biagio e Linda scoppiarono a ridere, e dopo un po’ Virginia li imitò. La vicina di letto diede loro un cenno di saluto e Biagio tenne le porta aperta mentre accompagnava i suoi visitatori fuori dalla stanza; quindi rivolse uno sguardo eloquente a Virginia. Poi ci fu un silenzio imbarazzante.  

Muore dalla voglia di baciarti, Vir’, la canzonò una vocina maliziosa.  

Nonostante fosse ancora irritata per il filtro, arrossì e sentì il cuore sussultare nell’attesa di un gesto rimandato, tanto che si trovò a dire suo malgrado: “Perché non lo fai?”  

Fu come se Biagio non avesse sentito la sua domanda; invece, Linda si alzò e lo raggiunse, porgendogli una mano.  

 “Hai qualche spicciolo?” chiese e suo fratello frugò nelle proprie tasche, poi Linda si rivolse a Virginia: “Vuoi che ti prenda qualcosa dal distributore automatico?”  

Virginia scosse la testa e Biagio chiuse la porta dietro sua sorella silenziosamente, poi tornò a fissarla, tanto che lei arrossì di più al déjà-vu.   

È come quella volta nel suo studio, solo senza la pozione.

Biagio la raggiunse con poche falcate e, prima che Virginia potesse ripetere la propria domanda, si chinò su di lei, appoggiandosi con i pugni sul letto, e catturò le sue labbra con le proprie. Lo stupore di Virginia fu presto inghiottito dalla crescente passione del bacio: calciò via la propria irritazione e gli cinse il collo con le braccia, tirandolo a sé, affondando le dita nei suoi capelli così folti e setosi da farle invidia.  

“Perché ci hai messo così tanto?” mormorò Virginia, riprendendo fiato.  

Biagio la guardò attraverso le ciglia, le labbra contro le labbra. “Perché non voglio che nessuno si renda conto di quanto ti --”  

“Salve salvino!”  

Biagio saltò indietro come se avesse ricevuto una scossa elettrica e rivolse a Chantal, Audrey ed Eugene lo stesso sguardo indignato che aveva rivolto a Virginia quando l’aveva sorpresa nel suo studio. Eugene tossicchiò, aggiustando gli occhiali sul naso e trovando improvvisamente interessante lo stipite della porta e Audrey diede una gomitata a Chantal, il cui sorriso si sciolse in un’espressione dolorosa. Linda arrivò correndo pochi istanti dopo, con gli spiccioli ancora in mano e un viso ben più contrariato di quanto suo fratello mostrasse; restando dietro gli amici di Virginia, minò scusa con le labbra, come se fosse stata lei la causa dell’interruzione.   

Virginia giocherellò un po’ con le proprie dita, poi tossicchiò. “Ehm, ciao! Vi… aspettavo un po’ prima,” balbettò, cercando di sembrare il più naturale possibile e invidiando Biagio per il proprio autocontrollo.  

Audrey fu la prima a entrare nella stanza. “Scusa, ma ho messo più tempo del previsto per finire il bigliettino,” disse, porgendole una busta.  

“Ehm… grazie,” rispose Virginia, prendendo la busta ed estraendo il bigliettino - era la stessa caricatura con lei, Biagio e l’unicorno del giorno prima, rifinito, colorato e con gli auguri di pronta guarigione dei suoi compagni di scuola.  

Chantal, d’altro canto, guardava con insistenza lei e Biagio, poi indossò un sorriso malizioso e la stuzzicò: “Dico, ragazza mia, hai lasciato le buone maniere a casa?”  

Virginia trasalì: aveva dimenticato che, nonostante lo avessero visto un paio di volte allo Scarlett’s Cafè, non aveva mai presentato Biagio ai suoi amici. Arrossì di nuovo, poi lo indicò con un gesto della mano. “Ragazzi, lui è Biagio… e sua sorella,” disse, puntando Linda, poi fece altrettanto con i suoi amici. “Loro sono Chantal, Audrey ed Eugene.”  

