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Autore: Robin Nightingale    14/09/2015    3 recensioni
Piccola raccolta di ricordi.
Kanon di Gemini ricorda vari momenti della sua vita: dall'infanzia, all'adolescenza, alla sua vita al Santuario e, soprattutto, ciò che di più prezioso possiede.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capo Sounion si trovava a ben sessantanove Kilometri da Atene.
Eravamo ad una festa in città con i nostri genitori, quando ho sentito il bisogno di rimanere da solo e allontanarmi da voi.
Ho camminato tanto, con lo sguardo rivolto verso le mie scarpe e uno sguardo cupo, che poco si addiceva a quel clima troppo gioioso per i miei gusti.
Non pensavo ,però, di aver passeggiato così a lungo; non me n’ero reso conto fino a quando non ho visto quel maestoso promontorio dinnanzi ai miei occhi.
Era il posto ideale, perché lì non veniva mai nessuno, e l’unica mia compagnia sarebbe stata il mare, con le sue onde che si infrangevano contro la roccia.
Era un posto incantevole, eppure avvertivo una strana angoscia dentro di me, un forte dolore al petto.
Questo posto aveva un non so che di sinistro, che contribuiva al suo misterioso fascino; avevo la sensazione di averlo già visto, di esserci già stato, nonostante fosse la prima volta.
Ho sentito parecchie leggende su Capo Sounion: molti pescatori affermavano che, avvicinandosi sempre di più alle sue pendici, era possibile udire il canto delle sirene, o addirittura la voce di Poseidon.
Non ho mai creduto a queste dicerie, ma allo stesso tempo ero incuriosito; così, mi sono avvicinato ugualmente: non ho udito nulla, né un suono, né un lamento, e anche se ne ero consapevole, sono rimasto comunque deluso.
Stavo per tornare indietro, quando la mia attenzione venne catturata da una strana grotta situata proprio ai piedi del monte.
Vi erano delle sbarre e aveva tutta l’aria di essere una prigione; era chiusa, non aveva via d’uscita e l’acqua, una volta salita l’alta marea, l’avrebbe sommersa del tutto.
Mi chiedevo cosa ci facesse lì e soprattutto a cosa servisse, ma la cosa più strana, era come io mi fossi incantato alla sua vista. Ero come ipnotizzato, mentre il mio stomaco si contorceva.
Mentre guardavo fisso di fronte a me, verso quelle sbarre arrugginite e quel buio che stuzzicava la mia curiosità e fantasia, la mia gola si era seccata. Dentro di me sentivo qualcosa, una voce: non erano sirene, non era il Dio del Mare, era…una donna.
La sua voce era rassicurante, calda, dolce, quasi materna; mi sentivo cullato, nonostante fosse solo frutto dalla mia immaginazione, e sussurrandomi lievemente nelle orecchie, mi intimava a proseguire.
Avevo timore, ma lei continuava a ripetermi che non mi sarebbe accaduto nulla; senza capire come o perché, le mie gambe andarono avanti da sole, ma prima che potessi superare lo scoglio, sei arrivato tu, poggiandomi una mano sulla spalla.

<< Sono ore che ti cerco, ma dov’eri finito?! >>

Io ero in un altro mondo, tanto che non ho capito una sola parola di quello che avevi detto; mi hai scosso con forza, continuando a chiamarmi in maniera apprensiva, ma non riuscivo a sentirti.

<< Cosa stai guardando? >>

La tua domanda mi aveva risvegliato da quello strano torpore in cui ero caduto. Sorpreso, mi chiedevo come avessi fatto a trovarmi, balbettavo senza sapere cosa dire, mentre tu ti voltavi verso la grotta.
Improvvisamente ti eri irrigidito: eri terribilmente serio in faccia e per un secondo ti eri perso come me; poi, mi hai preso la mano e mi hai strattonato via da lì, con aria decisamente preoccupata.
Ci siamo allontanati di qualche metro e dopo esserti accertato di essere abbastanza distante, hai ripreso a sorridere come al solito, ignorando i miei silenziosi perché.

<< Che stavi facendo? >>

Mi hai chiesto divertito, come se nulla fosse.

<< Niente >>

La prima risposta che mi era venuta in mente. Era la verità, dopotutto, ma non sapevo come spiegarti le sensazioni che ho provato in quel momento: la familiarità con il posto, la voce di quella donna…mi avresti dato del pazzo.
Tornai a guardare la grotta, seguito dal tuo sguardo indagatore.

