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Autore: Castiga Akirashi    14/09/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Lily non si fece scoraggiare dai commenti della madre; problemi o non problemi, lei voleva vederla. Entrò in carcere il giorno dopo, ma sentì dei passi avvicinarsi. Fece per andare via ma prima di uscire, vide un antro tra la parete della cella e il muro divisorio. Quell’errore di costruzione poteva esserle d’aiuto. Si sarebbe nascosta, aspettando che i secondini fossero passati, e poi sarebbe andata dalla donna. Si infilò quindi nel pertugio e attese.
«Ehi, bestia. Forse oggi ti deciderai a confessare.» disse sprezzante un secondino, anche se il tono da spaccone voleva nascondere la paura che aveva di quella donna.
«Se non l’ho fatto, non contarci, pagliaccio.» ribatté lei, cambiando totalmente tono, sentì Lily; quando parlava con la bambina era quasi tendente al dolce, un po’ freddo ma non cattivo. Con quella gentaglia invece tirava fuori il tono più crudele e sarcastico che conosceva, giusto per ricordare loro chi avevano davanti. Non poteva difendersi, certo, ma spaventare era lecito.
Il poliziotto non rispose, aprì la cella e la portò via. Lily, nel suo nascondiglio, si chiese dove la stessero portando e decise di aspettarla, giusto per poterle parlare ancora un pochino. Raphael era convinto stesse studiando da un’amica, quindi aveva tempo… Passò quello che le sembrò un’eternità, poi tornarono i due secondini, trascinando qualcosa. Lily sbirciò e vide che stavano trascinando Athena, ancora sanguinante e svenuta, tenendola per le braccia con poca delicatezza.
«Dovrò andare a far smacchiare la divisa un’altra volta.» si lamentò un secondino, vedendo la macchia di sangue sui pantaloni.
Ora che la donna era svenuta, potevano permettersi di fare i gradassi, ma se lei si fosse anche solo mossa, era garantita la fuga lasciandola nel corridoio.
«La prossima volta mettiti la tuta da lavoro. Almeno salvi la divisa.» rispose l’altro.
«Già.»
Uno dei due aprì la cella e l’altro lanciò dentro il corpo svenuto della donna. Poi se ne andarono. Lily era preoccupata e orripilata. Non sentendo più rumori, uscì dal nascondiglio e spiò dentro la cella. Era sempre nella penombra, ma vide distintamente una caviglia della donna. Era lacerata dai segni di un cordino di fil di ferro e sanguinava ancora.
“Cosa le avranno fatto?” si chiese, trattenendo le lacrime.
Restò lì, vicina al suo nascondiglio, finché non sentì dei rumori: Athena si era svegliata, e, con una mano, aveva tentato di alzarsi, aggrappandosi al letto. Con un gemito, si tirò su a fatica, mettendosi sulla branda più in basso e cercando di riprendersi.
«C-come stai?» chiese la ragazzina, dopo essersi avvicinata alla cella, titubante ma convinta.
Un debole respiro affaticato precedette la risposta, che suonò quasi come un rimprovero: «Ti avevo detto di non tornare.»
“Come faccio a dirti che voglio stare vicino a te… mamma?!” pensò Lily, seccata da quel commento, mentre pensava a qualcosa di intelligente, e magari confortante, da dire.
Un gemito la riscosse. Ma non riusciva a capire cosa stesse facendo la donna, mentre i rumori sommessi riecheggiavano flebili.
«Posso aiutarti mamma?» chiese dopo un po', decidendosi a parlare.
La donna scosse la testa, ma capì che non poteva vederla, così rispose: «Non è un bello spettacolo… ti risparmio la visione.»
«Non mi fa paura il sangue. Se posso fare qualcosa, volentieri…»
Athena ci pensò su. Quella ragazzina, la sua bambina, le aveva reso la reclusione molto meno dura, era simpatica, le faceva piacere quando andava a trovarla… e poteva davvero aiutarla.
«I secondini ci metteranno un po’… Se non te la senti, dillo subito.» borbottò, andando verso le sbarre e sedendosi di schiena, passandole una pietra piatta.
Lily vide la camicia incollata in alcuni punti, mentre prendeva la pietra, e Athena spiegò: «Devi riaprire le ferite e tirare fuori la stoffa.»
«Perché?»
«Perché altrimenti fa infezione e patisco le pene dell’inferno. Se riesci a tirarla fuori, cicatrizza bene e guarisce.»
