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Autore: Piperilla    17/09/2015    1 recensioni
[Dal Capitolo 3]
«Lei è una Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
«Proprio così. Tuttavia non credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete già» disse Samaah.
«Però lei sa perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere» insisté Giovanni.
«Lo so benissimo, ma voi non comprendete i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti» cantilenò la vecchia.

Dopo la tregua costata tanto sangue, Giovanni e Sofia si ritrovano per un nuovo viaggio: quello che li porterà a scoprire la verità sul quel legame così potente e misterioso che impedisce loro di separarsi.
[Per capire la storia, è necessario leggere "I Testimoni del Fuoco"]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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Quando bussarono alla porta, Sofia alzò gli occhi al cielo in un gesto di esasperazione. Mentre borbottava senza freni, André entrò nella stanza e si accomodò sul letto.
   La ragazza si girò a guardarlo con aria per metà rassegnata e per metà insofferente.
   «Avanti, dillo. So che vuoi farlo, è da due giorni che non mi lasciate in pace, con questa storia» disse.
   Lui la guardò sorridendo.
   «Non ho alcuna intenzione di provare a convincerti ad abbandonare questo proposito folle di andare da un Custode» rispose. «So bene quanto sei cocciuta, sarebbe solo una perdita di tempo».
   Con un sospiro di sollievo, l’altra sedette sul letto accanto al ragazzo.
   «Allora come mai sei qui?».
   André arrossì lievemente.
   «Volevo soltanto sapere se sei sempre intenzionata a partire domani».
   «Sì. Aspettare è inutile… non credo ne sapremo mai più di così, sui Custodi» rispose Sofia distrattamente, alzandosi e tornando a riempire un grande zaino.
   «E con Giovanni come farai, dato che è tornato al Centro?»
   «Passerò a prenderlo e poi andremo in Siberia». La ragazza alzò lo sguardo dallo zaino pronto solo per metà. «André, perché tergiversi? Proprio non ci riesci, a chiedermi se ho visto Elizabeth?».
   Lui abbassò lo sguardo, sconfitto.
   «So che mi biasimi perché penso ancora a lei nonostante quello che ha fatto. Per questo non mi decidevo a chiedertelo». Poi la fissò. «Allora… l’hai vista?» domandò speranzoso.
   Sofia scosse la testa in segno di diniego. André abbassò di nuovo lo sguardo, deluso, e Sofia tornò a sedersi accanto a lui.
   «Come hai potuto pensare che ti avrei disprezzato per questo? Giovanni ha fatto di molto peggio ma non sono mai riuscita a odiarlo, lo sai. Ci sono cose che non si possono controllare né reprimere» disse, giocherellando col copriletto.
   «Sai, Sofi» riprese André dopo un breve silenzio «da quando ci conosciamo non sono mai riuscito a capire per quale motivo ti ostinavi tanto a restare aggrappata a Giovanni. Saresti potuta fuggire anni fa, eppure non ci hai mai provato. Ecco, io… da quando ho conosciuto Elizabeth, credo d’aver iniziato a capire perché sei sempre rimasta accanto a Giovanni».
   Perplessa, Sofia mise le gambe sul letto. Unì le piante dei piedi e si afferrò le caviglie con le mani, fissandole e cercando le parole giuste.
   «André» esordì «tu stai confondendo due cose completamente diverse tra loro. Tu sei innamorato di Liz: lo sei stato, credo, dal primo momento che l’hai vista. Quello che c’è tra voi due è qualcosa di meraviglioso, coinvolgente… e può finire. È puro sentimento: e ti assicuro che al mondo non c’è niente di più diverso dal tipo di affinità che esiste tra me e Giovanni».
   Il ragazzo la guardò, aggrottando la fronte.
   «Sofi, non capisco che differenza ci sia tra le due cose»
   «Non puoi perché ne hai sperimentata una soltanto. E mi auguro per te che le cose restino così»
   «Cosa c’è di tanto sbagliato in quello che lega te e Giovanni?» le domandò André.
