Non sono sparita, sono viva
e ogni tanto la mia testa fa capolino tra le pile di libri che mi
sommergono.
So che l’attesa è stata
tantissima e mi dispiace, questa capitolo non è lunghissimo
e probabilmente
nemmeno molto soddisfacente, ma i prossimo sono tutti delle
sperimentazioni
letterarie…quindi leggete e giudicate.
Solite raccomandazioni: la
storia è stata pensata con la canzone presente nel testo,
per cui ne raccomando
caldamente l’ascolto!
Katniss POV.
E, come sempre, nessuno dei
personaggi mi appartiene!
Buona lettura!
Mirror
I look in the mirror
And I try to understand
And piece it together
Wash the blood from both my hands
I can't see the ending
There are people who know my every secret
I'm tired of pretending
You're in my heart
In my heart
Era
stato suo padre ad insegnarle a fidarsi dei propri sensi.
La
prima volta che l’aveva portata nei boschi, proprio al limite
tra questi e il
Prato, si era fermato e le aveva fatto segno di fare silenzio
premendosi
l’indice contro le labbra.
«
Katniss, cosa
senti? » le chiese.
«
Nulla ».
«
Esatto tesoro
» le disse lui mentre le accarezzava la testa scompigliandole
i capelli.
Se
non sentiva nulla vicino al recinto che circondava il Distretto,
significava
che non c’era elettricità e quindi poteva passare
dall’altra parte senza alcun
timore; a quel punto tutto quello che doveva fare era stare attenta a
non fare
rumore.
Per
non far
scappare le prede e per non attirare predatori.
Suo
padre le aveva insegnato a tirare con l’arco, a maneggiare le
frecce – le dita leggere, il
braccio fermo – a
prendere la mira. Poi le aveva detto di fare affidamento sul suo
istinto
perché, in fondo, animali e uomini non erano molto diversi,
bastava solo
immedesimarsi nell’altro.
Doveva
osservare tutto quello che la circondava per sapere come muoversi per
qualsiasi
evenienza: vista, tatto, olfatto e udito erano tutto ciò di
cui aveva bisogno
per sopravvivere.
Almeno
oltre il recinto erano tutto ciò di cui aveva bisogno.
Anche
nell’Arena
erano stati tutto ciò di cui aveva avuto bisogno.
I
suoi sensi…
In
linea di massima finché si trattava di caccia se la cavava
bene, era quando si
arrivava ai rapporti con le persone che cominciavano i problemi.
…E
Peeta.
«
Tesoro, ricordati che Effie vi vuole vedere prima di arrivare. Quindi
tra
mezz’ora fatevi trovare nel vagone ristorante »
disse Flavius sistemandole una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi seguì
Octavia e Venia fuori dallo
scompartimento.
Katniss
aveva tirato le labbra in quello che doveva essere un sorriso, un
ringraziamento e un saluto al suo team. Non era molto sicura che
dall’esterno
fosse stato letto allo stesso modo.
Le
sue abilità sociali erano pessime con chiunque, ma, a quanto
pareva, riusciva a
dare il peggio di sé con Peeta.
Con
lui aveva sbagliato tutto fin dall’inizio.
Non
gli aveva rivolto la parola per cinque anni dopo che lui le aveva
salvato la
vita, ed erano ancora dei bambini, poi non si era fidata di lui durante
i
Giochi fino a quando non era quasi morto per lei.
Solo
per lei.
E
anche a quel punto era stata spinta più da un istinto di
preservazione che da
affetto o calore umano: gli aveva mentito, lo aveva ferito e non appena
erano
tornati a casa aveva lasciato che lui si allontanasse; era tornato
tutto come
prima della Mietitura, si limitava a guardare senza fare nulla, solo
che a quel
punto sapeva quanto potesse essere piacevole essere in sua compagnia,
sapeva
quanto fosse solare, sapeva cosa significava essere baciata da lui.
Dopo
Prim, Peeta era la persona più buona che conoscesse.
Chiuse
gli occhi e prese dei respiri lenti e profondi, cercando di
concentrarsi sul
battito del suo cuore.
Udito.
