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Autore: Lost In Donbass    12/09/2015    4 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO OTTO: DOVE VAI, TOOOOM?!
Tom aprì gli occhi impastati dal sonno, piano, girandosi lentamente in un letto caldo che non sembrava il suo, sentendo delle coperte molto più gonfie delle sue accarezzargli la pelle nuda. Aspetta, ma perché diavolo era nudo? E dov’era finito? Sbatté le ciglia, fregandosi gli occhi con le mani, distinguendo un quadro sopra la sua testa che sicuramente non c’era in casa sua. Un sordo mugolio vicino a lui lo fece quasi sobbalzare, e qualcosa di freddo ma incredibilmente morbido sul suo braccio gli fece scattare finalmente la risposta ai suoi interrogativi mattutini: era a casa di Bill. Era nel letto di Bill. Si erano baciati (e uno stormo di farfalle cominciò a svolazzare nel suo stomaco mentre un sorriso addormentato tornava al suo posto). Avevano scopato (le farfalle aumentarono vertiginosamente e una fitta di piacere gli riverberò nella spina dorsale).
Si girò, sorridendo come un ebete, gli occhi ancora assonnati, e vide una pallina di coperte da cui uscivano una quantità immensa di capelli neri e bianchi tutti arruffati.
-Buongiorno. – mugolò, scostando un po’ il piumone e vedendo il viso di Bill disteso e rilassato nel sonno, come un angioletto precipitato dal Paradiso.
Aprì gli occhi, girando la testa, e Tom vide con gioia immensa un sorriso dispiegarsi su quelle labbra che finalmente aveva potuto baciare fino a star male. Bill si mosse un po’, avvicinandoglisi come un gattone bisognoso di coccole.
-Buongiorno, Tommuccio.- gli si accoccolò tra le braccia, appoggiandogli la testa arruffata sul petto.
Tom gli accarezzò la schiena pallida, mentre Bill gli sbaciucchiava come una ventosa la scapola, il collo, la guancia e infine la bocca.
-E’ stato grandioso, stanotte.- grugnì Tom, tirandosi un po’ su e scompigliandosi i dread, cercando disperatamente un orologio da cui sapere l’ora. Non sarebbe voluto arrivare in ritardo in centrale proprio quel giorno, anche se parte di lui avrebbe voluto ributtarsi sotto le coperte con Bill e farla finita con tutti i problemi dell’assassino e grane varie. Semplicemente, starsene ancora un po’ a letto a coccolarsi, poi alzarsi con molta calma, fare colazione con ancora più calma, e poi forse, ma solo forse, decidersi a fare una capatina in ufficio. Un piano splendido, peccato fosse assolutamente irrealizzabile.
-Bellissimo.- l’angelo rise, mettendosi a sedere e avvolgendosi come una specie di ninfa nelle coperte, e scostandosi i capelli sparati in aria dal viso soddisfatto. Tom non riuscì ad evitare di ripensare alla notte appena trascorsa, i loro corpi sudati allacciati in una danza sensuale, la bocca di Bill sulla sua, sul suo collo, sui suoi capezzoli, sul suo membro gonfio e duro da impazzire. Bill che era ovunque, sopra e sotto di lui, dentro di lui, come un’onda di piacere folle che lo aveva invaso e devastato senza pietà. Bill che lo aveva fatto gemere e gridare il suo nome come una preghiera blasfema. Bill che gemeva e lo implorava, facendolo impazzire di desiderio, mentre Tom gli spingeva dentro, gli occhi persi nel pozzo nero dello sguardo del suo angelico demonio, ogni spinta un passo verso l’abisso, fino all’esplosione finale, il piacere assoluto che sciabordava via lentamente, lasciandolo ansante e felice, sì, felice come mai era stato in vita sua.
