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Autore: Daleko    12/09/2015    3 recensioni
"Sono patetico? Non lo so, non riesco a peccare di superbia e mi rendo conto di scimmiottare, anche in modo piuttosto lezioso, grandi del passato che posso realmente incontrare solo nel mondo orinico quando la fantasia me lo permette."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
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L'hiver, nous irons dans un petit wagon rose
Avec des coussins bleus.
Nous serons bien. Un nid de baisers fous repose
Dans chaque coin moelleux.

Tu fermeras l'oeil, pour ne point voir, par la glace,
Grimacer les ombres des soirs,
Ces monstruosités hargneuses, populace
De démons noirs et de loups noirs.

Puis tu te sentiras la joue égratignée...
Un petit baiser, comme une folle araignée,
Te courra par le cou...

Et tu me diras: "Cherche!" en inclinant la tête,
Et nous prendrons du temps à trouver cette bête
Qui voyage beaucoup...

A. Rimbaud - Rêve pour l'hiver




"Ciao di nuovo"
"Ciao di nuovo". Com'è fresca l'aria quest'oggi, durante quella che è diventata la mia passeggiata mattutina; tutto intorno a me è buio, illuminato solo dai lampioni che tentano di rischiarare il viale. Anche se l'alba è vicina i caldi raggi del sole sono ancora troppo lontani da noi, non riescono ad avvolgere le nostre figure ombrate: la nostra presenza qui è silenziosa ed eterea come un segreto.
"Non è troppo presto per uscire a giocare?"
"Non è troppo buio per leggere qualcosa al parco?" ribatte alle mie parole con un sorriso furbesco ad adornarle il viso. La osservo, mi osserva: com'è piccola, com'è delicata. Se fosse più vicina il suo viso potrebbe sfiorarmi lo stomaco; com'è fragile, la piccola Marie! Potrei stringerla in una morsa, afferrarla, dipingere le sue braccia nivee di fiori violacei con la sola pressione delle mani...
"John?"
Richiama la mia attenzione; mi riscuoto dai pensieri maldresti che mi attanagliano la mente, arrossendo goffamente. Il vestito rosso che le oscilla addosso resta stretto fino ai fianchi, ove si apre come un morbido ventaglio che le arriva, come sempre, a metà delle cosce. I lunghi capelli color del mogano fluttuano, ad ogni suo movimento, intorno alle spalle; solo un fermaglio spezza quella lucida e morbida contuinità, un fermaglio anch'esso rosso stretto sull'orecchio con un fiocco infantile.
"Dai, andiamo sulla panchina!" esclama all'improvviso, forse infastidita dal mio silenzio; mi afferra una mano e cerca di trascinarmi con sé. Il tocco lieve è quasi gelido; solo adesso mi accorgo che anch'io, che non soffro le basse temperature, ho le maniche della camicia abbassate mentre il vestito della ragazzina ne è sprovvisto. Mi acciglio, voglio dire qualcosa e per questo torno a bloccarmi sul lastricato del viale; lei non riesce a tenere la presa su di me e, scivolando via, rovina a terra.
"Ragazzina?" l'appello curiosamente con una vaga preoccupazione; la vedo scossa da un tremito, sento un lamento e mi avvicino cautamente: scorgo del sangue sulle sue dita, il sangue che non ho trovato in me meno di un giorno prima.
"Ti sei fatta male?" domando stoltamente mentre lei, sedendosi sul lastricato, mi mostra il ginocchio destro ferito dalle pietre. Del rosso le scivola lungo la gamba in una densa goccia di sangue che rischia di colorare ancor più intensamente la scarpetta in tinta con il resto, così porto un indice a frenare la sua corsa verso il basso. Il suo sangue m'impregna il dito, l'odore di esso mi arriva con tale forza da stordirmi; risalgo lungo la scia che già comincia a seccarsi sulla sua pelle, arrivando al ginocchio ferito ma senza toccarlo per non aumentare il suo dolore. Osservo il dito con confusione; la goccia di sangue brilla sulla mia pelle e mi sento saturo del suo odore e della sua vista, così la porto alle labbra con desiderio. Ecco qual è il suo sapore, ecco qual è il sapore delle sue carni! Socchiudo gli occhi con un tremito mentre lei torna a