«Ma se ti faccio male…» cominciò Lily, ma la donna la interruppe: «Fa male. Ma fa peggio se non lo si fa. Se non te la senti faccio da sola, non importa.»
«No, no. Va bene.»
Lily deglutì, si fece coraggio e sollevò la camicia. Doveva tagliare tutte le ferite mezze rimarginate e togliere la stoffa, per poi tenerla lontana dai tagli per evitare che si incollasse di nuovo. Athena doveva sentire molto dolore, ma, a parte qualche contrazione involontaria dei muscoli della schiena, non emise un rumore.
Dopo quelle che parvero ore, Lily tagliò l’ultima cicatrice e mormorò: «F-fatto…»
Athena si alzò e levò la camicia, per far cicatrizzare le ferite all’aria, stando decisamente meglio di poco prima. Senza il rischio dell'infezione, si sarebbe rimessa in breve tempo.
«Brava, piccola.» borbottò, stendendosi sul letto a pancia in giù: «Sei stata molto coraggiosa.»
Lily sorrise e rispose: «Figurati, mamma.»
Vedendo che la donna non rispondeva, Lily fece per andarsene, ma una voce la fermò: «Ciao. E grazie…»
Lily sorrise, e corse via, ma tornò il giorno dopo, come sempre, a trovarla.
Cinque giorni dopo venne quindi indetto il processo contro Athena per l'omicidio di Ragefire. Era mattina presto, per evitare che la folla inferocita e assetata di vendetta attaccasse il tribunale, scatenasse l'ira di Athena e ci fosse il massacro. Ora ad assistere e giudicare, c’erano entrambe le Corti. Solitamente i processi erano presieduti da un giudice, ma anche da due giurie, una formata dai quattro Élite della Lega Pokémon (Pino, Koga, Bruno e Karen) e l'altra dagli otto Leaders delle Palestre, ovvero Brock di Plumbeopoli, Misty di Celestopoli, L.T. Surge di Aranciopoli, Erika di Azzurropoli, Sabrina di Zafferanopoli, Nina di Fucsiapoli e Blaine dell’Isola Cannella. Dato che l’ex palestra di Giovanni a Smeraldopoli era chiusa, come ottavo membro della Corte dei Leader era stata scelta la cugina del Campione, Sandra, ultima Leader della confinante Johto, ovvero della città di Ebanopoli. Le due corti giudicavano e collaboravano insieme per decidere la sorte dell’imputato.
Grendel, che come sempre faceva da accusa, era molto turbato questa volta. Aveva sentito parlare di quello stupratore seriale e aveva visto con disappunto e sdegno che non era mai stato accusato per i suoi crimini.
“Il Demone Rosso ha ucciso una persona giusta, per una volta.” pensò, affranto da quello che doveva fare.
Era consapevole che l'omicidio non è una buona cosa ma anche le aggressioni mai denunciate di quell'uomo... Non se la sentiva di condannarla alla sicura pena capitale, ma Vodel aveva insistito perché presiedesse lui l’accusa. Non aveva potuto rifiutare.
Athena invece voltò un momento lo sguardo verso la Corte dei Leader. Anzi, verso il terzo posto di quella Corte. Non avrebbe dovuto, ma dentro di lei qualcosa lo imponeva. Non riuscì a non fare quel piccolo sorrisetto, mentre guardava con dolcezza quell’uomo che ormai considerava suo padre e che la fissava stralunato e incredulo.
“È bello rivederti Surge … papà …” pensò, ignorando il tremore di tutti gli altri Leader.
L.T. Surge era sconvolto. Non poteva credere ai suoi occhi. La sua piccola Athena era lì, in quel banco, pensante, ma soprattutto, viva. E lui ricordava ancora quella pozza di sangue nella quale aveva versato tutte le sue lacrime. Non riusciva a credere a quello che vedeva, ma soprattutto voleva la testa di Raphael. Dal suo comportamento era evidente che lui sapeva già da prima che Athena era viva, e probabilmente le aveva anche parlato. Fece di tutto per non pensarci, per tutta la durata del processo, o l'avrebbe picchiato.
«Lo Stato di Kanto contro il Demone Rosso!» esclamò il giudice, battendo il martello sulla scrivania e interrompendo i pensieri di padre e figlia: «L’imputata è accusata dell'omicidio di Richard Ragefire, avvenuto due settimane fa.
