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Autore: itshaze    14/09/2015    0 recensioni
Mi guardò negli occhi, semplicemente, e fu allora che la sentii. L’affinità elettiva. Ed in un secondo eravamo come due particelle a vibrare nell’aria. Come due composti che si separavano da ciò a cui erano legati in precedenza. Non importa da quanto: ci separavamo e basta. E io la sentivo legata a me, come mai nessuno lo era stato prima d’ora. E guardandola negli occhi mi chiedevo se lo sentisse anche lei, il peso del destino. Perché ora mi è rimasto solo il peso della disparità.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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6.10 P.M

In questo momento lei è sparita, probabilmente andata a fare rifornimento di bicchieri o quegli ombrellini strani che immerge in ogni cocktail che il bar-man prepara. I clienti li afferrano quasi sempre con entrambe le mani, iniziando a spezzarli, mandando in rovina la cura con cui lei li ha aperti e posizionati perfettamente in equilibrio tra la fetta di limone ed il cubetto di ghiaccio. Non mi abituerò mai a questa Chicago, sa. Non per gli ombrellini sia chiaro, in generale dico. Almeno penso di non farlo presto, ne sono molto confuso.

Con precisione non so nemmeno il vero motivo per cui sono qui. So solo che sono tante le ragioni, e contrastanti e la mia mentre è come ingombrata da questa vera e propria matassa. Ed il problema del non esser capiti, o meglio, del non volersi far capire, è proprio questo: nessuno la scioglie per te. Si figuri se ne trovo il coraggio io.

Ma riagganciamoci al filo della storia. I miei sedici anni toccarono l’apice della contentezza, per poi precipitare vertiginosamente in basso. Toccai con mano quella sensazione di solitudine. L’incapacità di riuscire a legarmi ad altri. Ero divenuto così maledettamente selettivo ed incapace nel relazionarmi che chiunque mi pareva fin troppo diverso da me. E la cosa si protrasse anche durante i diciassette. Ed anche i diciotto. Durante quei due anni ebbi modo di relazionarmi con ragazze, ma solo in maniera occasionale. Mai nulla di serio capace di accalappiarmi l’anima, capisce? Le frequentavo per brevi periodi lasciandole poi in maniera fredda, rapida, senza nemmeno provare rimpianti. Tutto perché io credevo, e credo tutt’ora, nella irreale scintilla. Nella pelle che scotta e lo sguardo vacillante. Nel sangue che accelera lievemente il proprio corso nelle vene. Non attendevo un destino, quello no. Ero ancora fermamente convinto che non esistessero baggianate del genere, se non quella tremenda legge che insiste con l’evidenziare quanto l’agire umano debba vertere sempre in direzione dell’oblio.

Allora alle volte facevo un gioco, però. Lo chiamavo il gioco del romanziere.

Ha presente quando vede passare per la strada centinaia di persone, ed in mezzo a tutte quelle persone, i suoi occhi si puntano su una? Non c’è un motivo preciso per cui sceglie quella persona, capita e basta.

Ecco, io amavo posare le iridi su una persona, una a caso, ed immaginare istanti di vita privata con questa. Spesso e volentieri non portava a nulla. Coi ragazzi vedevo il più delle volte sorsi di birra e qualche tiro al biliardo. Con le ragazze cose più intime, carezze, sussurri. Nulla mai mi aveva accalappiato il cuore per più di due secondi. Però almeno mi dava un passatempo, e come un romanziere faceva nascere in me storie di vite parallele di mondi paralleli. Probabilmente una via di fuga dalla mia di vita.

Ero all’università della Pennsylvania, quando vidi Ally per la prima volta. O almeno credetti di vederla lì, per la prima volta. Più che altro sostengo di averla notata. Vede quanto è meraviglioso e fine il linguaggio umano? Vedere e notare, apparentemente corrispondenti. Se apre il vocabolario forse li trova uno tra i sinonimi dell’altro. Tuttavia, se solo si interpreta il vero significato di ciascuna delle due parole si capisce quanto giacciano su vie differenti.

