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Autore: lollyyyy    18/09/2015    0 recensioni
Il governo, per creare bambini più forti e sani, ognuno dotato di un proprio potere, un giorno separa tutti i bambini appena nati dalla proprie famiglie per mettere in atto il progetto nuovi bambini( Project New Children). Vennero cresciuti fino ai cinque anni, finché, un giorno, un gruppo di sconosciuti entra e lascia evadere tutti i bambini. Ma, insieme ai bambini rubano anche un siero, un siero della memoria utilizzata per cancellarla ai bambini i ricordi di quei cinque anni , e un microchip in grado di bloccare i poteri.
Una ragazza come le altre, una normalissima sedicenne. Una che preferisce stare sulle sue che essere circondata da gente. Non si sarebbe mai aspettata, un giorno, di diventare chissà chi. Ma poi, uno sparo, un incontro forse predestinato, tutto cambierà in quel giorno.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Una gocciolina d’acqua ha una sua vita e una sua fine, come quella degli umani, ma c’è una cosa che gli umani posseggono e non le goccioline. UN’ ANIMA. Qualcosa che li distingue fra loro, qualcosa che li fa unici, era così che la pensavo…..
 

                                                       Capitolo 1

                                                 

 
Mille goccioline di pioggia, un cielo nero come il fumo, come la tristezza che si prova nel profondo dell’anima. Questo era quello che vedevo da quella maledetta finestra cupa, oscura e misteriosa della mia scuola. La tipica finestra Italiana, una di quelle con l’introno metallico grigio topo, con un vetro gigante, pieno di graffi vecchi quanto lui.
A portarmi via dai miei pensieri oscuri fu il suono  della campanella che significava la fine delle lezioni. Pian piano, il rimbombo delle voci dei miei compagni di classe si diffuse nell’aula. Non sapendo cosa fare, rimasi seduta a guardare fuori dalla finestra, aspettando che tutti quelli rimasti se ne andassero. Quando furono usciti tutti, decisi di prendere anch’io la mia roba e di uscirmene. Uscita, mi ritrovai un ammasso di studenti carichi di ombrelli decisi ad uscire facendo casino e confusione , mentre le bidelle stridulano per calma e silenzio. Non volendo far parte di quella confusione umana, cercai un rifugio dove potermi sedere e mettere ad aspettare con calma. Localizzai un piccolo spazio tra i distributori e mi ci incamminai. Fu molto difficile arrivarci, dato che c’erano almeno un centinaio di persone tutte appiccicate l’una  all’altra e dato che nessuna di esse aveva l’intenzione di lasciarmi passare. Arrivata, scivolai e sprofondai sul posto con le braccia indolenzite dallo sforzo usato per farmi passare tra le persone. Quando inizia a mettermi in una posizione più confortevole iniziai anche a osservare le persone: C’era chi se ne andava subito, chi rimaneva a chiacchierare con gli amici, quelli che si baciano con la propria ragazza, le tante vipere che sparlano e quelli che prendono in giro il più debole. Vedevo tutto ma allo stesso tempo non vedevo nulla, era come se stessi guardando un mondo a me incomprensibile e estraneo. Mentre pensavo, il mio sguardo si incrociò con un paio di occhi verdi. Li e ci fisammo per pochi minuti, ma per me durò quasi un secolo. Era come se quei occhi chiari lucenti come il mare all’ora del mattino mi avessero assorbita e portata in un altro mondo. Alla fine distolse lo sguardo, e fu allora che mi accorsi che non avevo fatto altro che guardargli gli occhi. Dall’imbarazzo, distolsi anch’io lo sguardo e fu allora che mi accorsi che mi era venuta la pelle d’oca e che il mio cuore batteva come se fosse impazzito; era come se il mio corpo fosse stato attraversato da milioni di piccole scosse nel momento stesso in cui ci siamo guardati. Accertatami che il mio cuore avesse riiniziato a battere normalmente, cercai il proprietario di quei occhi con lo sguardo. Lo trovai nello stesso punto in cui l’avevo visto, ma ora, invece di soffermarmi ai sui occhi, cercai anche di vedere le altre sue caratteristiche. Biondo come il grano e muscoloso. Non l’avevo mai visto a scuola, forse l’avevo ignorato come facevo con la maggior parte dei ragazzi o non mi ero semplicemente mai accorta di lui fin ad ora; ma, guardandolo, c’era una parte di me che avvertiva un non so che di famigliare. Ero così concentrata su di lui e su quello che stavo provando che non mi accorsi di qualcuno che stava venendo nella mia direzione.  
