» 2. Shocking overdose of mental sticky notes
- Ah, lascia pure qua, da
qui in poi lo gestisco io! Finisci pure di scaricare il resto! -
Un rapido cenno d’assenso
con la testa, il cappellino dell’uniforme che si alzava brevemente e un braccio
che si sfregava sulla fronte imperlata di sudore e fatica, e senza fiatare
oltre Haizaki tornò verso il furgoncino parcheggiato
fuori dall’edificio.
Alla fine, non era stato
difficile tanto trovare un lavoro part-time, quanto più convincere i suoi (e
soprattutto quel rompicoglioni di suo fratello) che l’unico motivo per cui voleva lavorare era per pagarsi da solo i
propri sfizi, e non per chissà quale oscuro, nascosto motivo.
- Shougo,
ti ci metti pure coi debiti di droga? - gli aveva
subito domandato quell’idiota, arcigno. Lui aveva messo parecchio a ribattere a
quell’affermazione che non stava né in cielo né in terra, sbattendo le palpebre
più volte e tirandosi pure un pizzicotto per essere sicuro di non starsi
sognando tutto quanto.
- … ma
sei cretino? - era stata la sua risposta, con il boccone della cena ancora
mezzo masticato in bocca. Pure del drogato, ora, doveva sentirsi dare? - Non…
ma ti pare che mi drogo?! -
- Allora sono debiti di
gioco, scommetto. -
Non poteva credere che solo
perché era l’unico a lavorare, allora pensava di potersi permettere di sparare
certe stronzate con così tanta noncuranza. La tentazione di far partire la
rissa pure per quella serata fu decisamente forte, ma
il tono cinguettante della madre aveva subito smorzato i toni severi di quella
discussione nascente.
- Oh, andiamo! Il mio
piccolo Shougo vuole solo dimostrarci che sa essere
un ometto con la testa sulla spalle! - non solo doveva
fare la sua scenata euforica da istrionica un po’ bipolare in buona, ma aveva
anche sentito il bisogno di tentare di strappargli un pezzo di
guancia tra pollice e indice. Ma le mani in tasca, per esempio, no?! - Ah, ma se è perché sei preoccupato per la mamma, allora
ti dico subito di stare tranquillo. Posso comunque
continuare a lavorare, anche in questi mesi. -
- Ma’, non me ne frega
niente se puoi continuare a lavorare in questi mesi. Ho solo voglia di non
dipendere da Shinya ed evitare che mi rinfacci qualsiasi cosa. -
Pausa.
- Ma tu non dovresti, tipo,
stare a riposo? Non è pericoloso o roba del genere?
Il… bambino non sente? -
- Oh, no, se il dottore mi
conferma che è tutto a posto posso continuare tranquillamente, con le giuste
precauzioni! - aveva riso, divertita - E poi ho già fatto così sia Shinya che con te, e credo proprio che nessuno di voi due abbia mai
sentito nulla! -
Anche solo ripensare a
quelle parole lo fece trasalire di un vago senso di disgusto, mentre tornava
agli scatoloni del furgoncino e uno a uno li scaricava dentro allo studio. Fortunatamente, quel tira e molla era durato
davvero poco, e tra una cosa e un’altra era stato ben libero di accettare una
proposta di lavoro come assistente garzone di una compagnia che si occupava di
affittare attrezzature e scenografie — in parole povere, insomma, il suo
ruolo non era tanto diverso da quello di un mulo da soma. Con una stazza come
la sua l’avevano preso subito e, anche se la paga non
era troppo alta in proporzione alle ossa che si spaccava, arrivava alla fine
troppo stanco per pensare anche solo lontanamente a lamentare coi suoi datori
per uno stipendio così misero.
Sospirò, constatando
che finalmente il furgoncino era vuoto, e aspettando un cenno del suo superiore
prima di mettersi a sedere e rilassare i muscoli affaticati.