Tom fece una smorfia con un sorriso, e lo prese per il polso trascinandoselo vicino, e provò per un momento a estraniarsi da tutto e coccolare il suo angelo autostoppista, quando il suo stramaledetto cellulare cominciò a squillare come una sirena, rovinando del tutto il bel momento. Il rasta lanciò qualche improperio al telefono maledetto, alzandosi e lanciando uno sguardo apologetico a Bill, che sogghignò piano, arrossendo leggermente.
-Georg, guarda, non ti butto giù solo se stai morendo o se sta morendo Gustav, ok?- abbaiò Tom nel cellulare, sedendosi sul bordo del letto con aria stufa, e sentendo Bill aggrapparsi alla sua schiena per sentire la conversazione.
-No, T., per tua informazione io e Gus stiamo benissimo, ma credo che starai male tu tra poco. Sono quasi le nove e mezza, e Mann sta sclerando di brutto perché non sei ancora in centrale a esporci il tutto. Dove sei finito?!
Tom strabuzzò gli occhi. Le nove e mezza?! Oddio, non pensava che fosse così tardi, accidentaccio! Bill ridacchiò, perché forse lui non capiva la gravità della sua situazione.
-Ah, ehm, io … senti, arrivo subito, promesso, mi sbrigo, poi ti racconto!
E buttò giù la chiamata, saltando in piedi e cominciando a vestirsi a razzo.
-Devi andare, Tooooom?- miagolò Bill, alzandosi a sua volta e infilandosi una vestaglia bianco latte di quella che pareva seta.
-Sì, scusa, lo so che è da villani, ma sono in ritardo, non rischio il posto perché hanno troppo bisogno di me, ma devo andare.
Il rasta schizzò dalla porta, aprendola di scatto (e rischiando di scardinarla completamente) e bloccandosi poi in corridoio. Fece dietrofront e come pensava trovò Bill fermo immobile sull’uscio ancora spalancato con la testa piegata su un lato che aspettava il classico bacino dell’arrivederci. “Bravo Tom, te lo sei ricordato in tempo!” lo lodò la coscienza, sorridendo.
Gli diede un bacio a stampo e prima che volasse giù per le strette scale sporche e irregolari, Bill gli strillò:
-Tranquillo, gattino, oggi ci vedremo presto.
Tom sentì il cuore fargli una capriola felice, prima di spalancare la porta scassata del palazzo e fiondarsi a piedi verso l’Anticrimine.

-Tu aspettami qui.
Alzò lo sguardo, timoroso, sul suo viso. Era fermo sulla porta, con la borsa dei pennelli e dei colori appesa alla spalla, la solita sigaretta in bocca, annoiato.
-Posso venire con te?- sussurrò, rigirandosi una ciocca attorno al dito, sfarfallando gli occhi, avvolto nella vestaglia. Aveva tanta paura, non voleva rimanere da solo, voleva stare con lui, solo con lui.
-No, rimani a casa.- gli si inginocchiò accanto, pettinandogli i capelli con le dita – Torno presto, tesoro, stai tranquillo.
Si guardarono per un secondo, fisso, e poi lui si alzò, chiudendosi la porta alle spalle con la solita, gelida, frase:
-Stai in casa.
E solo quando fu sicuro che lui fosse ormai già sulle scale, lontano da lui, cominciò a singhiozzare tristemente, affondando il viso tra le mani e sentendo il mascara colargli tristemente sulle guancie.

Quando Tom entrò col fiatone all’Anticrimine, spalancando la porta della sala riunioni, computer, vita sociale (insomma, l’unica sala veramente usata dallo sfigato Distretto Dieci), una grande quantità di occhi gli si fissò addosso, alcuni severi, alcuni interrogativi, alcuni esasperati, altri curiosi.
Si grattò la guancia imbarazzatissimo, facendo vagare lo sguardo per la sala, senza fissarsi su nessuno in particolare, mentre avanzava verso la “Poltrona della Star”, ovvero l’unica poltrona veramente bella della centrale, dove si accomodava chiunque dovesse dire delle cose importanti, come le grandi decisioni, oppure gli indizi trovati in un determinato sopralluogo.