   Con aria pensierosa Sofia si curvò un po’ in avanti, chiudendo le spalle.
   «C’è di sbagliato, André, che nel mio caso non ho potuto scegliere. Non so da cosa dipenda, non l’ho mai scoperto, ma quello che posso dirti è che quando Giovanni è arrivato vicino a me… e non parlo di metri, parlo di trovarsi nello stesso Paese… ho iniziato a bruciare: senza averlo neanche mai visto, senza sapere chi fosse. Lui per me è… come avere sete e volere dell’acqua, come essere chiusa in una stanza e desiderare una boccata d’aria fresca… non lo decidi, non lo scegli. Magari detesti l’acqua fresca o l’aria aperta, ma ne hai comunque bisogno per sopravvivere. Ed è qualcosa che durerà fino all’ultimo battito del tuo cuore. Più duraturo della maggior parte degli amori, ma con molte meno gratificazioni. Stargli lontana mi fa male, non come faccia male a te la lontananza di Liz: tu soffri a livello emozionale, io a livello fisico».
   André sembrava più confuso di prima.
   «Quando parli di sofferenza fisica…» iniziò. Sofia lo interruppe.
   «Come ti sentivi, quando ti sei ripreso dalla febbre e ti sei accorto di aver perso la mano?» gli domandò a bruciapelo.
   Sorpreso, il ragazzo rifletté.
   «Provavo dolore… la ferita mi faceva male, pulsava … a volte era come se degli aghi mi trafiggessero. E poi mi sentivo… incompleto. Incapace di fare bene, come un ingranaggio rotto»
   «Per me, stare lontana da Giovanni è questo. Il Fuoco mi spinge verso di lui, in parte si ribella a questa lontananza, e fa male. Ho imparato a sopportarlo perché non ho intenzione di tornare indietro. E questa è un’altra differenza fondamentale, tra il tuo amore per Elizabeth e il mio bisogno di Giovanni. Tu continui a provare un sentimento forte verso di lei, e per questo la vuoi accanto; io non amo Giovanni, il nostro rapporto è troppo violento e conflittuale. Psicologicamente sto benissimo, lontana da lui; non lo vorrei mai più accanto a me ogni giorno della mia vita, come è stato quasi sempre negli ultimi dodici anni, ma il mio corpo, al contrario della mente, rifiorisce quando Giovanni è vicino».
   Sofia tacque, stanca e un po’ confusa. Non era certa di essere riuscita a spiegarsi come voleva. André, al contrario, sembrava più che soddisfatto dalle sue parole.
   «C’è solo una cosa, che ancora non capisco… se non sei innamorata di Giovanni, se non provi niente per lui… perché l’hai guarito, mesi fa? Perché accetti la sua vicinanza, ora?» le domandò.
   «L’ho voluto accanto in questa ricerca perché la spiegazione che cerco si riferisce a un fatto che riguarda anche lui e perché Giovanni, come me, è sempre stato affascinato dalle sfide, per quanto pericolose possano rivelarsi» rispose Sofia. «E poi… be’, l’ho guarito perché non potevo non farlo. Ho passato con lui metà della mia vita e in qualche modo mi ha dato anche dell’affetto. Non riesco a far sì che mi sia del tutto indifferente. Sentivo di doverlo fare… percepivo il suo dolore, anche a distanza».
   Mentre André apriva la bocca per farle un’altra domanda, la porta si spalancò.
   «Sofia!» disse Emma in tono severo. «Non avrai ancora intenzione di partire, vero?».
   Una smorfia di pura disperazione attraversò il volto della giovane Portatrice del Fuoco. André scoppiò a ridere e passò molto tempo prima che riuscisse a smettere.

*

Una gelida oscurità li accolse.
   «Come mai il sole non è ancora sorto?» disse Giovanni, aprendo lo zaino e tirandone fuori una felpa.
   «Siamo parecchio più a Nord di Cork, non te lo dimenticare» rispose Sofia, sfregandosi le mani nel tentativo di riscaldarle.
   «Per nostra fortuna è agosto. Pensa se fosse stato pieno inverno» sbuffò l’uomo.