<< Si dice che sia una prigione per i cavalieri malvagi, o traditori della dea Athena >>

Senza che io ti chiedessi nulla, avevi risposto alle mie domande scrollando le spalle, perché ne sapevi quanto me.
La tua risposta mi aveva lasciato alquanto interdetto; era un’altra leggenda, questo suggeriva il tuo sguardo divertito, quasi a volermi prendere in giro, perché sapevi che ci avrei creduto, o quantomeno, mi avrebbe affascinato.

<< E guarda: lì, sulla cima, vedi quelle vecchie colonne? Si dice che sia il vecchio palazzo di Poseidon, prima che vivesse negli abissi >>

Con il dito mi indicavi la cima del promontorio, dove era possibile vedere delle antiche colonne, risalenti a chissà quanti secoli prima: stranamente si reggevano ancora in piedi.
Non ho mai creduto alle leggende, ma le tue parole avevano stuzzicato la mia curiosità; lo sapevi e ti eri già pentito di aver aperto bocca, soprattutto dopo aver visto il mio sguardo malizioso.

<< Non pensarci nemmeno! E’ tardi e dobbiamo tornare indietro >>

Ero già corso via prima ancora che tu finissi la frase. Come un fulmine avevo percorso tutto il sentiero che portava sulla sommità di Capo Sounion e in un secondo mi trovai davanti a quelle antiche rovine.
Non pensavo che fossero così grandi, eppure sembravano così piccole viste da laggiù; sfortunatamente, non avevo trovato nulla che potesse destare il mio interesse, o appagare la mia curiosità: tutto ciò che quelle macerie nascondevano in passato, adesso non vi era più, come se il tempo avesse cancellato ogni cosa.
Ero deluso, anche se non sapevo cosa mi aspettassi di trovare esattamente; attorno a me vi erano solo rocce, niente che potesse ricordare il Dio del Mare, o qualsiasi altra divinità.

<< E’ solo un vecchio tempio, cosa ti aspettavi di trovare? >>

Avevi il fiatone a causa della corsa, ma il tuo sguardo beffardo era sempre presente. Io scrollai le spalle in segno di risposta, per poi sedermi sull’erba.
Senza aspettare il mio invito, mi avevi raggiunto, godendoti il paesaggio attorno a noi: quella sera, il cielo era pieno di stelle e da lassù, sembravano molto più grandi e luminose.
Intorno a noi vi era silenzio, interrotto dal solo rumore delle onde, il vento ci scompigliava i capelli e l’aria profumava di salsedine.
Era da tempo che non passavamo del tempo da soli, io e te soltanto, e ciò mi rendeva felice, tanto da desiderare di non tornare più indietro alla nostra vita quotidiana. E vedendo il tuo sorriso, sapevo che stavi pensando lo stesso.

<< Guarda, la costellazione dei Gemelli >>

Indicavi nuovamente con il dito, mentre io cercavo di individuare l’oggetto del tuo interesse, senza capire dove fossero questi due gemelli.
Intuendo le mie difficoltà, iniziasti a ridere di gusto, con il solo risultato di farmi arrabbiare.

<< Si chiama così perché è composta da due grandi stelle, quasi identiche, che ricordano due gemelli: Castore e Polluce >>

Brillavano intensamente, ed erano così vicine che sembravano toccarsi l’un l’altro; d’istinto poggiai la mano sulla tua, stringendola appena, mentre tu ti tiravi su con la schiena, ancora intento ad osservare la volta celeste.

<< Te li ricordi? >>

<< Chi? >>

<< I Dioscuri >>

Sì, ricordavo qualcosa, ma in quel momento avevo solo voglia di sentirti parlare e la mia risposta fu no. Mi piaceva quando mi raccontavi delle storie, e seppur didattiche come quella, non mi sarei di certo annoiato.

<< Secondo il mito, Castore e Polluce erano figli di Zeus e Leda, ma secondo alcune versioni solo Polluce era figlio del Padre degli Déi e quindi immortale, mentre Castore sarebbe figlio di Tindaro, re di Sparta, destinato a morire. Erano degli argonauti, degli eroi, e come tutti i gemelli erano legati da un amore profondo. Si dice che quando Castore morì, a causa di una ferita riportata in battaglia, Polluce volle seguire il destino del fratello, decidendo di vivere nell’Ade pur di stargli accanto >>

Mentre ascoltavo il tuo racconto, la sensazione che avevo avvertito prima, vicino la prigione, era tornata a farsi sentire; mi sono tirato su, mentre il mio stomaco era in subbuglio, con la paura di gettar via anche l’anima e la testa che mi girava.
Stavi parlando di noi, me lo sentivo, stavi parlando di te.
Io Castore, tu Polluce.
Tu il dio, io un semplice uomo.
Neanche un mito ci rendeva pari.

