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Autore: Nid Achates    15/09/2015    1 recensioni
Sono stanca. O forse no. Sono addirittura incerta su qualcosa di semplice e lampante come il mio stato di salute. L'unica cosa che pretendo di sapere è che sto amando senza condizioni. Sto spargendo amore in modo incontrollato, spingendo il mio cuore e la mia psiche verso il completo collasso, esaurendo ogni risorsa fisica e mentale. Questo è quello di cui sono completamente certa. L'unico pensiero su cui non ho il minimo dubbio o la più pallida ombra di ripensamento: amo senza condizioni.
Ed è anche l'unica cosa che non abbia detto a lui, che di tutto questo amore è l'oggetto.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Entro nel bar con passo spigliato, la solita aria distratta, nella luce smorta di un martedì di fine estate. Dietro il vetro lucente dell’espositore file ordinate di dolci d’ogni sorta danno bella mostra di se, i colori accesi della frutta attirano lo sguardo, ma nello stato attuale dei miei pensieri non posso provare altro che nausea, tanta è la tensione,  ed è con una certa riluttanza che mi avvicino al bancone per ordinare un caffè.

Sorrido, giusto per cortesia, alla barista e mi inoltro nei meandri del locale alla ricerca del tavolo più remoto ed isolato possibile. Dopo una caccia infruttuosa mi rassegno, sedendomi con ritrosia accanto alla vetrata che inonda di luce l’intero salone: m’è andata male, l’ambiente è decisamente troppo luminoso per i miei gusti. Abbasso lo sguardo sul caffè nero, ancora fumante, cercando di non pensare. Lo sento, da qualche parte nell’ingestibile turbine di pensieri che mi sconvolge la testa, il desiderio di potermi concentrare solo sulle volute morbide e profumate che salgono in pigre spirali dalla tazzina… Ma è un desiderio flebile, un’eco sorda che non riesce a sovrastare il tumulto che alberga nella mia mente.

 

A dispetto del temporale che ho dentro, fuori regna la calma piatta: la vetrata accanto cui sono seduta mi mostra la grigia tristezza di un incrocio suburbano deserto, le erbacce a combattere strenuamente contro l’asfalto, bagnato da una luce troppo insistente per appartenere a questo cielo di settembre, già nuvoloso, opprimente. Mi perdo a valutare i toni di grigio, a studiare la consistenza di quel riverbero ostinato, da mal di testa, infastidita dall’insistenza dei miei stessi pensieri, rammaricandomi del fatto che la maggior parte parte di essi tratta dello stesso argomento. Non mi piace chiamarlo ossessione, ma definirlo semplice interesse è eufemistico. Con lo sguardo torno al caffè, con la mente torno al mio complesso. A nulla valgono i tentativi di cacciarlo in un angolo, ma sono troppo ansiosa per l’esame dell’indomani per lasciare che i miei sentimenti dominino incontrastati: per quanto banale e ordinario, quello della teoria per la patente è pur sempre un test e ci si aspetta che venga superato.

Ed è con questo senso d’ansia, di trepida attesa, che penso al modo in cui sto vivendo i diciott’anni; questo benedetto concetto di maturità che sembra aver iniziato a darmi la caccia dalla metà dei diciassette e che infallibile mi perseguita tutt’ora. Il fatto che sto seguendo le tue orme, per quanto naturale sia, dal momento che è un percorso praticamente imposto, mi rende il tutto più sopportabile: mi conforta il fatto che probabilmente tempo addietro pure tu provavi ciò che sento io in questo momento. Mi riesce facile immaginarti seduto nell’angolo più isolato di un bar, il cipiglio serio, con l’espressione leggermente corrucciata mentre ti mordi il labbro. Mi consolo pensando che gli esami e le mille difficoltà che da qui a pochi mesi dovrò affrontare saranno solo altre esperienze che avrò in comune con te. Anche se mi rendo conto che non si tratta d’altro che di qualche punto fermo nel mezzo di un oceano di incertezze…

Il margine di tempo che mi resta è sufficiente a concedermi di restarmene quieta, almeno all’apparenza, nel bar; un’opportunità che non mi capita spesso e che accolgo con gratitudine. Un sorriso sbieco, mando giù il caffè amaro. Un’altra occhiata al cellulare mi conferma l’esagerato anticipo: eh si, un po’ alla volta finisco col prendere pure le tue abitudini. Com’è strano pensarti familiare, pensare al tuo modo di fare e immaginare i tuoi comportamenti nell’una o nell’altra situazione: mi sembra semplicemente assurdo lo sviluppo che ha preso l’intera faccenda, la spontaneità con cui all’improvviso il fato ha deciso di esaudire, anche se solo in parte, i miei desideri e la naturalezza con cui sei diventato parte della mia quotidianità.

   
 
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