“Che c’è? Chi o cosa è riuscito ad attirare la tua attenzione?” Disse qualcuno per ottenere la mia attenzione.
Alzando la testa, ritrovai davanti a me la mia migliore amica: Emily.
“Ehi,non ti avevo notata…” replicai distogliendo lo sguardo da lui.
“Quello lo avevo capito. Allora,che stavi guardando?” Mi chiese avendo notato il mio sguardo di prima e sedendosi accanto a me.
“Guarda” dissi facendole segno con la testa verso il biondo. “Chi è?”
Si girò e guardò nella direzione opposta alla nostra. Ebbe quasi un sussulto, ma poi esclamo a voce abbastanza alta da fare girare alcune persone vicine: “Non lo so, ma è sexy!”
 “Trovi?” mormorai in imbarazzo dato che alcuni ragazzi ci stavano guardando come se fossero loro la persona di cui stiamo parlando.
“Si, già da me lo trovo un bel bocconcino, ma è  riuscito persino ad attirare la tua attenzione! Non molti ne sono capaci, anzi è la prima volta che ti vedo fissare un ragazzo.” Mi dice tutt’ad un fiato come per rivelare qualcosa di imbarazzante. Non aspettando quell’osservazione, mi ci volle un po’ per replicare, ma alla fine dissi in mia difesa:“ Non è che non mi piace guardare i ragazzi, è che non mi piace fissare la gente, dato che so cosa si prova quando ci si sente fissati.”
“Lo so, ma dovresti staccarti un po’ dalla tua timidezza e affrontare le cose con testa alta” Mi dice con uno sguardo affettivo ma allo stesso tempo duro in viso.  
 “Si, certamente. Scusa, ma ora me ne devo andare, sai com’è fatta mia nonna, se ritardo anche solo di un minuto mi ammazza.” Dissi per cambiare argomento. Dato che i miei genitori (divorziati) sono spesso occupati in viaggi di lavoro da cui vengono trattenuti avvolte settimane, mesi o anni io sono costretta a vivere con mia nonna, non che mi disturba, mia nonna è una tipa in gamba, ma a volte ti servono i genitori accanto. Presi la mia borsa, qualche libro e l’ombrello e inizia a camminare verso il cancello della scuola con calma, dato che la maggior parte degli studenti, nel frattempo se nera già andata. Appena attraversato il cancello dell’entrata della suola, Emily mi raggiunge e riiniziamo a parlare del più e del meno, finché, tutt’un tratto dei brividi mi salirono lungo la schiena. Qualcuno mi sta osservando.
Cercai quello sguardo che mi stesse fissando, ma alla fine non lo trovai. Sembrava proprio che nessuno mi stesse osservando, ma quel presentimento non voleva lasciarmi.
 “Ehi, che c’è?” Mi chiede Emily preoccupata, vedendomi sbianchire.
“No, non è niente.” Dissi ricominciando a camminare, facendo finta di niente.
“Sicura che non sia niente? Sei un po’ pallida…” Mi chiese incerta per accertarsi che fosse davvero così.
“Si, ho soltanto fame. Andiamo a mangiare qualcosa da Besenghi?” Replicai per cambiare argomento e anche perché, infetti, avevo davvero fame.
Al pensiero di mangiare, Emily sorrise e mi rispose che le andava bene, ma che prima doveva informare i suoi genitori. Mentre Emily chiamava ai suoi, decisi di chiamare a mia volta mia nonna per informarla di non aspettarmi per il pranzo, ma, come al solito, non rispose al telefono, così decisi di mandarle un messaggio e di andarci comunque.   