Perché io Ally l’ho vista, il suo viso era familiare all’epoca, nei miei ricordi. Era come se qualcosa nel suo sguardo, si riagganciasse a me e mi proiettasse indietro nel tempo. Ricordavo quel modo di camminare, quel modo di sbuffare o anche semplicemente quel modo di respirare.

Eppure la notai così tanto tempo dopo. Notai la delicatezza delle linee del suo viso, che parevano arrotondarsi nei punti giusti. Vidi con attenzione la dolcezza del suo naso, morbido e per niente sproporzionato ed assolutamente in asse con una bocca rosea quasi sempre rilassata in sorrisi.

E poi, notai i suoi occhi, ed i suoi occhi notarono i miei. Lo percepii fin sotto le unghie. Percepii quasi la luce emessa dalle sue iridi, come un faro, scaldarmi e scendermi lungo la gote per poi risalire verso il mio di naso, e le mie di linee del viso. Mi parve durare una vita. Ebbene saranno stati forse tre secondi.

In quei tre secondi lasciai la mia mente da romanziere fantasticare.

Me e lei in una macchina a cantare canzoni a squarciagola.

Un tavolo da studio e dei biscotti sparpagliati un po’ ovunque, con lei in ginocchio sulla sedia ed io a sorridere tra un sorso di caffè e l’altro.

Il cinema.

Foto.

Un aereo che decolla chissà verso dove.

E baci, baci a fior di pelle, baci ovunque.

Rabbrividii scuotendo il capo. Non poteva essere. Tornai a fissarla in ciò che era: una semplice ragazza che sfogliava il suo mattone di Ingegneria Chimica, seduta ben composta con una barretta dietetica fra le dita. Lo sguardo ritornò nuovamente sul mio di mattone, Letteratura del XVI secolo. Avrei dovuto studiare. Ma tra una pagina e l’altra, anche quando lei nel silenzio della biblioteca scivolò via andandosene, io continuai a pensare a lei.

Non avevo una patente.

Non bevevo caffè.

Non andavo spesso al cinema.

E le foto?

E l’aereo?

E quei baci.

Mi domandai allora riguardo al destino. Mi chiesi se esistesse davvero quel qualcosa in grado di collegare due persone in maniera permanente, capace di farle anche separare o congiungerle dopo una vita. Non importa cosa, non importa come. Probabile che sia allora che capii, modificandone la definizione.

Il destino non è qualcosa, e tutti si sono sbagliati commettendo errori su errori. Il destino in amore è qualcuno. Ed ha un nome, un odore, un peso, un pallore. E cazzo, non mi prenda per esaurito la prego di cuore: ma io ero convinto di aver appena avuto uno scambio di sguardi col mio destino.

Illogico, da romanzo. Ma succede. Ho sentito tutto ciò che potrebbe fare da segno premonitore. La morsa allo stomaco, gli occhi vacillanti. Io l’ho notata per caso e lei ha notato me. Ma se non fosse stato vero e proprio caso? Come avrei mai potuto saperlo?

Parliamo di Pascal, signorina. Lei lo conosce vero? Dubito non lo conosca. Ebbene Pascal fu scienziato, fisico, devoto uomo di fede e filosofo. Un mix letale in un’unica mente che ha sfornato il dipinto dell’uomo più verosimigliante mai esistito.

Lo caccio fuori spesso, il buon vecchio Blaise. Sarà che ho sfogliato ‘I Pensieri’ fino a rendere le pagine ingiallite e piene di orecchie a destra e a manca. Ad ogni modo, Pascal parlava di Spirito di Geometria e Spirito di Finezza. Un romantico come me, non poteva non esser l’incarnazione stessa dell’Esprit de Finesse, ovvero l’abilità di comprendere le cose senza passare per il vero e proprio processo conoscitivo. Sentirle e basta, come se tutto fosse un enorme sesto senso che faceva parte della mia esistenza stessa, ben radicato in me.

Ed allo stesso modo, Pascal era colui che invitava sempre a scegliere la via del Cuore. Perché -e qui citerò testualmente- : il Cuore ha le sue ragioni che la Ragione non comprende.

Quel giorno forse a dare l’impulso fu il mio cuore, ed il mio cuore guardò Ally senza saperne nemmeno il nome e semplicemente, con Finezza: comprese.

