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Autore: Anmami    18/09/2015    3 recensioni
Niente è più lo stesso dopo gli eventi del Grady. Beth se n'è andata portandosi via molte delle speranze del gruppo. In particolare quelle di Daryl che, svuotato e devastato, è alla disperata ricerca di qualcosa in grado di alleviare il suo senso di colpa per non averla protetta, una giusta punizione per aver fallito così miseramente.
Questa storia è un viaggio. Un viaggio attraverso il dolore, passando per la disperazione e la sconfitta, fino ad arrivare quasi in fondo al tunnel, fino a raggiungere un piccolo spiraglio di luce.
Dal testo:
"Beth finalmente riposava, avrebbe passato l'eternità in quel prato, circondata da fiori e all'ombra di un albero secolare. Da viva avrebbe adorato quel luogo.
Daryl aveva scelto con cura il posto, senza nemmeno interpellare Maggie."
"Un uomo distrutto, sia nello spirito che nel corpo. Un uomo incapace di trovare una motivazione che lo spingesse a non arrendersi, che gli desse ancora un briciolo di speranza."
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Beth Greene, Daryl Dixon, Nuovo personaggio, Rick Grimes
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 24

LEADER

Restarono fermi nella stessa posizione, per minuti o forse ore, stretti in quell'abbraccio che sapeva di infinito. Il mondo chiuso fuori dalla porta pareva non poter minimamente intaccare il loro momento di pace. Il contatto dei loro corpi li aveva caricati di energia, donando loro una nuova forza in grado di superare avversità che sarebbero state insormontabili se affrontate da soli.
Josephine si sentiva leggera. Finalmente poteva abbandonare la sua maschera e concedersi qualche attimo di debolezza, con la consapevolezza di avere qualcuno accanto pronto a sollevarla in caso di caduta. 
Lo aveva tirato fuori da quel fosso, ma per quanto la storia raccontasse che fosse stata lei a salvare lui, per la ragazza la realtà era ben diversa, si erano salvati a vicenda, camminando insieme per mano attraverso l'oscurità e raggiungendo la luce.
Senza di lui avrebbe passato i suoi ultimi anni nascondendosi dietro una falsa identità e rinunciando alla vera se stessa. Senza quel testone burbero e scontroso, senza quell'uomo all'apparenza freddo e scostante non avrebbe mai trovato il coraggio di uscire allo scoperto e di mostrarsi esattamente per quella che era.

Daryl dal canto suo aveva abbassato tutte le sue difese. Si sentiva terribilmente vulnerabile, ma allo stesso tempo forte con lei accanto.
Aveva affrontato molte difficoltà in quegli anni, perdendo persone a lui care e dovendo compiere azioni delle quali non avrebbe mai smesso di pentirsi, ma se tutto ciò che aveva dovuto sopportare era servito a portarlo da lei, lì in quel momento, su quel divano, sarebbe stato disposto ad affrontare tutto da capo.
In una piccola zona buia della sua testa avrebbe conservato per sempre il ricordo di quei momenti difficili, per tirarli fuori ogni tanto e sfogliarne le pagine.
Era deciso ad uscire a cercare gli altri e portarli al sicuro nell'Area 51, voleva parlarne a Josephine da parecchi giorni, ma l'idea di portarla con sé e metterla in pericolo rischiando di perderla, lo aveva fatto desistere dal raccontarle delle sue intenzioni.
La soluzione migliore sarebbe stata partire da solo senza metterla al corrente o scrivendole una lettera, anche se l'idea di lasciarla era insopportabile. Andarsene di nuovo com'era successo in passato, quella volta sarebbe stato un po' come morire. Il pensiero che lei potesse trovare consolazione tra le braccia di un altro in sua assenza, era doloroso ed insopportabile.
Era suo dovere almeno tentare di riunirsi al suo gruppo, ma non era così sicuro che Jo avrebbe compreso le sue motivazioni. 

-Rebecca è molto bella.- disse Josephine all'improvviso.