Ci mettemmo poco ad arrivarci, dato che Besenghi si trovavo proprio difronte alla nostra scuola. Appena entrate fummo travolte dall’aria calda del riscaldamento che ci avvolse e ci risaldò in un batter d’occhio. Trovammo subito un posto vicino alla grande finestra che, nelle giornate di sole, illuminava tutto il negozio, ma che in giornate acquose come queste rendeva il posto un po’ tetro. Erano le luci che risplendevano il negozio che rendevano il posto accogliente in queste generi di giornate. Scelto quello che volevamo mangiare, aspettammo che la cameriera finisse quello che stava facendo e poi ordinammo. Aspettando le nostre ordinazioni, iniziammo a parlare del più e del meno, finché la nostra conversazione non finì sul ragazzo biondo di prima.
“Secondo te chi era?” Mi chiese Emily per la millesima volta.
“Non lo so..” Replicai a mia volta per la millesima volta.
“Guarda che se rispondi così sembra che non ti importa nulla di lui” Controbatté come se m’importasse davvero.
“Infatti è così. Non m’interessa.” Controbattei a mia volta a mia difesa.
“Se è davvero come dici tu, allora perché prima lo guardavi come se avessi visto un’angelo?”
Beccata……
“Non m’interessa, è soltanto che non avevo mai visti occhi come i suoi e ne sono rimasta talmente stupita che non mi sono resa conto di aver iniziato a fissarlo..” Persino alle mie orecchie sembravano scuse banali, pensare a quelle di Emily. Ma, alla fine, fece un sospiro e cambiò  argomento come se avesse capito che non avevo intenzione di darle retta.
Finito di pranzare, facemmo un tratto di strade insieme sotto gli ombrelli ma poi fummo costrette a separarci in diverse direzioni. Mentre camminavo lungo la strada, pensavo alla pioggia, al fatto che, anche se non mi piacciono gli ombrelli, mi tranquillizzasse così tanto da sperare che ogni giorno piovesse. Guardando le goccioline d’acqua cadere dall’albero accanto alla scuola elementare, ormai abbandonata, sentì di nuova la sensazione di essere osservata, così mi girai. E, proprio qualche metro in più dietro di me, c’era lui. Goccioline d’acqua gli cadevano dai capelli bagnati dalla pioggia, dalla camicia bagnata si potevano vedere i suoi muscoli muoversi al suo respiro, ansimava, come se avesse corso fino a qui senza rendersi conto che glia mancasse il fiato e aveva gli occhi bagnati. Si stava avvicinando, a ogni passo che faceva verso di me il mio cuore batteva sempre più forte, ma all’improvviso sentì qualcosa di metallico nell’aria e qualcosa che assomigliava ad uno sparo. Presa alla sprovvista chiusi per un attimo i miei occhi, ma quando li riapri lui era a terra. Buttai a terra l’ombrello e corsi subito da lui. Mi buttai accanto a lui, aveva il sangue che gli colava dal fianco sinistro, pensando a quello che avrei dovuto fare, lui riapri gli occhi. Quei occhi color del mare, ora sembravano in tempesta e quasi pronti per spengersi. Decisi che era meglio portarlo all’angolo della scuola, così da evitare altre sparatorie. Presi il suo braccio destro(dalla parte dove non aveva la ferita) e me lo misi sulle spalle. Decisi di correre il più veloce possibile così che da evitare il più presto possibile le eventuali pallottole e così da fargli soffrire per il meno tempo possibile, anche se si trattava di tanto dolore in una sola volta.
“Scusa, ma è meglio  sentire subito tutto il dolore che tenerlo prolungato, no?” Dette le mie sincere scuse, inizia a correre verso l’angolo della vecchia scuola. Sentì il suo corpo irrigidirsi dal dolore e, a ogni mio passo, lo vidi mordersi le labbra, in modo da soffocare i gemiti di dolore. Arrivati all’angolo, cercai di appoggiarlo delicatamente al muro. Assicuratami che quella posizione non gli procurasse dolore, inizia a cercare nella mia borsa la mia maglietta di educazione fisica e la mia bottiglietta d’acqua. Mentre stavo per prendere la bottiglia, lui afferrò la mia mano e la strinse con tutte le forze che gli erano rimaste.