Alla fine, sebbene in
quella routine ci si fosse infilato solo da poco più di una settimana, stava
iniziando sempre di più a sentirla come propria. Era una
cazzo di tortura ogni volta, e trattenersi dal rispondere male ai propri
superiori ogni tanto era davvero difficile, viste le sue normali e discutibili
abitudini — ma il richiamo dei soldi era più forte; e inoltre, stava
imparando a tollerare quei ritmi, soprattutto considerando che i clienti erano
sempre quelli, i compiti tutti uguali e i momenti di pausa, con la giusta
organizzazione, neanche così sporadici. Tipo in quel momento, in cui quella
staticità improvvisa gli divenne quasi… noiosa.
- Oi, capo - vociò dando
sfoggio a tutta la poca cortesia che aveva imparato ad avere nei suoi
confronti, stringendosi nelle spalle - Ma dobbiamo rimanere qui per tutto il
tempo? -
Il suddetto capo, altresì
conosciuto al resto del mondo come il signor Ishihara,
era un tipo burbero e di poche parole. Era lampante come il sole estivo che
fare il corriere non era mai stata la sua vocazione, e
Haizaki ammise che più volte, seduto accanto a lui
nei tragitti che li scarrozzavano a una parte all’altra della città, si era
domandato come fosse arrivato a quel punto. Chissà se anche lui aveva
cominciato con un lavoretto part-time, per poi ritrovarsi a salire di grado
sempre di più fino ad essere troppo vecchio per
licenziarsi e cambiare carriera? Ogni volta che ci pensava, si faceva
immancabilmente l’appunto mentale di non lasciarsi prendere la mano, e di non
permettere che la propria vita finisse chiusa in quel furgone alla larga da
tutte le proprie (inesistenti) aspirazioni.
L’uomo si prese tutto il
tempo di cui aveva bisogno per accendersi la sua sigaretta, appoggiato contro
la portiera chiusa del veicolo. Ecco, erano quelli i momenti in cui Shougo avrebbe semplicemente voluto
andare lì e dargli una sonora scrollata, perché i suoi tempi rallentati erano
al di fuori di ogni umana sopportazione.
Calmo, doveva rimanere calmo.
- … sì, il tempo di tornare
alla sede che tanto dovremmo ritornare indietro comunque. Perché? -
Alla
buon’ora. Si strinse nelle spalle, mettendosi le mani
nelle tasche dell’uniforme.
- Se li aiuto a montare e
smontare cambia qualcosa? -
- In termini di paga, no. -
Ecco, doveva aspettarselo. Aggrottò un po’ le sopracciglia, quasi infastidito
che il suo miracoloso piano per portarsi in tasca qualcosa in più fosse andato
così facilmente in mille pezzi
- … però prima iniziano, prima finiscono, prima ce ne torniamo tutti a
casa. -
Eh, meglio di nulla. Non
aggiunse altro mentre si infilava di nuovo nella
porticina sul retro, tornando negli studi ancora in fermento per montare tutto
il prima possibile. “Che se ne fanno di tutta questa roba?”, gli venne
spontaneo chiedersi, mentre facendo leva più sul suo istinto mai sopito al
flirt che sul suo altruismo si approcciava a una ragazza in difficoltà. E dire
che quello era uno studio di fotografia, nemmeno il set di un film o roba del
genere! Era così per tutti i professionisti del settore, o erano solo questi
qua ad essere così inutilmente puntigliosi e pieni di
sé?
- Non che me ne intenda più
di tanto, ma com’è che vi servono tutte queste cose? - non resistette a
domandare, serrando le palpebre sugli occhi velati di un certo dubbio e
permeando la voce di quella che quasi sembrava un tono di provocazione.
L’interlocutrice parve non farci caso, forse fuorviata dall’incapacità di
vedere per bene la sua espressione – e, prendendo atto di questo
vantaggio, Shougo si sistemò per bene la visiera del
cappello cosicché almeno il suo viso non lasciasse trasparire la sua incapacità
di sostenere adeguatamente determinate situazioni sociali.