Biagio e Linda li studiarono brevemente, poi lui disse con un cenno del capo: “Piacere di conoscervi.” Quindi si rivolse nuovamente a Virginia. “Credo che non possiamo trattenerci oltre: qualcuno deve ancora fare i compiti,” concluse lanciando un’occhiata a Linda, la quale rispose con una linguaccia e abbracciando Virginia.  

Ricambiando il gesto, Virginia disse: “Grazie per essere passati!”  

“Rimettiti presto, e fammi sapere quando verrai a Oxford!” cinguettò a sua volta Linda, agitando una mano.  

Biagio aveva fatto pochi passi nel corridoio, quando tornò indietro e si affacciò nella stanza. “Ti dimetteranno domani mattina, nevvero?” chiese e Virginia annuì. “Verrò a prenderti.”  

“Non ce n’è bisogno! Mamma si prenderà un’oretta dal lavoro,” protestò Virginia.  

 “Inutile insistere,” s’intromise Linda roteando gli occhi e indicando suo fratello con il pollice. “Quando questo signore si mette qualcosa in testa, neanche un’apocalisse zombie potrebbe fargli cambiare idea!”  

Quella battuta fece ridere tutti tranne Biagio, il quale pose le mani sulle spalle di Linda per guidarla. Una volta che i due furono andati via, Chantal sedette alla turca sul letto di Virginia e la osservò con attenzione.  

“Ok, devo ammettere che, visto da vicino, posso capire perché ti piaccia,” disse, sporgendosi verso di lei. “Ma, oltre che troppo pulito, è anche un ghiacciolo. Ti vedrei meglio con qualcuno più alla mano, più divertente…”  

“Come Broccolo?” propose Virginia, inarcando un sopracciglio.  

Chantal inclinò la testa su un lato, simulando sorpresa. “Oh, come hai fatto a indovinare? E detto fra noi: Liam sarà stato un cornificatore di prima categoria, ma almeno era molto più affettuoso di Mr. Ghiacciolo.”  

Chantie non sa cosa è successo con Liam, Vir’, si disse, sentendo l’acidità nello stomaco aumentare. Porta pazienza.  

“Io direi che Ghiacciolo è il termine sbagliato,” tossì Eugene, guardando rapidamente Virginia preoccupato. “Sempre che non stesse rianimando Vir’ quando siamo arrivati.”  

“Io direi che stava controllando le sue tonsille,” ridacchiò Audrey, sedendosi anche lei sul letto e dando una gomitata a Virginia. “È un po’ timido, il ragazzo, mh?”  

Chantal si morse la lingua, arrossendo. “D’accordo, avete vinto: sono un po’ prevenuta e continuo a pensare che Matt sia migliore per Vir’,” ammise infine, incrociando le braccia sul petto. “Però non potete negare che quel ragazzo non sia normale! Come si può passare dall’arrapato al ghiacciolo in… quanto? Mezzo millesimo di secondo?”  

Eugene si grattò il mento. “Beh, su questo hai ragione. Inoltre dopo era tranquillo come se fosse successo nulla: io al suo posto sarei morto d’imbarazzo,” concluse, arrossendo leggermente a chissà quale ricordo.  

“Piuttosto, direi che ha dei gusti bizzarri. Tralasciando che siamo in un ospedale, come può arraparsi davanti a un pigiama di Brontolo e quelle pantofole,” disse Audrey indicando i due capi di abbigliamento.  

Beh, non ha tutti i torti, pensò Virginia, abbassando lo sguardo sui propri piedi. Tuttavia, si sentì in dovere di difendere Biagio e i suoi gusti improbabili.   

“Il segreto, mia cara, sono le pantofole,” rispose, assumendo una posa da pin-up, roteando un piede e mordendosi sensualmente il labbro inferiore. “Nessuno può trattenere i tuoi maschi istinti dinanzi al supremo sesc apiil delle mie pantofole a forma di porcella vogliosa!”

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

 Sono ancora reduce del trasloco, cui si è aggiunto il rientro a scuola delle Loro Pucciosità: in questo momento sto scrivendo per inerzia, ma spero che il capitolo e la svolta soprannaturale sia stata apprezzata.

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

   
 
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