-Bene, Kaulitz, a parte il fatto che dopo mi spiegherai il motivo del tuo ingiustificato ritardo e del perché come al solito non sei in divisa, ora raccontaci per filo e per segno cosa hai scoperto. Listing e Schafer hanno cominciato a dirmi qualcosa, ma come al solito non si è capito niente perché continuavano a smentirsi a vicenda. A te la parola.
Georg e Gustav si guardarono un po’ in cagnesco, perché come al solito entrambi erano convinti di dire la cosa giusta e che l’altro stesse sbagliando, anche se solitamente steccavano abilmente entrambi.
Tom sospirò qualche volta, prendendo fiato e bevendo un sorso dell’acqua che il previdente Muller gli aveva portato, e quindi cominciò a spiegare attentamente ciò che aveva scoperto su Hansi Spiegelmann, omettendo abilmente le perplessità di July e Bill (anzi, omettendo proprio la loro presenza) e insistendo sul fatto che al Bite Vampire non aveva trovato un tubo.
Alla fine del lungo discorso, molti occhi avevano assunto luci emozionate, stupefatte, intrigate, dimentiche del ritardo del rasta. Quest’ultimo, alla fine, si girò verso Georg e Gustav, che come al solito, dopo ogni suo discorso, per rassicurazione, agitavano un calzino con su scritto “Grande Tom!” e gli facevano vari gesti in silenzio, come pollici alzati, sorrisi a trentadue denti e vari applausi silenziosi. Ok, Tom aveva decisamente dei problemi di ego, ma quando vedeva queste scenette messe su apposta per lui si rassicurava come un bambino dopo la prima recita scolastica che riceva applausi.
-Non ho capito.- intervenne il piccolo Muller – Questo Hansi Spiegelmann non esisterebbe? E allora perché lo cerchiamo?
-E’ un nome falso, Muller!- lo rimbeccò Gustav – Quindi esiste con un altro nome.
-Ah. E perché proprio lui?
-Uffa, perché non ha foto ed è una cosa strana!- sbottò Georg, mettendosi le mani nei capelli.
-Capisco. Ma allora per quale motivo avrebbe dovuto dare un nome falso?
-Perché magari nasconde qualcosa, no?- sbuffò esasperato Tom, passandosi una mano tra i dread e rimpiangendo Bill e quel letto fantastico.
-Bene. Come facciamo a sapere che nasconde qualcosa?
-Muller!!!- urlarono tutti in coro, scuotendo le teste.
Il piccolo agente li guardò tristemente, e poi scattò verso la macchina del caffè:
-Faccio un caffè a tutti, va bene?
-Bravo, e non rompere!- lo rimbeccò Gustav.
Almeno, Muller sapeva alla perfezione tutti i gusti di caffè di ogni persona del Decimo e faceva benissimo quel lavoro.
Gli altri conquistarono ognuno al propria posizione, e il capo commissario Mann ordinò:
-Bene, Kaulitz e Schafer, gambe in spalla e andate al Bach Hospital a farvi dare il referto medico di questo misterioso tizio. Listing, tu cerca qualcosa per quell’affare della croce. Muoversi!
I tre amici si guardarono scuotendo la testa, e ognuno partì per fare il loro lavoro. Mentre erano per strada, Gustav grugnì furibondo, azzannando un hot dog appena comprato da un baracchino sudicio sul ponte. Insomma, c’era troppa senape scadente, e il wurstel non era cotto come lo cuoceva sua nonna. E poi i cetriolini erano decisamente troppo impregnati di aceto.
-Dai, Gus, smettila di lamentarti per sti benedetti panini. Nessuno li farà mai come tua nonna, rassegnati. E comunque siamo all’ospedale, non puoi mangiare.
Gustav lo fulminò.
-E figurati che non posso mangiare! Siamo in un ospedale, non vorranno mica che gli crepi lì davanti di fame, no?
Tom rise, aggiustandosi il berretto da skater, e si trascinò dietro l’amico nella grande hall dell’ospedale, asettica, caldissima, deprimente quasi più di un cimitero.