Come già detto, non sapevo nulla di lei, sebbene fu intensa la scossa che provocò in me, la sensazione di formicolio allo stomaco si attenuò subito e quella sera, rincasando e ritrovandomi con una serie di vecchi appunti e scartoffie da impilare, me ne dimenticai già.

Il destino però è un gran bastardo, non lascia spazio a ripensamenti o scelte. Semplicemente ti si para davanti, bello e appariscente senza consentirti nemmeno distrazioni.

Ritrovai Ally solo quattro giorni dopo, casualmente. In un locale poco gettonato. Ero in compagnia di un mio amico Universitario: Max. Il suo dito scorreva su un integrale triplo, roba per me dell’altro mondo. Ogni tanto addentava una nocciolina, mentre io sorseggiavo la birra d’incoraggiamento per Defoe.

“Come fai a capire quella roba?” domandai deglutendo un sorso. Osservai quel quaderno su cui erano posate le sue mani, tutto pieno di simboli strani e parentesi allungate dalle forme improbabili.

“Come fai tu a studiare quella roba” il naso appuntito di Max si arricciò, ed al suo dire una ragazza seduta al tavolo vicino -che lo stava tenendo d’occhio da parecchio- voltò nuovamente il viso nella sua direzione. D’altronde Max era gradevole da guardare, non posso negarlo. Attraeva una caterva di ragazze per poi rifilargli un bel secco ‘Scusa, sono fidanzato’. Perché si lo era, ed anche da due anni e con una ragazza adorabile dall’unica pecca: con la residenza dall’altro capo del continente. Ogni due mesi però trascorrevano un weekend assieme, che razza di coraggio.

Sì, forse questo le potrà sembrare una cosa che va contro l’ideologia di un romantico... ma invece no, sa? Il platonico non fa per me. Non sono per la sofferenza che procura l’assenza. Io mi nutro dei sorrisi fugaci, dei baci rubati, del contatto, delle dita che si sfiorano inavvertitamente, dello stomaco che si stringe ad ogni sospiro. La lontananza non m’appartiene e quando c’è, mi uccide quindi tento di starne alla larga.

Ad ogni modo Max parve non notare proprio la mora ammiccante, troppo preso com’era dall’Analisi Matematica che pareva strapazzargli il cervello un po’ come un bimbo che si rigira fra le mani il cubo di rubik in attesa di un’illuminazione.

E probabilmente fu allora, mentre fissavo la sua espressione applicata, che la notai, poco sopra la spalla di Max.

Sedeva al bancone con una grazia inaudita. O meglio, ai miei occhi parve elegante nella maniera in cui io ritengo una cosa sia elegante. Ogni suo muscolo era rilassato, mentre sorseggiava un cocktail, fissando l’interlocutrice -probabilmente una sua amica dai capelli rossicci- con uno sguardo concentrato, nel modo in cui io penso vorrei esser osservato. Di tanto in tanto distendeva le labbra in un ghigno ed io, istintivamente, scostavo lo sguardo, come se non meritassi una cosa del genere: come se stessi assistendo ad un qualcosa a cui non avrei potuto prender parte.

“Cosa fissi?”

Tornai fulmineo a fissare Max “Niente”

“Seh, come no” ed ecco che si voltò, con il suo modo di fare rapido, gli occhi già ridotti in fessure e pronti a mettere a fuoco il locale.

“Niente ti ho detto”

Ma mi conosceva bene, o meglio, abbastanza, per cui tornò a fissarmi con un sopracciglio alzato

“Ally o Camila?”

Non capii subito, d’altronde non conoscevo il suo nome. Mi limitai a dischiudere la bocca secca, fingendo di non aver afferrato per niente il concetto.

“La rossa o la bionda, coglione!”

Deglutii “la conosci..?”

“Camila sì, se ti può interessare”

Di tutta risposta feci un segno di dissenso col capo.

“Quanto ad Ally, si può rimediare”

E le giuro, signorina, tutt’ora non so se ringraziarlo o meno per cosa fece dopo.






spero piaccia, come sempre: una recensione mi riempirebbe il cuoricino ♥
  
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