“S…Sa...”Cercò di accarezzarmi il viso con la mano libera, ma stava iniziando a faticare a respirare.
 “Non parlare, devo pensare alla tua ferita e a come portarti via di qua.”  Giusto, qualunque cosa mi dovesse dire, ora non era importante.   
“Sabrina…”Sussurrò tutt’an fiato, svenendo. Al suono di quel nome, il mio corpo fu sovrastato da un’onda calda, ma ,allo stesso tempo, confortevole. Era come provavo una sorte di nostalgia mentre ripensavo a quel nome. Perché quel nome mi è famigliare?  Eppure non l’avevo mai sentito. Più mi sforzavo a ricordare dove l’avessi sentito, più mi faceva male la testa. Abbassai gli occhi e vidi che dalla sua ferita stava uscendo sempre più sangue. Non era il momento per queste cose, così respinsi ogni mio dubbio e decisi concentrarmi sulla sua ferita. Per vedere le condizioni della ferita, fui costretta a sollevare la sua camicia e fui scioccata da quello che vidi; la ferita era più profonda di quello che avevo previsto e stava anche perdendo troppo sangue. Per un attimo, fui assalita dal panico e da pensieri negativi, ma li caccia via subito. Ripresi in mano la bottiglia e la maglietta, ripiegai su se stessa la maglietta e ci versai un po’ d’acqua della bottiglia. Quando premetti la maglietta sulla sua ferita, gli uscì qualche grugniti di dolore; mi sentì sia in colpa che rassicurata, in colpa perché gli stavo facendo male, rassicurata perché così ero certa fosse ancora vivo. Cercai qualcosa che avrei potuto usare per tenere ferma e stretta la maglietta sulla ferita, ma l’unica cosa che riuscì a trovare fu una scatola di cerotti, ma decisi di utilizzarla comunque. Appiccicai gran parte dei cerotti sui contorni della maglietta così da non farla cadere, anche se non servì molto, dato che decisi di premerci sopra con la mano, così da fermare un po’ il circolamento sanguigno. Prima di metterlo di nuovo sottobraccio, decisi di andare a vedere se ci fosse qualcuno di sospetto nei paraggi o che ci fosse qualche rumore metallico dall’altra parte della strada. Accertatami che non ci fosse nessuno e nessun rumore di nessun tipo, lo presi e inizia a trascinarlo insieme a me.
Fu molto difficile trascinarlo con me sotto alla pioggia, dato che era pesava quasi il doppio di me e dato che dovevo anche sbrigarmi a portarlo velocemente in un posto dove poteva essere operato il più presto possibile. Molte volte rischiai di scivolare sul fango, ma oramai ero abituata a cadere, quindi riuscì, ogni volta, in qualche modo a frenare le cadute e, prima che me ne accorsi, mi ritrovai davanti alla porta di casa mia a suonare al citofono.
“Pronto? Chi è?” chiese un voce secca e roca con un tono sospettoso.
“Sono io nonna.” Le risposi in modo dolce, così da assicurarla.
Sentì un clic e il cancello iniziò ad aprirsi. Il rumore metallico e rustico  del cancello si diffuse tra il rumore confortevole della pioggia che iniziava a scagliarsi sempre più velocemente sul terreno. Non riuscendo ad aspettare che tutto il cancello si aprisse, lo sorpassai appena vidi che era abbastanza aperto da farci passare entrambi. In quel momento fui grata che mia nonna aveva deciso di lasciare il cancello principale a pochi passi dalla porta di casa , dato che ormai mi stavo anch’io trascinando. Quando salì il primo gradino di legno della piccola scaletta davanti a casa mia, sentì la porta aprirsi seguita dal rumore dei piedi di mia nonna sul piccolo balcone di legno.
