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Autore: Mela Shapley    14/09/2015    1 recensioni
Regulus era sempre stato il suo cuginetto preferito.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Black, Regulus Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Regulus era sempre stato il suo cuginetto preferito.

C’era stato un tempo, molto prima che lei diventasse Andromeda Tonks, in cui vivere a casa sua era diventato quasi insopportabile. Andromeda detestava gli occhi fin troppo vigili e disillusi con cui suo padre la scrutava, e non poteva fare a meno di sfuggire dall'altero sguardo disinteressato di sua madre. Disprezzava la superficialità e gli stupidi romanzi d’amore di sua sorella Narcissa, e anche l’arroganza e la totale mancanza di empatia di Bellatrix, che si dannava l’anima per cercare un interesse superiore in cui riversare il proprio intelletto e le proprie abilità. Si sentiva persa in quella grande casa vuota, oscura e piena di spifferi.

Grimmauld Place non era molto diversa, lei ne era consapevole, ma possedeva qualcosa che casa sua non aveva: una grande biblioteca in cui perdersi per giorni interi, piena di libri rari e antichi, venerata con devozione da suo zio Orion. Ogni volta che Andromeda entrava dalla grande porta in legno e ammirava le alte arcate sui soffitti, aveva la sensazione di trovarsi in un luogo sacro. Era lì che si rifugiava quando non ne poteva più, quando era stanca, quando voleva semplicemente nascondersi; e gli zii l’accoglievano con tutto il calore di cui fossero capace dei Black, approvando che almeno qualcuno in famiglia riconoscesse il valore della lettura.

A Grimmauld Place c'era anche Regulus.

Regulus aveva otto anni meno di lei. Andromeda non aveva mai amato i bambini; soprattutto non quelli rumorosi come Sirius, quelli scialbi come Narcissa, oppure quelli dispettosi come Bellatrix. Ma Regulus non era mai stato come gli altri membri della famiglia. Era magro, sottile, con due occhi grigi decisamente troppo grandi per il suo viso; ed era silenzioso. Finchè era piccolo, Andromeda aveva registrato a stento la sua esistenza. Si era accorta di lui solo quando, durante le vacanze estive tra il quinto e sesto anno ad Hogwarts, Regulus aveva cominciato a seguirla come un’ombra.

La prima volta Andromeda, presa dalla lettura di De Potentissimus Potionibus, aveva pensato che sarebbe bastata un’occhiata raggelante per farlo scappare via come quell’attaccabrighe di suo fratello Sirius pochi giorni prima; ma Regulus si era limitato a stringersi un pochino nella poltrona su cui era seduto, senza manifestare il minimo segno di volerla lasciare sola. E non l’aveva mai fatto. Per tutta quell’estate, e l’estate successiva, lei era certa di poter contare sulla sua silenziosa compagnia in biblioteca. Parlava poco, solo per chiederle il significato di qualche termine che trovava nei libri che leggeva a sua volta; e con sua stessa grande sorpresa, ad Andromeda non dispiaceva poi tanto spiegarglielo.

Parlava poco, ma le scriveva tanto. Pochi giorni dopo aver iniziato il sesto anno ad Hogwarts, l’anno in cui uno sciocco Tassorosso di nome Ted Tonks sarebbe entrato nel suo cuore per non uscirci più, Andromeda vide atterrare sul tavolo davanti a sè il vecchio barbagianni di zio Orion. Cara Andie, iniziava la lettera, con una calligrafia precisa ma ancora infantile. Nessuno la chiamava così; per le sue amiche e le sue sorelle, lei era sempre Dromeda. Con in mano la prima pergamena di una lunga serie, quasi sorrise.

Quando lei scappò di casa per diventare la signora Tonks, le lettere smisero di colpo di arrivare, e lei seppe che al posto del suo nome sull’albero genealogico dei Black ora non c’era altro che una piccola bruciatura nera.

Non aveva più avuto notizie del bambino silenzioso che le teneva compagnia finchè leggeva. Fino a quel momento.

Andromeda lo scrutò da sopra la tazza di tè che stava sorseggiando. Era quasi mezzanotte, un orario insolito per un visitatore, ma l’aspetto di suo cugino era ancora più bizzarro e preoccupante. Era accasciato sulla sedia della sua cucina, magro e pallido, con quegli occhi grigi sempre troppo grandi per il suo viso. Andromeda fece due conti. Regulus sembrava un vecchio, ma doveva avere solo diciotto anni.

Le voci correvano sempre, soprattutto in tempo di guerra. Andromeda non aveva bisogno della sua conferma per sapere cos’era diventato. Era inverno, ma era sicura che Regulus portasse le maniche lunghe anche in estate.

Era stata pazza a lasciarlo entrare. Nell’altra stanza, appena a pochi metri di distanza, c’era la sua vera famiglia. Regulus non ne faceva più parte, ormai; c’era un’altra bambina che aveva preso il suo posto nel cuore di Andromeda.

Però lui l’aveva implorata. Le aveva detto che nessuno sapeva che lui era lì, che lei era al sicuro, che non era lì per farle del male in quanto traditrice del suo sangue, ma solo perché doveva parlarle. E lei aveva ceduto, come la sciocca sentimentale che non era mai stata.

