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Autore: Castiga Akirashi    18/09/2015    1 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Il giudice allentò la cravatta. In quella stanza cominciava a fare caldo. Facendosi coraggio, borbottò, rivolgendosi a Lance: «Per questo processo segreto eravate d'accordo anche voi, onorevole Campione. Il mio intento era far sparire il Demone Rosso, in modo che nessuno sapesse niente. Risparmiare al Continente la paura che ora invade le strade.»
«Confesso, ero concorde.» rispose lui, annuendo: «Evitare l'attacco di panico era una buona idea.»
Le corti si fissarono, in quella riunione segreta per decidere il da farsi. Scoprire che il Demone Rosso era processata da così tanto tempo, senza Corti, era stato abbastanza scioccante. Karen respirò a fondo, ma Sandra intervenne al suo posto, anticipandola, e ringhiò: «Sei stato ingenuo, Lance. Ti consiglio di aumentare la sicurezza. È scappata e nemmeno te ne sei accorto.»
«L'ho fatto.» rispose lui, rivolgendo un mezzo sorriso colpevole alla cugina: «Ora è matematicamente impossibile che possa uscire. Ci vuole il riconoscimento della retina.»
«Se ti vedremo senza un occhio, sapremo chi è stato.» ridacchiò Karen, per allentare la tensione: «È inutile che stiamo qui a crocifiggere qualcuno. Ognuno ha agito come meglio credeva. Ora dobbiamo solo fare il nostro lavoro di giudizio rispettando la legge e andrà tutto bene. Senza fare favoritismi o il contrario. Gli avvocati esporranno come in tutti i processi. Dobbiamo trattarla come un imputato normale e non farci forviare dalla paura o da che altro.»
Gli altri annuirono ma la convinzione era poca. C'era anche chi, come Vodel, avrebbe preferito un processo diverso, senza difesa, sommario, per quella bestia. Ma non si poteva fare. Karen aveva ragione: la legge è uguale per tutti. Anche per lei. Surge si guardò intorno. Perché nessuno lo diceva? Si fece coraggio, nella speranza che nessuno capisse niente, e sbottò: «Allora smettetela con la tortura.»
Tutti lo guardarono e lui ringhiò: «Ho visto chiari segni di ferite sul corpo del Demone Rosso. So chi è, so cosa ha fatto ma la tortura è stata messa fuori legge se non sbaglio. L'avvocato Grayhowl potrebbe sfruttare la cosa.»
«Lei è un militare, generale.» rispose il giudice, estraendo un foglio e dandolo a Lance: «Non si immischi in cose che non conosce.»
Lance lesse il foglio; il segugio del giudice era dannatamente bravo nel suo lavoro. Aveva fotocopiato il codice penale del Continente e tutti i comma che giustificavano la tortura sulla donna, probabilmente fatti ad hoc per lei, poiché riportavano i crimini e i reati simultanei dei quali si doveva macchiare chi cadeva nell'eccezione. Ed erano tutti quelli sulla fedina penale del Demone. Erano tutti secondo disposizioni datate al decimo anno di titolo dell'Imbattuto. Seccato, Lance fece girare il foglio per tutte e due le Corti e sbottò: «L'Imbattuto sapeva fare il suo lavoro.»
«Un indubbio, ottimo giurista.» sorrise Vodel, riprendendosi la sua fotocopia del codice penale con un ghigno sornione: «Grayhowl non è un allocco, Lance. Se non obbietta, vuol dire che sa di non poter obbiettare. Non lo prenda sotto gamba, è un avversario di tutto rispetto.»
«Ancora mi chiedo cosa l'abbia spinta ad accettarlo, giudice.» rispose il Campione, irritato da quella situazione a svantaggio della sua amica, guardando il suo interlocutore di traverso.
Lui sbuffò, ancora pentito del suo gesto, e rispose: «La rabbia del momento mi ha portato a non ragionare su chi avevo davanti. Un errore di valutazione che allunga solo i tempi ma non fermerà il giusto corso della legge.»
«Vedremo. La riunione è finita, gente. Buonanotte.» chiuse lì la questione il Campione, prendendo la porta e andandosene.
Arrivato alla Lega, si chiuse in casa. Sbuffò. Lui non aveva il potere dell'Imbattuto. Non poteva permettersi di sfidare il Continente cambiando la legge a suo piacimento. L'Imbattuto lo aveva potuto fare con la scusa di proteggere tutti dalla minaccia di Giovanni e della sua piccola belva. Lui non poteva permettersi di difenderla pubblicamente. Rischiava la sommossa.
«Fa del tuo meglio, Raphael.» mormorò, dopo un ennesimo sospiro.