lamentarsi con un flebile "John, mi fa male..." nel tentativo di riscuotermi. Risalgo con lo sguardo lungo il suo corpo, fissandomi nelle sue pupille color pece. Vedo il mio riflesso o è solo un mostro quello che mi guarda di rimando? L'angoscia mi assale, mi assale! Non potrò ascoltare mai null'altro all'infuori di Wagner, penso, e torno a sfiorare la ferita con il dito umido. "Non preoccuparti, è solo un taglietto" la rassicuro saggiando i contorni del suo dolore, cancellando il sangue che le sporca la pelle. "Riesci a camminare?" domando senza fiato mentre lei scuote la testa, una risposta infelice che mi porta ad alzarmi con un sospiro.
Tendo le braccia, ho ancora il dito sporco di sangue ma lei non se ne cura; le sue braccia sono verso di me, fiduciose e in attesa; non posso andar via, una mano va sotto le sue gambe mentre l'altra, quella macchiata di peccato, dietro le sue spalle. L'alzo, è mia: fra le mie braccia sento il suo peso, è sollevata da terra e quasi sparisce nel mio petto gracile. Quant'è piccola, oh, quant'è fragile...
"Mi accompagni a casa?" domanda insicura, ma io non riesco a risponderle; non sento più la lingua, le gambe, le braccia. Il cuore mi è impazzito in gola: morrò?
Annuisco lentamente, poi comincio a camminare mentre la sua veste ondeggia nel mio campo visivo. Cerco di non guardarla, ma come si può non guardare qualcosa ch'è davanti ai tuoi occhi? "Mi dispiace" sussurra "non volevo rovinarti la passeggiata. Ti sei sporcato. Accidenti, mi sento così in colpa" continua con voce flebile e melliflua. Avverto un movimento del suo capo verso l'esterno, abbasso lo sguardo su di lei; tende il viso verso la mia mano, scorgo ogni ciglia stagliata contro gli zigomi degli occhi socchiusi, il naso all'insù che mi sfiora la carne, le morbide labbra che si schiudono e avvolgono il mio dito. La sua lingua ruvida guizza sul suo stesso sangue per qualche secondo di troppo: emetto un singulto con occhi acquosi, gonfio il petto per cercare l'aria che ha smesso di arrivare mentre torno a guardare il suo viso pallido ch'era sfumato ai miei occhi per qualche momento. Ha ritratto le sue labbra dal mio dito, ecco, ricompare da quella rosa che ha sul volto: posso sentire il vento intirizzirlo, è umido, è suo. Odora di lei, lo so anche se non l'ho portato al viso: quel sapore metallico che prima impregnava la mia bocca ora è anche il suo. "Marie, piccola Marie!" mormoro fremente mentre sposto la mano sulla sua nuca, sporcando i suoi capelli limpidi e racchiudendo il suo piccolo capo nella mia mano: com'è piccola, com'è minuta! Sfioro con lievi versi di piacere il suo collo sottile con le mie labbra, le mie guance lisce e saggio le sue con le labbra e con i denti, le orecchie nascoste tra i capelli, la sua fronte e il suo naso adornato di efelidi mentre le sue mani fredde si tengono spasmodicamente a me. La vedo, la mia piccola ninfa, saggio il suo essere stringendola a me mentre strofino le mie labbra alle sue, premendocele contro con forza, quanta forza che riesce a sopportare senza emettere un gemito! Sento il suo alito su di me, il mio è in lei: il sapore di sangue che ci accomuna è stato unito con voluttà mentre quelle piccole perle, il segreto della sua bocca, urtavano contro i miei.



"Lasciami sul portico! Papà si arrabbierà" confessa a mezza voce. Il terrore mi attanaglia lo stomaco: mi guarda confusa, aprendosi in un sorriso colpevole. "Non dovevo uscire, era troppo presto" risponde ai miei interrogativi mentre io, sciocco come sono, arrossisco nuovamente. "Ha ragione, le bambine dovrebbero dormire. Sii più obbediente" la rimprovero a mia volta senza sorridere, senza guardarla, voltandomi con l'angoscia che divora ogni più piccola parte di me. Tornato a casa cosa posso fare se non scrivere tutto quello che non riesco ad espellere dalla mente, tutto quello che è rimasto avvinghiato al mio stomaco? Ho la febbre, ho la febbre di nuovo...

 


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