<< Zeus, commosso dal loro legame, decise di farli vivere per sempre insieme, in cielo, così nacque la costellazione dei Gemelli >>

Continuavi a raccontare con il sorriso sulle labbra. Solo una volta finito, ti eri reso conto del mio malessere e della mia totale assenza.
Non rispondevo ai tuoi richiami, ai tuoi schiaffi, ai tuoi strattoni, isolandomi dal mondo circostante.

<< La smetti di fissare il vuoto, fai paura! >>

Non stavo fissando il vuoto, stavo guardando il cielo, dove proprio in quel momento una stella cadente attraversò la nostra costellazione, mentre le uniche parole che mi ronzavano in testa erano: insieme e per sempre.

<< Cos’hai desiderato? >>

Di cosa mi sorprendevo? A te non sfuggiva mai niente, non eri forse perfetto?
Vederti così curioso mi faceva sorridere, eri così simile a me da farmi quasi tenerezza.
Non potevo mentirti, sarebbe stato inutile, e anche se ero solo un ragazzino, sapevo che certe credenze non avevano alcun fondamento.

<< Te >>

La mia voce era un sussurro; mi sono avvicinato ancora di più, stringendoti entrambe le mani, lasciandoti interdetto.

<< Ci pensi mai? >>

<< A cosa? >>

<< A me…e a te, insieme >>

Sul tuo volto comparve lo stupore e forse anche l’imbarazzo, i tuoi occhi sgranati ne erano la conferma.
Mi sono alzato, trascinandoti con me sotto i raggi lunari; i nostri occhi si incrociarono, così come le nostre mani, che continuavo ad accarezzare e stringere talmente forte da non lasciarti via di fuga.

<< Un mondo tutto nostro, è questo ciò che ho chiesto. Un mondo tutto per noi, dove siamo insieme, per sempre, e non esiste nessun altro, solo noi. Tu ed io, senza papà, la mamma, la nonna, senza distinzioni, senza dolore. Un mondo dove io e te siamo uguali, perfetti allo stesso modo, dove siamo felici. Non ti piacerebbe vivere in un mondo dove l’unica cosa che conta è il nostro amore, il nostro affetto, il nostro legame? Io e te come unici sovrani di un universo creato appositamente per noi, come Castore e Polluce e la loro costellazione dei Gemelli >>

Parlavo come un fiume in piena, non ho ripreso fiato neanche per un secondo. Pronunciavo quelle parole come se fossero una disperata richiesta d’aiuto.
Tu eri rimasto in silenzio e non ne capivo il motivo.
Mi aspettavo qualsiasi tipo di reazione, ma non quella. Non era abbastanza la mia proposta? Di che altro avevi bisogno, se non di tuo fratello? Era così strano desiderare un posto, dove tutte le persone che mi avevano ferito non esistevano, dove vi eri solo tu che, invece, mi avevi sempre accettato?
Mi hai gettato le braccia al collo, lasciandomi senza parole. Mi hai stretto talmente forte da impedirmi di respirare, eri tu a volermi togliere ogni via di fuga, adesso; nell’orecchio mi hai sussurrato di non desiderare altro, e allora ho ricambiato il tuo abbraccio.
Ero abbastanza forte da non lasciar andare via le lacrime, dopotutto, sapevo che non mi avresti mai detto di no, perché tu non eri come gli altri, non eri come tutte le persone che mi circondavano.
Tu mi volevi bene, ed eri l’unica persona al mondo a volermene, anche se non lo dicevi mai.
A me bastava saperlo, perché era la mia unica ancora di salvezza.

Note
Salve miei cari lettori e buona sera.
Ebbene sì, ho finalmente donato a Kanon l'uso della parola, sperando ne faccia un buon uso.
Tutto ciò che dice Saga, oltre ad essere un racconto moooolto a grandi linee del mito di Castore e Polluce, e a farlo sembrare un insopportabile so tutto io, sono informazioni che trovate tranquillamente su Wikipedia, o in qualsiasi altro sito che tratti di mitologia greca.
Mi complimento con entrambi i gemelli per essere riusciti a fare 69 Km a piedi, io a stento riesco a farne due.
Detto questo, vi ringrazio nuovamente tutti dal più profondo del cuore e spero che anche questo racconto vi piaccia come, al momento, vi sono piaciuti i precedenti.
Un bacio e buona lettura.
  
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