Presiede l’accusa, l’avvocato Michael Grendel.
Presiede la difesa, l’avvocato Raphael Grayhowl.»
Il giudice sedette e diede la parola all’accusa. Grendel si alzò, ma non sapeva proprio cosa dire. Non si era preparato bene, e non era convinto del suo ruolo.
Vodel lo guardò perplesso, notando che era ancora muto. Pensando che stesse raccogliendo le idee, non disse nulla, in attesa. Così come Lance, le Corti, l’avversario e perfino l’imputata. Grendel respirò a fondo. Aveva deciso di provare la tattica della sincerità. Si sarebbe inimicato il giudice, lo sapeva, ma non se la sentiva di fare l’accusa. Fece per parlare, ma si sentirono delle grida provenire dall’esterno del tribunale. Karen si alzò dai seggi della Corte degli Élite e sbirciò fuori, sollevando le veneziane tirate: il piazzale era colmo di donne urlanti, che portavano dei cartelli. Le frasi erano tutte in difesa di Athena, e, alcune di loro erano ragazzine, vittime dello stupratore seriale che lei aveva ucciso. Le figlie, accompagnate dalle madri, ringraziavano la Bestia del Continente per averle liberate da quell'uomo. Sui cartelli c'erano riportate delle vere e proprie confessioni: il numero di volte che erano state aggredite e altre cose che testimoniavano le loro vicende. Dopo aver sentito le parole di Karen, che spiegava cosa accadesse di fuori, Vodel si alzò e andò a vedere a sua volta.
Inorridito ma furioso, risedette e sbottò: «Ignoratele e andiamo avanti con il processo.»
Grendel guardò con la coda dell’occhio Raphael e vide che stava annotando velocemente qualcosa su un foglio scarabocchiato.
“Probabilmente è qualcosa in difesa. Bene, Raphael fa’ del tuo meglio.” pensò, schiarendosi la voce.
«Una serial killer recidiva, ecco cos’è il Demone Rosso.» esordì con un tono volutamente arrogante per far infuriare l'avversario e aspettarsi il meglio da lui: «Ce l’ha dimostrato, torturando, fino a renderlo quasi irriconoscibile, un uomo, per poi ucciderlo senza pietà. Dopo che il giudice aveva deciso di graziarla dalla pena capitale, dandole l'opportunità di salvarsi con un avvocato. Secondo la legge. Che altro serve sapere?!
Io chiedo la pena capitale per tortura e omicidio volontario.»
L’avvocato risedette e Vodel disse, soddisfatto: «La parola alla difesa.»
Raphael si alzò, andò in mezzo all'aula e fissò le Corti con decisione, evitando però lo sguardo di Surge, giusto per non cominciare a tremare. Riportata la sua attenzione al giudice, rispose alla provocazione dell’accusa: «L’uomo in questione era uno stupratore seriale che non ha mai scontato la sua pena. L’imputata, al contrario, si è consegnata alla giustizia, pentita dei suoi crimini. Scoprire che un animale del genere era libero di operare, mentre lei, ormai innocua, era in gabbia, non è stato piacevole. Mettetevi nei suoi panni. Farebbe arrabbiare chiunque assistere a questa sorta di favoritismi ingiustificati, per lo più scontati da ragazzine minorenni che non potevano fare altro che subire le angherie di quel mostro.
Quindi, in risposta all’accusa, io chiedo un altro ergastolo.»
Grendel voleva dargliela vinta, ma l’occhiataccia del giudice lo fece alzare e rispondere alla difesa. Raphael fece lo stesso finché non arrivò la pausa.
«Senti, Raphael… posso dire una cosa anche io o devi parlare solo tu?» chiese Athena all’uomo, sottovoce, mentre lui guardava alcuni appunti, vicino al suo banco.
Lui la guardò perplesso e rispose: «Se Grendel lo richiede, possiamo interrogarti a turno. Perché?»
«Sembra che Vodel si accanisca su di me perché gli ho toccato la famiglia, mentre invece Ragefire non ha fatto niente a lui e quindi era libero. Sembra che sia un fatto personale, ecco.»
Ruotando la testa mentre pensava, lui rispose: «Non ti conviene piccola pazza. È un’accusa diretta al giudice che dispone a suo piacimento della tua vita. Non è il caso di aggredirlo così. Però effettivamente hai ragione, quindi forse riesco a tirare fuori il discorso, magari mettendo un po’ di dubbio nella Corte. È una cosa sottile però, che non ho mai usato. Spero di non fare un casino.»