Daryl si voltò verso di lei con un'espressione tra il sorpreso ed il divertito. Quell'affermazione sembrava tanto un test, un modo per capire quanto lui tenesse a lei.
Vedere i fiori di A.J sul suo comodino, l'aveva fatto andare fuori di testa e quella frase pronunciata da Josephine pareva dettata dai suoi stessi timori. La paura di non essere abbastanza, il terrore di essere sostituiti. Conosceva bene quelle sensazioni e mai avrebbe pensato di poter suscitare tali emozioni in un altro essere umano, a maggior ragione in una ragazza come lei.
Rifletté attentamente su quale fosse la risposta più giusta da darle, non voleva che si sentisse in quel modo, sapere di aver in qualche modo contribuito a quelle sue insicurezze gli fece contorcere le budella.
Non sapendo bene cosa dire, rispose con un'alzata di spalle. 

-Penso che tu le piaccia.- aggiunse la ragazza dopo qualche minuto di silenzio.

-Non dire idiozie.- disse Daryl, irrigidendosi.

-E' innegabile che sia molto bella.- affermò lei.

-Non mi importa.- rispose lui rafforzando la presa sulle spalle della ragazza.

-Beh è strano che non ti importi.- sussurrò Josephine con aria triste.

-Sono un cane fedele.- disse Daryl stampandosi in faccia il suo solito ghigno.

Un'altra donna al suo posto avrebbe trovato strana quella sua affermazione, ma Josephine sapeva. Ormai aveva compreso che sotto ogni sua frase sibillina si nascondesse un mondo di sottintesi. 
Sono un cane fedele. Quattro sciocche parole messe in fila, apparentemente una stupida battuta, ma con un grande significato.
Ancora una volta l'animo romantico della ragazza ebbe la meglio, facendo fare le capriole al suo cuore.
Ciò che Daryl aveva appena detto era semplicemente "Sono un cane fedele", ma all'orecchio di Josephine suonò più come "Mi basti tu".


Mentre Daryl e Josephine trascorrevano quei momenti di pace, rari in quel periodo, al rifugio le cose erano degenerate.
Sarah, la ragazza addetta ai pasti, non avrebbe mai pensato di potersi trovare in una situazione del genere. 
Quando Patrick le si era rivolto in quel modo, non aveva trovato nulla di nuovo, niente al quale non fosse ormai abituata, ma ciò che successe dopo l'aveva sconvolta.
Erano tutti al gazebo, intenti a pranzare. Lei e Rebecca stavano al tavolo e riempivano i piatti, tutto come al solito.
Il dottor Reynolds, uomo per il quale la ragazza aveva una cotta da diverso tempo che non aveva mai avuto il coraggio di dichiarare, era appena arrivato e le aveva chiesto delle patate con il suo usuale tono gentile. La ragazza ignorava completamente che la sua cotta fosse totalmente corrisposta, ma a causa della timidezza, il dottore non era mai riuscito a farle capire cosa provasse. 
Lo aveva colpito dal primo momento in cui era arrivata al rifugio, ma essendo lei molto più giovane di lui, l'idea che avesse potuto colpirla allo stesso identico modo non lo aveva nemmeno sfiorato.
Era bella e nel fiore degli anni, mentre lui era vicino alla quarantina ed un po' imbranato e forse proprio quello aveva attirato la ragazza. Il suo essere impacciato ma gentile, i suoi occhi sinceri nascosti dagli occhiali spessi, ma più di ogni cosa la sua intelligenza e competenza. 

Come ogni giorno, si era attardato accanto a lei qualche minuto per scambiare quattro chiacchiere, discorsi banali, niente di compromettente, ma fu a quel punto che la situazione degenerò.

Patrick iniziò ad insultarla, provocando lo sdegno di tutti i presenti, lamentandosi per la lentezza con la quale stava procedendo la fila e rimproverandole il fatto che stesse perdendo tempo con Doc.
L'uomo venne subito in suo aiuto, frapponendosi tra lei ed il capo, beccandosi però un gancio destro che lo mise K.O. 
Patrick si avventò con la stessa violenza sulla ragazza, colpendola con uno schiaffo e ribadendo i suoi insulti a pochi centimetri dalla sua faccia.
La gente del rifugio, come al solito troppo spaventata all'idea di contraddire il proprio leader, non mosse un dito in difesa della ragazza.
Rebecca tentò di scagliarsi su Patrick per tentare di allontanarlo da Sarah, ma con uno spintone fu anche lei scaraventata a terra.