- Ahah,
posso capire lo stupore! Tu sei quello nuovo, no? - ridacchiò, e il ragazzo si imbronciò un poco per quell’appellativo così riduttivo - È che siamo affiliati anche a
un’agenzia di modeling, e certe volte ci vengono
richiesti set un po’ più elaborati per evitare di far spostare i modelli e le
modelle in altre città o persino in altre regioni. Così è molto più comodo! -
- Ah.
- grugnì semplicemente, fissandola segretamente con sguardo disinteressato. Non
che le avesse mai chiesto i dettagli: fosse stato per lui, avrebbe potuto ben
fermarsi alla spiegazione base senza aggiungere tutti quei fronzoli. A malapena
sapeva cosa fosse una dannata agenzia di modeling,
tra l’altro!
E soprattutto, perché
quella continuava a parlare?
- Non per vantarci, ma i
nostri obiettivi hanno inquadrato alcuni tra i volti più in voga al momento.
Non so se ti intendi di moda, uh… - dette una palese occhiata al cartellino appeso
alla sua divisa, sforzandosi di essere discreta ma fallendo miseramente - … Haisaki-kun, ma sono sicura che se dovessi vederli
li riconosceresti anche tu! -
- È Haizaki,
e non-… -
- Ah! Eccolo lì, uno dei
nostri protetti! Lo conosci per forza, ne sono convinta! -
Fece roteare gli occhi
verso il cielo, Shougo, di nuovo costringendosi
mentalmente a contare fino a dieci prima di rispondere male a quella tipa tanto
carina ma pure tanto fastidiosamente petulante. Alla
fine quanto gli sarebbe costato voltarsi, constatare
che non aveva idea di chi cazzo avesse di fronte, mentire e poi tornare a
lavorare? Si voltò con svogliatezza, adocchiando la figura in piedi vicino alla
porta intenta a cinguettare chissà quale ruffianeria.
- Buonasera, buonasera!
Grazie a tutti per il duro lavoro! - aveva infatti
appena esclamato, poggiando per terra una cassa di chissà cosa: non era quella,
adesso, a catturare la sua attenzione, mentre con le palpebre sgranate sugli
occhi sconvolti metteva a fuoco quell’apparizione così improvvisa da sembrare
irreale. Andiamo, non poteva davvero trattarsi di lui, no? Certo, questo era il
suo campo, ma quante probabilità c’erano di incontrarlo proprio lì?!
- Ryouta…
? - aveva gracchiato senza pensaci, la voce che gli
moriva drammaticamente in gola. Noncurante del suo disagio, la ragazza di prima
gli pose amichevole una mano sulla spalla.
- Oh, allora anche tu sai
chi è! - esclamò, perforandogli i timpani nel tentativo di sussurrargli, ma in
realtà dimenticandosi di abbassare il tono di voce e trapanandogli direttamente
nelle orecchie - Non solo è proprio bello, ma è anche tanto gentile! A volte
arriva in anticipo solo per portare qualcosa di fresco a tutto lo staff! -
- Grandioso. - sibilò, la
voglia di falsare un qualsiasi altro tipo di emozione che non fosse il vuoto
assoluto che morì nel modo più tragico e immediato, spengendosi come un
fiammifero davanti ad uno tsunami. Si sistemò nervosamente la visiera del
cappellino davanti agli occhi, nascondendoli così tanto che a malapena riuscì a
vedere il proprio tragitto.
- Devo usare la toilette. -
borbottò, avviandosi di nuovo verso l’uscita sul retro. La ragazza sbatté,
perplessa, le palpebre.
- … ma
è dall’altra parte… -
- Ne
troverò un’altra strada facendo, con permesso… -
Si precipitò così
celermente via da quella scomoda situazione che persino per l’occhio più
distratto sarebbe stato difficile non trovarlo sospetto. In quel momento, però,
gliene importava poco e nulla: si chiuse frettolosamente la porta alle spalle,
incontrando l’espressione incredibilmente ravvivata da un’ombra di sorpresa del
suo superiore.