-Belandi, che allegria.- sussurrò Gustav, adocchiando qualche vecchietta decrepita aggrappata alle poltrone della hall.
-Veramente. Da suicidio.- gli diede man forte Tom sospirando. Chissà dov’era Bill in quel momento .. cosa stava facendo, se gli stava pensando, se gli mancava. A lui, sicuramente, mancava e anche tanto.
-Qualche problema, ragazzi? Un attacco di ulcera? Uno svenimento? Una crisi di dissenteria? Avvelenamento da senape? Febbre equina?
Una vecchia megera li guardava sorridendo da dietro la guardiola di vetro, con i denti marci in vista e un sorriso malvagio e sadico.
-Ahò, ma facciamo le corna!- sbottò Gustav, toccando ferro, mentre Tom si toccava gli attributi con faccia sconvolta. Per un attimo, un solo intensissimo attimo, il gesto scaramantico gli fece riverberare nel cervello l’immagine di Bill chino sul suo piccolo Tom, i capelli setosi come una tenda corvina che gli solleticavano l’inguine mentre la lingua di Bill …. Si riscosse, un gonfiore pulsante nei pantaloni, cercando di concentrarsi sulla megera in modo che il piccolo Tom tornasse a dormire.
-No, stia tranquilla, noi stiamo benissimo, siamo venuti per …
Ma la vecchietta lo precedette, sempre sadica come pochi.
-La tua ragazza sta partorendo? È morto il bambino? È nato storpio?
-No, non abbiamo nessuna ragazza, siamo della Polizia!- urlarono in coro i due ragazzi, guardandosi sconvolti. E Tom si ritrovò a pensare quanto sarebbe bello venire lì con i G&G per vedere il suo angelo che partoriva il loro primogenito … oh, che cosa tenera … un bambino bello come Bill e con il fiuto da detective come il suo. Sarebbe stata una cosa bellissima … “Tom, ma dai i numeri?! Bill è un uomo tale quale a te, come diavolo fa a rimanere incinto e a partorire, razza di idiota?!” lo rimbeccò la coscienza, esasperata della sua vena romantica. Però aveva ragione. Era impossibile. Uffa.
-Ah, e cosa volete?- grugnì la vecchia, improvvisamente senza sorriso perverso.
-Stiamo cercando il referto medico di Hansi Spiegelmann, ricoverato qui due anni fa in seguito a un incidente stradale. Serve per il caso che stiamo seguendo sul serial killer.
-Capisco. Chiamo il primario della rianimazione.
Poco dopo, un ometto grassoccio e rubicondo si fece avanti, osservando Tom e Gus con curiosità negli occhietti porcini.
-Siete della Polizia, voi due?
-Sì, lo so che le apparenze ingannano, ma siamo i detective incaricati- esclamò Gustav tutto fiero – Necessitiamo del referto per compiere alcune indagini.
-E magari- aggiunse Tom – Parlare con il dottore o le infermiere che hanno curato il signor Spiegelmann.
Il primario grugnì, e li fece accomodare in una stanza asettica enorme, dove grandi librerie in metallo contenevano centinaia e centinaia di referti di ogni genere.
Li fece sedere su due seggioline di alluminio che scricchiolarono pericolosamente sotto il loro peso. Il primario cominciò a frugare nei vari cassetti contenti tanta di quella carta da poter riedificare una nuova Amazzonia, fino a uscirne fuori con un referto stretto tra le dita grassocce.
-Ecco qua agenti, questo è il referto che mi chiedevate.
Gustav e Tom si chinarono sul foglio, preparando i quadernetti degli appunti.
-T., perché il tuo block notes è rosa con i brillantini?
-Me l’ha prestato Claudia. Se vuoi ci sono anche le ricette della torta di patate che ti piace tanto. Te lo do?
-Scherzi?! Ma grande Cla! Raghnild è fortunata ad avercela come ragazza, và!
Gus fotografò la ricetta della torta di patate con un sorriso soddisfatto, e pensando che, dannazione, perché quelle due erano lesbiche?!
