Questa fanfiction
è stato l’unico regalo che
sono riuscita a produrre per augurare buon Natale al NejiTen forum.
L’ho
sentita molto, anche se non posso dirmi totalmente soddisfatta di come
alla
fine è venuta fuori. Se non altro non mi fa schifo come al
solito, e questo è
un buon segno, spero. xD
La posto per le
costanti pressioni della mia
beta preferita, June. Sei insopportabile, ragazza!
Ah, la fanart a fondo
pagina è quella,
bellissima, di Nami86 che avevo davanti mentre scrivevo.
MINE
Così, alla
fine ce
l’avevano fatta. Avevano riportato Sasuke a Konoha, anche se
non era stato come
avevano immaginato, come avevano desiderato.
Lo avevano dovuto battere, catturare, imprigionare…ora
attendeva sbattuto in
una cella umida che il processo per tradimento si concludesse, che
altri
decidessero della sua vita.
Come pena, era già stata proposta la morte.
Sakura ansimava, nella sua corsa tra gli alberi familiari del suo
Villaggio,
sentendo i muscoli guizzare allenati sotto la pelle lucida di sudore,
inebriandosi della velocità, e cercando di sfogare nel
consueto movimento le
emozioni che dentro di lei ribollivano e corrodevano, togliendole la
concentrazione. Lo sguardo verde era puntato ostinatamente in avanti,
quasi a
voler compiere da solo quel gesto che invece, la proprietaria non era
stata
capace di osare: andare avanti …I capelli, nuovamente
lunghi, le svolazzavano
sulle spalle, scarmigliati: ormai erano passati gli anni in cui era
ossessionata dall’idea di essere perfetta.
“Dannazione!” sbottò bruscamente
stringendo a pugno le mani guantate, quando la
realtà fece nuovamente, con subdola crudeltà, il
suo ingresso nei pensieri
della ragazza.
Credeva di essere preparata alle responsabilità del suo
ruolo, di essere
pronta, forte…Ma non pensava che le avrebbero assegnato lui
, che l’avrebbero
caricata di un tale peso. Non avrebbe mai immaginato che le sarebbero
stati
affidati gli interrogatori di Sasuke Uchiha.
La sua mente turbinava di immagini, sensazioni, suoni degli ultimi
cinque anni,
il suo cuore andava in pezzi al solo pensare di doverlo interrogare di
nuovo.
Cos’era? la quinta volta che mandavano lei?
Non si erano accorti di quanto quegli incontri la stessero mandando in
crisi,
senza peraltro portare ad alcun risultato?
Incatenato al muro freddo, il torso nudo e lo sguardo arrogante di
sempre, il
giovane Uchiha era chiuso in uno sprezzante, impenetrabile silenzio.
Non aveva neppure schernito Sakura, quando alla fine del primo
interrogatorio
aveva iniziato a tremare, incapace di controllare del tutto la
frustrazione:
aveva alzato per un attimo lo sguardo spento su di lei, ed era tornato
a
fissare nel vuoto; solo un vago sorriso ironico a piegargli
presuntuosamente le
labbra, un “sempre la solita ragazzina” mai detto,
ma che aveva avuto sulla
kunoichi un effetto devastante, che probabilmente neanche lo stesso
Sasuke
immaginava.
Sospirando, conscia di dover compiere il proprio dovere, Sakura
tornò sui suoi
passi dirigendosi verso il basso edificio appena fuori città
che fungeva da
prigione temporanea per i “detenuti speciali”,
quelli destinati al carcere di
massima sicurezza o al patibolo appena fosse stata pronunciata la
sentenza.
Sentiva di odiare con tutta l’anima quel grigiore, quelle
scale storte e rotte,
che nessuno si prendeva la briga di aggiustare, quel perpetuo,
soffocante
ticchettio dell’umidità che colava monotona dal
soffitto.
Incurante di non portare la divisa richiesta né il
coprifronte, anzi di
indossare solamente la canottiera semitrasparente che di solito teneva
sotto la
maglia, presentò il permesso per interrogare
l’Uchiha: la conoscevano, e non le
negarono l’accesso.
Davanti alla spessa porta scrostata, la giovane si fermò e
tirò un respiro
profondo, chiudendo gli occhi. Giurò a se stessa che questa
volta non avrebbe
fallito, che lo avrebbe guardato e gli sarebbe sembrato solo un altro
dei tanti
criminali che ogni giorno vedeva e interrogava… come se
questo fosse stato
possibile. Poi, con innaturale calma, entrò nella cella
scarsamente illuminata
e si richiuse la porta alle spalle.
“Ciao Sasuke”
L’ombra sul fondo, sulla quale lei aveva subito fissato lo
sguardo, si mosse
impercettibilmente.
Vattene.
