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Autore: Stella cadente    14/09/2015    7 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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XIX.
Ricatto
 
Claudie
 
 
 
Mi recai nella Sala delle Riunioni con il verbale stretto con foga tra le mani: cosa credeva di fare Virgile? Perché compromettere le procedure? Nessuno sapeva dell’esistenza di Nina, nessuno.
Nessuno a parte Olympe.
Ma dovevo omettere questo dettaglio, altrimenti sarei andata in rovina.
Roland, per mia fortuna, era un folle; nessuno si era mai fidato di lui. Le sue testimonianze potevano anche non essere ritenute attendibili. Lo sapevano tutti, in città, che era un ubriacone.
«La penso come voi, Claudie» Inés mi si era avvicinata, e ora mi guardava con quei suoi occhi azzurri e intelligenti «non credo che quella ragazza meriti di essere condannata al rogo.»
«Non è quello» dissi, portandomi una mano alla fronte e massaggiandola distrattamente. «È che non ritengo attendibili le testimonianze di Roland» aggiunsi, dando voce ai miei pensieri «semplicemente perché egli stesso non è attendibile. Con ogni probabilità era appena tornato dalla taverna quando ha visto questa presunta sirena» sputai, con disprezzo.
Lei mi fissava e assentiva, pensierosa.
Mentivo, ma sapevo per certo che nessuno avrebbe mai sospettato di me. E ad ogni modo, di Olympe mi sarei occupata io stessa.
«Non abbiamo le prove, capisci?» continuai. «Per un processo per Stregoneria servono prove. E noi non ne abbiamo, in proposito. Nessuno di noi ha mai visto la sirena, nessuno di noi ha le prove che la signorina de Chateaupers sia una strega. E poi era al mio servizio da un mese, di certo me ne sarei accorta se così fosse stato» conclusi, con un tono che non ammetteva repliche.
«Qualcosa non va?»
Virgile si era inserito nella discussione, scavandomi con quegli occhi verdi.
«Non condivido la vostra opinione, Virgile» dissi, decisa. «Affatto. Non abbiamo abbastanza prove per incriminare la ragazza e additarla come strega.»
Lui alzò le sopracciglia.
«Il racconto di Roland non vi è bastato?»
«Oh, per l’amor di Dio!» sbottai, roteando gli occhi. «Sappiamo tutti che Roland è un gaglioffo e che le sue parole sono altamente fuorvianti. Era ubriaco, ci giurerei.»
Virgile sembrò ammutolirsi, poi un bagliore attraversò i suoi occhi chiari.
«Certo. Ma vedete, Claudie, anche i suoi soldati hanno confermato ciò che diceva. Credete che anche loro siano stati ubriachi?»
Mi conficcai le unghie nei palmi delle mani per la frustrazione, facendomi male. Mi stava incastrando, quello spudorato.
«No. Credo solo che dovremmo verificare noi stessi, prima. Con la prova del grano, ad esempio.»
Virgile mi afferrò un braccio, gentile eppure deciso.
«Possiamo discuterne privatamente? Giusto prima di dare inizio alla Riunione.»
Assentii col capo.
«Certo» replicai, sicura.
Sul viso allungato di Virgile prese forma un sorriso che non mi piacque per niente.
«Andate, Inés» disse all’altro Ministro, facendole un cenno verso il lungo tavolo dei giudici. «Prendete posto. La Riunione comincerà a breve; io e il Ministro Frollo dobbiamo discutere in privata sede di una questione molto importante.»
Inés si congedò e si allontanò da noi, mentre Virgile mi condusse fuori dalla stanza e mi guidò fino al suo studio. Ci ero stata abbastanza da ricordarlo nitidamente, ma ogni volta che entravo in quella stanza la trovavo magnifica. Grande, con i soffitti alti e arredata con gusto, piena di libri e pergamene.
Ma ovviamente non eravamo lì per discutere di quanto fosse bello il suo studio, lo sapevo. E in qualche modo, sentivo che la questione non riguardava soltanto il processo di Olympe de Chateaupers.
«Per quale motivo mi avete portata qui?» domandai, con tono duro.
«Oh, per un motivo molto semplice, Claudie. Voglio proporvi un accordo.»
«In questo istante?» chiesi di nuovo, con aria perplessa.
«Sì. Obbligatoriamente.»
Sollevai un po’ il mento.
«Avanti, parlate.»
Lui ghignò, sollevando appena un angolo della bocca.