   «Se fosse stato inverno, saremmo affondati in almeno mezzo metro di neve» fu la replica.
   I due si guardarono intorno. Piccole alture si ergevano nella distesa piatta e vuota, e qua e là si scorgeva già qualche spruzzo di neve.
   «Da che parte dobbiamo andare, secondo te?» domandò Sofia, sentendosi insignificante in quella desolazione che si stendeva fino all’orizzonte e probabilmente anche oltre.
   «Non ne ho idea. Dovrebbe essere qui vicino, no? Proviamo a espandere le Aure, magari percepiamo qualcosa» propose Giovanni.
   Spingendo le proprie Aure il più lontano possibile, si misero in cammino. Vagarono per molte ore, inerpicandosi su per le colline e attraversando piccole distese pianeggianti, quando Giovanni si bloccò e alzò una mano. Sofia, che camminava mezzo passo dietro di lui, s’immobilizzò a sua volta. Sapeva perché l’uomo si era fermato… come lei, aveva percepito qualcosa di insolito.
   «Hai sentito?» le chiese infatti, rivolgendole una mezza occhiata. La ragazza annuì.
   «Direi che somiglia un po’ all’Aura di Emma, ma sono troppo lontana per esserne sicura» disse Sofia, rispondendo alla domanda dell’italiano. «Proseguiamo in questa direzione… ma tratteniamo un po’ le Aure, non voglio che il Custode pensi che gli siamo ostili».
   Giovanni annuì e ripresero il cammino con una marcia serrata, reprimendo l’Aura a mano a mano che si avvicinavano in modo da percepire – ed essere percepiti – al minimo. Quando i Cerchi di Ogascoon comparvero all’orizzonte era ormai pomeriggio inoltrato. Giunti a cinquecento metri di distanza, videro che i Cerchi di quel Custode della Verità – che si intravedevano a stento, attraverso gli alberi – erano più piccoli di quelli che avevano osservato nel Deserto della Nubia.
   Lasciando cadere gli zaini a terra, Giovanni si accinse a montare le tende. Sofia, invece, si allontanò di corsa.
   «Si può sapere dove stai andando?» le gridò dietro l’uomo. Lei fece finta di non sentirlo e sparì.
   Scuotendo la testa, Giovanni montò le tende e sedette a terra, osservando i Cerchi che si formavano e dissolvevano nel loro moto perpetuo. Un’ora dopo, Sofia tornò.
   «Allora, cos’avevi di tanto importante da fare, per correre via in quel modo invece di restare ad aiutarmi?» chiese Giovanni.
   «La cena» replicò la ragazza, sventolando il gallo cedrone che teneva per le zampe e tirandoglielo. «Puliscilo» ordinò.
   Con una smorfia disgustata, l’uomo prese il volatile e afferrò un coltello. Sofia scosse la testa.
   «Sei davvero privo di fantasia» disse, evocando una sfera d’Energia e spedendola contro il gallo morto. In pochi istanti era perfettamente spennato e pulito.
   «Ammetto che non ci avevo pensato» esclamò Giovanni ammirato, evocando una sfera di Fuoco intorno al gallo. Pochi minuti dopo, seduti di fronte a una massa di Fuoco che spargeva guizzi e scintille ovunque, i due mangiavano di gusto, fissando i Cerchi azzurrini in lontananza.
   «Qualche idea su come avvicinarlo?» chiese l’italiano, spezzando un lungo silenzio.
   Sofia scrollò le spalle.
   «Neanche una. Forse dovremmo semplicemente avvicinarci ai Cerchi e chiedergli se può darci le risposte che cerchiamo»
   «Questa non è un’idea… è un tentativo disperato» replicò Giovanni.
   «Io direi piuttosto che è l’unica opzione»
   «Allora… lo faremo davvero?» chiese ancora lui.
   «Credo proprio di sì. Io però suggerisco di aspettare» disse Sofia. Giovanni la guardò perplesso.
   «Cosa dovremmo aspettare?»
   «Che il Custode ci permetta di avvicinarci» fu la risposta, chiara e sibillina a un tempo.
