PROLOGO
L’inizio
L’inizio
Il pendolo suonò dodici rintocchi prima che qualcuno bussasse alla porta di legno di noce.
Era buio, e non c’era nessuno lì fuori, tranne che per una figura alta e magra dinanzi il ciglio della porta. Era impossibile scorgere il viso, incappucciato com’era. Aveva anche un lungo mantello nero e, appeso alla cintura di pelle, un grosso coltello con la lama di selce spaventosamente tagliente e leggermente curva. I calzoni neri e aderenti ricadevano dentro degli anfibi neri. Fece un sorriso sbilenco, scoprendo un luccichio. Aveva un incisivo d’oro. << Celine. Dobbiamo andare >> biascicò l’uomo, << presto loro verranno e non avremo più tempo >>
Lei sbirciò fuori la porta. << Quanti ne sono? >>
<< Troppi >>
Le ombre turbinavano sopra di loro, appesantendo il cielo.
La ragazza guardò l’uomo con occhi imploranti. << Dammi un minuto. Ne ho bisogno per lei >>
Salì le scale in fretta e si avvicinò alla cesta di vimini che un’anziana donna reggeva sulle gambe. Sedeva sul letto accanto ad una piccola finestra rotonda, dalle cui tendine filtravano deboli raggi di luna.
Celine si avvicinò e il suo sguardo si posò sulla cesta. Prese il fagotto e se lo strinse al petto. Una lacrima le scivolò sulla guancia, mentre il neonato sbadigliava e apriva i piccoli occhietti rotondi. Si guardarono e l’attimo durò troppo poco. Ma lei giurò che se lo sarebbe impresso nella memoria per sempre. Un’aura brillò al petto del neonato per pochi secondi. Poi l’anziana donna la guardò con una scintilla di comprensione e le fece segno di sbrigarsi.
<< Non dimenticarti mai chi è lei >> le porse il fagotto con dolcezza.
<< E tu non dimenticare chi sei >> il neonato iniziava a muoversi nella coperta di lana e si “aggrappò” al dito della ragazza, stringendoglielo con tutta la forza che possedeva.
<< Proteggila e tienila lontano da tutti >>
L’anziana donna annuì con veemenza e le diede un bacio sulla fronte. Poi vide la ragazza strapparsi dal collo una collana d’oro con un pendente a goccia e metterla nella cesta.
La ragazza era già fuori la porta quando si voltò per un’ultima volta con una mano sul pomello e l’altra sulle labbra tremanti.
<< Mamma? >> deglutì.
<< Celine >>
<< Ti voglio bene >>
<< Anche io >>
<< Addio >>
L’anziana donna la seguì con lo sguardo, attraverso la finestra rotonda. La vide correre via insieme all’uomo incappucciato e svoltare l’angolo della strada. Aveva gli stessi abiti della mattina e i lunghi capelli neri stretti in una coda. Era piccola e magra, ma con una grande forza d’animo.
Ce la farà, si disse.
<< Pronta? >>
Celine sorrise amaramente. Che domanda stupida. No, non era pronta. Non era pronta ad abbandonarla. Finse che tutto andava bene e annuì. Prese una borraccia d’acqua e una borsa a tracolla marrone. C’infilò dentro del pane,una corda, una coperta e una scarpetta rosa di lana. L’aveva fatta solo un mese prima e sembrava fossero passati anni. Gettò indietro il capo e ricacciò le lacrime.
<< Possiamo andare, ho preso tutto >> tirò su col naso.
Aprirono la porta e iniziarono a correre. Celine fu, ben presto, affiancata dal suo più leale compagno ed amico. Non era un uomo, né una donna.
Era un lupo, precisamente un lupo rosso. Celine lo riconobbe subito dal suo passo felpato. Sbucò all’improvviso, probabilmente si era appostato in un angolo, alla ricerca di pericoli. Il muso lungo, il manto bruno-fulvo con il dorso screziato di nero e gli occhi dorati, leggermente a mandorla, la scrutavano nella notte.
<< Fidel! >>
Il lupo le sfiorò la gamba con il muso e Celine capì che non l’ avrebbe mai lasciata. Ciò la rincuorò e la fece sentire meno sola. La ragazza fece un rapido cenno col capo all’uomo che l’accompagnava e iniziarono a correre nella notte.