In quel momento, l'avvocato aveva ben altro a cui pensare. Furioso, attendeva che la porta si aprisse. E quando questo accadde, vide la figlia sbiancare e arretrare. Mai avrebbe pensato che sarebbe riuscita a cacciarsi in un guaio così grande.
Lily, appena uscita dal carcere, vide il padre e sbiancò di botto. Deglutendo e arretrando, mormorò:«Oh, no… papà…»
Lui rimase in silenzio, fissandola con lo sguardo di uno veramente arrabbiato.
«Papà, io…» cominciò a dire lei, per cercare di giustificarsi, ma lui la interruppe: «Sta’ zitta. Parliamo a casa. Muoviti, vieni con me.»
Il padre la prese per un braccio, furibondo, e la trascinò quasi di peso a casa. Lily sapeva che era in arrivo la tempesta ma non aveva il coraggio di opporsi. Suo padre era quasi sempre calmo e paziente, ma arrabbiato era veramente una bestia. E probabilmente ora era davvero furioso.
«Maledizione, Lily, ma che ti è saltato in testa!?» esclamò, arrivati dietro casa, faccia a faccia.
Lei abbassò un momento lo sguardo, chiudendo gli occhi, incassando il rimprovero; ma poi li riaprì, fissò il padre con altrettanta decisione e ribatté: «Io volevo solo… io volevo conoscerla! Tu non mi dici mai niente di lei, io volevo sapere! Vederla in faccia, parlarle!»
Un po’ seccato dalla reazione quasi istantanea, lui quasi gridò: «E allora hai pensato bene di andare di nascosto dentro il carcere?! Ma sei diventata matta?! Sai cosa ti sarebbe successo se ti avessero beccata?!»
«Non ci sono mai riusciti! E vado lì da mesi!»
Esterrefatto, lui ripeté: «Che cosa?! Mesi?!»
«Sì! Da quando ho conosciuto Archer! E lei è stata tanto gentile con me, anche se non sapeva che sono sua figlia!»
«Tu là dentro non ci vai più.» dichiarò l’uomo, chiudendo lì il discorso, furioso e preoccupato insieme.
Lily lo guardò interdetta, ma scattò, convinta di aver capito male: «Cosa?!»
«Hai capito bene, signorina. Tu non ti devi avvicinare a quel luogo!»
«Ma papà…» protestò lei: «Non mi è mai successo niente!»
«Non mi interessa. Ubbidisci.» chiuse secco lì la discussione lui.
Lily lo guardò con le lacrime agli occhi, di tristezza perché non avrebbe più potuto vedere la sua mamma, ma anche di rabbia, perché come sempre il padre imponeva il suo volere su di lei senza lasciarle scampo; disperata, corse via. Piangendo, andò a sbattere contro qualcuno, ruzzolando in terra. Alzò la testa e vide N, che, preoccupato, la fissava e le tendeva la mano per aiutarla a rialzarsi.
«Lilith… che cosa ti accade?» domandò, notando le lacrime e sentendo stringersi il cuore.
«N…» mormorò lei, guardando in terra, imbarazzata nel farsi vedere piangere; lasciandosi andare alle lacrime, esclamò: «Papà è cattivo!»
«Non dire così.» sussurrò lui dolcemente, chinandosi accanto a lei e prendendole una mano: «Avanti, dimmi cosa succede.»
«S-sono mesi che… vado di nascosto in prigione.» dichiarò lei, stringendo quella calda mano nella sua, cercando di trattenere il tremito della voce: «Volevo conoscere la mia mamma, parlarle un po’… ma papà mi ha scoperto e non vuole che io vada. Ma è bello! Lei è gentile con me, mi ascolta sempre e mi vuole bene! Non è giusto che non possa più vederla!»
N sospirò, comprendendo il suo stato d’animo, ma disse: «Cerca di capire la situazione. In quel luogo non ci sono solo i detenuti. I secondini sono violenti e rischi molto.»
«Pensi davvero che lei li lascerebbe fare?» chiese quasi sprezzante la ragazzina: «Li fa a pezzi se mi toccano.»
N non rispose, non avendo nulla in mano per contraddirla, ma capì che Lily aveva ben chiaro il carattere della madre. Limitandosi a tenerle la mano, pensò: “È molto furba. Lo sa che Athena è una garanzia per la sua incolumità. Furba, davvero…”
Lei sedette a terra, asciugandosi gli occhi. N era così diverso... anche lui pareva contrario che andasse nel carcere, ma invece che urlare, le parlava, senza il bisogno di alzare la voce. Perché anche Raphael non faceva lo stesso? Restò lì, seduta, cercando di calmarsi, sentendo la mano di lui accarezzare la sua. N, invece, si era perso a pensare, mentre in un movimento ritmico delle dita cercava di tranquillizzare la ragazzina. Ma era molto dubbioso. Come fare per risolvere quella situazione?