   Strozzandosi con un boccone di carne, l’italiano la guardò incredulo.
   «E come capiremo quando potremo avvicinarci?» le chiese con aria scettica.
   Sofia, ignorandolo, s’infilò nella propria tenda. Poi mise fuori la testa.
   «Lo vedrai» disse con un sorrisetto prima di tornare dentro.
   Con un grugnito d’irritazione Giovanni fece svanire il Fuoco che avevano evocato ed entrò a sua volta nella propria tenda.

*

Giovanni uscì dalla tenda e vide Sofia seduta tre metri più avanti, perfettamente immobile. Si sistemò accanto a lei e le rivolse un’occhiata di traverso.
   «Sofi, ormai siamo qui da cinque…»
   «…sei» lo corresse distrattamente la ragazza.
   «…sei giorni» proseguì Giovanni «e non siamo venuti a capo di nulla. È ora di prendere una decisione: o proviamo ad avvicinarci al Custode, oppure rinunciamo e torniamo a casa».
   Con un sorrisetto enigmatico, Sofia si voltò a guardarlo.
   «Devo ammetterlo: non avrei mai pensato che saresti stato tanto paziente. Ero certa che avresti iniziato a lamentarti almeno tre giorni fa».
   Perplesso, l’uomo si limitò a fissarla.
   «Voglio però dimostrarti che non abbiamo perso tempo. Guarda là» aggiunse la ragazza, indicando davanti a sé. Col passare dei minuti la notte sbiadì, lasciando il posto a un’esitante alba. Insieme all’oscurità anche i Cerchi di Ogascoon in lontananza scolorivano, fino a quando non svanirono del tutto.
   Con gli occhi fuori dalle orbite, Giovanni continuò a fissare il punto in cui fino a un istante prima si alternavano i Cerchi. Dopo alcuni minuti si voltò verso Sofia.
   «Sono spariti!» rantolò. Lei sorrise di nuovo, estremamente soddisfatta.
   «Era esattamente quello che speravo accadesse» disse.
   «Come sapevi che sarebbe successo?» la interrogò Giovanni con impazienza.
   «Non lo sapevo. Era chiaro che per parlare con il Custode avremmo dovuto forzare la sua protezione: potevamo riuscirci facilmente, visto che entrambi manipoliamo l’Energia, ma così non ci saremmo certo conquistati la sua fiducia» esordì.
   «No, decisamente no» convenne l’altro. «Va’ avanti»
   «Così mi sono chiesta: in che modo possiamo dimostrare di essere degni di conoscere la Verità?»
   «E hai trovato una quantità pressoché infinita di risposte» puntualizzò Giovanni. Anche lui aveva svolto le medesime riflessioni, prima d’intraprendere quel viaggio.
   «Vero. Era altrettanto chiaro, però, che se non avessimo forzato i Cerchi, il solo modo per arrivare al Custode era far sì che fosse lui stesso a permetterci di avvicinarci. Non potendo avere nessun tipo di contatto con lui, fargli percepire la nostra presenza e convincerlo attraverso le Aure che non gli siamo ostili era la nostra unica possibilità»
   «Riesci ancora stupirmi. Io non ci avrei mai pensato» ammise francamente l’uomo.
   «Ma sì che ci avresti pensato… il tuo unico problema è l’impulsività. Ti basterebbe fermarti a riflettere» lo blandì Sofia. Prese un respiro profondo, gli rivolse un’ultima occhiata e gli afferrò la mano, trascinandolo verso gli alberi e nel folto del bosco.
   «Vedi qualcosa?» chiese Sofia, sbirciando cautamente tra gli arbusti.
   «Credo di sì… guarda là» rispose Giovanni, poggiandole una mano sulla spalla mentre cercava di indirizzarla nella giusta direzione, senza fermarsi. «Ora la vedi?»
   «Sì… una grotta, eccola lì» sussurrò lei, tesissima.
   Quando giunsero di fronte all’imboccatura della caverna esitarono, incerti.