«Vedete, in realtà non so proprio da dove cominciare» si alzò dalla sua scrivania e si recò presso la finestra, guardando Parigi che continuava la sua vita. «È alquanto complicato.»
Rimasi in silenzio, attendendo che andasse avanti.
«Il fatto è che voglio chiedervi di unirvi a me in matrimonio.»
Aggrottai le sopracciglia: perché stava effettuando una richiesta del genere in quelle circostanze?
«Ma c’è di più» aggiunse, voltandosi verso di me. «Sapete, vi ho vista cambiata ultimamente, ma non riuscivo a capire che cosa ci fosse di … diverso, in voi.»
Non mi sorpresi: Virgile era sempre stato un uomo acuto e intelligente. Ma per qualche strana ragione mi allarmai; quella conversazione cominciava ad apparirmi sospetta.
«Poi, vi vidi una sera.»
Silenzio.
«Una sera in cui … in cui un gitano era uscito dal Palazzo di Giustizia.»
Non mi resi conto subito di quello che stava dicendo, ma quando realizzai sentii il cuore andarmi a pulsare in gola.
Oh, Dio.
«Già, proprio così» proseguì con noncuranza. «E non solo era completamente illeso, ma voi gli chiedevate anche perché avesse detto di amarvi, se ciò non corrispondeva a verità. Sembrava che, come dire … voi ci teneste parecchio, a quello zingaro infesto. Al che, tenendo conto della vostra missione, che prevede l’eliminazione di quei parassiti dalla Città, mi chiedevo: per quale motivo adesso vi siete avvicinata a quella … feccia
Mi pongo la stessa domanda ogni secondo, avrei voluto dire.
Ma rimasi zitta, completamente pietrificata dal fatto che qualcuno avesse visto.
Virgile Grenonat aveva visto me con Eymeric.
Mi schiarii la voce e cercai di ricompormi, contenendo il tremito alle mani che si era impossessato di me.
«E perché mai tutto ciò dovrebbe essere legato all’accordo che mi avete presentato?» chiesi, senza scompormi.
Sebbene tentassi di mantenere un atteggiamento tranquillo, nell’aria si era venuta a creare una certa elettricità che mi faceva rabbrividire.
«Beh» continuò Virgile. «Diciamo che … mi attraete, Claudie. Lo avete sempre saputo, d’altronde.»
Attesi che proseguisse.
«E anche perché, se non acconsentirete» la sua voce aveva assunto un tono minaccioso «dirò in Tribunale che voi» mi puntò il dito contro «vi siete infatuata di uno zingaro.»
Vi siete infatuata ...
… di uno zingaro.
Quelle parole sembrarono ripetersi nella mia testa come un eco inquietante.
Sentii i lineamenti del viso irrigidirsi.
«Non tollero un atto del genere» dissi, con fredda formalità. «Ministro Grenonat, io ritengo che non sia consono unire questioni individuali a questioni professionali. Pertanto vi ordino di non dire alcunché.»
Non avrei provato a smentire; mi aveva vista quella sera, aveva tra le mani una prova incontrovertibile. E poi non avrebbe avuto senso tentare di negare tutto; avrei solo peggiorato ulteriormente la situazione.
«Peccato, perché i patti sono questi» dichiarò lui, con un sorriso furbo.
«Sono un vostro superiore» sbottai «e voi non avete il diritto di mancarmi di rispetto in questo modo.»
L’uomo rise.                                                           
«Andiamo, Claudie» disse. «Ci conosciamo bene, noi due. Smettila di comportarti come se io fossi un qualunque membro della Corte.»
Lo incenerii con lo sguardo. Adesso mi dava anche del tu?
«Fino a prova contraria» ribadii «io sono l’Inquisitore Supremo. E voi siete un membro della Corte di Giustizia.»
«Per questo» mi interruppe «credo che in Tribunale sarà molto interessante la vicenda di Claudie Frollo, l’Inquisitore Supremo che ha preso una cotta per un gitano» disse con cattiveria, ironizzando sulle parole “Inquisitore Supremo”.
Socchiusi gli occhi per la rabbia.
«Non mi abbasserò a tali livelli» sibilai «ed è contro ogni sano principio mettere in atto una congiura contro di me
«Signori» Jeannette Lacroix si affacciò alla porta dello studio di Grenonat. «La Riunione sta per cominciare. Ministro Frollo» mi salutò, chinando il capo in segno di rispetto.
«Certamente. Andiamo» dissi, prima che Grenonat potesse in qualche modo parlare.
Ma, mentre uscivo dal suo studio e mi recavo nella Sala delle Riunioni, sentii un moto d’angoscia montarmi in petto.
 