Nel frattempo Athena stava fantasticando, sdraiata sulla brandina nella sua cella in penombra, sola dato che O’Bull era fuori per l’ora d’aria. La sua bambina era fantastica: sveglia e furba come la sua mamma. Raphael aveva fatto un ottimo lavoro. Mandò a mente di ringraziarlo appena l’avesse visto, ma la porta esterna si aprì, portandola via dalle sue illusioni. Si alzò, per vedere cosa volesse il secondino, ma vide Lance che aprì la cella e la portò nella stanza degli interrogatori.
«C’è una persona che vuole vederti.» disse a mo’ di spiegazione.
Arrivati, la prima cosa che lei vide nella stanza fu il viso un po’ invecchiato, di quel biondo generale che vedeva come suo padre, e non poté fare a meno di piangere.
«Papà…» mormorò, con gli occhi lucidi.
«Athé… non è possibile…» borbottò lui, ancora sconvolto di vederla viva e posandosi al tavolo, stringendolo forte per essere sicuro di non stare sognando.
La donna lo raggiunse e posò le mani alle sue, per fargli scartare l’ipotesi fantasma, ma cercò di riprendersi, puntando sul suo solito sarcasmo: «Cosa avevo detto tempo fa? L’erba cattiva non muore mai.»
Dagli occhi del Generale cominciarono a uscire le lacrime. Ancora una volta la sua bambina era uscita dagli inferi, migliore di com’era stata. Si avvicinò a lei e la strinse, forte ma con dolcezza, scoppiando in lacrime senza ritegno. Le mani incatenate lo strinsero a loro volta, mentre anche lei piangeva, felice di rivedere l’uomo che le aveva salvato la vita.
«Quante volte lo farai ancora?!» borbottò, arrabbiato e felice insieme, il Generale: «Quante volte mi farai soffrire così, ancora?!»
«Spero mai più, papà… mai più.» mormorò lei, decisamente stufa di tutto quel vagare e con una voglia immensa di poter vivere tranquilla con la sua famiglia.
Surge la strinse ancora un attimo, poi si allontanò, ma le prese le mani, sorridendole. Sedettero vicini e lui disse, cercando di sembrare serio: «Ora raccontami tutto. E dammi il permesso di spaccare la faccia a quell’idiota di un marmocchio.»
Le si dipinse in volto quel ghigno divertito che gli piaceva e lei rispose: «Tanto per cambiare. E perché questa volta?»
«Perché non mi ha detto nulla!» esclamò lui, con una punta di ira nella voce: «Mesi di processi segreti e non ritiene opportuno dirmelo?!»
Lei lo guardò scioccata dal cambio di toni, ma ripensandoci, annuì: «Sì, concesso. Però sia… ehm, sii delicato. Un avvocato in prognosi riservata è completamente inutile.»
«Manina leggera. Promesso.» ghignò lui.
Athena ridacchiò sentendo il suo tono sul sadico; ma si decise a fargli una domanda che la tormentava da un pezzo. Non aveva voluto parlarne con Raphael, ma Surge era la persona ideale. Era stata con lui e quindi forse ne sapeva qualcosa. Così, borbottò: «Papà… Mia madre che fine ha fatto?»
«Non lo so.» rispose lui cupo, adombrando il sorriso: «Avrei voluto proteggere almeno lei, restarle vicino... ma quando te ne sei andata, poco dopo, è sparita con Zeus.»
Lei notò che era avvampato, e, ricordandosi che i due stavano insieme spesso e volentieri, chiese: «Dimmi la verità papà... ti piaceva?»
Lui arrossì vistosamente e rispose: «E mi piace ancora. Ma ormai... è andata via prima che potessi dirle qualcosa.»
«Papà... trovala.» disse decisa la donna: «Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto. Almeno lei... non ha sofferto meno di me.»
«Non sai quanto mi rendono felice queste parole, Athé.» sorrise lui, ma poi ribatté, colto da un pensiero: «Ma anche tu, la mia bambina, hai bisogno dell’affetto che quel folle non ti ha mai dato. Non posso lasciarti sola.»
«Ma io non sono sola.» sorrise lei, serena nel cuore ormai da lungo tempo: «Sai, ho capito come si deve essere sentita la mia mamma quando ho perso, o meglio, credevo di aver perso Lily.»
«La tua bambina… Raphael ti ha detto tutto quindi.»
Lei sorrise e rispose: «Sì. Tu la conoscerai molto meglio di me immagino.»
«Eccome. È una peste tale quale a te. E adora il nonno!»
Athena ridacchiò, sentendo quanto fosse orgoglioso, ma poi aggiunse: «Quando ho perso lei, ho capito come doveva essersi sentita… e ho scoperto che un figlio non riceve solo amore, ma ne dà tanto a sua volta. Talmente tanto che il resto non conta.»