   «Come ci si rivolge a un Custode della Verità?» si domandarono l’un l’altra in coro.
   Proprio in quell’istante i Cerchi ricomparvero intorno alla grotta, intrappolandoli e impedendo loro di tornare indietro. I due sobbalzarono, a disagio.
   «A quanto pare non ci resta che entrare» disse Giovanni a bassa voce. Si scambiarono un’altra rapida occhiata, poi Sofia si buttò a capofitto nella grotta buia, lasciandosi guidare da una pallina di flebile luce argentea che era apparsa di fronte a loro e galleggiava a mezz’aria. Dei passi leggeri alle sue spalle l’avvertirono che Giovanni l’aveva raggiunta.
   Meno di due minuti dopo la pallina si dissolse nel nulla con un sonoro sfrigolio: Giovanni fece per evocare del Fuoco, ma nel buio più totale la mano di Sofia trovò il suo braccio e lo bloccò.
   Restarono fermi, in attesa, immersi in un’oscurità tanto densa da essere quasi palpabile, finché un chiarore variopinto iniziò a ricacciare indietro le ombre, illuminando a giorno il luogo in cui si trovavano. In quel punto la caverna assumeva una forma circolare, di circa quindici metri di diametro e il soffitto era tanto alto da perdersi nel buio. La superficie delle pareti era irregolare: colonnine di pietra si levavano dal pavimento e accoglievano, sulle loro sommità, piccole fiamme cangianti, che racchiudevano in sé tutti i colori dell’arcobaleno e molti altri ancora. I continui cambiamenti di luce davano a ogni momento un aspetto diverso al luogo: rassicurante, mistico, inquietante. Sofia si avvicinò alle pareti: la roccia era coperta di strane incisioni, simili ad appunti, che rilucevano argentee. Come ipnotizzata, protese le dita verso i simboli.
   «Non toccarli».
   Una voce tanto bassa da confondersi con lo scoppiettio delle torce la bloccò.
   Sofia si voltò e vide un giovane uomo a due metri da lei e Giovanni che, immobile, fissava il nuovo arrivato con gli occhi socchiusi.
   «Non toccarli» ripeté il ragazzo. Sofia ritrasse la mano e lentamente si portò di nuovo al fianco di Giovanni.
   La persona che avevano davanti sembrava un ragazzo qualunque. Era poco più alto di Giovanni: la pelle del volto era tanto bianca da sembrare quasi trasparente, e i corti capelli castano dorato che gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi spiccavano nettamente su quello sfondo niveo. Osservandolo con maggiore attenzione, Sofia si accorse che i contorni della sua figura erano sfocati in modo impercettibile e brillavano fiocamente di luce argentea.
   «Tu sei un Custode della Verità?» chiese la ragazza a bassa voce, facendo trasalire Giovanni. Il giovane annuì.
   «Io sono Altàis» si presentò. La sua voce era piacevolmente musicale.
   I due Portatori del Fuoco restarono in attesa, ma il Custode non parlò. Poi ricordarono le parole di Samaah: “Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti”.
   «Altàis, tu sei un Custode della Verità e sai cosa ci è accaduto, poche settimane fa, durante un combattimento» esordì Sofia. «Vogliamo sapere perché è successo a noi, da cosa è dipeso».
   Il giovane Custode li guardò con aria grave.
   «Io sono ancora un Novizio; sono un Custode solo da centododici anni, e non possiedo la Verità sul vostro presente e sul vostro futuro. Però conosco la Verità sul vostro passato, ed è questa la Verità che dovete apprendere da me».
   «Perdonami Altàis, ma… quale Verità possiamo apprendere da qualcosa che abbiamo già vissuto? Non dovremmo conoscerla già?» domandò Sofia mentre il ragazzo volteggiava qua e là, scrutando le pareti con aria assorta.
   «Voi conoscete i fatti» la corresse il Custode senza fermarsi «non ciò che ha realmente mosso voi e il mondo perché quei fatti accadessero». Con una leggerezza estranea a chi possedeva un corpo completamente solido si alzò da terra di alcuni centimetri, continuando a contemplare le incisioni sulla roccia.
