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Autore: miss dark    09/02/2009    6 recensioni
Capita spesso che famiglie troppo povere per mantenere i propri figli ne affidino qualcuno a stranieri pieni di promesse, nella speranza che il bambino possa avere un futuro migliore.
Questa è la storia di una bambina tredicenne incastrata nel pericoloso circolo della prostituzione.
Questa storia si è classificata al quarto posto partecipando al contest "L'Ombra e...l'Angelo" indetto da Eylis.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My Guardian Angel

My Guardian Angel

 

 

Credits: La vicenda raccontata in questa Fic è puramente inventata e mi scuso anticipatamente nel caso coincidesse con altre storie o con fatti realmente accaduti.

Note dell'Autore: Ho tentato di affrontare una tematica davvero difficile e che mi sta molto a cuore. Spero di non essermi rivelata troppo superficiale (anche se ne ho il forte timore) e di non aver alleggerito un problema così grave.

 

 

________________________________________________

 

 

Quest’angelo argenteo

risplende meraviglioso

riflesso nelle pozzanghere del porto

e negli oblò delle piccole barche.

 

Quest’angelo infantile

osserva il mio viso con occhi curiosi

e mi sussurra una filastrocca

invitandomi a ballare sul ciottolato ammuffito

 

Quest’angelo gentile

per salvarmi dagli occhi maligni degli uomini

mi porge la mano

rassicurandomi con lo sguardo

 

Quest’angelo inaspettato

mi fa una linguaccia

e mi strappa una risata leggera

sfiorandomi il viso.

 

Quest’angelo clandestino

si spaccia per profugo

quando sono io quella a scappare.

 

Quest’angelo fedele

mi osserva da lontano

mentre io cammino veloce

trascinata da una mano callosa.

 

E corre, corre verso di me attraverso l’acqua putrida del molo. Corre e spezza il silenzio strappandosi parole mute dalla lingua immobile. Cerca di afferrarmi tendendo le sue braccia senza muoversi e, pur avendo paura, continua a sorridere e a mostrare uno sguardo sereno.

Rimane immutato e intanto si dispera.

Vigila sulle ombre che vorticosamente si alternano ai miei fianchi finché la sua immagine non si spezza sotto lo scrosciare della pioggia. Si allontana sempre di più dalla mia mente, mentre i miei occhi roteano nella ricerca delle sue ali e la mia pelle freme per sentire il suo calore.

Ma ormai piove e le gocce lo distruggono.

 

Perché? Perché piove? Perché ora, che c’eri tu?

E ditemi. Ditemi perché deve scomparire?

Parlo con voi, nuvole! Perché dovete demolire il mio Angelo, ora che ci eravamo trovati?

 

Il cielo preme greve sulla mia paura. E la guarda, sadico, tagliarmi il respiro, renderlo affannoso e comprimermi il petto.

Dio, quanto brucia l’aria che mi entra nei polmoni! Sembra strozzarmi dall’interno.

L’omone ha arrestato il suo passo svelto e mi ha spinto nel fondo di un piccolo camion, urlando qualcosa di incomprensibile. Vorrei chiedergli di ripetere un po’ più lentamente la frase appena pronunciata, ma l’ossigeno arranca affaticato sulle pareti della mia gola.

 

E dove sei ora, Angelo mio?

Ora che sono stipata in questo furgoncino, assieme ad un’altra decina di ragazze?

Dov’eri mentre ci parlavano in una lingua strana, ridendo dietro i lunghi baffoni neri che hanno sotto il naso?

Dove sei adesso che viaggiamo da ore ed io ho tanto freddo?

Dove sei andato?

 

Tiro su col naso e trattengo a stento un singhiozzo. I giganti ascoltano ad altissimo volume le canzoni trasmesse dalla radio e, se ne conoscono le parole, cantano il ritornello e ridono sguaiatamente.

Quando sento le loro voci roche, stringo forte al petto il mio pupazzo e gli sussurro di non avere paura, perché io lo proteggerò. E, improvvisamente, vengo assalita da un’ovvia domanda: chi proteggerà me?

 

Ti vedo riflesso negli occhi spaventati delle mie compagne, ma sei sempre più piccolo, più scolorito. Ti distinguo a fatica fra le loro lacrime opache e quasi invisibili.

Ma ci sei? Sei ancora al nostro fianco?

Perché, se ancora ci sei tu a proteggerci con le tue grandi ali piumate, allora c’è speranza.