«Peggio di così non può andare, scemotto. Chissà che non serva a qualcosa.»
Lei gli sorrise fugacemente, per fargli forza, e lui le fece un occhiolino veloce.
Vodel batté il martello sulla cattedra e disse: «Riprende il processo contro il Demone Rosso. Avvocato Grayhowl, a lei la parola.»
Raphael si alzò, andò al centro della sala, respirando e riordinando le idee; poi disse: «Signori delle Corti, durante il processo mi è venuto un dubbio. Perché questo accanimento verso la mia cliente? Ha commesso dei crimini, d’accordo, ne sono consapevole, ma anche la vittima di questo processo aveva commesso molti reati. Ma perché allora, era ancora a piede libero, con la fedina penale totalmente immacolata? Non c’è alcun tipo di denuncia o simili. Solo ragazze umiliate che non hanno il coraggio di parlare. Perché lo stiamo trattando come una vittima, mentre invece era forse molto più colpevole?»
«Obiezione! La difesa sta insinuando che la Corte abbia dei pregiudizi.» sbottò Grendel, anche se sapeva che Raphael aveva ragione.
Il giudice scoccò all'avvocato un'occhiata di fuoco, diventando lievemente rosso, e ringhiò: «Accolta. Non giochi con il fuoco Grayhowl. Non le conviene.»
Raphael risedette, lanciando un’occhiata fulminante ad Athena per tenerla buona, ma vedeva le Corti mormorare. Soprattutto per quella visibile irritazione che si leggeva sul volto di Vodel e per quella sua velata minaccia. Vide con chiarezza Surge, furibondo, che parlottava con i Leader, e Karen che parlava con gli Élite. Più loro discutevano, più l'uomo al banco si agitava. L'imputata invece era tentata di saltare al collo del giudice. Nessuno poteva permettersi di minacciare il suo ragazzo e passarla liscia. Nemmeno quel giudice da strapazzo.
“Beccato, giudice. Brava, piccola pazza, ottima osservazione” pensò Raphael, vedendo come la situazione andasse a suo vantaggio, ma tornando a fissarla per tenerla buona e impedirle di scannare l’uomo. Lei ricambiò lo sguardo con un mezzo avvertimento; se Vodel l’avesse toccato, avrebbe potuto dire addio a questo mondo. E le quindici ore di tortura gli sarebbero sembrato un nulla a confronto di quello che gli avrebbe fatto passare.
«Chiedo di interrogare l’imputata.» esclamò Grendel, vedendo un cenno del giudice. Non ne aveva voglia, voleva chiudere quel processo una volta per tutte, ma doveva ubbidire.
«Accordato.» acconsentì lui.
Jason Johnson lasciò la sua postazione a guardia della porta di ingresso e si avvicinò ad Athena. Era l'incaricato degli spostamenti dell'imputata perché nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi a lei così tanto e Lance non poteva più per non far salire strani sospetti nelle Corti vista la gentilezza con cui la trattava, nonostante dovesse odiarla. Le slegò le catene dal banco e la fece alzare. Si lasciò scappare un sorrisetto quando sentì quel bassissimo e sconsolato: «Devo proprio?»
La fece sedere al banco dei testimoni, in parte al giudice e le riagganciò le catene, rispondendo: «Sì.»
Lei si lasciò sfuggire un sogghigno. Grendel invece si alzò e andò in mezzo all'aula. Schiaritosi la voce, chiese: «È consapevole di ciò che ha fatto?»
«Sì.»
«È stato un atto volontario?»
«Sì.»
«Era consapevole che avrebbe rischiato la pena capitale.»
«Sì.»
«Non ho altre domande.»
Grendel tornò a sedere. Non sapeva cos'altro chiedere.
«La parola alla difesa!» esclamò Vodel, seriamente irritato per come stavano andando le cose.
Raphael si alzò, scambiandosi di posto con l'avversario, e chiese, guardando la sua amata con celato affetto: «Perché ha ucciso Ragefire?»
«Mi è giunta voce che era uno stupratore seriale a piede libero da anni. Visto che la legge non fa il suo lavoro, l’ho fatto io.» commentò lei pacata, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo: «Non sopporto quella gentaglia.»