Un messaggio non detto, chiaro tuttavia nello sguardo annoiato e senza
vita del
moro, appena tinto di irritazione.
“Non me ne vado, invece. Ti devo interrogare.”
La rosa si avvicinò, lenta, ostinata, la voce piatta e
rigida che usava di
solito con quelli come lui. Una voce morta, fastidiosa, insistente, per
non
lasciar scoperta ad eventuali attacchi psicologici la sua
umanità, la sua
debolezza. Proseguì.
“E ti devo comunicare che la condanna proposta è
la morte.”
Lo sguardo di Sasuke si posò su quello della ragazza, che
appariva grigio
piombo nella penombra della stanza interrata, e la voce le si
spezzò
impercettibilmente sull’ultima parola.
Sapeva già la risposta dell’ex compagno di
squadra, quella risposta che lesse
ugualmente nei sui occhi, e che aveva ormai imparato a trovare nel suo
cuore,
prima ancora di aprir bocca lei stessa. Del resto, aveva imparato a
leggere
tutti i taciti interventi dell’Uchiha con naturalezza quasi
inquietante. Forse
perché era diventata così simile a lui, col
tempo…Lei, piccola Sakura, regina
della menzogna…
Tremò interiormente alla constatazione, ma si
sforzò di mantenere una facciata
impassibile, concentrandosi unicamente sulla replica del giovane:
ovviamente,
quella che lei aspettava.
Che vuoi che me ne importi?
Trattenendo il fiato, fece un altro passo verso di lui, ormai poco
più di un
metro a separarli.
Uguali…Sakura sapeva, questa volta capiva la menzogna del
moro, la riconosceva
grazie all’esperienza ormai accumulata nel crearle,
quelle maschere
d’indifferenza. Vedeva se stessa riflessa in quelle iridi
spente, e distingueva
con estrema chiarezza la propria facciata, tesa a coprirle il volto.
“Non è vero che non t’importa,
Sasuke…” sussurrò, abbandonando di
colpo il tono
professionale che si era sforzata di tenere fino ad ora.
“Non è vero.” Ripeté a voce
ancora più bassa piegando leggermente le ginocchia
per osservarlo negli occhi. Quegli occhi….
Sasuke la fissò, sfidandola, le voleva mostrare quanto,
anche inginocchiato per
terra, anche con le mani incatenate dietro la schiena, lui fosse forte,
e lei
soltanto la solita piccola Sakura…La voleva umiliare, a
livello personale e
professionale, proprio lei che aveva sognato tanto, segretamente, e che
ora gli
dimostrava solo un confuso rancore, sua carceriera. Rimase colpito
dalla forza
che scorse in quelle iridi chiare: forza, dolore, rancore,
disperazione…e,
malgrado tutto, ancora affetto.
Abbassò lo sguardo, incapace di osservare oltre, sul viso di
quella donna,
tutto il dolore che aveva causato a chi gli era più caro, a
coloro che per lui
erano sempre stati simboli di vita, e che aveva contaminato con la
morte che
sembrava incapace di non spargere intorno a sé, anche senza
volerlo.
Gli bruciò, quella sottomissione, quell’aver
abbassato lo sguardo davanti a
lei, ma non ebbe il tempo di trasformare l’umiliazione in
rabbia, non ebbe il
tempo di innalzare nuovamente il muro che lei aveva appena abbattuto.
Il
pensiero gli fu repentinamente strappato, perché la tenera,
piccola Sakura gli
aveva bruscamente preso il volto tra la mani, e aveva fatto coincidere
le loro
labbra fredde con fermezza, di slancio, gli occhi chiusi e il busto
proteso
verso di lui, nell’estremo tentativo di raggiungerlo, oltre
le finzioni, le
scelte, i ruoli antitetici che ora si ritrovavano a ricoprire.
E in quel contatto disperato, in quello spasmodico tentativo di
ricongiungere
il legame che lui aveva sempre aborrito, Sasuke percepì
tutta la sofferenza,
tutta la straziante solitudine che Sakura aveva passato e stava
passando per
lui. Si stupì, le labbra che rispondevano bramose a quelle
della giovane donna,
a desiderare di avere le mani libere per poter toccare quel corpo vivo così vicino al suo, per
poterlo
avvolgere, avere, così dannatamente invitante. E Sakura, il
respiro affannoso e
le lacrime che iniziavano lentamente a scorrere lungo il suo viso
freddo, le
dita avvinghiate ai capelli ormai lunghi del moro quasi a volerli
strappare,
non riusciva a concepire che un pensiero, quell’unico
desiderio che aveva
custodito e covato in sé per tutti quegli anni, sperando nel
profondo di
poterlo avverare, fosse anche per un singolo, microscopico
secondo…
Mio…