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Autore: Indaco_    15/09/2015    7 recensioni
Il cuore di Amy saltò un battito capendo bene che quel devastante e incredibile dettaglio non era affatto dovuto ad una semplice coincidenza.
I puri e grandi occhi del piccolo erano di un accecante verde magnetico.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dance'
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QUATTRO ANNI DOPO

< Justin! Sveglia tesoro! E' ora di alzarsi! > esclamò Amy spalancando tende e finestre della cameretta. La stanza venne invasa da luce e aria fresca, svegliando bruscamente il riccetto blu, che nascose la testa sotto il cuscino sperando di poter dormire qualche minuto in più.
< No … un altro po’ > biascicò assonnato notando che la madre davanti al suo letto non accennava ad andarsene. La rosa sorrise maliziosa e incrociò le braccia al petto,
< d’accordo, resta pure lì, ma sappi che papà mangerà tutti i tuoi cereali preferiti > ricattò sicurissima di sé, ostentando indifferenza. Come previsto, il bambino scattò in piedi e infilatosi le ciabatte volò in salotto a velocità decisamente anormale per un bimbo di 4 anni, rischiando di scivolare e ruzzolare giù dalle scale a velocità mostruosa.
Amy sospirò e lo seguì con calma in cucina. Di quel passo era sicura che prima o poi si sarebbe schiantato addosso al muro. Controllando l’orologio appeso alla parete, la riccia si accorse che erano già in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Concluse in fretta e furia il suo caffè amaro e corse in camera a cambiarsi, lasciando il riccetto davanti alla tazza di latte. Non poteva assolutamente tardare anche quel giorno, era la quarta volta quella settimana e il suo maestro, giustamente, l’avrebbe nuovamente rimproverata di fronte a tutta la classe.
Meglio evitare penose figuracce di prima mattina, soprattutto alla sua età e con un figlioletto di 4 anni.
 A metà scalinata rallentò l’andatura e il più silenziosamente possibile raggiunse la sua camera, ben chiusa. Con un sospiro e facendosi forza,  la ragazza abbassò la maniglia e fece scivolare la porta sui cardini cercando di non farla stridere.
Il tanfo di alcool e l’aria viziata la stordirono per qualche secondo, bloccandola sulla porta indecisa. Se avesse svegliato Jason sicuramente si sarebbe arrabbiato e quando si arrabbiava, tutto quello che entrava nel suo raggio d’azione veniva massacrato.
E lei non ci teneva a fare quella fine.
Silenziosamente si appostò di fronte all’armadio e iniziò a vestirsi stando ben attenta a non far rumore. La debole luce che entrò dalla porta però, bastò a svegliare il riccio. Il quale, con un grugnito infastidito, si rigirò pesantemente su un fianco e aprì un occhio, scrutando la riccia che si vestiva cautamente.
< Mmmmh … amore vieni qui > sillabò con voce impastata di alcool e malizia, tendendo debolmente una mano verso la sua direzione. La rosa infilò i jeans con un gesto secco, capendo bene che il riccio la stava mangiando con gli occhi,
< no, sei ubriaco fradicio Jason > motivò seria a sangue freddo, sperando di mostrare più coraggio di quello che sentiva. Le mani le tremavano dalla paura, tanto che i bottoni del golfino continuavano a scapparle dalle dita. Con un ringhio indispettito, l’adulto sillabò una bestemmia piuttosto pesante, iniziando poi ad insultare la ragazza con commenti volgari e molto offensivi.
La rosa allarmata da quello sfogo, uscì fuori dalla stanza di tutta fretta prima che il blu potesse alzarsi e bloccarla la dentro. Chiuse la porta delicatamente e soprattutto velocemente, sperando che il buio lo calmasse e spegnesse la brace che aveva involontariamente aizzato. Si fiondò nella camera di Justin con il cuore che batteva all’impazzata. Il collo era umido di sudore freddo e gli aculei sottili le si erano incollati alla nuca. Appoggiandosi alla porta in allerta, portò una mano alla fronte tentando di calmare i battiti del cuore. “Calmati Amy, muoviti ed esci di casa” pensò angosciata, doveva come prima cosa portare al sicuro almeno Justin e l’asilo era l’unica ancora di salvezza al momento.
Nella stanza trovò il piccolo blu che tentava di vestirsi da solo. Di fronte alla scena comicissima le scappò un sorriso, riuscendo finalmente a rilassarsi un po’. I pantaloni, messi al contrario, non si degnavano ovviamente di salire e il piccolo aveva iniziato a saltellare per tutta la stanza cercando di infilarseli con scarsissimi risultati.
< Sono storti i pantaloni! > esclamò con una risata, bloccando i suoi saltelli prima che cadesse a terra. Justin sbuffò innervosito e si lasciò vestire da capo a piedi. Una volta conclusa l’opera di vestizione, la rosa preparò la borsetta del piccolo e il suo borsone. Fatto ciò, con un po’ d’ansia, salì nuovamente in camera e aprì la porta con molta cautela, quel tanto che bastava per far passare una piccola striscia di luce,
< J-Jason? Devi andare a prenderlo tu oggi, sono al lavoro fino a tardi. Mi raccomando, alle 4.30 davanti all’asilo, ok? > mormorò titubante cercando di mostrarsi gentile e cordiale, come risposta ottenne un breve e sfottente grugnito d’ assenso.
Chiuse la porta ancor più delicatamente di prima e assieme a Justin uscì finalmente da quella casa che odiava con tutta se stessa. Gout City era molto diversa da Mobius, distava all’incirca 4 ore di macchina, ma contrariamente alla città natale, era molto più piccola e ristretta. Nonostante il centro storico fosse molto curato e ben tenuto, il resto sembrava più un ammasso grigio di cemento e ferro. Le case erano ammucchiate in quartieri super affollati e gli spazi verdi erano ridotti a piccole aiuole attorno alla chiesetta.
Tutto sommato la gente era piuttosto tranquilla e normale, la piccola cittadina non offriva grandi attrattive ma per Amy era più un beneficio che un problema: anche se ci fossero state, Jason non l’avrebbe né portata, né tantomeno lasciata andare.
Grazie a Dio c’era l’accademia di danza e il suo bambino, le uniche due cose che riuscivano a tirarle su il  morale negli ultimi tempi.

