Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: theflairforanopera    13/09/2015    0 recensioni
Ho pensato una storia per te. Vuoi ascoltarla? Certo che vuoi. Ti sono sempre piaciute le storie. Chissà, magari ti mette voglia di uscire.
"C'era una volta un signorotto basso. Era sempre stato piccolo e per questo veniva preso in giro. Oltre alla sua statura, era oggetto di scherno anche per i suoi baffi lunghi e i pochi capelli. Un giorno decise di comprare un cappello. Un altro giorno decise di comprare un rasoio e la crema da barba. E un altro giorno ancora decise di camminare a passo lento durante l'orario di punta. Col giornale sotto braccio. Quello fu lo stesso giorno in cui decise di non gridare più per farsi sentire dai giganti.
Le suole delle loro scarpe non facevano più male.
Quel giorno le strade erano piene di gente senza fiori."
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Giaci qui immobile. Come ieri. Come il giorno prima ancora. Come la prima volta che ti ho osservato dormire. La tua stanza ha sempre le pareti azzurre. Sulla parete di fronte a te c’è sempre il tuo primo disegno attaccato al muro. L’armadio ha le porte aperte, così puoi scegliere senza alzarti cosa indossare ogni giorno. So che sei un pigrone. So che ora che è Natale vuoi approfittarne per stare a letto tutto il giorno. So che col freddo che fa hai voglia di un tè caldo, che vuoi che te lo porti sul tuo vassoi etto preferito. Anche stamattina ti ho preparato il tè che ti piace tanto. E’ sul comodino. Quando ne hai voglia, bevilo. So che non ne hai voglia. Mi sembri così triste in questo periodo. Non hai voglia di far nulla. Lo capisco, figlio mio, anche io ho qualche periodo in cui son sempre stanca. Passerà. Passerà, bambino? Passerà. Ne sono certa. I tuoi occhi azzurri brilleranno di nuovo. Uscirai di nuovo a giocare. Mi lascerai di nuovo sola a casa. Ti aspetterò ancora qui, a preparare il pollo che ti piace tanto. Ceneremo insieme come poco tempo fa. Tutti insieme a tavola: io, tu, Freddie Hastings, Sir Maximilian Van Hasseloff e Jackie.     Eravamo felici, vero? Ricordo ancora quando mi presentasti la piccola Jackie. Avevi due anni e mezzo. Non puoi ricordare. Corresti da me e mi annunciasti che Jackie sarebbe rimasta a cena. Me la descrivesti, mi dicesti che aveva i capelli verdi e gli occhi rossi, che aveva le gambe al posto delle braccia e le braccia al posto delle gambe. Mi dicesti che era più grande, che era già una donna!, che avrebbe voluto indossare la minigonna come le ragazze che vedeva per strada, ma che non poteva. Ti ricordi, vero?
Quando mi presentasti Maximilian e il suo nome impronunciabile avevi cinque anni. Era l’anno in cui io ti tagliai i capelli. Mi dicesti che a Maximilian i tuoi capelli non piacevano, che lui era di classe e sapeva cosa andava di moda.
La volta di Freddie arrivò a sette anni. Questo lo ricordi, vero? Ricordi che lavammo insieme il pavimento del salotto perché Freddie aveva le scarpe sporche di fango e aveva lasciato le impronte ovunque? Sì che lo ricordi.
Ritornerà il tempo in cui guarderemo insieme i Flintstones e la Pantera Rosa su ABC, in cui andrai a scuola e ti guarderò andar via dalla finestra. Mi troverai alla finestra al tuo ritorno e correrò alla porta per accoglierti come vuoi tu, figlio mio.
Non mangi da tre giorni. Il tuo faccino sta sfiorendo. Cos’è che ti blocca, bambino? Di cosa hai paura? Di nulla. Nulla ti spaventa. Dico bene? Tu sei un guerriero. L’hai sempre urlato col mantello indosso.
Allora cos’è che ti fa puzzare così, piccolo mio? Cos’è che ti ha ridotto il viso in questo modo? Cos’è? Sono forse io, bambino? E’ forse tuo padre e la sua follia?
E’ forse il freddo di New York?
Oggi c’è il sole fuori. Perché non esci a giocare? Perché non mi lasci dietro la finestra ad aspettarti? Ti preparo il tuo completo preferito. Va’. Esci. Respira. Vivi, bambino. Ti piego la camicia. La lascio qui, su questa sedia. E’ la tua camicia preferita. La vedi? Certo che la vedi.
Credo sia ora di andar a preparare il pranzo. Tuo padre mormora dalla poltrona. Aspettami qui, non muoverti. Torno tra poco. Ti prometto che torno. Ti porto una storia. Ti piacciono le storie.