«Ma…» borbottò lui, non capendo cosa intendesse; era stata in prigione fino a quel momento, non aveva potuto conoscere Lily. Lei però intuì i suoi dubbi perché borbottò con un ghigno furbo: «Capirai quando conoscerai Giovanni.»
Lui la fissò, perplesso e un po' spaventato da quel nome, ma lei si affrettò a raccontare la sua storia.
«Un trovatello? Era proprio quello che ti ci voleva eh? Una peste da tenere a bada! E com'è?»
«Un po' lunatico, ma è più normale di me. Se ti prende in simpatia, è fatta.»
Surge le mise una mano sulla spalla, vedendo quanto lei si fosse legata al bambino, e mormorò: «Che direbbe conoscendo il nonno?»
Athena lo guardò e scrollò le spalle, rispondendo: «Non lo so. Vedi, reagisce in base a come si approccia chi gli parla. A parte con Raphael. Lì è odio puro...»
«Concordo con lui.»
Lei ridacchiò borbottando: «Un punto in più per andare d’accordo, direi. Ora però non lo troverai. È alla Lega Pokémon di Hoenn, a Iridopoli.»
«Caspita. È stato molto bravo!» esclamò l'uomo, colpito. Era un ottimo allenatore se era riuscito a prendere tutte le medaglie di Hoenn. Walter, collega Leader di tipo elettro e grande amico, era una spina nel fianco quando si impegnava.
«Già... sto aspettando notizie. Mi sarebbe piaciuto andare a vederlo...» commentò lei, un po' triste, non sapendo come fosse messo il figlio. Dall'espressione seria e ancora preoccupata dell'uomo però, capì che doveva spiegare meglio ciò che era successo. Doveva dargli qualche motivazione e ora finalmente, aveva anche tutti i tasselli al loro posto. Poteva narrare anche ciò che aveva sempre taciuto, sempre nascosto, perché faceva troppo male. Alla fine del racconto, Surge ringhiò: «Ora capisco meglio. Maledetto Giovanni. È riuscito a rovinarti una seconda volta.»
«Non può più farlo. A meno che non esca dalla mia testa. La psicosi c’è ancora, ma si scatena solo in isolamento totale. La galera non è di certo un problema. Anche perché adesso ho anche un compagno di cella. Penso sia impossibile perdere il lume.»
«Tu stai pure tranquilla di una cosa… se chiedono la pena di morte, ci vuole l’unanimità. E non ce l’avranno mai.» borbottò lui, serio. A costo di inimicarsi le Corti, non avrebbe mai dato il sì senza prove tangibili di colpevolezza oltre ogni minimo dubbio. Era folle ma la legge era chiara: il Demone può essere sottoposta alla pena di morte ma solo se tutti i membri della Corte più il Campione sono d'accordo.
«Anche solo per un voto?»
«Anche solo per un voto.»
Athena si posò alla sua spalla, chiudendo gli occhi e sentendo quel profumo che aveva imparato ad associare a una persona così importante come lui. Felice come una bambina, mormorò: «Ti voglio bene… papà.»
Surge l’abbracciò, posando la testa sulla sua, e rispose: «Anche io, piccola mia.»
Il Generale uscì dalla stanza, per tornare ad Aranciopoli, e non vide Raphael, che, dopo una scenata di ira a Lance per costringerlo a farlo passare, entrò subito dopo di lui. Athena lo vide irrompere con passo veloce, quasi di corsa, e decisamente poco amichevole.
«Raphael?» chiese, perplessa di vederlo lì: «Che ci fai qui?»
«Come hai potuto permettere che Lily entrasse di nascosto in questo posto, eh?!» esclamò lui, furibondo, sbattendo le mani sul tavolo, nero di rabbia.
«Ma non sapevo che fosse mia figlia…» replicò lei, non capendo come mai fosse così arrabbiato e allontanandosi da lui, per evitare scatti d’ira improvvisi vista la piega che stava prendendo la conversazione.
«Non me ne frega niente!» ribatté lui, alzando ancora il tono della voce: «Maledizione, sei un’irresponsabile! Dovevi mandarla via, non permetterle di entrare qui per mesi di nascosto! Lo sai meglio di me quello che fanno i secondini!»
«Se l’avessero solo sfiorata li avrei sistemati io!» rispose lei, con quasi arroganza, come se stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo e cominciando a scaldarsi a sua volta.
«Non puoi pretendere di risolvere tutto con la violenza! C’è la legge apposta per evitare di farsi giustizia da soli!»
«Certo, la legge che tu stai manipolando per farmi uscire di qui! È debole la legge. Non serve a nulla!»