Sai dove ci stanno portando? O, perlomeno, hai capito quello che ci hanno detto prima di partire?

 

Siamo tutte sedute su questo pavimento metallico e c’è chi ha anche trovato la forza per sdraiarsi. Io non ci riesco. Sono immobile, appoggiata alle pareti di questo piccolo veicolo pieno di spifferi.

Non ci hanno dato nemmeno una coperta e noi indossiamo vestiti troppo leggeri per ripararci dal vento che entra dai finestrini aperti. La pioggia, inoltre, ci ha colte di sorpresa, prima, ed ha inumidito i nostri vestiti e i nostri capelli.

Le magliette bagnate delle altre ragazze mettono in evidenza le loro forme prosperose e il freddo le fa vistosamente tremare.

 

Ho tanta paura, sai?

Degli uomini alla guida e delle giovani che vedo davanti a me. Loro sono tutte più grandi di me. Avranno almeno sedici anni, mentre io ne ho appena compiuti tredici.

La settimana scorsa abbiamo festeggiato il mio compleanno! I miei genitori mi hanno portata sulla collina, insieme ai miei fratelli e mi hanno regalato un cappellino azzurro.

Peccato l’abbia lasciato a casa. Avrei potuto indossarlo per fare buona impressione.

Chissà chi ci starà aspettando all’arrivo.

 

w . w

 

Sono le tre del mattino e non si è fermato ancora nessuno.

Stasera fa più freddo del solito ed io non resisto più ad aspettare qui, sul bordo della strada, bagnata dai continui schizzi delle macchine che, guidate da persone incuranti della mia sorte, sfrecciano sulle pozzanghere sull’asfalto.

Mentre osservo distratta le luci dei lampioni, in attesa di qualche uomo in cerca di piacere, il mio sguardo si perde nell’acqua scura delle pozze fangose.

 

Sai, Angelo mio, ogni tanto, se aguzzo lo sguardo verso uno specchio d’acqua, riesco a vederti in lontananza e sei ancora in grado di farmi sorridere, anche se superficialmente.

Ormai non mi chiedo più dove sei finito, perché capisco perfettamente che tu non abbia voluto vivere questa vita di merda in cui sono intrappolata. Eppure, la sera, quando fa più freddo ed io mi sento più sola, mi ritrovo a cercare il tuo tocco e a desiderare di possedere un paio d’ali come le tue, per poter volare dove il respiro è libero.

Ma no, tranquillo, non sono arrabbiata con te. Non avrebbe alcun senso.

 

Una macchina sportiva sembra rallentare alla mia vista e, abbassato il finestrino, l’uomo alla guida mi grida ubriaco

- Quanto vuoi per un’ora?

Sento nello stomaco la stessa paura di quando, nel furgoncino, gli uomini (che ho scoperto essere italiani) si mettevano a cantare a squarciagola.

Riesco a sussurrare a malapena il prezzo della mia schiavitù, dopo aver osservato i suoi occhi vacui ed arrossati dall’alcool.

Mi chiedo se non sarebbe stato meglio rimanere nella baraccopoli.

Se avessi avuto la possibilità di scelta, se non fossero stati i miei genitori e decidere per me, quale opzione avrei ritenuto migliore?

L’uomo sbuffa spazientito, mentre io indugio sul da farsi. Lo osservo dal marciapiede e lui ricambia il mio sguardo con sprezzo e disgusto.

Mi aggiusto il vestito cortissimo e raggiungo la sua macchina traballando sui tacchi vertiginosi.

 

Ora scusami, Angelo, ma devo andare. Ti ritroverò, al prossimo temporale, o avrai deciso di scomparire del tutto? Spero che tu sia ancora lì, sul fondo della pozzanghera, ad aspettarmi paziente.

 

Ma nemmeno quell’angelo argenteo poteva sopravvivere a lungo nell’oscurità dell’ombra in cui lo avevo trascinato. Così una sera, mentre mi osservavo allo specchio, gli chiesi di scappare, finché avesse potuto.

Gli urlai di fuggire lontano e di non soccombere con me.

Perché le favole non esistono; non ci sono angeli custodi che ti aiutano dall’alto ed è inutile illudersi che sia possibile volare oltre quest’incubo.

 

Quell’angelo speciale

mi aspettò dietro le nuvole nere della notte,

ma un giorno non ce la fece più

e scomparve dalla mia mente.

 

 

  
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