Davanti alle porte a vetri dell’asilo, Amy si inginocchiò di fronte al suo piccolo e lo baciò sulle guancie calde, dopodiché con tono fermo e rassicurante lo avvertì
< oggi verrà a prenderti papà, mi raccomando Justin! Ascoltalo sempre e sii silenzioso, ok? > mormorò a bassa voce guardandolo dritto in quegli occhi verde evidenziatore, cercando di imprimergli bene il messaggio. Pregava e sperava che Jason non alzasse un dito su di lui.
Alla notizia infausta Justin si agitò e scalpitò,
< no, per favore! Non voglio Jason! > esclamò il piccino aggrappandosi alle braccia della madre, completamente terrorizzato dalla figura paterna. Amy respirò profondamente e accarezzò con delicatezza gli aculei blu elettrico del piccolo, tranquillizzandolo un po’
< non ti farà niente basta che non disubbidisci ok? Promettimelo > mormorò a bassa voce tendendogli un mignolo. Faticava così tanto a mostrarsi serena e sicura, dentro di se moriva dalla paura per quello che poteva accadere senza di lei. Justin esitò per un istante, ma poi con un sospiro abbattuto, agganciò il suo minuscolo mignolino a quello della madre, sperando che avesse ragione su tutto. Amy sorrise e lo strinse forte a se, coccolandolo un altro po’,
< se lui non dovesse venire, non allontanarti dall’asilo, hai il mio numero nella sacca, casomai fammi chiamare dalla maestra > bisbigliò all’orecchio del piccolo rialzandosi in piedi. Justin annuì un po’ più rasserenato, aveva visto un suo amichetto e non vedeva l’ora di raggiungerlo.
Una volta assicurata che il bambino fosse entrato in aula, la riccia fece velocemente dietrofront e si mise a correre lungo il marciapiede, scansando abilmente tutti gli ostacoli che le si paravano di fronte.
Era molto preoccupata per la crescita di Justin, la figura dei genitori era molto importante per la formazione psicologica del cucciolo, ma Jason non era il tipo di padre perfetto e Justin ne era sempre più spaventato.
La rosa cercava in tutti i modi di non creare contrasti tra i due, ma era letteralmente impossibile senza l’impegno di Jason. Con il piccolo risultava intrattabile, non c’era dialogo, nemmeno un briciolo di aiuto nei confronti del bambino. Meno lo vedeva meglio stava. Justin, diversamente, aveva sempre cercato affetto e un minimo di presenza da parte del riccio, ma le continue minacce e le brusche maniere avevano sviluppato nel piccolo un senso di terrore smisurato, che sbocciava in frequenti incubi e pianti disperati. E lei non riusciva a sopportare l’infelicità del suo piccolo, la faceva sentire una nullità. Possibile che lei, sua madre, non riuscisse a proteggerlo da quell’uomo?
Fortunatamente la scuola di danza era a 10 minuti dall’asilo perciò impiegò pochissimo tempo a raggiungerla. Sputando i polmoni entrò di volata nello spogliatoio vuoto e con dispiacere notò che non era riuscita ad arrivare in orario nemmeno quel giorno e per di più, tutti i ballerini erano già in sala!
Sbuffando si cambiò di tutta fretta, pettinandosi al volo e cercando di sbrigarsi. Infilò le scarpette da punta e cercando di non farsi notare troppo, entrò in sala, salutando con un sorriso tutti i ballerini che ricambiarono a loro volta. Si era appena messa al solito posto alla sbarra, quando percepì la presenza di qualcuno avvicinarsi a lei. Iniziò subito ad agitarsi, sapeva già di chi si trattava e non aveva la minima voglia di scambiare parola con lui.
Cercando di allontanarlo finse di essere super concentrata nei passi che stava eseguendo, mentre in realtà tendeva l’orecchio su quelli delicati sempre più vicini. E come aveva predetto, si materializzò di fronte a lei Pidge, una pantera dal manto ebano con occhi color verde acqua.
In quel momento, squadrandola da cima a fondo con le mani poggiate ai fianchi, esternava un sorriso malizioso. La rosa arrossì, era da quando era entrata lì dentro che lui ci provava in modo assillante e lei non ne poteva più. Aveva già provato a chiarire la questione infinite volte, ma lui negativo, aveva fatto finta di non capire continuando il suo sgradito corteggiamento.
La ragazza sorrise a sua volta, distogliendo velocemente gli occhi da lui e controllando i movimenti aggraziati ed eleganti. Sperando vivamente che quel gesto lo inducesse ad allontanarsi in fretta e a lasciarla in pace almeno fino all’ora di pranzo.
 