«E allora quale dovrebbe esserci? Quella del taglione?»
«No. Ha troppe regole. Vige la legge del più forte, come è in natura e come dovrebbe essere!»
I due discussero un po’, a toni alti, finché Raphael non se ne andò furioso. Lei lo fissò uscire, altrettanto di malumore. Nessuno dei due capiva ciò che l'altro voleva intendere.
Tornato a casa, Raphael litigò anche con Lily. La figlia sosteneva la stessa cosa della madre. Si urlarono contro per un bel pezzo ma non conclusero nulla se non il reciproco broncio.
«Ma perché non capiscono che con la violenza non si ottiene nulla…» mormorò l’uomo, posato al tavolo con la testa tra le mani, furioso e frustrato che non capissero quello che voleva dire. Lily era corsa in camera e ancora la sentiva brontolare.
N, dopo averci pensato su, si avvicinò lentamente a lui, prese la parola e disse: «Raphael, mi permetti di fare un commento?»
«Spara.» borbottò lui, abbastanza depresso.
L'amico sedette sulla sedia accanto a lui; fece un respiro, per schiarirsi le idee, poi disse: «Non convincerai mai Athena così su due piedi. Ma non perché lei non voglia capire, ma per via della sua educazione. Ricorda che l’ha allevata Giovanni. Fin da piccola le ha inculcato nella testa che solo chi ha il potere può prevalere sugli altri. Lei ha sempre vissuto con questa regola. E per tutta la vita, ogni volta che è stata contraddetta, è bastata una minaccia per farsi rispettare. Per lei è naturale come per te lo è rispettare l’ordinamento giuridico. Cerca di metterti nei suoi panni, non è facile. È come se tu dovessi accettare che lo stato approvi la legge del taglione come legge universale. Non credo che cederesti così facilmente, dico bene?»
«E allora che devo fare secondo te?»
«Lascia che si vedano.» rispose lui, con un sorriso, nel tentativo di convincerlo, anche se doveva ammettere di essere preoccupato a sua volta: «Lilith è stata brava per parecchio tempo. È giusto che si possano parlare un po’ non credi?»
«E se la dovessero scoprire?»
«Ci penserai a tempo debito.»
Raphael sospirò e borbottò: «Non lo so, N. Ho paura a farla andare da sola in un posto così. E se Athena combina qualcosa, peggiora solo la sua situazione.»
N lo fissò, comprendendo le sue ragioni, ma ribatté prontamente: «Hai mai pensato a quanto deve essere umiliante per lei subire così?»
L’amico ricambiò lo sguardo e chiese: «Che vuoi dire?»
«Prova a pensare.» spiegò l’altro, in un tentativo di farlo ragionare: «Ha passato tutta la vita a rispondere a ogni provocazione, a farsi rispettare con la violenza, a uccidere al minimo insulto. Pensa a quanto deve essere umiliante dover sottostare a quello che ordina un giudice, a farsi difendere da qualcuno che nemmeno è sicuro di salvarla. Se solo volesse, potrebbe fare a pezzi tutto il carcere e andarsene come nulla fosse, lo sai. Eppure, abbassa la testa, solo per te. Sei tu l’unica cosa che la tiene ancorata all’umano. Se non ci fossi tu, lei tornerebbe la bestia che è stata. Ricordalo sempre.»
«Ma non avevi detto che…» borbottò l’avvocato, ma N lo interruppe e proseguì: «Sì. So cosa vuoi dire. Ma la psicosi non è guarita. Non credo nemmeno che si possa senza gli psicofarmaci. C’è ancora, ma è come dire, addormentata, perché non ci sono le condizioni per far si che si scateni. La tua presenza però, aiuta molto.»
«Ma se litighiamo potrebbe…» protestò lui, ma N lo interruppe dicendo: «No. Ti ama troppo. Dovresti combinargliela molto grossa per farla schizzare. E fidati, ora che sa di Lily, sarà ancora più difficile. Se solo lo avesse saputo, forse sarebbe tornata prima. Giovanni ha fatto il miracolo, ma in fin dei conti è quasi un surrogato... la perdita di Lilith era la causa maggiore della sua depressione.»
«Sì, lo so... però...»
«Fidati di me. Ora è molto più difficile che perda la ragione.»
Un telefono squillò, rompendo il silenzio che si era andato a creare. N lo prese, sorrise e disse: «Giovanni mi aveva detto che si sarebbe allenato e mi avrebbe chiamato prima di entrare al primo scontro della Lega. Credo che sia giunto il momento.»
«Fagli gli auguri da parte di tutti.» sorrise l'avvocato, alzandosi per andare dalla sua ragazza e raccontarle del figlio, nonché per chiederle scusa di quello scatto non voluto.