 
****


 
«Dunque, l’imputata Olympe de Chateaupers» disse Marguerite Rousseau, leggendo da un rotolo di pergamena «è stata incriminata da Claudie Gervaise Frollo di Alto Tradimento, e da Virgile Grenonat di Stregoneria.»
Fece una pausa, mentre Olympe, seduta di nuovo al centro dell’aula, con il boia al suo fianco per un eventuale uso della tortura, stava in silenzio con i muscoli tesi.
«Tutti gli altri membri della Corte di Giustizia» proclamò Rousseau «si sono astenuti da un giudizio definitivo. Questo è quanto è avvenuto in Riunione.»
Deglutii. Mai, in quindici anni in cui esercitavo la professione di Ministro della Giustizia, si era verificata una situazione del genere.
Olympe mi guardava con insistenza come a voler chiedere una spiegazione, ma la ignorai. Vedevo che un piccolo velo di sudore freddo le imperlava la fronte.
La seduta in aula era ripresa da poco, ma mi sentivo stranamente in soggezione sotto lo sguardo di Grenonat. Non mi era piaciuta per niente quella discussione che avevamo avuto nel suo studio. Il Ministro era a conoscenza di informazioni preziose, che avrebbero dovuto rimanere nell’ombra; sentivo, in qualche modo, che la mia carriera era appesa ad un filo.
Diciamo che… mi attraete, Claudie. Lo avete sempre saputo, d’altronde.
Se non acconsentirete, dirò in Tribunale che vi siete infatuata di uno zingaro.
Mi alzai, riscuotendomi dai miei pensieri.
«Procediamo con le analisi delle prove incriminanti» dissi, atona. «Convocate il testimone» aggiunsi, facendo un gesto verso i soldati alla porta.
Poco dopo, il Capitano Roland fece il suo ingresso in aula, stavolta seguito da tutti i suoi soldati.
«L’interrogatorio può cominciare» decretai, con voce solenne.
Sotto il mio sguardo altezzoso, Grenonat prese a fare domande a Roland.
«Voi, Jean Roland, Capitano delle Guardie del carcere del Palazzo di Giustizia, giurate di aver visto la qui presente imputata Olympe de Chateaupers aver effettuato un maleficio?»
Il Capitano annuì vigorosamente.
«Prego, descrivete l’atto di Stregoneria.»
«Dunque… si era messa ad urlare come una bestia» iniziò Roland «urla da far accapponare la pelle. E poi… poi è comparsa una sirena!»
«Suvvia» risi malignamente «le sirene non esistono!»
«Mi ha legato con una corda d’acqua, Ministro Frollo!»
Lo guardai con un ghigno di scherno.
«Frollo» mi chiamò Grenonat. «Noi non siamo sicuri del fatto che queste creature non esistano. Se gli antichi ne parlano nei loro libri, e cito il Liber Monstrorum o l’Odissea in proposito» continuò con tono deciso «non possiamo esser certi che siano solo miti. Voi dovete vedere la realtà dei fatti che vi si presentano davanti.»
Cosa?
«La realtà dei fatti è che questo uomo era ubriaco, e che non esiste alcuna sirena!» esplosi, alzando minacciosamente il volume della voce. «Io esigo di occuparmi di processi veri e propri, non di fanfaluche come queste!»
«Le prove ci sono tutte» insisté lui, con quel tono insopportabilmente calmo. «Siete voi che non...»
«Dove? Io non vedo neanche l’ombra di una prova concreta nelle storie campate per aria che costui ci presenta in Tribunale come vere!»
Tutti si zittirono. Sapevano che non era saggio mettersi contro di me.
«La seduta è conclusa» sentenziai. «L’imputata Olympe de Chateaupers è assolta dall’accusa di Stregoneria e accusata di Alto Tradimento» feci una pausa. «Verrà prevista pertanto la confisca dei beni e l’abolizione della sua attuale carica, con conseguente perdita della cittadinanza.»
Silenzio.
«Rinchiudetela» conclusi, facendo un cenno con la mano alle guardie.
«Ho un annuncio da fare» sentii dire da una voce che suonò odiosa alle mie orecchie.
Virgile Grenonat si era alzato dal suo seggio, e guardava tutti i testimoni in aula, lanciandomi di tanto in tanto uno sguardo che non preannunciava niente di buono.
Lo fissai come per incenerirlo.
Osa, Virgile. Osa solo farlo.
Osa andare contro di me e perderai il lavoro.
Non avevo la minima idea di quello che avrebbe detto da lì a poco, davanti a tutti.
«Ci tengo a dire» cominciò, con assoluta tranquillità «che il Ministro Frollo ha tradito la sua stessa carica e i suoi stessi doveri!»
Nella sua voce, adesso, c’era rabbia e determinazione. In aula si diffuse un chiacchiericcio perplesso, mentre gli occhi di tutti, già puntati su di me, assumevano un’espressione interrogativa.
«Ebbene sì» urlò, indignato. «Claudie Gervaise Frollo, Inquisitore Supremo, Ministro della Giustizia, donna di sani principi, si era prefissata di eliminare gli zingari infesti dalla sacra città di Parigi, e ha tradito se stessa, innamorandosi di uno di loro!»
Mi sentii mancare la terra sotto i piedi.

 
 

Scusatemi, scusatemi, scusatemi per il ritardo, ma sono stata molto occupata a causa di un esame di integrazione che ho dovuto sostenere, e non ho avuto tempo per pensare a Paris. Comunque, sono contenta di essere di nuovo qui a postare questa storia, davvero.
Questo capitolo è un completo shock per Claudie. Sto male per lei, vi giuro.
Dunque, dunque, dunque ... che ve ne sembra? Probabilmente non ve lo aspettavate: non capita tutti i giorni di vedere che qualcuno è riuscito ad incastrare il Ministro Frollo, no?
Spero che si sia percepita la tensione, perché è questo lo stato d’animo che prevale nel capitolo.
Come sempre vi ringrazio per leggere e per recensire, siete una gioia.
Au revoir :)
Stella cadente

 
  
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