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Autore: SweetHell    12/09/2015    1 recensioni
Cinque shot, una per ognuno dei GazettE.
Ognuno di loro alle prese con la propria perdita, con il proprio dolore. Per capire se vale la pena di sforzarsi per riprendere in mano la propria vita...anche quando sembra molto più facile lasciarsi andare.
Cinque brevi racconti angst in cui spero di essere riuscita a mettere qualcosa che vale la pena trasmettere.
Il tutto sulle note dei Three Days Grace.
I - Ruki _ Voice
II - Aoi _ Sound
III - Reita _ View
IV - Uruha _ Touch
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aoi, Kai, Reita, Ruki, Uruha
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Reita _ View
 
Raggiungo la mia stanza tenendomi raso al muro, per poi avanzare a tentoni alla ricerca del letto, le mani stese in avanti per evitare eventuali ostacoli. Ma nonostante questo, rischio lo stesso di schiantarmi sul pavimento per colpa di qualcosa che ho urtato con la scarpa. Riacquisto l’equilibrio appena prima di cadere e mi rimetto dritto, tentando di calmarmi. Non mi piace essere colto di sorpresa, soprattutto ora che devo imparare a fare i conti con il mio nuovo problema.
Il cuore mi batte forte in petto, squassato da emozioni violente che non era abituato a provare, non prima di quel maledetto incendio.
È rabbia, forse? O paura?
Ma di cosa dovrei aver paura, poi? Sono solo e sono a casa mia.
Il pensiero dovrebbe rassicurarmi, ma invece non fa che accrescere la rabbia. Sono davvero patetico. Adesso basta così poco per farmi perdere il controllo.
Mi sento vulnerabile. Nudo.
Razionalmente so che nella stanza non c’è nessuno oltre a me, eppure non riesco a scrollarmi di dosso la fastidiosa sensazione che qualcuno mi stia guardando. Giudicando. Che qualcuno stia ridendo di me, della mia goffaggine.
Mi chino a raccogliere l’oggetto che per un momento ha rischiato di farmi cadere, tastandone i contorni e la consistenza.
Odio essere così.
Odio essere messo in difficoltà persino da quella che, al tatto, sembra essere una normalissima scarpa.
Non sono ancora bravo a muovermi, anche se è già passata una settimana da quando mi hanno fatto lasciare l’ospedale. Nonostante io conosca a memoria la mia casa, vado ancora a sbattere contro gli spigoli. Inciampo. Rompo le cose.
A volte non sono neanche sicuro della stanza in cui mi trovo. Mi sento come quelle volte in cui ci si sveglia di soprassalto nel bel mezzo della notte, completamente al buio, senza avere idea di dove ci si trovi, senza sapere neanche qual è la destra e la sinistra.
È come vivere in un incubo perenne.
Ormai per me non esiste più luce. Sono confinato a vita in questo limbo…un limbo fatto di tenebre e suoni amplificati.
Il rumore è forse la cosa più terribile di tutte, perché mi coglie sempre alla sprovvista. Mi spaventa. Se mi avessero detto che la mia passione più grande sarebbe diventata anche la mia paura di grande, mi sarei messo a ridere, solo poche settimane fa. Invece ora…ora persino sentir sbattere la porta del condominio affianco a mio mi fa saltare sulla sedia. Mi giro verso la fonte del rumore, ricordandomi solo troppo tardi che è inutile: qualunque cosa succeda attorno a me, ormai devo immaginarla.
Perché attorno a me c’è solo buio.
L’oscurità mi ha intrappolato, mi sento ricoperto delle sue vischiose tenebre. Mi si è appiccicata addosso e non c’è più nulla da fare. Non posso liberarmene…il fuoco ha mangiato tutta la luce che avevo.
L’ha divorata tutta, nel giro di pochi minuti, e avrebbe preso anche tutto il resto se i miei compagni non avessero avuto la prontezza di estinguere la fiamma.
Anche se era ormai troppo tardi per salvare i miei occhi.
E la mia faccia con loro.
Getto via la scarpa, irritato, anche se so che poi ritrovarla sarà un casino.
Mi toccherà mettermi a quattro zampe e tastare tutto il pavimento, strisciando come un cane, ma in questo momento non mi importa. L’irritazione e la rabbia, così intensa da serrarmi la gola, rendendomi difficoltoso persino respirare, coprono tutto il resto. Perché a me? Perché non a qualcun altro?
Ma non è il senso di ingiustizia che provo a fomentare la mia ira, no.
È qualcosa di peggio.
È l’impotenza.
La consapevolezza che posso dibattermi e lamentarmi come una farfalla nella tela appiccicosa del ragno, ma non per questo potrò mai cambiare le cose. Non potrò più andare in moto. Non potrò fare più tante di quelle cose che solo a pensarci mi viene da dare di stomaco. Ma ingoio la rabbia, ignorando l’amarognolo sapore della bile che mi ha invaso la bocca, e continuo a camminare finchè non vado letteralmente a sbattere contro il letto.