   «Ah… sapevo che era qui» bisbigliò tra sé, portando le dita quasi a contatto con una serie di incisioni indistinguibili dalle altre. Una piccola sfera simile a quella che aveva guidato Giovanni e Sofia nella grotta si staccò dalla parete, lasciando le incisioni nere e vuote.
   Sempre bisbigliando tra sé, con la piccola sfera sospesa sopra la mano aperta, il Custode riprese a vagare, tornando a terra. Solo in quel momento i due Portatori si accorsero che i suoi piedi restavano sempre a un soffio dal suolo.
   Indifferente alle loro silenziose considerazioni, Altàis si fermò di nuovo vicino a delle incisioni che si trovavano a pochi centimetri dal pavimento. Come poco prima, ne trasse una piccola sfera argentea. Si portò di fronte ai due interroganti, porgendo loro le due sfere. Giovanni afferrò quella posta nella mano destra del Custode, e Sofia quella nella mano sinistra. Al contatto con i rispettivi destinatari, nelle sfere iniziarono a vorticare dei guizzi colorati, al pari delle fiamme che illuminavano la caverna.
   «In queste sfere c’è la Verità sul vostro passato, dal momento in cui avete emesso il primo vagito al momento in cui è iniziato il vostro presente.
   «Poiché voi cercate una Verità comune, solo quella vi verrà svelata. Le altre resteranno celate nel silenzio e nell’oblio».
   «In che modo queste palline possono svelarci la Verità?» disse Giovanni.
   Altàis fece loro cenno di affiancare le sfere.
   I due eseguirono il comando portando a contatto i pollici delle mani destre, aperte, su cui si libravano le due sfere.
   Reagendo immediatamente a quella vicinanza la sfera di Giovanni sbocciò come un fiore, allargandosi parallelamente al palmo della mano dell’uomo; poi la massa variopinta si restrinse e si sviluppò verso l’alto per alcuni centimetri, vorticando e danzando su se stessa.
   «Perché la mia sfera non reagisce?» domandò Sofia. Altàis le fece cenno di avere pazienza.
   «Il suo passato è molto più esteso del tuo» le spiegò sorridendo.
   Ma Sofia non poté fermarsi a riflettere su quell’affermazione perché proprio in quel momento anche la sua sfera si aprì, scoppiettando, e imitò quella di Giovanni. Troppo presi da quello che stava accadendo, nessuno dei due si accorse della piccola ruga che apparve sulla fronte di Altàis quando i due flussi colorati iniziarono a vorticare sempre più veloci.
   Senza alcun preavviso i due fasci si unirono in un abbraccio, avvolgendosi l’uno all’altro in una stretta spirale: i guizzi colorati al loro interno si susseguivano sempre più frenetici, scoppiettando. Gradualmente il rumore scemò, trasformandosi in un suono molto più delicato e al tempo stesso più potente. Vibrava nelle casse toraciche dei due Portatori, come un immenso sonaglio; con un brivido, Sofia si rese conto che le ricordava il canto delle Fenici. Mentre le voci indistinte di quel canto aumentavano di volume, di pari passo con l’euforia e il terrore che pervadevano tanto Giovanni quanto Sofia, i due iniziarono a distinguerne alcune parole. Non erano che pezzi di frasi sconnessi e privi di significato, slegati com’erano dal resto del canto, ma non un dubbio si avvicinò mai alle loro anime: perché nel momento stesso in cui la udivano, la voce della Verità si radicava in loro, donando alle loro menti la conoscenza totale di ciò che le loro orecchie udivano solo in parte.
   Mentre anni di vita insieme si rivelavano nella loro pienezza davanti ai loro occhi, non si accorsero dei segni che la Verità lasciava sul loro corpo. Segni impercettibili; ma pur sempre presenti.
