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Autore: Matih Bobek    15/09/2015    2 recensioni
Il cosmo nel caos è una raccolta di poesie che racchiude le esperienze emotive dell'ultimo anno (2014/2015). Si toccano tematiche differenti: il senso di colpa e la ricerca dell'io, l'essere e il divenire, la rassegnazione in campo amoroso e l'inquietudine sociale, il tutto raccolto in contorni naturalistici ( che richiamano la poesia cinese). Segna una nuova tappa nel mio percorso di maturazione.
La raccolta presenta prevalentemente poesie in versi liberi, ma anche quartine brevi in quattro o cinque parole ( anche qui, sulla base di una struttura metrica appartenente alla poesia cinese).
Questi componimenti sono pensati per raccogliere in un microcosmo di parole due mondi distanti, : l'occidente e l'estremo oriente. Perciò sono frequenti i riferimenti al mondo letterario e culturale cinese, in particolar modo, e giapponese, nonché alla filosofie orientali.
Il cosmo nel caos appare senza la minima coesione interna. In realtà fa del suo caos il cardine per erigere un cosmo poetico.
Spero che la mia seconda raccolta sia di vostro gradimento. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Sfugge un rivolo di luce
alla padrona Luna, che trafigge
in silenzio il vuoto vitreo della
finestra.
E' la sola  luce, qui e ora,
a fendere l'immenso
buio di questa stanza; l'unica
scheggia luminosa traffita
nel fianco di questa cupa sfera
che mai smette di girare.

Stendo un braccio e le dita
accarezzano il buio; 
mi alzo in piedi e sono
parte del nero. 

Solo qualche passo, 
solo pochi, verso di lei,
che mi guarda impavida
aldilà dei campi incolti
sul versante stellato
di un lembo di questo
cielo che m'illudo sia
solo mio.

Incastonato vivo
tra le braccia levigate
di questa stanza, io non
sono che un pulsante
respiro avido di colore
che agogna morente
ad un sorso di luce
per poter evadere
e poi brillare sotto quella
 pioggia scrosciante
e infine, tuffarmi ad
occhi chiusi nell'alone
dorato del disco calante,
fino a tatuarmi caldo sulla 
pelle lo splendore etereo.

Rimango qui: sul fondo
vile dei miei fallimenti,
tra teschi di sogni
e ossa di speranze:
sdraiarsi sul fondo è facile,
altro è sfuggire al buio
e arrampircarsi incerti
sui pendii disseminati
di edere e rampicanti
seguendo chissà
che luce. 
La peggiore delle certezze
è sempre meglio
di qualsiasi incertezza.

Sul pavimento freddo,
almeno, qui, ora
a piccoli passi,
tra un singhiozzo e
un sorriso, inseguo 
quella piccola, unica
goccia di luce che lucida
sguizza tra le venuzze
del marmo e così so
riconoscere i miei contorni; 
il mio principio; la mia fine.
   
 
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