Tom prese il fascicolo, e lo sfogliò accuratamente, mentre il biondo prendeva appunti. Spiegava dettagliatamente cos’era accaduto al ragazzo, Hansi Spiegelmann, anni 24, professione meccanico, residente al 28 della Franz Joseph Strasse. Incidente in moto il 3 maggio di due anni prima, la moto era scivolata sull’asfalto bagnato della statale e il ragazzo ne aveva perso il controllo, andando a sbattere contro un magazzino di lamiera. La moto prese fuoco e il ragazzo venne ricoverato al Bach Hospital in fin di vita. Insomma, tipico incidente sfortunato.
Quello che venne dopo, ovvero la descrizione delle condizioni del giovane, fece venire un attacco di nausea ai due agenti. “Schiena completamente ustionata, gamba destra fratturata scompostamente, braccio destro ustionato, braccio sinistro spappolato, mani bruciate, viso semi ustionato (solamente parte del collo e parte della guancia destra.), ginocchio sinistro rotto, cassa toracica schiacciata.” Scrisse con un certo disgusto il biondo agente.
-Scusi, doc, ma mi vuol far credere che sto qui è sopravvissuto?!- sbottò Gustav, e Tom si spiaccicò una mano sulla fronte. Gus era unico per certe uscite.
-Le vie del Signore sono infinite.- commentò il primario – E’ stato molto fortunato.
-Capisco. Potrei parlare con il medico che all’epoca lo curava?- chiese Tom – Si chiama, dice la relazione, dott. Martin Olbrich.
Il primario annuì, e li portò lungo una serie di corridoi verdolini, dove si aprivano mille e mille porte bianche, fino a uno studio asettico come il resto.
-Sì?- il vecchio dottor Olbrich li squadrò al di sopra di un paio di occhialini pince-nez dalla montatura dorata.
-Buongiorno, agenti Schafer e Kaulitz dell’Anticrimine. Siamo qui per porle qualche domanda su quest’uomo.- Gustav gli porse con aria seria, anche se l’effetto era rovinato da un baffo di senape residuo, il referto.
Il dottore li guardò un po’, guardò il documento grattandosi la guancia, per poi fare un cenno ai due ragazzi di accomodarsi su due poltrone alquanto scomode, sfogliando distrattamente il referto.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata interrogativa, aspettando con ansia che venisse loro comunicato qualcosa di interessante, mentre Tom, cercando di non farsi vedere, mandò un messaggio a Georg “Appena puoi, vai al 28 della Franz Joseph. Qualcosa non quadra”. Ormai era diventato un asso a mandare sms senza guardare, pronto per qualunque evenienza che consistesse nel fare le cose con precisione e senza farsi notare dagli altri. Come si vedeva nei telefilm che guardava da ragazzino.
-Sì, me lo ricordo.- disse finalmente il medico, alzando lo sguardo gelido e leggermente sadico sugli agenti.
-Ce lo potrebbe descrivere?- chiese Tom, passandosi una mano sui dread e rendendosi finalmente conto delle perplessità dimostrate da quest’uomo, dal primario e dalla pazza della hall. In effetti vedersi arrivare davanti un ragazzo rasta con la faccia ancora semi addormentata e un’altro con un panino in mano e un berretto del Bayer Monaco che se la spacciano da poliziotti poteva essere un po’ assurdo, anche se i suddetti due avevano presentato i due tesserini della Polizia.
-Non è che lo ricordi proprio alla perfezione, ovviamente, siccome sono passati due anni e ne ho visitate moltissime di persone vittime di incidenti.- il dottor Olbrich rigirò tra le dita nodose e scure una matita – Comunque, posso dirvi che il ragazzo aveva il viso ricoperto di piercing. Glieli avevo dovuti togliere tutti, perché si erano conficcati nella carne, dentro il naso, nel labbro.