   Col passare dei minuti, nei due Portatori cresceva l’affanno. Gocce di sudore imperlarono le loro fronti, il respiro divenne breve e spezzato; anche solo tenere sollevata la mano su cui si librava la propria sfera era uno sforzo superiore alle loro forze. La vecchia ferita di Sofia riprese a pulsare e bruciare; la loro vista si annebbiò; e i due fasci luminosi, con un ultimo guizzo verso l’alto, furono risucchiati indietro e ripresero il consueto aspetto sferico.
   Stremato, Giovanni cadde in ginocchio, sforzandosi di mantenere aperta la mano in cui teneva la piccola pallina che racchiudeva il suo passato e poggiando l’altra mano a terra per non cadere. Sofia fu meno fortunata; finì a terra con uno schianto, perdendo i sensi per qualche istante mentre nonostante tutto, ostinatamente, la sua mente l’obbligava a tenere la sfera tra le mani chiuse a coppa. Dopo un minuto si riprese e rotolò sulla schiena, respirando con forza, mentre Giovanni le si accostava per chiederle come stava.
   Altàis li osservò in silenzio; l’aria seria e preoccupata non l’aveva abbandonato. Conoscere la Verità era uno sforzo notevole per chiunque, ma Giovanni e Sofia avevano reagito in modo spropositato. Pur non avendo mai risposto ad altri interroganti, Altàis intuiva che nelle due vite che aveva di fronte c’era qualcosa in più, rispetto a tutte le altre: e se questo fosse positivo o negativo, neanche lui riusciva a stabilirlo.
   Quando Sofia si fu ripresa abbastanza da reggersi sulle gambe, Altàis tornò da lei e Giovanni, portando due cofanetti di legno di abete rosso. Con un gesto della mano, il Custode fece ruotare i due coperchi sulle cerniere. All’interno, nel legno erano state ricavate quattro nicchie circolari.
   «In questi cofanetti» esordì «riporrete le vostre Verità. Queste nicchie» proseguì, indicando i tre spazi più piccoli, posti ai vertici di un triangolo «accoglieranno il vostro passato, il vostro presente e il vostro futuro. Nella quarta nicchia, invece» disse, indicando lo spazio più grande, posto al centro del triangolo «troverà posto la risposta alle vostre domande». Altàis s’interruppe, facendo cenno ai due Portatori di riporre le sfere nei rispettivi cofanetti. Quando entrambi ebbero lasciato le sfere, con un altro gesto Altàis chiuse i cofanetti e li consegnò a Giovanni e a Sofia, insieme alle chiavi per aprirli. Poi, in silenzio, se ne andò.
   Giovanni e Sofia si fissarono, un po’ sconcertati.
   «Credi che dovremmo andarcene?» domandò lei.
   «Immagino di sì… proviamo a uscire da qui e vediamo se i Cerchi ci sono ancora» propose l’uomo.
   In silenzio, sempre stringendo tra le mani i cofanetti, ripercorsero la strada che avevano intrapreso un’ora prima e uscirono dalla grotta: i Cerchi di Ogascoon non c’erano. I due rabbrividirono, mentre tornavano velocemente verso le tende e un vento gelido li investiva.
   «Credevo avrebbe fatto meno freddo, una volta che il sole si fosse alzato, e invece è peggio di prima» sbuffò Giovanni. Sofia annuì.
   «Andiamocene alla svelta da qui» replicò.
   Proseguendo il più velocemente possibile nonostante la stanchezza, uscirono dal bosco e si bloccarono, increduli. Di fronte a loro, il manto verde che ricopriva il terreno si era ingiallito, mentre un sottile strato di neve fresca ricopriva qua e là il paesaggio.
   «Com’è possibile che ci sia stato un cambiamento del genere in un’ora?» disse Sofia, innervosita.
   Giovanni, a sua volta a disagio, ci pensò su per un minuto.
   «Forse è stato Altàis… magari svelare la Verità ha ripercussioni sull’ambiente circostante» tentò.
   Sofia, non molto convinta, annuì lentamente.
   «Forse è così… dovremo cercare altre informazioni»
   «Per ora, la cosa più importante è andar via di qui».
   Raccolsero le loro cose in pochi minuti e, con un sospiro di sollievo, si aggrapparono alla coda di Nabeela.
   
 
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