L'uomo, in preda alla rabbia più cieca, prese tra le mani il collo della ragazza stringendolo con forza e rischiando seriamente di soffocarla.
Nessuno pensò di intervenire, nemmeno uno degli uomini che stavano assistendo alla scena si era mosso per andare in soccorso di Sarah.
Una sola persona mantenne il sangue freddo necessario per fare qualcosa. Paul.
Il ragazzino, memore degli insegnamenti del suo mentore, non si separava mai dalla sua balestra, il regalo più bello che avesse mai ricevuto e, mai come quella volta, il suo attaccamento a quell'oggetto gli venne in aiuto.
Con decisione incoccò un dardo, prese la mira, respirò a fondo e colpì.
La freccia partì a gran velocità colpendo l'uomo alla schiena che si accasciò al suolo con un gemito di dolore.

Sarah tossì e si massaggiò la gola, dove le mani dell'uomo avevano lasciato vistosi segni violacei.
La gente si voltò nella direzione dalla quale proveniva quel dardo, aspettandosi di vedere Daryl e furono tutti piuttosto sorpresi di trovarsi davanti Paul.

L'adrenalina che l'aveva spinto ad un gesto del genere, stava via via scemando, lasciando il posto solo all'orrore per ciò che aveva appena commesso. Patrick era morto ed era stato lui ad ucciderlo.
Rebecca, notando l'espressione di suo figlio, si alzò a fatica dal pavimento per cercare di raggiungerlo, ma Paul scappò via nella direzione opposta. Si sentiva un mostro e nessuno mai avrebbe cancellato dalla sua mente quell'idea.
C'era un solo posto dove avrebbe potuto rifugiarsi, una sola persona con la quale avrebbe voluto parlare in quel momento.
Senza curarsi delle grida di sua madre che chiamava il suo nome tentando di fermarlo, corse verso il cancello ed uscì, dirigendosi verso il bosco.
Lo shock per ciò che aveva commesso gli annebbiò la vista. Procedeva per inerzia, quasi come se nel suo cervello fosse stato inserito il pilota automatico.
Corse, corse a perdifiato senza curarsi della presenza di eventuali pericoli. Dopo diversi minuti di quella folle traversata del bosco, si ritrovò in un luogo famigliare, i cespugli di rose selvatiche, il sentiero, il tetto grigio. Finalmente era giunto a destinazione.
Arrancando salì i tre scalini che portavano al portico e urtò i barattoli appesi da Daryl per segnalare la presenza di qualcuno.
In preda al panico si accasciò sul pavimento di legno e si lasciò andare ad un pianto incontrollato.
E fu in quello stato che l'arciere lo trovò.

Quando sentì il rumore dei barattoli, Daryl corse alla porta con la sua balestra ben salda tra le mani. Con delicatezza aprì e guardandosi intorno notò il corpicino del ragazzo accartocciato su sé stesso come una foglia secca.
Senza esitare, lo prese per le spalle e lo aiutò ad alzarsi, trascinandolo in casa. Chiuse la porta e lo portò fino al divano.
Josephine osservava la scena preoccupata e confusa, così come Daryl.
Nessuno dei due riusciva a spiegarsi il motivo di tale disperazione, ma il primo pensiero andò al rifugio.
L'arciere porse al ragazzo una bottiglia d'acqua costringendolo a bere un sorso e si sedette sul tavolino posto davanti al divano in modo da essergli di fronte. Gli lasciò qualche secondo per riprendersi, ma i singhiozzi che lo scuotevano sembravano inarrestabili.

-Che diavolo è successo?- chiese Daryl, forse in modo un po' brusco.

Paul lo osservò attraverso la sua frangetta nera, tenendo la sua balestra in grembo, ben stretta tra le mani.
Sembrava non riuscisse a parlare e nemmeno la carezza delicata di Josephine pareva riuscire a calmarlo.

-Ragazzo devi tornare in te e dirmi cos'è successo!- affermò l'uomo addolcendo un po' il tono.

-L'ho ucciso.- mormorò Paul abbassando lo sguardo come se cercasse di nascondersi.

-Tesoro chi hai ucciso?- domandò Josephine usando tutta la dolcezza della quale fosse capace.

-Patrick.- rispose il ragazzino dopo un lungo silenzio.