Da quando aveva messo piede in casa, Regulus non l’aveva più guardata negli occhi, nemmeno quando l’aveva ringraziata cortesemente per la tazza che gli aveva offerto. I capelli neri erano scompigliati dal vento, e lei si chiese se lui, invece di Materializzarsi, avesse fatto tutta la strada a piedi.

“Sai, sei il primo parente che viene a trovarmi negli ultimi otto anni,” accennò Andromeda prima di bere un piccolo sorso di tè. Intuiva che Regulus non avrebbe mai iniziato la conversazione per primo, e lei non vedeva l’ora che uscisse da casa sua.

Suo cugino le gettò una rapida occhiata per poi tornare ad ammirare la tazza di ceramica.

“Non hai più visto nemmeno Sirius?” Il tono calmo era molto diverso da quello che prima lui aveva usato per convincerla a farlo entrare. Andromeda accennò ad un mezzo sorriso.

“Cosa sei venuto a fare qui, Regulus?”

Il ragazzo sussultò, come se non si fosse aspettato quel tono tagliente.

“Io –“ Regulus sospirò e poi, finalmente, trovò il coraggio di mantenere il suo sguardo. “Avevo solo bisogno di dire a qualcuno che… che temo di aver fatto un terribile sbaglio.”

L’educazione Purosangue impartitale per anni permise ad Andromeda di mantenere un’espressione perfettamente neutra. Santo cielo, per chi l’aveva scambiata, per una confidente? Il ragazzo non aveva amici con cui parlare? Probabilmente no, si disse – non il genere di amici a cui lui potesse rivelare quel genere di cose, se lei aveva ben capito di quale sbaglio di trattasse. Ma nella luce fioca della sua cucina, era solo un ragazzino spaventato.

Cara Andie, temo di aver fatto un terribile sbaglio.

“Nulla a cui tu non possa porre rimedio, mi auguro,” si limitò a commentare. Regulus fece un cenno col capo, e mise una mano in tasca. Per un attimo Andromeda si irrigidì, ma al posto della bacchetta magica il cugino estrasse una busta dall’aria molto sgualcita.

“Sono qui per chiederti un favore, Andie,” le disse con voce tremante. “Mi chiedevo se… se tu potessi consegnare questa a Sirius.”

Le porse la lettera, ma lei non la prese. Le dita di lui sembrarono sul punto di accartocciare la busta.

“Cos’è?”

“E’ solo –“ Per un attimo, sembrò perdere le parole. “Solo una lunga lista di parole e scuse, e spiegazioni inutili, di cui Sirius probabilmente non leggerà nemmeno la metà.” Appoggiò la busta sul tavolo e la fissò per un paio di secondi. “Forse è una pessima idea. Forse sarebbe meglio se lui non sapesse nulla.”

Andromeda non distolse lo sguardo dalla lettera.

“Perché non puoi inviargliela tu?”

“Oh, no, se venisse intercettata – e se gliela consegnassi di persona, poi sarebbe troppo difficile fare quello che devo fare dopo.”

“Ovvero?” Andromeda sentiva una sensazione gelata risalirle la schiena. “Regulus, che cosa sta succedendo?”

Il ragazzo piegò una angolo della bocca in quello che forse voleva assomigliare a un sorriso.

“Quello che sta succedendo… è che forse ho scoperto di essere una brava persona, dopotutto.”

“Le brave persone non esistono,” replicò lei seccamente. “Sei venuto a casa mia nel cuore della notte, spaurito come se fossi inseguito da un esercito di fantasmi. Ora spiegami di cosa si tratta.”

“No,” rispose Regulus in tono definitivo. “Se ne parlassi con te, o con qualunque altro membro della famiglia, poi sareste tutti in pericolo. No, Andie, senti, ti ho solo fatto perdere tempo. Sirius non deve avere questa lettera. Non dovevo venire qui.”

Ma Regulus non riprese la busta, limitandosi a fissare il vuoto come se non avesse più nulla a cui aggrapparsi.

“Regulus –“

“Devo andare.” Suo cugino schizzò via dalla sedia come una molla scattata di colpo. “Non porto la lettera via con me, perché se qualcuno mi fermasse… ecco.” Un gesto di bacchetta, e dopo un istante al posto della lettera non ci fu altro che cenere. “Io devo andare.”

Andromeda annuì e lo accompagnò alla porta, cercando di trovare le parole adatte. Voleva che se ne andasse. Odiava l’idea che ci fosse un Mangiamorte in casa sua, così vicino a sua figlia, ma odiava anche vedere suo cugino così spaventato e confuso.

“La prossima volta,” gli sussurrò non appena si ritrovarono sull’uscio, “cerca di farmi visita ad un orario onorevole.”

Lui sorrise, e annuì. Rispose con poche parole, prima di girarsi e sparire nell’oscurità. Andromeda restò per qualche secondo a fissare davanti a sé, senza vedere nulla; poi, lentamente, rientrò in casa.

“La prossima volta,” aveva ripetuto Regulus, e lei in quel momento aveva capito che non l’avrebbe rivisto mai più.

  
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