Il
battito del
cuore di Peeta, insieme alla sua voce, erano la prima cosa a farle
capire che
l’incubo in cui era intrappolata fosse finito. Lo poteva
sentire contro il
palmo della mano.
Regolare.
«
È tutto finito.
Ci sono io » i suoi sussurri che le solleticavano la tempia,
mentre cercava di
tranquillizzarla accarezzandole la fronte, la guancia.
Labbra
che le
sfioravano la pelle del viso senza mai oltrepassare confini
prestabiliti e mai
detti.
Peeta
sapeva sempre cosa fare, quando farlo e come farlo; era frustrante e
confortante allo stesso tempo, spesso le faceva desiderare di essere
un’altra
persona, di essere in grado di contraccambiare tutto
quell’affetto, tutte
quelle attenzioni.
«
Non vorrei mai
che tu fossi deversa » un sussurro nel buio
dell’ultimo vagone mentre le stelle
e le nuvole passavano veloci sopra di loro. E l’odore di
Peeta sempre più
intenso mentre poggiava la fronte contro la sua spalla e si stringeva a
lui.
Olfatto.
L’immagine
che le restituiva lo specchio non rifletteva il suo stato
d’animo, il suo team
l’aveva preparata alla perfezione, tutto il necessario per
non farla sembrare
stressata o infelice. Meno innamorata di quello che doveva essere.
Convinca
me.
La
voce del Presidente Snow le riecheggiava costantemente nella mente.
Il
suo team le aveva permesso di tornare nel suo scompartimento non appena
aveva
finito di vestirsi: non volevano si stancasse o si innervosisse troppo
prima
della tappa del Tour al Distretto Uno.
È
quasi finita.
La
porta del suo scompartimento si aprì e Peeta
entrò facendo mostra del suo
magnifico completo. Impeccabile come sempre. L’ombra di un
sorriso sulle
labbra, rassicurante come non mai.
«
Pronta? » le chiese lui.
Vista.
Peeta
aveva gli occhi più belli che avesse mai visto; era una
costatazione che si
ritrovava a fare ogni volta che incrociava il suo sguardo. Era sempre
stato
così, fin da bambini.
«
Assolutamente no » gli rispose continuando a guardare il suo
riflesso nello
specchio.
Non
sarebbe mai stata grata abbastanza per il fatto che ci fosse proprio
lui al suo
fianco.
Il
ragazzo le se avvicinò e le sistemò la chiusura
della collana sfiorandole la
pelle. Senza pensarci, Katniss gli afferrò la mano prima che
potesse
allontanarsi da lei ed intrecciò le dita con le sue.
Tatto.
Katniss
aveva
preso l’abitudine di accoccolarsi contro di lui appena Peeta
finiva di
sistemarsi accanto a lei sotto le coperte; insinuava una gamba tra
quelle del
ragazzo e con il tallone percorreva ripetutamente la lunghezza della
protesi
(non la toglieva mai quando lei era nei paraggi ) a ricordarsi che se
si fosse
impegnata di più Peeta non ne avrebbe mai avuto bisogno e
non si sarebbero
trovati in quella situazione.
Lui
le passava
un braccio intorno alla vita e le poggiava il mento sul capo, la mano
che le
accarezzava la schiena in un moto lento la portava inevitabilmente ad
addormentarsi. Il calore che emanava il corpo di lui al mattino era
soffocante,
eppure non era mai lei ad allontanarsi per prima.
Le
loro dita intrecciate a contatto con la sua spalla riflesse nello
specchio
erano l’immagine più sicura a cui si potesse
aggrappare in quel momento.
Peeta
rafforzò leggermente la presa sulla sua mano e lei gli
sorrise di rimando.
«
Insieme » proferì lui dopo aver preso un respiro
profondo.
In
quel momento avrebbe voluto che il colore del suo corpo la avvolgesse
completamente, con le sue braccia, il suo odore e la tenerezza che
spirgionavano i suoi occhi.
Il
cuore le batteva all’impazzata.
«
Insieme ».
Are we star-crossed lovers?
Did I really want you gone?
If I'm really a winner
Where did these demons come from?
“Mirror” Ellie Goulding