Sono stanco, ma so che non riuscirò a dormire.
Forse non ci riuscirò mai più.
E comunque, sono stufo di svegliarmi in un lago di sudore ogni volta che il mio corpo si concede qualche minuto di riposo. Se ne andranno mai quei maledetti incubi?
Il solo pensarci mi da ai brividi.
La sola cosa che distingue il sogno dalla veglia, ormai, è che mentre dormo posso ancora vedere. Ricordo perfettamente la mia ultima notte. Lo spaventoso spettacolo della villetta completamente invasa dalle fiamme, tanto alte da uscire dalle finestre e innalzarsi fino al cielo buio.
Mi siedo sul bordo del letto, con le mani che tremano.
Devo smetterla di pensare a queste cose.
Me lo ha detto anche lo psicologo…rimuginarci renderà solo l’adattamento più difficile.
Al pensiero, non posso trattenermi dal serrare la mascella così forte da sentire i denti scricchiolare, mentre una nuova scarica di rabbia mi percorre il corpo, facendomi rabbrividire. Adattamento, dice lui…io non voglio adattarmi.
Non voglio dimenticare quel che ero e nemmeno reinventare me stesso.
Stavo bene prima, grazie.
Dopo aver lavorato una vita per costruire me stesso nel modo in cui lo volevo…ora dovrei ricominciare da capo? Perché?
Ah già. Perché la maschera ignifuga mi si è sciolta in faccia dopo che sono stato seppellito sotto un ammasso di detriti divorati dalle fiamme.
Porto le mani al mio viso, sentendo sotto i polpastrelli il tessuto morbido della fascetta che mi copre il naso. Sciolgo con delicatezza il nodo dietro la nuca, lasciando che il pezzo di stoffa mi scivoli via dal mio volto, strappandomi un sospiro di sollievo. Per quanto sia morbido, è comunque abbastanza doloroso tenerlo su per troppo tempo…le ustioni di secondo grado sono quasi guarite, ma la mia pelle rimane dolorante e tesa, quasi fosse sul punto di spezzarsi ogni volta che faccio un sorriso. Cosa che ultimamente mi succede piuttosto di rado, comunque.
Se c’è una cosa di cui sono felice, è di non potermi vedere allo specchio.
Le mie dita sfiorano quell’ammasso di tessuto cicatriziale che una volta era il mio viso. La prima volta che l’ho fatto, in ospedale, sono quasi svenuto.
Non resta più niente dei miei lineamenti.
Di tutto ciò che ero.
Ho completamente cambiato fisionomia…ma in peggio, molto peggio.
Il danno peggiore lo ha subito il mio naso, di cui ora rimane giusto quel poco che mi permette di respirare. Per il resto, è come se qualcuno mi avesse fissato con la colla una maschera di halloween sul viso.
Ritraggo le mani da me stesso.
Sento freddo e sono scosso da brividi.
Oggi sono uscito per la prima volta dopo settimane…ho voluto provare a passeggiare nel cortile condominiale, giusto per dimostrare a me stesso che potevo farcela.
Beh, mi sbagliavo.
E di grosso anche.
Quelle urla…e i pianti di quei due bambini…non penso di poterle dimenticare, mai.
Nonostante la fascetta che mi copriva quel che resta del mio naso, li ho spaventati. Con amarezza, mi chiedo se il mio ricordo non tornerà a tormentarli nel sonno.
Mi raggomitolo sul letto, stringendomi le ginocchia al petto, ad occhi chiusi…anche se questo è solo per abitudine, visto che per me fa ben poca differenza ormai, aprirli o chiuderli. Il tessuto cicatriziale ha ricoperto la cornea, proprio come ha fatto con il resto della mia faccia.
Ma forse è stato meglio così.
Mi ha risparmiato la visione del nuovo, inutile me stesso.
A volte mi sembra di impazzire. Sono successe troppe cose in troppo poco tempo…a volte spero ancora che sia solo un brutto sogno. Che da un momento all’altro tutto possa tornare a essere normale, che basti solo svegliarsi.
Mi sfugge un singhiozzo strozzato. Cazzo, vorrei davvero poter piangere in questo momento. E lo farei, se il fuoco non avesse consumato anche le mie lacrime, giusto per privarrmi anche quell’ultimo, amaro sfogo.
Sento i palmi umidi, coperto di una sostanza appiccicosa e calda. La lecco, rendendomi solo allora conto di cosa sia. Deve essere sangue…neanche mi ero accorto di aver stretto in quel modo i pugni. Devo essermi lacerato con le unghie…tagliarle è una delle tante cose che non ho ancora imparato a fare senza il supporto della vista.
E d’improvviso mi sento così…stanco.
Del buio.
Del mio viso sciolto.
Di tutto.
Sono solo stanco di tener duro.
