SOS
Erano ormai passate tre ore da quando era scappato.
Di colpo si ritrovò in casa sua cinque uomini dall’aspetto poco
amichevole, che lo guardavano di traverso.
Entrarono senza neanche bussare, spalancando la porta come se
fossero loro i padroni di casa. Calvin, senza nascondere troppo la sua
irritazione, inarcò un sopracciglio e chiese agli energumeni: “Salve. Posso
sapere chi siete?”
Questo era sempre stato un pessimo difetto della sua regione: la
gente non chiudeva mai le porte d’ingresso a chiave. Probabilmente perché
spesso giungevano Allenatori stanchi ed affamati, bisognosi di riposo e cure
dopo i loro lunghi e perigliosi viaggi.
Forse, se la sua porta fosse stata ben chiusa, avrebbe avuto
qualche possibilità di fuga in più... Magari anche un po’ più di vantaggio.
Invece no, quei cinque armadi erano in piedi nel suo salone, con
gli stivali in pelle nera completamente impastati dalla neve, resa grigiastra
dalle suole sporche che lentamente stava colando sul suo tappeto preferito.
“Siamo l’allegra combriccola dei postini!” gli gridò di rimando
uno dei tizi, in modo da scatenare una sonora risata tra il gruppo.
Il capo, o meglio, quello che sembrava il capo, però rimase
impassibile. I suoi duri lineamenti non si erano nemmeno leggermente corrugati
per la battuta del compare, anzi, sembrava non l’avesse neppure sentita.
“Non vorrei essere scortese, ma devo ribadire la domanda. Chi
siete? Questa resta pur sempre casa mia, e se siete qui per divertirvi a mie
spese sono costretto ad intimarvi di uscire immediatamente.” disse
altezzosamente Calvin, il quale, nonostante volesse mantenersi cordiale con gli
uomini, ostentò ugualmente un tono di voce minaccioso.
Per la prima volta vide l’uomo davanti a lui sorridere. Calvin non
aveva proprio capito nulla di quella situazione.
Il capo fece un passo avanti e rispose al ragazzo con un semplice
ma chiaro: “Prego, mi segua.”
Fu allora che capì. I suoi occhi guizzarono rapidamente sulla
giacca della persona che si ergeva dinnanzi a lui.
Una G dorata splendeva in alto a sinistra, dove si trova il cuore.
In una frazione di secondo Calvin si alzò, gettando a terra la
sedia. Più rapido che mai sferrò un calcio sul ginocchio dell’uomo e saltò giù
dalla finestra, coprendosi il viso con il braccio.
Non aveva neanche fatto in tempo a prendere la cinta dove teneva
le Pokéball contenenti la sua squadra al completo.
Adesso stava correndo, ansimando come un cane, nel bel mezzo di
un’enorme distesa di neve, che si estendeva per tutto l’orizzonte che i suoi
occhi erano in grado di percepire.
Perché volevano proprio lui? Per quale motivo volevano portarlo
via?
Calvin si poneva tutte queste domande, che poi vennero sostituite
da un’altra, d’importanza ancora più elevata. Un pensiero che gli si era
insinuato nel cervello, e martellava prepotentemente.
Cosa gli avrebbero fatto se l’avessero preso?
No, non doveva neanche pensare ad una risposta, sarebbe fuggito,
lontano da Nevepoli, avrebbe attraversato il lungo percorso che separava la
città da Evopoli, non gli interessava quanto ci avrebbe messo. Aveva bisogno di
una centrale di polizia, al più presto.
Nevepoli ne era sprovvista, in quanto era la città in tutta Sinnoh
con il più basso tasso di criminalità, praticamente pari allo 0%. Le uniche
forze dell’ordine nei dintorni erano due pompieri, privi di lavoro da sei anni
buoni. Non poteva sicuramente contare su di loro.
Continuava a correre, li sentiva dietro di lui, i suoi
inseguitori. Gli doleva il petto per aver percorso una distanza enorme di
corsa, ed il fatto che ormai fosse gennaio inoltrato non lo aiutava
sicuramente.
Sentiva l’aria gelida fendergli il volto, quasi tagliandolo. Aveva
le gote paonazze per il freddo e non sentiva quasi più le braccia.
Doveva trovare un nascondiglio il più in fretta possibile, un
luogo dove si sarebbe potuto riscaldare e riposare un po’.
Il sapore ferroso del suo sangue stava invadendo gola e bocca, il
limite delle sue forze si stava facendo paurosamente vicino, così come gli
uomini dietro di lui.
Una piccola, calda ed umida lacrima scorse sulla guancia per poi
cadere, congelata, sul terreno.
Non aveva più speranze, ma forse... Forse un luogo sicuro c’era.
Sì, giusto. Spalancò gli occhi per l’illuminazione che gli era
appena venuta.
Il
Lago Arguzia! pensò un attimo prima di fiondarsi
verso destra.
Inciampò un paio di volte ma riuscì a rialzarsi quasi subito, poi
passo in mezzo ad una zona boschiva molto fitta, sperando che quegli energumeni
avrebbero perso le sue tracce.
Purtroppo quando corri sulla neve e non c’è né una bufera né una
tempesta, le tracce rimangono. E anche a lungo. Per questo motivo in una
situazione del genere un’idea geniale può tramutarsi in una semplice e pura
perdita di tempo.
Alle sue spalle sentì urlare: “Avanti, Houndoom!” seguito poi dal
tipico rumore di una Pokéball che si apre.
A quel punto Calvin non aveva neanche il tempo di girarsi, doveva
solo pensare a scappare a gambe levate. Raggiunto il Lago Arguzia si sarebbe
certamente salvato, in quel posto aveva nascosto la sua squadra di emergenza,
altri Pokémon leggermente più deboli di quelli che utilizzava in genere, ma pur
sempre forti.
Scalò a mani nude una parete di roccia leggermente scoscesa che
separava
Mancavano pochi metri ormai, riusciva già a scorgere la superficie
increspata del lago, e con un’analisi più attenta con lo sguardo notò il suo
Dewgong nuotare allegramente.
Così... Pochi... Metri...
Cadde faccia a terra. Un dolore lancinante gli attraversava la
gamba. Sentiva una presenza all’interno del suo polpaccio, insistente e tenace.
Si girò per quanto poteva e vide un grosso cane dalle lunghe corna color bianco
latte che affondava sempre più denti affilati come rasoi nella sua gamba.
L’uomo di prima si accostò a lui e gli disse, beffardo: “Bel
tentativo. Ora però è arrivato il momento di dormire.”
“C... Chi sei...” riuscì a balbettare Calvin, intontito dal
dolore, dalla copiosa perdita di sangue e dal freddo che lo stava lentamente
abbracciando.
“Io? Puoi chiamarmi John. John Smith.” rispose, prima di colpirlo
con un violento calcio sul volto.
Trascinarono il corpo esanime del ragazzo lontano da quel luogo,
fieri del loro lavoro. Nonostante fosse saltato giù dalla finestra, sfondandola
rumorosamente, la neve circostante ovattò tutti i suoni, in modo da passare
tutto inosservato.
Ma come ho detto precedentemente le tracce lasciate sulla neve non
se ne vanno così facilmente. E se solo i cinque rapitori avessero dato uno
sguardo più attento nel punto dove Calvin era caduto... Avrebbero notato tre
punti, tre linee e altri tre punti, seguiti da una G.
. . . - - - . .
. G
SOS
TEAM GALASSIA