Sono tornata. Ho pensato una storia per te. Vuoi ascoltarla? Certo che vuoi. Ti sono sempre piaciute le storie. Chissà, magari ti mette voglia di uscire.

C'era una volta un signorotto basso. Era sempre stato piccolo e per questo veniva preso in giro. Oltre alla sua statura, era oggetto di scherno anche per i suoi baffi lunghi e i pochi capelli. Un giorno decise di comprare un cappello. Un altro giorno decise di comprare un rasoio e la crema da barba. E un altro giorno ancora decise di camminare a passo lento durante l'orario di punta. Col giornale sotto braccio. Quello fu lo stesso giorno in cui decise di non gridare più per farsi sentire dai giganti.
Le suole delle loro scarpe non facevano più male.
Quel giorno le strade erano piene di gente senza fiori.

 E’ una storia triste bambino, lo so. Me ne rendo conto. Non penso ad altro che alla tristezza. Se prima piangevo quando non tornavi in tempo per guardare i cartoni animati con me, ora piango perché vorrei che stessi fuori a giocare tutto il tempo.
La tua camicia era ancora piegata così come l’ho lasciata. Mi ci sono seduta sopra. Sembrerà sgualcita quando uscirò, sembrerà che tu l’abbia indossata. 
Avrei voluto andare ai magazzini e scegliere insieme il regalo di Natale stamattina. Ti sarebbe piaciuto, vero? Lo so che ti sarebbe piaciuto. So già che vorresti un  disco dei Rolling Stones, perché sono loro la band preferita dei tuoi amici più grandi, perché potresti vantarti con loro. Tu non lo sai, ma mi si spezza il cuore a pensare che tu possa desiderare qualcosa che vogliono gli altri, che tu possa ascoltare la musica che piace agli altri, disegnare sui fogli bianchi le case dei tuoi compagni di classe. Vorrei esser la tua casa. Lo sono sempre stata. Dove sei, bambino mio? Non uccidermi più di così.

E’ quasi mattina. Tuo padre non si è accorto che mi sono alzata. Ho una sorpresa per te. Chiudi gli occhi. Non sbirciare. A volte benedico la sordità di tuo padre.
Ho portato il giradischi. Sì, non preoccuparti. Non fa niente se ho faticato a portarlo in braccio dalla sala del tè fino alla tua camera. E’ Natale, bambino mio. Te lo meriti. Ecco. Mentre ieri pomeriggio dormivi sono uscita a far compere. Ecco, è per te. Fa’ attenzione. E’ Aftermath, l’album dei Rolling Stones. E’ arrivato qui negli Stati Uniti a inizio luglio. Lo so, mi sono informata. Non credo sia musica che faccia per te, piccolo mio. Ma hai aspettato tanto di averlo. Quindi eccolo. Non mi sembri molto entusiasta. Lo vedi bene? Ti piace davvero questa musica? Spero di sì.
Sono fredde le mie mani? Tu sei freddissimo, bambino. Ti rimbocco le coperte. Ascolta la tua musica. Ti lascio qui la colazione e i vestiti freschi. Io torno a dormire.
Chiudo la porta. Ti lascio al tuo mondo.