Mi passo una mano sul viso – la pelle della mia nuova faccia è bollente e dura al tatto, mi da la disgustosa sensazione di star accarezzando del cuoio – e cerco di non lasciarmi inghiottire dal vuoto che sento formarsi nel mio petto. Mi sfugge il significato stessa della mia vita. Mi sento senza scopo, perso nell’infinità delle tenebre di cui ora è composto il mio mondo. La mia sola realtà.
Come posso orientarmici? Come potrei mai abituarmici?
E per cosa poi? Come posso ricominciare? Come posso anche solo pensare a un’alternativa, a diventare un’altra persona? Non ho neanche abbastanza forze da rimanere arrabbiato. Per la maggior parte del tempo, semplicemente, non sento più niente. Non penso più a niente.
Sto lentamente diventando niente.
Il mio cuore è un grande buco nero che assorbe tutto, mi anestetizza, avvolgendomi ni un velo d’apatia quando la mia rabbia diventa così forte che sento che potrei scoppiare. Ma se esplodo di nuovo, non riuscirei a rimettere insieme i pezzi…e ho paura di cosa potrebbe succedere.
Ho già perso il controllo di fin troppe cose, questo mese.  
Stendo la mano destra alla ricerca della confezione di sonniferi che so trovarsi sopra di esso. Dopo un po’ di tentativi la afferro e la stappo, facendomi scivolare qualche pillola nel palmo della mano. Queste sono l’unica cosa che riesce a farmi dormire qualche ora. Senza, probabilmente morirei per mancanza di sonno.
Morire…questa parola ha una strana dolcezza.
La sussurro a fior di labbra, lasciando che la mia voce riecheggi nella stanza vuota.
Possibile che sia questa la risposta?
Possibile che l’unico modo per svegliarmi da quell’incubo? Dopotutto cos’è la morte se non un eterno sonno senza sogni? O almeno, è quello che spero io. Non reggerei un’eternità intrappolato nei miei incubi di fuoco.
Stordito da queste riflessioni, la mano mi scivola, versando troppi sonniferi nel mio palmo proteso.
Per alcuni attimi che mi sembrano eterni, resto fermo, cercando di farmi almeno un’idea del numero delle pillole che mi sono scivolate. Quindici? Dieci? Forse di più.
Sento il cuore battermi fino ad assordarmi, ma è strano, perché allo stesso tempo non provo niente. Non paura. Né agitazione.
Non sento nulla.
Potrei mettere giù tutto e passare il resto della mia vita chiuso in questa camera, a compiangermi. Oppure posso scappare. Forse è da codardi. Anzi, lo è di sicuro.
Ma piuttosto che languire nell’autocommiserazione aspettando una fine che è inevitabile per tutti…beh…in realtà il mio è solo un anticipo.
La batterei sul tempo.
La mia mano non trema neanche quando schiudo le labbra e mi lascio scivolare in gola tutte le pillole che tengo in mano.
E dopo averlo fatto, mi sento meglio.
Anche il mio cuore ha rallentato, anche se so che è troppo presto perché sia colpa dei sonniferi.
Mi lascio ricadere all’indietro, finendo prono sul letto.
Una pace che non sentivo da tempo mi pervade, scacciando l’apatia e la rabbia che si sono contese il mio cuore nell’ultimo mese. E ancora, so che potrei ficcarmi due dita in gola e vomitare tutte le pasticche, per prolungare la mia miserevole esistenza in questo mondo ormai buio. Ma non lo faccio.
Dopotutto, ho chiuso gli occhi sul mondo già un mese fa.
Magari, ora potrò riaprirli altrove, rifletto, mentre sento i miei muscoli rilassarsi progressivamente. Ciò che resta delle mie labbra si apre in un piccolo sorriso.
Dopotutto, sto per scoprirlo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice Rompiscatole
Buonasera pulzelle belle (e pulzelli/? Se ci siete)
Alla fine sono riuscita a finire anche quella di Reita…mah. Ad essere sincera, mi aspettavo di meglio. Non mi piace, credo. Ma so che, per quante volte io possa riscriverla, non riuscirò a tirare fuori niente di meglio, purtroppo. Quindi chiedo perdono (anche se una piccola parte di me vuole sperare che in queste quattro pagine ci si possa trovare qualcosa di salvabile).
A voi il giudizio.
Spero che mi arrivino più pareri di quanti non ne siano arrivati nell’ultimo capitolo di Captivity LOL. Ma amen, così è andata. Non mi scoraggerò certo per così poco(?).
Non voglio annoiarvi, perciò dirò solo un’ultima cosa. La prossima shot sarà di Uruha. Ho già quasi tutto in testa e spero mi venga molto ma molto meglio di questa…cosa. Perciò abbiate pazienza, posso fare di meglio. Credo.
Ok, ora me ne vado sul serio.
Un bacione a tutti voi che avete letto.
 
Fra <3

 
  
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