Era buio, e non c’era nessuno lì fuori, tranne che per una figura alta e magra dinanzi il ciglio della porta. Era impossibile scorgere il viso, incappucciato com’era. Aveva anche un lungo mantello nero e, appeso alla cintura di pelle, un grosso coltello con la lama di selce spaventosamente tagliente e leggermente curva. I calzoni neri e aderenti ricadevano dentro degli anfibi neri. Fece un sorriso sbilenco, scoprendo un luccichio. Aveva un incisivo d’oro. << Celine. Dobbiamo andare >> biascicò l’uomo, << presto loro verranno e non avremo più tempo >>
Lei sbirciò fuori la porta. << Quanti ne sono? >>
<< Troppi >>
Le ombre turbinavano sopra di loro, appesantendo il cielo.
La ragazza guardò l’uomo con occhi imploranti. << Dammi un minuto. Ne ho bisogno per lei >>
Salì le scale in fretta e si avvicinò alla cesta di vimini che un’anziana donna reggeva sulle gambe. Sedeva sul letto accanto ad una piccola finestra rotonda, dalle cui tendine filtravano deboli raggi di luna.
Celine si avvicinò e il suo sguardo si posò sulla cesta. Prese il fagotto e se lo strinse al petto. Una lacrima le scivolò sulla guancia, mentre il neonato sbadigliava e apriva i piccoli occhietti rotondi. Si guardarono e l’attimo durò troppo poco. Ma lei giurò che se lo sarebbe impresso nella memoria per sempre. Un’aura brillò al petto del neonato per pochi secondi. Poi l’anziana donna la guardò con una scintilla di comprensione e le fece segno di sbrigarsi.
<< Non dimenticarti mai chi è lei >> le porse il fagotto con dolcezza.
<< E tu non dimenticare chi sei >> il neonato iniziava a muoversi nella coperta di lana e si “aggrappò” al dito della ragazza, stringendoglielo con tutta la forza che possedeva.
<< Proteggila e tienila lontano da tutti >>
L’anziana donna annuì con veemenza e le diede un bacio sulla fronte. Poi vide la ragazza strapparsi dal collo una collana d’oro con un pendente a goccia e metterla nella cesta.
La ragazza era già fuori la porta quando si voltò per un’ultima volta con una mano sul pomello e l’altra sulle labbra tremanti.
<< Mamma? >> deglutì.
<< Celine >>
<< Ti voglio bene >>
<< Anche io >>
<< Addio >>
L’anziana donna la seguì con lo sguardo, attraverso la finestra rotonda. La vide correre via insieme all’uomo incappucciato e svoltare l’angolo della strada. Aveva gli stessi abiti della mattina e i lunghi capelli neri stretti in una coda. Era piccola e magra, ma con una grande forza d’animo.
Ce la farà, si disse.
<< Pronta? >>
Celine sorrise amaramente. Che domanda stupida. No, non era pronta. Non era pronta ad abbandonarla. Finse che tutto andava bene e annuì. Prese una borraccia d’acqua e una borsa a tracolla marrone. C’infilò dentro del pane,una corda, una coperta e una scarpetta rosa di lana. L’aveva fatta solo un mese prima e sembrava fossero passati anni. Gettò indietro il capo e ricacciò le lacrime.
<< Possiamo andare, ho preso tutto >> tirò su col naso.
Aprirono la porta e iniziarono a correre. Celine fu, ben presto, affiancata dal suo più leale compagno ed amico. Non era un uomo, né una donna.
Era un lupo, precisamente un lupo rosso. Celine lo riconobbe subito dal suo passo felpato. Sbucò all’improvviso, probabilmente si era appostato in un angolo, alla ricerca di pericoli. Il muso lungo, il manto bruno-fulvo con il dorso screziato di nero e gli occhi dorati, leggermente a mandorla, la scrutavano nella notte.
<< Fidel! >>
Il lupo le sfiorò la gamba con il muso e Celine capì che non l’ avrebbe mai lasciata. Ciò la rincuorò e la fece sentire meno sola. La ragazza fece un rapido cenno col capo all’uomo che l’accompagnava e iniziarono a correre nella notte.