Daryl e la ragazza si guardarono un momento senza riuscire a dire nulla. Paul non era certo un assassino e se era arrivato a compiere un gesto del genere, sicuramente doveva essere successo qualcosa di grosso.
L'uomo fece cenno alla ragazza di lasciarli soli, per quanto i modi delicati di una donna facessero comodo alle volte, in quel caso era certo che Paul preferisse parlare con lui.
Josephine annuì e si allontanò dirigendosi al piano di sopra.

-La mamma, Sarah, Doc!- sbottò il ragazzo tra i singhiozzi.

-Sono morti?- domandò Daryl temendo la risposta.

-No, Patrick li ha aggrediti. Ha spinto la mamma, stava per soffocare Sarah, ha messo K.O. il dottore. Ho dovuto farlo Signor Dixon, non avevo altra scelta, nessuno voleva intervenire. Sono un assassino!- spiegò Paul scoppiando di nuovo a piangere con ancora più disperazione di prima.

Ammettere ad alta voce ciò che aveva fatto era piuttosto duro da affrontare. Il senso di colpa per aver messo fine alla vita di un altro essere umano non sarebbe sparito in poco tempo e Daryl lo sapeva bene.

Si sentì un perfetto idiota. Se non fosse scappato da Josephine, se non avesse lasciato il rifugio per le stronzate che aveva per la testa, il lavoro sporco sarebbe toccato a lui e non a Paul.
Ancora una volta le sue scelte avevano provocato sofferenza ad una persona cara. Si fidava di lui e lo aveva preso ad esempio, era una sua responsabilità.
Senza che quasi se ne accorgesse, Daryl si accomodò sul divano accanto al ragazzo, poggiandogli una mano sulla spalla e stringendo leggermente per tentare di infondergli sicurezza. Non era capace di grandi gesti d'affetto, ma cercò di sforzarsi. Paul contava su di lui ed il fatto che fosse immediatamente corso nel bosco per cercarlo, la diceva lunga su quanto contasse per quel ragazzino.
Essere una specie di figura paterna non era certamente nei suoi piani, specie considerando l'esempio che aveva avuto nella sua vita, ma era successo e Paul era diventato una sua preoccupazione. 

Quando i singhiozzi del ragazzo si placarono, Daryl si alzò dal divano ed avvisò Josephine di preparare le sue cose. Era essenziale raggiungere il rifugio il prima possibile. Per quanto fosse un bastardo, Patrick rappresentava comunque qualcosa, per la comunità era essenziale avere un leader, senza una guida abbastanza forte sarebbe andato tutti in malora in pochi giorni. Gli abitanti dell'Area 51 necessitavano di qualcuno che dicesse loro cosa fare e quando farlo, un capo giusto, ma in grado di prendere scomode decisioni, uno come Rick. Pensare a lui, pensare a tutti loro faceva ancora male e quello non era il momento per lasciarsi andare a stupidi sentimentalismi, c'erano questioni ben più importanti da sistemare.
Dopo aver preparato gli zaini, i tre si avviarono attraverso il bosco percorrendo a ritroso la strada verso il rifugio, ignorando ciò che stava succedendo all'interno delle mura. A causa del gesto di Paul la vita all'Area 51 non sarebbe stata più la stessa, in particolar modo per uno di loro.

A casa le cose stavano rischiando seriamente di degenerare. Dopo la morte di Patrick e la fuga di Paul, la gente era nel panico più totale. 
Sebbene l'uccisione del capo fosse stata, in un certo senso, una liberazione, la fine di quella sorta di dittatura aveva lasciato scoperto il posto di comando. Gli abitanti del rifugio, abbandonati a loro stessi, erano rimasti impietriti ad osservare il corpo del loro leader steso a terra privo di vita. In cerchio intorno al gazebo, incapaci di fare qualsiasi cosa. Quell'uomo, la persona che li aveva tenuti al sicuro e sfamati, nascondeva un lato oscuro che nessuno aveva mai visto prima di allora. Da quando Daryl si era unito a loro le cose erano cambiate. Prima del suo arrivo nessuno mai aveva osato contraddire Patrick o mettere in discussione le sue regole, ma dopo, le persone avevano iniziato ad aprire gli occhi ed accorgersi che non era tutto oro quello che faceva luce.