Nel frattempo, anche Athena si stava sfogando con Thomas per la sfuriata di Raphael. Non capiva il motivo della sua rabbia, non capiva perché se la fosse presa così. Infondo che male c’era se poteva vedere la sua bambina? Se poteva qualche volta parlarle e farla sentire amata dalla sua vera mamma? L’avrebbe protetta da tutto e da tutti, Raphael doveva saperlo, eppure lui si ostinava a dire che quel posto era pericoloso e che Lily stessa era in pericolo con lei.
«Irresponsabile!» sbottò furibonda e un po’ offesa da quell’epiteto: «Mi ha dato dell’irresponsabile! Cosa crede, che permetterei a qualcuno di farle del male? Ovviamente no! E se pensa che sarei così stupida da farmi beccare, allora non mi conosce! Maledizione, avrò il diritto di parlare con mia figlia! E lei ha il diritto di avere una madre che non sia quella strega di Daisy!»
O’Bull stava ascoltando da una buona oretta le sue maledizioni contro il suo stesso fidanzato. Era sdraiato di schiena sulla branda in basso, quella che gli era toccata per aver perso a scacchi, con le mani dietro la testa e fissava la compagna di cella camminare avanti e indietro nello stretto corridoio tra la branda e il muro, inveendo contro Raphael ai quattro venti.
«Athena, calmati.» borbottò lui in un momento di pausa tra una maledizione e l’altra: «È ovvio che tu sia furiosa, ma cerca di capirlo. È solo preoccupato per sua figlia.»
Lei arrestò i passi, fissandolo con un’occhiataccia e ribatté: «Non è sua. È nostra! E io posso proteggerla da chiunque!»
«Hai ragione, ma rischi la tua posizione a esporti troppo.» disse l’amico implorante: «Il tuo ragazzo sta facendo i salti mortali per salvarti. Non aiuti a scannare gente a caso.»
«Me ne infischio della mia posizione. La mia bambina è più importante.»
Thomas non rispose oltre, arreso da quanto avesse la testa dura. Arrivò però un secondino che, pigolando scuse e riverenze, disse di doverla portare nella stanza degli interrogatori. Lei, già parecchio seccata per la discussione con Raphael avvenuta alcune ore prima, fu tentata di far andare via quel pinguino da strapazzo con qualche minaccia, ma si rese conto di una cosa: pur nella sua cocciutaggine, l’avvocato stava tentando un vero miracolo ed era meglio non fare troppi casini. Così, quando arrivò e vide che era proprio il fidanzato quello che la stava aspettando, tenne comunque un cipiglio furioso, giusto per fargli capire quanto fosse offesa. Lui sorrise a mo' di scusa e mormorò: «Scusami. Sono stato uno stupido, mi sono lasciato prendere dalla paura. Non volevo insinuare che tu non potresti prenderti cura di lei. Perdonami.»
Lei non rispose, fissandolo ancora seccata da quell'eccessiva mancanza di fiducia. Lui cercò di sorridere e, anche forse per cambiare discorso e sperare che si calmasse, mormorò: «Giovanni ha cominciato.»
Athena lo fissò, lasciando che un sorriso le aprisse il broncio, e chiese: «Ha chiamato?»
Lui annuì e lei sedette. Voleva essere lì, a fare il tifo per lui. Ma purtroppo, non era possibile. In quel momento, Giovanni stava lottando contro Fosco. Donkey era preso in un violento corpo a corpo contro il Mightyena avversario. Nonostante il vantaggio di tipo, il Pokémon Suinpanzé non riusciva a mettere la parola fine sul duello. Cercava di colpirlo con il suo Colpo Karate ma il lupo era troppo rapido e riusciva a schivare ogni colpo, infierendo con violenti morsi appena ne aveva l'occasione. Il Primeape ebbe un'illuminazione; memore dei frequenti scontri con Wolf, seppe cosa fare per passare in vantaggio. Appena ne ebbe l'occasione, pestò la coda dell'avversario che, uggiolando, si rannicchiò su se stesso. Cogliendo l'attimo, Giovanni urlò: «Donkey! Dinamipugno!»
Il Pokémon caricò indietro il pugno, con tutta la forza che aveva e si scagliò come una furia verso il lupo, scaricando tutta la sua potenza in quel pugno. Il Mightyena, colto alla sprovvista, venne colpito in pieno, volò contro il muro e andò KO. Donkey, ansimante, alzò i pugni al cielo, in segno di vittoria.
«Molto bene. Mi piace come combatti. Vai Cacturne!» esclamò l'Élite, soddisfatto, mandando in campo lo spaventapasseri.
«Donkey, vuoi continuare?»