«Obiezione! La legge non dispone di farsi giustizia da soli!» esclamò Grendel: «Ci sono i tribunali che svolgono una precisa funzione proprio per evitare questo!»
«Accolta.» disse Vodel.
«Perché si è consegnata allora?» chiese Raphael, ignorando l'obiezione: «Non ha senso commettere un crimine e poi confessarlo.»
«Perché lo so che non si deve uccidere.» rispose la donna, con un'alzata di spalle.
«Non ho altre domande ma… signori, le ragazze qui fuori sono tutte vittime di Ragefire. Tutte ragazzine che, prima di qualche giorno fa, avevano il terrore di uscire di casa, per paura di essere aggredite e violentate ancora. Ma ora non hanno più questo timore. Sanno che non verranno più usate come oggetti, oggetti con l’unico scopo di soddisfare un bisogno unilaterale. Perché non chiamare una di loro a testimoniare?»
«Obiezione! Sono tutte fuori età! Ragefire era preferenziale, loro non avrebbero mai più avuto alcun pericolo di aggressione!» esclamò Grendel, balzando in piedi.
Raphael lo fissò e rispose, alzando il tono di voce: «Ma sta' zitto, Grendel! Forse non loro, ma altre ragazzine di otto anni sarebbero finite nelle sue grinfie, perché era ancora a piede libero!»
«Come tutta la gente di questo continente, se la tua bestia finisce in libertà!»
«E questo cosa c'entra?! Stiamo processando per l'omicidio di Ragefire, non per gli altri!»
Grendel stava perdendo il controllo. Il suo orgoglio aveva avuto la meglio sul buonsenso e ora stava contestando Raphael non tanto per il processo, ma solo perché era lui. Dopo un po' però, Vodel perse la pazienza. Le Corti stavano cominciando a scommettere sull'inizio della rissa, Athena si stava addormentando sul banco e Lance era piuttosto seccato. Battendo il martello esclamò: «Silenzio, avvocati! Il processo è chiuso. Condanno il Demone Rosso ad un altro ergastolo.»
Raphael e Grendel si fissarono. Erano entrambi in piedi, uno contro l'altro, pronti a urlarsi ancora contro. Lance si alzò, felice di poterlo fare, e slegò Athena per portarla in cella.
Uscendo lei mormorò: «Ma è normale?»
«Normalissimo.» rispose lui: «Anzi, si sono trattenuti oggi. Solitamente, presi bene, sono molto peggio.»
«Ah... non avevo mai visto Raphael così arrabbiato. Di solito sono io quella da calmare.»
Il Campione ridacchiò e parlottando lontani dal tribunale, andarono verso il carcere.
In aula invece, Vodel diede una bella strigliata agli avvocati, sotto gli occhi delle Corti che, divertiti, li deridevano: «Signori, mi avete stufato! Le vostre litigate da bambini dell'asilo le fate fuori dal tribunale, non a ogni processo in cui siete avversari!»
Sbattendo il portone, uscì, seguito dai Leader e gli Élite, che ridacchiando, commentarono il bisticcio dei due. Raphael si mise a mettere a posto le sue carte, seccato di aver fatto quella figuraccia davanti ad Athena, quando si avvicinò Grendel.
«Ehi, Grayhowl…» esordì, avvicinandosi al suo banco.
«Non finisce qui. Avrò la vittoria, costi quel che costi.» sbottò secco lui, scoccandogli una degna occhiataccia.
«Oggi sono stato gentile sai?» ribatté l’avversario, alzando il tono di voce: «Non volevo il banco questa volta. Ma alla prossima seduta, vediamo chi riderà.»
«Che tu voglia il banco o meno non m'importa. Io sono imbattibile!»
«Lo vedremo al prossimo processo, schiappa.»
I toni di voce arroganti e sarcastici erano volti a provocarsi l’un l’altro, e sottolineavano l’animo di sfida dei due avvocati. Con un ultimo sguardo, i due se ne andarono.
Athena venne invece riportata in cella. Sedette sul letto, sbadigliando, e fece per sdraiarsi quando…
«Prosciolta?» chiese una voce.
Lei la riconobbe subito, ma si fece perplessa e chiese: «Che ci fai qui?»
«Ho dato una lezioncina al mio ex compagno di cella.» rispose O’Bull, ghignando.
«Ma fare qualcosa per controllare l’ira no eh?»