- … già fatto? -
- Capo, ho bisogno di una
sigaretta. - boccheggiò, con la schiena ancora premuta su quell’uscita come per
impedire l’uscita di chissà quale abominio. L’uomo
sollevò un sopracciglio, evidentemente non troppo sicuro su cosa soffermarsi
— se sulla richiesta, o sulla sua espressione stravolta.
- Ti mancano un po’ d’anni
per arrivare all’età legale per fumare, ragazzino. - borbottò, ma nel mentre gli stava comunque passando pacchetto e accendino
- … me ne devi due, poi. -
- Eh?!
- alzò risentito lo sguardo verso di lui mentre parava la fiammella dal vento,
aggrottando le sopracciglia - Perché due?! -
- Regola personale, o
quello o mi intasco la paga di oggi. - fece spallucce,
riprendendosi ciò che era suo - E vado a cercare un bar che ho sete, tieni
d’occhio il furgone. -
Se ne stette in silenzio, Haizaki, costretto a guardarlo allontanarsi mentre si
scostava dalla porta e il fumo aspirato si disperdeva dalle labbra socchiuse in
una scia informe di nuvole grigiastre. Se non altro, visto che Ishihara non aveva fatto domande sul suo affanno, il
brutto, improvviso e fulmineo incontro di poco fa stava iniziando ad occupare un peso sempre meno significante nella sua
testa. Era lui, d’altronde, lo stupido che non aveva messo in conto una cosa
del genere; sapeva che l’idiota faceva il modello, e le probabilità che frequentasse proprio quel medesimo studio c’erano eccome
(per quanto infime).
Sarebbe stato meglio se
avesse seguito la filosofia del suo capo, rimanendosene là fuori ad aspettare
finché non sarebbe arrivato il momento di staccare, e scrollando la cenere dal
cilindretto di tabacco tenuto tra le dita si fece
l’appunto mentale di non essere mai più altruista (se di altruismo si poteva
parlare, visto che voleva solo tornare a casa un po’ prima) in vita sua. Tirò
indietro la testa per appoggiarla al muro dietro di sé, godendosi quell’attimo
di calma provvidenzialmente ritrovata, e quasi non si accorse dello
scricchiolare leggero della porta che proprio accanto a sé si aprì con un
cigolio.
- Ah! Trovato! -
Naturalmente,
non poteva fare in tempo a formulare un pensiero di calma che il destino si
armava di tutto punto per dargli contro. Sobbalzò, quella voce ahimè
tragicamente familiare che lo fece trasalire al punto che per poco la sigaretta
non gli finì in gola, mentre la visiera del
cappellino veniva di nuovo tirata in basso con una veemenza tale che per poco
non gli rimase in mano.
E quello l’aveva
raggiunto lì, esattamente, per quale motivo?! Lo guardò di sottecchi, solo per vedere un Kise Ryouta sorridente, allegro e
del tutto ignaro. Davvero un cappellino poteva fare così tanta differenza?
Nuovo appunto mentale nel bloc-notes immaginario che stava iniziando a riempire
le sue pagine un po’ troppo rapidamente di cose
sorprendentemente futili: mai più sottovalutare il potere del paio di occhiali
che separavano Superman da Clark Kent, se questi erano i risultati con un
accessorio d’abbigliamento tanto insignificante.
- Uh… ce
l’hai con me? - bofonchiò, tentando di falsificare il più possibile la
propria voce. Ryouta rise, divertito, chiudendo la
porta e mettendoglisi davanti.
- Mi scusi, è che prima è
scappato in modo così palese che non ho potuto fare a meno di notarla, eheh! - ah, pure del “lei”, ora, gli stava dando? Trattenne
a fatica un sogghigno, consapevole che se solo l’altro avesse saputo chi aveva
davanti avrebbe preferito inghiottire un rospo piuttosto che riservargli una
simile cortesia - È uno nuovo, vero? Tenga. -
E, insieme a queste parole,
gli porse anche una delle bottiglie di succo che aveva portato prima. Cosa stava cercando di fare, di ingraziarselo? Sollevò
entrambe le mani e le pose, aperte, in avanti, tentando di troncare sul nascere
quel tentativo di conversazione.