Sono tornata. Ogni giorno che passa la situazione peggiora. Perdonami se ne parlo con te, figlio mio,  ma a volte non so se riuscirò a portare a lungo questa croce sulle mie spalle. La guerra l’ha cambiato. Non è più lo stesso uomo di prima. Tuo padre era l’uomo più buono del mondo, lo sai? Da quando quel maledetto ordigno è esploso, lui ha perso la testa. Non riesce ad accettare il fatto che non possa più far tutte le cose che faceva prima, mancandogli ora una gamba. Non riesce ad accettare di dover solo guardare i programmi alla televisione e non poter ascoltare cosa dicono. A volte mi confessa che non riesce più a ricordare il suono della mia voce. E’ il suo modo per dirmi che devo lasciarlo solo.
Gli hanno consegnato una medaglia all’onore due anni fa, nel ’64. Ti ricordi?
Per qualche mese non sono riuscita ad accettare la follia di tuo padre. Leggevo nei tuoi occhi lo spavento. Ora per me è la normalità. Quando gli porto la cena nel suo studio mi dice di chiudere la porta e lasciarlo con i suoi compagni.
Esco. Chiudo la porta. Vi ci accosto un orecchio. Lo ascolto ridere e parlare col generale, fermarsi qualche secondo per ascoltare cosa dicono gli amici – e lui non può ascoltarli. Un tiro di sigaretta. Versa cinque bicchieri di scotch e se li scola da solo. A mezzanotte entro nel suo studio e lo trovo appisolato sulla sua poltrona. Lo accompagno a letto reggendolo per quel che posso.
A volte rivedo i tuoi amici nei suoi compagni della sera.
Oggi che è Natale ha voluto che invitassi i suoi amici a pranzo. Nella grande sala si è alzato e ha benedetto la tavola. Ha detto che spera che ogni Natale possa esser come questo.
Non si è accorto che tu non c’eri. Io sì. Ti cercavo ovunque.
Sarà stata una giornata stancante per te oggi. Spero che la musica abbia riempito il silenzio. Sogni d’oro, piccolo mio.

Sono stanca. Sono stanca dei tuoi silenzi. Perché non mi rispondi? Che t’ho fatto? Dimmelo. Ho bisogno di saperlo. Sai che ho bisogno di saperlo. Lo sai. Allora perché non mi rispondi? Perché? Io ho il diritto di conoscerti. Sono la tua mamma. Sono la tua casa.
Perché continui a non degnarmi d’una risposta?
Mi siedo accanto a te. Ti accarezzo il viso. Sei freddo e magro magro. Ho una tazza di tè bollente tra le mani. Vuoi berlo? Ti accarezzo ancora. Ti tocco il pancino. Ti faccio il solletico. Perché non ridi? Non ti fa più divertire? Mi piace sentirti vivere.
Cosa succede? Non vivi più? Non sento più il rimbombare della tua vita. Dove l’hai cacciata? Dove l’hai nascosta? Stringo le mani attorno alla tazza. Sono spaventata. Forse la stringo troppo. Si è rotta. Mi sono scottata le mani. Ho sporcato le coperte. C’è un cattivo odore. I cocci mi sono rimasti tra le mani. Ho qualche ferita tra le dita. Nessun calore e nessun taglio faranno più male della tua freddezza.
Scopro le coperte. Con le mani insanguinate stringo la tua testa al mio cuore. Tiro la coperta fin sopra le nostre teste. Siamo al caldo. Quanto puzzi, figlio mio. Siamo al sicuro.

Il segno della croce.
L’incubo sta finendo.
Non ti sembra un sogno, bambino?
Chiudi gli occhi.
Li chiudo anch’io.
Saliamo, vedi?
Saliamo sempre più in alto.
La nostra casa è piccina da quassù.
Siamo arrivati.
Siamo insieme.
Non sei felice?
Da quassù si vede la nostra strada.
E’ piena di gente piccola piccola senza fiori.
Nessuno saprà mai dove siamo, bambino.
Te lo prometto.
Siamo nostri, ora.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: theflairforanopera