I raggi caldi e chiari del sole fecero capolino molto presto quella mattina e filtrando dalle tende, andarono a concentrarsi sulle palpebre del riccio blu, ancora profondamente addormentato. L’intera stanza era immersa in una piacevolissima e calda quiete quasi paradisiaca, pace che venne interrotta qualche secondo dopo da un’acuta voce femminile proveniente dalla cucina.
< Amore! Alzati! > esclamò la ragazza dal piano inferiore dando prova di notevoli corde vocali. Sonic aprì gli occhi, ma, ancor prima di mettere a fuoco qualcosa, venne accecato dalla luce che lo costrinse a seppellire la testa sotto il cuscino.
Quell’improvvisa e acuta richiesta di alzarsi lo aveva irritato e infastidito a dismisura, non aveva voglia di affrontare la nuova giornata, semmai avrebbe dormito altri dieci minuti. Si stava giusto riappisolando quando la ragazza ripartì all’attacco decisa a far scendere il blu a tutti costi:
< muoviti! Non ho molto tempo! >urlò di nuovo spazientita. Sapeva benissimo che il riccio faceva finta di non sentirla.
Maledicendola e arrendendosi, Sonic si stropicciò il viso, si alzò e si rivestì in fretta, trovando alcuni vestiti sparpagliati a terra e sul letto. Ma per quanto cercasse, non riusciva a trovare la sua t-shirt, “ma dove l’avrà messa?” pensò perplesso tentando di ricordare la serata precedente.
 Lanciò un’occhiata sotto al letto, trovandoci però, solamente gli slip in pizzo nero della ragazza. Roteando gli occhi lanciò un nuovo sbuffo e scese in cucina a passi lenti e pesanti. Subito un buon profumo di dolce e caffè lo accolse, aiutandolo a risvegliarsi meglio.
Entrando nell’ampia cucina, venne accolto dalla visione quasi angelica del corpo della coniglia,  di un pallidissimo azzurro, intenta a versare il caffè nelle tazzine spaiate. Il fondoschiena era coperto per un soffio dalla famigerata t-shirt tanto cercata.
I capelli che le arrivavano appena sotto le spalle erano spettinati regalandole un’aria sbarazzina e un po’ da maschiaccio. Sonic non potè fare a meno di osservare con tanto d’occhi quel meraviglioso spettacolo mattutino, riflettendo sul fatto che sarebbe sceso ben prima se solo avesse saputo ciò che lo aspettava in cucina.
< Guarda che la rivoglio la maglietta > sentenziò con fare ironico versandosi del succo di frutta. La ragazza, accorgendosi solo in quell’istante della sua presenza, voltò la testa sorridendogli maliziosa e fece per togliersela con leggerezza,
< NO! Non intendevo ora! >  la bloccò il blu prima che potesse svestirsi completamente. La coniglietta riabbassò l’indumento con una certa sorpresa e gli si avvicinò, salendogli sulle ginocchia in modo sensuale, < non sarai stanco, spero > borbottò con aria imbronciata puntando a pizzicarlo sul vivo. Cosa che le riuscì alla perfezione, dimostrando ancora una volta di conoscerlo meglio del previsto,
< figurati! Ma non posso arrivare di nuovo in ritardo al lavoro > rispose orgoglioso scostandole i capelli dagli occhi in modo sbrigativo, ecco, ci mancava solo che l’accusasse di impotenza.
L’azzurra sorrise soddisfatta della risposta e lo travolse in un appassionato bacio,
< d’accordo, ma torna presto > rispose con tono alludente, accarezzando il collo del riccio con le punta delle dita. Sonic le sorrise tirato e la fece sollevare dalle sue gambe,
< ok, vedo cosa posso fare >mormorò con poca convinzione, abbandonandola in cucina.