«Perché dovrei? Ho ottenuto quello che volevo! Ho picchiato quasi a sangue quel cretino e insultato la guardia. Ed ecco la mia punizione!»
Lei ridacchiò, scuotendo la testa, e commentò: «Penso tu sia l’unica persona al mondo che fa una cosa del genere solo per essere nella stessa gabbia con il Demone Rosso.»
«Forse sono un po’ pazzo.» rise lui.
«In questo caso, siamo in due.» annuì lei.
Athena e O’Bull, si guardarono, sorrisero, presero la scacchiera, che era stata portata lì per richiesta dell’uomo, e cominciarono una partita. Erano velocissimi le prime mosse, poi si perdevano l’uno nella testa dell’altra, finché passavano minuti e minuti da una mossa all’altra.
«Sai che avevi ragione?» chiese l’uomo all'avversaria, d'un tratto, come folgorato da un pensiero.
«In merito a…?»
«A quando mi hai detto che potevo ancora avere qualche speranza con mia moglie… l’ho convinta a venire a trovarmi e… abbiamo parlato. È venuta altri giorni e mi ha spiegato che il ragazzetto era una specie di parente acquisito. Che idiota. Le ho chiesto scusa, sinceramente, e lei ha capito. Ha detto che mi aspetta fuori con impazienza.»
«Vedi? Bastava chiarirsi.» commentò Athena, sorridendo ma pensando al suo Raphael, che purtroppo non era così sicuro che avrebbe potuto rivedere.
O'Bull tolse gli occhi dalla scacchiera, la fissò sincero e mormorò: «Devo tutto a te, Demone Rosso.»
Lei gli scoccò un'occhiatina, sogghignò e disse, quasi con ironia: «Chissà se mi tolgono l’ergastolo per opera pia… ah già. Ne ho cinque quindi sarebbe inutile.»
«Cinque?!»
«E che pretendi?» chiese lei, quasi sconcertata dal suo stupore: «Hai davanti agli occhi la più sanguinaria bestia dell’ultimo secolo. Mi ritengo fortunata che posso ancora respirare.»
Lui la fissò, vedendo come lei non avesse problemi ad ammettere le proprie colpe, poi borbottò: «Posso chiederti una cosa?»
«L’hai già fatto!» ghignò la donna: «Comunque puoi chiederne un’altra.»
Lui respirò a fondo, non convinto di fare la scelta giusta, ma si fece coraggio e chiese: «Cosa ti è successo? Voglio dire… non si cambia così. È passato tanto tempo, ok, però è un cambiamento mostruoso.»
«Non sei l’unico che lo pensa. E uno dei pochi che crede che non stia facendo finta.» rispose lei con un’alzata di spalle, per tranquillizzarlo dato che aveva notato la sua paura.
«Non avrebbe senso.» commentò lui, sperando di non essere troppo invadente: «Se non sbaglio ti sei consegnata volontariamente.»
«Trapelano in fretta le notizie eh?»
«I secondini mormorano. Non mi hai ancora risposto…»
Athena alzò le spalle; si fidava di quell'uomo, una cosa strana per lei. Ma lui era riuscito ad ottenerla e questo voleva dire amicizia eterna. Così disse: «Visto che hai preso moglie… forse puoi capirmi. Un pazzo ragazzino è riuscito a farmi innamorare. Talmente tanto da farmi smettere di uccidere.»
«E lo ami ancora.»
Lei si limitò ad annuire e lui proseguì con le domande, notando quanto fosse ben disposta a rispondere e non sembrasse irritata: «E lui ha lasciato che ti consegnassi?»
Athena scosse la testa e gli raccontò brevemente cos’era successo quando erano stati costretti a separarsi per lunghi anni. Lui chiese scusa, poi borbottò: «Quindi non lo vedi da…»
«… stamattina.»
O’Bull la fissò perplesso e lei aggiunse, con un sorriso e una strizzatina d’occhio: «Non ti ho detto la parte migliore. Lance fu costretto a processarmi prima, e sai chi scelse come avvocato?»
«Non me lo dire.» borbottò lui, quasi sconvolto da quella sottospecie di assurda coincidenza.
Lei sorrise, notando la sua faccia, e rispose: «Esatto.»
Non voleva però dire della sua amicizia con il Campione; era troppo assurda perché potesse crederci. Lei per prima faticava a crederci, anche se era davvero così. Thomas scosse la testa, ridacchiando per l'assurdità del racconto, poi chiese: «Ti ha tolto lui dalle braccia della morte, vero?»