“Lisa, che cos’è successo?” Mi chiese mia nonna appena arrivata di corsa verso di me. Quando mia nonna vide che stavo trascinando con me una persona profondamente ferita ebbe quasi un sussulto, ma appena vide la faccia di chi trascinavo, per un attimo sembrò sia sorpresa che terrorizzata, ma si ricompose quasi subito, quindi non ne fui molto sicura.
“Vado a prendere il kit del pronto soccorso, tu , intanto portalo dentro.” Disse dirigendosi verso la porta di casa. Sorpresa della sua collaborazione senza essere stata persuasa, iniziai anch’io a dirigermi verso la porta, ma, ormai stanca, ad ogni mio passo le gambe mi si facevano sempre più pesanti e mi iniziava ad annebbiare sempre di più la vista, così decisi di focalizzarmi sulla porta di casa mia e lasciando stare le altre cose che mi circondavano. Concentrandomi soltanto della porta, non mi accorsi che ero già arrivata dalla scaletta e inciampai. Ma qualcosa mi blocco dall’impatto, qualcosa di duro e solido, ma allo stesso tempo morbido e piacevole.
“Sempre la solita goffa, eh?” Alzando lo sguardo incrocia quello di un paio di due occhi neri come la notte. Il mio viso era di pochi centimetri dal suo, quindi potevo vederlo più chiaramente. Lineamenti duri, ma allo stesso tempo dolci, labbra piccole e sottili, sopracciglia folte nascoste dai capelli neri un po’ troppo cresciuti; ma la cosa che mi attirava di più di tutto il viso erano i suoi occhi, erano neri come il carbone, eppure in loro c’era una specie di scintilla, un qualcosa che rendeva vivo quel nero cupo. Avendo la testa confusa, mi lasciai sfuggire  una frase dalla bocca: “Chi sei?”
Per un attimo mi sembrò di sentire il suo corpo irrigidirsi, ma durò per pochi secondi, quindi non ne fui certa.
“Non importa ora chi sono. Tranquilla, ora ci penso io a lui, tu vai dentro a riposarti.” Prima che potessi protestare, prese sotto braccio il ragazzo che, ormai, mi stava schiacciando e si diresse verso la porta. Non capendo quello che stesse succedendo, rimasi per un po’ sotto la pioggia gelida piena di domande. Chi era quel ragazzo? Perché  era dentro casa? Perché sembrava che conosceva il biondo? Ma, soprattutto, perché hanno sparato al biondo?.  Non trovando risposte a queste domande, decisi di entrare in casa per riceverle e per vedere come andasse la situazione. Ma appena entrai, fui il centro di attenzione di centinaia di sguardi sconosciuti. Chi erano e cosa ci facevano in casa mia non lo sapevo, ma sapevo soltanto che la risposta alle mie domande ce l’aveva solo una persona: mia nonna. Il problema però era trovarla, così pensai alle varie opzioni dove potesse operare una persona ferita e così arrivai ad una soluzione; si doveva trovare in cucina dato che lì era l’unico posto in cui avevamo un tavolo abbastanza lungo per posarci sopra una persona. Al mio primo passo verso la cucina, all’improvviso sentì una porta aprirsi e sentì uno strettone provenire dal braccio, ma prima che potessi reagire, mi ritrovavo schiacciata contro il muro dello scantinato di casa mia. Prima che potessi protestare, sentì una mano ruvida e sudata sulla bocca.
“Prima che ti metti ad urlare, guarda in faccia con chi parli.” Era una voce roca, ma profonda allo stesso tempo e, anche se l’avevo sentita solo una volta, riuscì subito a capire di chi fosse. Capendo che mi ero tranquillizzata, pian piano iniziò a mollare la presa fino ad toglierla tutta. Alzando il viso, le mie supposizioni furono accertate.