La mente di Tom volò immediatamente al suo piercing al lato della bocca, a cui oltretutto teneva moltissimo e non osava immaginare di vederselo impiantato come una pallottola nella bocca. Come un collegamento mentale, la sua testa volò a Bill. Alla pallina che aveva in bocca, a tutti gli orecchini, ai piercing sul sopracciglio. Alla loro combinazione eccitante.
Gustav trattenne un conato, perché lui odiava con tutto se stesso quegli aggeggi, e poi si arrischiò a chiedere:
-Per quanto era rimasto in convalescenza?
-Era in coma, e c’è stato per un bel po’, poi si è svegliato. Ci sono le date, qui in fondo. Comunque circa cinque mesi.- indicò loro le date sul foglio, per poi dire, rigirando di nuovo la matita – Non è che ve lo possa descrivere particolarmente bene, come ho detto, comunque, se potesse servire mi pare che avesse i capelli biondi. Ma un biondo strano, platino, abbastanza lunghi. Comunque erano mezzi bruciati.
-Biondo platino?- insisté Tom – Le parevano tinti?
-Non lo so, agente. Potevano come no.
-E il fisico? Alto, basso, magro, grasso- elencò Gustav, scrivendo veloce sul suo block.
-Era magro.- ricordò il medico, che sembrava faticare a mettere a fuoco – Sì, sì, era magrissimo. E alto.
Improvvisamente sembrò riuscire ad avere l’immagine in calce del loro misterioso tipo, gli occhi gli si illuminarono di colpo, riempiendo di speranze Gus e Tom che quasi si battevano il cinque per la gioia. Forse ce la stavano facendo una volta per tutte. Forse non tutto era perduto con la loro oscura indagine.
-Mi avete fatto venire in mente una cosa.- il medico giocherellò con un fermacarte a forma di elefante – Dopo le varie operazioni, nelle convalescenza, non potevano dargli un determinato tipo di medicinali, è inutile che vi dica il nome tanto non credo proprio che sappiate cosa sia.
-Simpatia portatelo via- grugnì Gustav, mentre Tom alzava gli occhi al cielo. L’occhiata di superiorità che l’uomo aveva loro lanciato aveva subito fatto capire come li considerasse degli inetti incapaci. Solo perché erano un po’ folkloristici la gente si permetteva di considerarli degli incompetenti.
-E perché?- chiese Tom.
-Perché assumeva pesanti dosi di Zolpidem. È un medicinale ipnotico/sedativo, che va preso solo in casi di insonnia particolarmente grave correlata con disturbi di ansia e depressione.- il medico li guardò in tralice.
-Tom, ma a me fanno paura quelli che si imbottiscono di ipnotici.- tremolò Gustav, lanciando un’occhiata preoccupata al rasta, che si limitò a fare una faccia interrogativa e continuare nell’interrogatorio.
-Capisco. Non sa altro che possa aiutarci?
-Non credo, anche perché altro non mi ricordo. Però posso dirvi che aveva un tatuaggio sul fianco, vicino all’inguine, come se fossero due triangoli sovrapposti.
Tom spalancò gli occhi. Triangoli sovrapposti sul fianco?! Immediatamente, cominciò a sudare copiosamente sotto la felpa, perché era lo stesso tatuaggio di Bill. Lo aveva visto, quella notte, mentre erano impegnati a far dell’altro, i due triangoli. Gli era piaciuto, oltretutto, accarezzarglieli. La pelle candida, un po’ fredda, disegnata, che gli scivolava sotto le mani. La risentì sotto i polpastrelli e un brivido di eccitazione gli percorse la spina dorsale. Si vide nella testa, come un film, lui seduto su un letto di un albergo sulla spiaggia di Malibù, le finestrone aperte su un basso poggiolo e due lunghe tende bianco trasparenti che svolazzavano nella fresca aria serale, con lo sciabordio delle onde a cullarlo, e Bill che usciva dalla vasca da bagno avvolto da una nuvola di vapore, e gli si avvicinava ancheggiando, e poi gli si sedeva sulle ginocchia, e un raggio di luna filtrava perpendicolarmente dalla finestra illuminando i loro visi catturati in un lungo e intenso bacio e …
-Tom, ci sei?!