Saltando da un piede all'altro per tenersi caldo, il Primeape rispose: *«Dovranno abbattermi per farmi smettere di lottare!» *
«Molto bene, allora! Vai con Colpo Karate!»
«Cacturne, schivalo!» rispose l'avversario. Il Pokémon eseguì, stupendo tutti con la sua rapidità: «Parassiseme!»
Donkey fece del suo meglio per schivare ma un seme gli cadde sul guantone e germogliò in un enorme rovo che lo strinse, togliendogli le energie.
«Donkey!»
*«Perirò ma tu verrai con me!» * urlò infuriato il Primeape, cominciando a correre con il Dinamipugno attivo. Cacturne si scostò ma Giovanni gridò: «Destra!»
E destra fu. Donkey eseguì, anticipò lo spostamento di Cacturne e gli mollò un secco pugno, che venne contrastato dal Pugnospine, ma senza troppi risultati. Dopo uno schianto fragoroso, i due Pokémon si rivelarono entrambi KO.
«Donkey ritorna.» sbottò Giovanni, contento del risultato ma in dubbio su chi mandare in campo: «Al diavolo. Vai Jukain!»
Lo Sceptile entrò in campo con un ruggito. Fosco fece uscire il suo Absol. Era un Pokémon potente, che riuscì a tenere occupato Jukain. Ma lo Sceptile, determinato come mai, gli impedì ogni resistenza e vinse. Fosco mandò, quindi, il suo Sharpedo. Velocissimi, i due Pokémon cominciarono un corpo a corpo, Nottesferza contro Fendifoglia. Jukain era determinato a tutto, doveva sconfiggere quel pesce. Amplificò la velocità, nel tentativo di battere l'avversario sul tempo. Ma Sharpedo sapeva come tenergli testa. Dopo un colpo dritto nel muso del suo Pokémon, Fosco sorrise e disse: «Mi piaci, ragazzino. Sei in gamba. Vediamo come te la cavi così.»
Fosco lanciò una pietra al suo Pokémon che la prese in bocca. Estrasse una pietrachiave ed esclamò: «Megaevolvi Sharpedo!»
Il Pokémon brillò di una luce che si scontrò contro quella emanata dalla pietrachiave. Divenne più grosso, il muso si allungò, si munì di spuntoni, e con un ruggito, MegaSharpedo fu pronto alla lotta. Giovanni sorrise, insieme a Jukain, mostrò la sua pietrachiave e rispose: «Siamo in due.»
MegaJukain e MegaSharpedo cominciarono il corpo a corpo ma per lo Sceptile cominciò a essere dura. La nuova abilità dell'avversario rendeva i morsi più potenti; essendo anche a metà di tipo Drago, il Gelodenti avversario era di una potenza tremenda. Jukain non si arrese. Non era arrivato fin lì per perdere. Furioso, bloccò il Gelodenti con la lama del Fendifoglia e con l'altra lo colpì ripetutamente. Il braccio gli faceva male ma non avrebbe mollato. Mai. Con un ultimo colpo, unito ad un urlo di rabbia, stroncò ogni resistenza avversaria. Sharpedo cadde a terra, tornando normale, e Jukain esultò. Fuori uno.
Fosco sorrise, facendo rientrare lo squalo e disse: «Molto bene, giovanotto. La porta dietro di me conduce al tuo prossimo avversario. Se hai medicine da dare ai tuoi Pokémon, potrai farlo qui. In bocca all'Absol.»
«Ti ringrazio, Fosco.» sorrise lui, aprendo lo zaino: «Farò del mio meglio!»
Mandò un messaggio a Raphael e N, e poi cominciò le cure. L'avvocato era ancora dalla sua cliente quando gli arrivò la notizia. Lesse il messaggio ed esclamò: «Ottime notizie. Giovanni ha sconfitto il primo degli Élite. È stato molto bravo!»
Athena sorrise. Sì, davvero molto bravo. Tornò però a squadrare il fidanzato e sbottò: «Comunque non te la perdono.»
«Dai Athena, ti ho chiesto scusa, mi sono lasciato trascinare dalla rabbia... non essere offesa.»
Lei gli scoccò un'occhiataccia, poi sorrise quasi malvagia e disse: «Ah, a proposito. L’altro giorno è passato il generale e ha detto che, come nonno, vorrebbe conoscere il nipote pestifero. Quindi per piacere, evita di farti pestare davanti a lui. Credo verrà a cercarti prima che lui torni ma non si sa mai...»
L’uomo arretrò, fissandola perplesso, convinto di aver capito male, e chiese: «No, aspetta. Pestare?»
«Papà vuole la tua testa, ma l’ho convinto a limitarsi.»
«Dovevi convincerlo a evitare proprio!»
«Insomma, me la sono presa anche io che non me l’hai fatto rivedere dopo così tanto tempo, sai?»