Uscì di casa mezz’ora dopo, dopo aver salutato sbrigativamente la ragazza color pastello. Sceso in strada si riavviò i lunghi aculei e si diresse a scuola a grandi falcate, pensando alla serata passata.
Erano usciti a mangiare assieme e dopo una delle cene più brevi della sua vita, si era trovato a letto con la focosa ragazza. Non che gli dispiacesse ovvio, ma dopo ben due settimane con lei, iniziava già a sentirsi imprigionato e di certo il comportamento rigido della ragazza non aiutava.
Era talmente intransigente su certi orari, che il ritardo di anche soli 5 minuti scatenava di quelle scenate che facevano inferocire il blu. Passavano perciò la serata a sbraitarsi addosso e poi riappacificavano in camera da letto. Ma nonostante i continui e numerosi litigi, nulla era cambiato: lui ritardava, lei si incazzava, lui si infuriava e avanti così.
Decise perciò, così su due piedi, di lasciarla la sera stessa o alla peggio il giorno dopo. Stava appunto riflettendo su cosa poterle dire quando un’acuta voce infantile trillò dietro di lui, riscuotendolo dagli elaborati pensieri,
< ziooo! >.
Si girò appena in tempo per vedere una piccola gattina pezzata correre verso di lui e saltare con grazia felina tra le sue braccia.
Con ottimi e fortuiti riflessi, l’acchiappò al volo e gli scoccò un grosso bacio sulla guancia, mentre la piccina si stringeva sempre più a lui.
< Buongiorno, principessa > mormorò Sonic alla piccola, andando incontro a Silver e a Blaze, di qualche passo più addietro.
< Oh mi dispiace, Sonic, si è letteralmente innamorata di te > sbuffò la gatta in forma smagliante, rubandogliela dalle braccia.
< Non preoccuparti, sai che non mi da fastidio. Buongiorno a tutti comunque. Ciao, Rihanna > salutò con affetto, accarezzando gli aculei argentati della primogenita. Le figlie del suo migliore amico e della relativa compagna erano due graziosissime bambine di 4 e 5 anni, Beyoncè e Rihanna.
La prima era una gattina lilla pezzata di argento, la seconda, una riccia argento con gli occhi color ambra ereditati sicuramente da Blaze.
Inutile dire quanto teneva a quelle due pesti, non avendo figli e desiderandoli ardentemente, Sonic viziava e coccolava le piccole in ogni modo possibile per vederle felici.
Salutate la madre e le bambine, i due ricci adulti si avviarono verso la scuola di ballo a grandi passi
< come è andata ieri sera infine? > esclamò con una certa curiosità Silver, legandosi i capelli per l’imminente lezione.
< Bene, ma nulla di speciale >  rispose il blu con un debole sorriso, lasciando intendere chiaramente che non era avvenuto nulla di diverso dal solito. L’argentato sorrise e scosse la testa,
< sospettavo. Mollerai anche questa, non è vero? > domandò trapelando una determinata sicurezza e soprattutto, indicando che conosceva bene il suo migliore amico.
Sonic sorrise malizioso e portando le mani sulla nuca gli lanciò un occhiolino affermativo,
< perspicace Silver >.


Aggiornamento: 15/01/2019

Come il primo capitolo, l'ho rifatto mantenendo la struttura originale e cambiando alcuni dialoghi che non mi piacevano più.
Spero vi piaccia.
Baci.
Martina

Si ringrazia ardentemente RoryJackson, la quale ha corretto interamente e perfettamente il capitolo. Ti ringrazio davvero di cuore Ro <3!
  
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