Si voltò e vide Gustav che lo guardava spaventato, e il dottor Olbrich che lo fissava con sguardo di superiorità e schifo allo stesso tempo.
-Eh? Ah sì, ci sono, dicevamo del tatuaggio.
Gustav scosse la testa e poi si rivolse al dottore:
-Doc, si ricorda mica di qualcuno che veniva dal ricoverato? Che so, un familiare, un amico, insomma, della gente che si interessasse della sua salute?
L’uomo li guardò per bene entrambi, passando da uno all’altro con serietà.
-Diciamo che me la ricordo solo perché una più insistente e disperata di quella non l’avevo mai vista.
Tom lo guardò interessato, protendendosi un po’ verso di lui, gli occhi brillanti di curiosità mal celata.
-Me la sa descrivere? Come si comportava? Cosa diceva?
-Beh, posso dirle che era una ragazzina molto giovane. 20 anni, più o meno. Era bella, fine nei tratti anche se mi ricordo che si conciava in modi molto appariscenti. Dopo averla vista per praticamente cinque mesi tutti i santi giorni, tutto il giorno, avevo capito come si conciava. Truccata, forse troppo, magra, alta. Aveva i capelli neri, lunghi, ma li aveva sparati in aria, come se l’avessero attaccata alla corrente. A volte li aveva lisci.
-Una che non si dimentica facilmente, insomma.- commentò Tom.
-No. Piangeva sempre, china sul letto, non faceva che lamentarsi e straparlare. A volte veniva da me a piangere e pregarmi di salvarlo. Immagino fosse la fidanzata, visto che più di una volta mi diceva “La prego, lo salvi, ci dobbiamo sposare, mi aveva detto che ci saremmo dovuti sposare” e piangeva.
-Una lagna unica, a dirla brevemente.- criticò Gustav, meritandosi un calcio negli stinchi da parte di Tom.
-Non posso smentirla.- disse l’acidissimo dottore – Sì, ce l’ho chiara in mente, la fanciulla piagnucolosa. A volte diceva “E’ l’ultima persona che mi rimane, senza di lui come farò?”. Comunque, ora devo andare. Ho degli esami da fare.
Il medico si alzò, imitato dai due agenti, strinse loro le mani e si congedò, lasciandoli da soli nella stanza a guardarsi negli occhi come due scemi.
-T., ma tu ci hai capito qualcosa?- Gustav si diede una grattatina alla testa.
-Spero di sì, GusGus. Dai, gambe in spalla e torniamo in centrale con i dati. Chissà dov’è Georg e se è riuscito ad andare a quel benedetto indirizzo.
-Beh, non sarà come nei libri perché lo stadio è dall’altra parte della città.- asserì Gustav, uscendo da quel mortorio e comprando all’angolo un fragrante pacchetto take away di patatine fritte con tanto ketchup.
Tom sorrise fregandogli una patatina e ingoiandola. Aveva davvero fame, quella mattina non era nemmeno riuscito a fare la sua amata colazione con i suoi biscotti e il suo latte caldo con tanto miele.
Un breve squillo gli fece riesumare il cellulare dalle profonde tasche delle braghe. Il messaggino di Georg citava:
“Ci hai visto giusto, T. Perché il 28 della Franz Joseph non esiste e non è mai esistito”.

***
Ciao ragazze! Allora, come mi è stato richiesto, ho messo qualche accenno finto hot … contente ;) ? Il mistero si infittisce sempre di più, e spero che continui a piacervi sempre. Non mi dilungo mai nelle note, quindi chiudo qui ringraziandovi tutte un sacco e mandandovi un bacione!
Charlie.
P.S. le mie qualità mediche fanno schifo, il Zolpidem esiste ma non so se abbia della controindicazioni quindi non formalizzatevi troppo! Scusate se é impostato male ma pubblico dal cell :(

  
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