«Con un vero miracolo. Adesso si è messo in testa la condizionale. Non riesce ad accontentarsi… e forse ora ho capito perché.»
Alla sua faccia perplessa, Athena proseguì: «Prima di uccidermi… ero incinta e… mi portarono via il mio bambino. Io pensavo… fosse morto. E invece l’ha trovato… anzi… trovata lui. L’ha cresciuta da solo mentre io ero lontana… se l’avessi saputo forse.. mi sarei ripresa prima. Il pensiero che lei fosse morta mi tirava nel baratro. Se avessi saputo che era viva… sarei tornata prima. Molto prima.»
Lui annuì, comprendendo il suo dolore, e borbottò: «Deve essere stato un bel colpo.»
«È stato un colpo scoprire che Ragefire le aveva messo le mani addosso.» ribatté lei.
L’uomo ridacchiò, e commentò: «Ora capisco l’evasione e tutto il resto. Una madre infuriata è terribile. Se poi questa madre è il Demone Rosso…»
Athena lo fissò negli occhi, in una muta preghiera, e mormorò: «Amico di scacchi, ti devo chiedere un favore… tieni tutto per te. Se qualcuno scopre tutto quello che ti ho detto… sono rovinati.»
Lui sorrise e rispose: «Saresti un’ottima madre.»
«Forse non lo saprò mai.» rispose lei, nascondendo volontariamente l'esistenza di Giovanni:  «Ora muovi. La scacchiera sta facendo le ragnatele.»
I due ripresero a giocare, mentre Lily li ascoltava in silenzio, nascosta nel suo antro. Era andata a trovare la madre per festeggiare con lei lo scampato pericolo, ma l'aveva sentita parlare con qualcuno. Così, impaurita, si era nascosta; voleva parlarle ma non sapeva come fare dato che c'era anche quell'altra persona. L'occasione buona arrivò quando quell'uomo uscì dalla cella per l'ora d'aria. Chiedendosi perché la madre non fosse andata con lui, la ragazzina si avvicinò alle sbarre e borbottò: «Ciao, mamma.»
«Lily!» esclamò lei, non aspettandosi ormai la sua visita: «Non ho sentito la porta… Da quanto sei qui?»
«Da un po’…» rispose lei: «Ma c'era quel tizio e non sapevo che fare... perché non sei andata con lui?»
«Mi hanno tolto l'ora d'aria.» commentò la donna, con un tono eloquente e seccato.
La figlia la fissò un momento, poi chiese: «Cos'hai combinato?»
«Niente!»
«Mamma!» la rimproverò Lily, con un tono quasi da mamma che riprende la figlia.
Athena ghignò soddisfatta e rispose: «Frustarmi va bene... infierire e deridere a parole no. E l'imbecille è andato a lamentarsi che gli ho spezzato un braccio. Questa è la punizione.»
La ragazzina sospirò e commentò: «Te l'avrà già detto cento volte papà, quindi non mi aggiungo alla lista, ma stai attenta ma'... ci mettono poco a peggiorarti la situazione.»
«Non ho di certo paura di loro.» commentò solo lei, salutandola mentre se ne andava.
A Hoenn, invece, Giovanni finalmente vide la fine del tunnel. Lui e Donkey si aprirono in un sorriso, vedendo finalmente la fine della via Vittoria. Dopo settimane persi in quella grotta, tra fatiche e lo sconforto, la tentazione di mollare e la successiva grinta, avevano trovato l'uscita. Corsero fuori, non riuscendo a capacitarsi di avercela fatta. E, di fronte a loro, si ergeva maestoso l'edificio in marmo della Lega Pokémon di Hoenn. Una costruzione alta, enorme; allenatori e Pokémon affollavano l'ingresso e il giardino esterno: si allenavano, parlavano, pensavano alle tattiche... tutti pronti per la sfida finale. Giovanni fece uscire tutti: Jukain jr, Wing, Magnezone, Aggron e Camerupt.
«Guardate, ragazzi. Questa è la nostra sfida finale.» disse, con emozione, con il cuore pieno di gioia.
*«Vinceremo.» * sorrise Jukain, stringendosi il foulard alla quale era cucita la Sceptilite.
Gli altri annuirono. E furono pronti.

  
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