“Non eri andato a portare al sicuro il biondo, Tahiti?” Per un attimo sembrò sorpreso, ma subito dopo un grandissimo sorriso gli si stampò sul viso per poi scoppiare un una fragorosa risata. Imbarazzata dalla situazione, non sapendo cosa fare, rimasi lì a guardarlo un po’ sconvolta. Dopo un po’ si ricompose e tornò serio, ma con ancora un sorriso stampato in volto.
“Perché mi hai dato il soprannome di un paese tropicale?” Mi chiese appoggiando la mano destra sul muretto alla mia spalle. 
“Non intendo Tahiti il paese, quello che dico io sta per Tahiti le perle nere. Dato che oggi incontro persone che non hanno il tempo di dirmi il loro nome, devo pur arrangiarmi in qualche modo.” Replicai in mia difesa cercando di essere il più spensierata possibile, dato che al momento non ci riuscivo. Per un po’ sembrò ripensare sulle mie parole, per poi aprire la bocca e dire: “Vai in camera tua e non uscire finché non ti viene a chiamare qualcuno.” Detto questo, toglie la mano dalla parete e inizia ad incamminarsi verso la porta, per poi fermarsi di colpo. 
“ Tra l’altro mi chiamo Alex e, il biondo di prima, si chiama Francesco.” Finita la frase, apre la porta e se ne va nel corridoio. Il mio corpo fu travolta dalla rabbia. Mi stava prendendo in giro. Si stava divertendo stuzzicandomi, proprio in un momento del genere! Se pensava che l’avrei ascoltato e avrei eseguito il suo consiglio, si sbagliava di grosso, anzi, aveva avuto l’effetto contrario, oramai sfrenavo dalla voglia di scoprire quello che stava succedendo.
Decisa di scoprire quello che stava succedendo, usci dallo scantinato e iniziai a incamminarmi verso la cucina, ma arrivata sulla soglia della porta mi fermai di colpo. In quel momento mia nonna era ad occuparsi della ferita da fuoco di Francesco nel fianco. Ma non fu il sangue o la ferita ad sconvolgermi, bensì altro. Tutto il suo corpo era ricoperto da tantissime cicatrici di tutte le dimensioni. La maggior parte di esse sembravano ferite da arme da fuoco, mentre le altre da oggetti affilati. Come si lì è procurati? Ma cosa più importane, perché li aveva? Mentre stavo accostata sul muro accanto alla porta a pensare, sentì provenire dalla stanza in cui avevo visto dozzina di persone dei mormori. Curiosa di sapere di cosa stessero parlando, mi accostai affianco alla porta chiusa e rimasi in silenzio per ascoltare. Anche se non si sentiva molto bene, le uniche parole che ero riuscita a scovare furono: Scappare, memoria, rifugio, bambini, sicurezza. Queste furono, tra tutte le parole che vennero utilizzate molte volte da tanti di loro. Ma, prima che potessi pensare al significato di tali parole, sentì qualcuno che aveva messo la mano sulla mia spalla. Mi girai e trovai mia nonna con in viso uno sguardo triste e malinconico. Ebbi il presentimento che mi stava per sgridare dato che stavo origliando, ma non lo face, anzi aprì la porta ed entro nel salotto. Appena mia nonna mise piede in salotto tutti si azzittirono. All’inizio tutti gli occhi erano fissi su di lei, ma poi, alcuni, iniziarono a notarmi e così si ritrovavano a guardare me. 
“Ho una cosa molto importante da dirvi miei cari amici e compagni.” Disse all’improvviso mia nonna tra il silenzio tombale. “Ormai noi non riusciamo più a nasconderli e a proteggerli come una volta, è giunto il momento. È giunto il momento per il piano di riserva.” A quella parola, tutti iniziarono a parlare tra di loro coi visi preoccupati ed, alcune signore, persino a scoppiare in lacrime. Il piano di riserva? Cosa sta succedendo? Prima un ragazzo viene sparato, poi trovo migliaia di persone in casa mia e ora questo!  Vedendomi confusa, mia nonna si girò verso di me e disse: “ è giunto il momento della verità. È giunto il momento del piano di riserva: Restituire la memoria e cancellare il blocco ai bambini, ai New Childrend.” 
  
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