Lui la fissò un secondo sgomento, poi se ne andò, rifiutandosi di darle il bacio di saluto, mentre lei lo salutava con la mano e un ghigno di velata vendetta. Naturalmente, Surge arrivò ben presto a trovarlo in ufficio. Lo aspettò fuori, verso sera, e lo salutò con un pugno nei denti. Raphael cercò di difendersi a parole, blaterando che le persone civili non fanno così, ma l’uomo era irremovibile. Furioso per aver avuto la sua bambina a così poca distanza e non saperlo, lo riempì di legnate.
«Piuttosto marmocchio.» disse alla fine l’ex soldato, dopo che ebbe sfogato per bene il suo rancore regalandogli come souvenir un occhio nero e contusioni varie: «Athena mi ha detto che avrei un altro nipote.»
Raphael annuì, muovendo la mandibola per sentire se tutti i denti erano al loro posto e, annuendo, borbottò: «Già. Ma ora è alla Lega di Hoenn, non so se glielo ha detto Athena. Quindi non potrà ancora vederlo.»
«Lo so, lo so. Ci vediamo, marmocchio. E fai bene il tuo lavoro.» sbottò, voltandosi e andandosene. Raphael gli fece un cenno e rispose: «Anche lei il suo di giurista.»
Prima di andare in ufficio, fece un salto in ospedale, per evitare complicazioni dovute alla trascuratezza delle ferite. Ora che aveva sistemato i conti con il generale, forse, si poteva essere amici. Finiti i controlli, saputo di non avere niente di grave e irreversibile, Raphael andò a lavorare.
«Grayhowl!» tuonò il procuratore generale, piombandogli in ufficio, facendo sbattere la porta contro il muro e venire giù l’intonaco sotto al segno della maniglia: «Lei è malato! Quando la paga quella bestia, per difenderla?! È diventato pazzo tutto d’un tratto?!»
La donna era appena tornata dalle vacanze a Sinnoh e le prime cose che aveva sentito al ritorno erano che il Demone Rosso era vivo e che l’onesto avvocato Grayhowl la stava difendendo. Quello era il misterioso processo del quale né lui, né Grendel, l’accusa, avevano voluto fare parola; l’essere stata esclusa da quella macchinazione l’aveva resa furibonda non poco.
«Procuratore, mi hanno affidato la difesa e io difendo.» rispose lui pacato, alzandosi e chiudendo la porta senza agitarsi: «Vuole accomodarsi?»
Lei gli scoccò un’occhiata velenosa e ribatté: «Non mi prenda in giro, avvocato, non sono nata ieri. Ogni uomo è guidato dai soldi e dal profitto. E sicuramente, ora lei sta andando contro i saldi principi che predicava tempo fa! Una bestia della risma del Demone Rosso non è retta e men che meno onesta!»
«Che cosa sta insinuando?» chiese lui, accigliato, seccato dal fatto che quella sputasse sentenze così, senza nemmeno conoscere i dettagli di nulla.
Lei rispose alla sua occhiata con uno sguardo del tutto inviperito e ringhiò: «Non mi dica che non ha mai mentito per difendere quella bestia, perché non le credo. Ora… il caso che le propongo io, e che non sono ancora riuscita a mettere a posto perché lei e Grendel siete i migliori e gli unici che riuscirebbero a vincere, le frutterebbe milioni e milioni come se fossero noccioline. Una bestia in catene dubito che le dia di più come parcella. O sbaglio?»
Lui si trattenne dal sogghignare, pensando: “La suddetta -bestia in catene- mi darà una parcella che è molto diversa e di certo più gratificante dei soldi” ma poi, imponendosi di restare serio e togliendosi dalla testa pensieri che era meglio non avere per restare concentrato, rispose pacatamente: «Vorrei concludere questo processo prima.»
«Non può rifiutare! Sa quanti soldi sono?!» esclamò la donna sull’orlo di una crisi isterica.
«Sì, ma non mi interessa. Chieda a qualcun altro.» tentò di chiudere lì il discorso lui, categorico.
Non poteva avere distrazioni con Athena a rischio della pena di morte. Doveva essere concentrato per salvarla e di certo, in quel momento, non aveva bisogno di soldi. Aveva avuto un bel periodo appena prima di ritrovare il suo amore perduto e aveva fatto parecchi quattrini.
Il procuratore tentò di convincerlo in tutti i modi ma non servì a nulla. Uscita dalla stanza, mormorava, camminando: «Ma com’è possibile? Sapevo che Grayhowl è un raro avvocato onesto… ma non ha senso che difenda una belva come il Demone Rosso così ingenuamente. Deve esserci sotto qualcosa. Senza alcuna ombra di dubbio. E forse so come scoprire tutto.»
  
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