In assenza di qualcuno sufficientemente forte per prendere il suo posto, il dottor Reynolds si fece coraggio e cercò di intervenire per sistemare le cose. Doc sapeva bene che se il comando fosse passato nelle mani di A.J, le cose non sarebbero cambiate di una virgola e gli abitanti non avrebbero mai accettato di sottostare alle stesse regole dopo aver scoperto la verità.
Con un coraggio ed una risolutezza che non facevano certo parte del suo carattere, prese la parola sovrastando i brusii della gente. La faccia livida e l'occhio pesto per il pugno ricevuto, gli occhiali mezzi rotti sul naso, non certo un'immagine in grado di infondere sicurezza, ma in ogni caso sentì che fosse necessario esprimere la sua opinione.

-Gente abbiamo un problema e questo è evidente. Tuttavia stare qui intorno al corpo di Patrick non lo risolverà. Sappiamo tutti che genere di persona fosse, lo abbiamo capito tutti chi prima e chi dopo. Il tempo della sua dittatura è finito. Sapete, le persone hanno lottato e combattuto guerre per un'idea: la democrazia e credo sia arrivato il momento di mettere in pratica l'insegnamento di chi ci ha preceduto. L'Area 51 ha bisogno di un leader, ma questa volta non si autoeleggerà a nostro capo, saremo noi a decidere chi dovrà prendere il posto di Patrick.- disse Doc attirando l'attenzione di tutti su di sé.

-E come dovremmo fare?- domandò una donna.

-Con delle elezioni!- rispose il dottore.

Il brusio della gente si fece più intenso e Doc restò lì al centro in attesa che le persone esprimessero la loro opinione in merito alla sua idea.

-Io mi candido.- affermò A.J con la sua solita aria strafottente.

-Qualcun altro?- chiese il dottor Reynolds, sperando che altri si facessero avanti.

In un angolo, una donna osservava la scena con gli occhi colmi di angoscia. Rebecca era in ansia sia per le sorti del rifugio, ma anche e soprattutto per la fuga di suo figlio. Era sicura che Paul fosse corso a rifugiarsi da Daryl dopo ciò che era successo, ma non vedendolo rientrare la preoccupazione le stava togliendo il respiro.

Nessun altro si fece avanti per candidarsi come leader e Doc vide avvicinarsi sempre di più ciò che temeva. A.J a capo del rifugio avrebbe significato un passo indietro, l'inizio di un altro regno del terrore.

Nel bel mezzo di quella riunione, Daryl, Josephine e Paul varcarono i cancelli avvicinandosi a quel gruppo di persone per capire cosa stesse succedendo e fu proprio in quel momento che Patrick si alzò. Nessuno dei presenti aveva pensato di piantargli un coltello in testa per evitare che si trasformasse e, quando iniziò a camminare verso il dottore con l'intenzione di nutrirsi di lui, il panico attraversò il volto di tutti.
Non subivano un attacco da diverso tempo e la vista di quell'essere li sconvolse parecchio. 
Paul in quell'istante realizzò di dover finire il lavoro. Era stato lui ad ucciderlo, toccava a lui eliminarlo del tutto.
Il dottore fece qualche passo indietro per cercare di sfuggire alle fauci fameliche di quello che un tempo era Patrick e Paul si frappose tra i due, puntando la sua balestra in avanti.
Daryl non poteva permettere che un tale peso gravasse sulle spalle del ragazzino, non un'altra volta. Con due rapide falcate, raggiunse lo zombie e gli piantò il coltello in testa.
Quando si voltò verso Paul e lo vide abbassare l'arma con le mani tremanti, capì di aver fatto la scelta giusta.

Rebecca corse ad abbracciare suo figlio, mentre Josephine si affiancò a Daryl con aria confusa. 

Ad un tratto la donna, sempre tenendo tra le braccia Paul, prese coraggio e parlò.

-E' lui! Non A.J... è… è perfetto!.- 

Le persone annuirono e parlottarono tra loro sorridendo ed indicando l'arciere. Josephine osservò l'uomo accanto a sé rispondere alle occhiate delle persone con aria smarrita.
Non riuscirono a capire cosa stesse succedendo fino a quando Doc prese la parola.

-Allora, chi è d'accordo ad eleggere il Signor Dixon come nostro capo alzi la mano e dica sì.- affermò ad alta voce lasciando Daryl impietrito.
  
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