- Sono nel pieno del mio
orario di lavoro, non posso accettare. - si rese conto un po’ troppo tardi di
quanto poco fosse convincente quell’argomentazione, vista la sigaretta ancora
serrata tra le sue labbra. Persino quello svampito si accorse di quanto fosse
debole, ridacchiandogli dritto in faccia.
- Andiamo, non faccia storie!
Non c’è nessuno a controllare, e se dovessero esserci problemi
mi prendo tutta la responsabilità! - ma quanto
insisteva? E soprattutto, che motivo c’era di essere così tanto melodrammatico?
Con le palpebre a mezz’asta, sospirò di un’impercettibile seccatura.
- Seriamente, non importa.
-
In quel momento, Shougo si domandò se Ryouta
avesse mai ricevuto un rifiuto in vita sua, perché sebbene il suo viso fosse
ancora sorridente, negli occhi non poteva non vedere un’ombra opaca oscurare la
loro insopportabile e gioiosa brillantezza. Che si stesse davvero offendendo
perché non aveva intenzione di accettare la sua gentilezza imposta?
… o c’era qualche altra
ragione, dietro? Per un motivo che non riuscì ad
individuare, Haizaki si sentì improvvisamente sotto pressione,
una tesa gocciolina di sudore che gli scivolò dalla tempia lungo tutto il
contorno del viso.
“Sta’
a vedere che ‘sto svampito si sta rendendo conto della persona con cui sta
parlando?” fu il primo pensiero che gli fulminò in capo, mentre il suo intero
linguaggio corporeo comunicava disagio. Incrociò le braccia sul petto, incurvò
la schiena, fece sprofondare la testa tra le spalle… come altro poteva fargli
capire che non aveva voglia di parlare?
In quella posizione fece
fatica a vedere i movimenti di Kise, che nel
frattempo si era messo, sospirando, le mani sui fianchi.
- Andiamo, signor fattorino, non c’è bisogno di essere così timidi! -
si sentì rimproverare, e dovette stringere le dita sulle proprie maniche per
non farlo attorno al suo collo – Sappia però che con lei non mi arrendo!
Signor… -
Cercò di sottrarsi alla sua
presa quando lo vide allungare la mano alla sua uniforme, nel tentativo di
tirare su il cartellino attaccato al suo petto e di leggerne il nome; ma quando
reagì fu troppo tardi. Non poteva
scappare da nessuna parte, in quel vicolo, complici le spalle incollate al muro
e le troppo strette e troppo poche vie di fuga. Volse lo sguardo altrove quando
intravide Kise sobbalzare all’indietro, liberandosi
da quella mezza cecità e tirando su il cappello ormai diventato inutile.
- Allora avevo ragione… sei
davvero tu, Shougo. –
Salve!
Finalmente posto anche questo secondo capitolo nella mia personale versione
dell’odissea di Haizaki Shougo,
colui che decise di guadagnarsi il pane per puro e
semplice spirito di contraddizione.
Proprio perché sto
cercando di non stressarmi coi ritmi, scrivere questa
storia si sta rivelando infinitamente divertente (così come pure cercare i
titoli per i singoli capitoli, cosa che mi riesce estremamente più facile dei
disperati tentativi di trovare quello per la ff in
generale).
Non so, penso che
molti possano essere in disaccordo con la mia interpretazione di Haizaki, ma non riesco a vederlo troppo diverso da come lo
raffiguro – anche se credo che l’avvertimento OOC magari ce lo caccerò comunque. O forse no? Ho sempre difficoltà a
mettere gli avvertimenti, in questo caso perché non credo di star stravolgendo nessuno senza motivo
specifico. Insomma, vedrò.
In ogni caso! Devo
dire di aver ricevuto più attenzione di quel che immaginavo, e vi ringrazio qui
dal profondo per le letture e i seguiti. Al solito, se avete qualche commento da
fare, accetto più che volentieri qualsiasi opinione!
Alla prossima!