Anime & Manga > Naruto
Segui la storia  |       
Autore: _ayachan_    10/02/2009    2 recensioni
Ed è solo perché sono un'inguaribile ritardataria che i regali di Natale iniziano a presentarsi al pubblico nel giorno della Befana! Le shot più disparate che mi sono state richieste come regalo più o meno sano di mente, AU, what if, spinoff e tutto ciò che mi balzava in testa. Filo comune: sono tutti regali, naturalmente.
All'interno: una fic che ha partecipato al contest sull'erotismo, e la prima classificata al contest sulla pazzia, ovviamente segnalate.
Capitolo 6:
JiraTsu, per Leti.
Purtroppo è leggermente angst, nonostante la cosa non piaccia neanche a me! XD
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Natale8-Enrica

A Enrica,
nonostante il suo compleanno risalga addirittura
al 18 dicembre!
Scusa per il terribile ritardo, scusa per i personaggi e scusa perché è quello che è...
In compenso, se la cosa ti aggrada, puoi considerare regalo unificato
questa e l'altra cosina che devi ancora leggere!
<3







Drowning





Erano veramente con l’acqua alla gola.

Da molto tempo respirare si era fatto difficile, quasi vischioso, e ogni movimento si svolgeva con la massima cautela e ogni cura possibile e immaginabile. Restare a galla era difficile. Le onde cercavano di sommergerli ad ogni piè sospinto, e mantenere la bocca sopra il pelo dell’acqua si faceva sempre più faticoso...
Ma cedere sarebbe stato peggio. Arrendersi, pur sapendo di avere ancora una goccia di coraggio in corpo, sarebbe stato semplicemente patetico.
E loro no - loro mai - avrebbero accettato la più terribile delle onte.
Fare pena.


«Nel secondo chō*
«Niente anche lì, silenzio assoluto»
«A Nakano?»
«Da due settimane abbiamo perso i contatti»
«Quelli di Shinjuku, cazzo
«Loro ci sono ancora. Ma sono a pezzi»
Una mano si mosse rapida, andando ad afferrare con rabbia una manciata di capelli neri.
«Ci hanno tagliato tutti i ponti» sibilò una voce roca, trattenendo a stento la rabbia. «Siamo isolati!»
I tre uomini presenti nella stanza oltre al Capo rimasero in silenzio, fissandosi nervosamente le scarpe.
Erano nella merda più molle e vischiosa che avessero mai incontrato. Anche se fossero riusciti a liberarsene, la sua puzza sarebbe rimasta attaccata ai vestiti per sempre. Erano finiti.
Qualcuno sfregò a terra la suola delle scarpe, un paio di Nike sporche che anticamente dovevano essere state dorate. Qualcun altro si schiarì leggermente la voce, quasi a incrinare il silenzio troppo denso. Il Capo sbuffò di nuovo.
«Andate. Vi chiamerò io, questa settimana siete liberi» li congedò asciutto, ignorandoli l’attimo successivo. Corrucciato, si chinò sulla scrivania e prese a fissare una consunta cartina della città, stesa sul piano scuro del tavolo e piena di segni a penna rossa. Non si accorse nemmeno del momento in cui due dei tre uomini si guardarono, scossero la testa e si allontanarono silenziosi.
Il terzo, invece, rimase.
«Sasuke...» mormorò, facendo un passo verso la scrivania.
«Ho detto che potete andare» sibilò lui, stringendo i pugni contro il legno e chinando la testa, per nascondere il rossore di rabbia che gli coloriva il volto. «Sarò io a chiamarvi, se e quando ne avrò voglia»
L’uomo oltre la scrivania inspirò lentamente, ferito, ma non insisté oltre. Distolse lo sguardo dalla testa china del Capo, e annuì da solo, in silenzio.
«Ho capito» sussurrò.
Quindi fece un giro su sé stesso e si avviò alla porta con passo fermo. Tradì una lieve incertezza soltanto nel momento in cui la sua mano si posò sulla maniglia, ma fu di brevissima durata.
Egoisticamente avrebbe voluto restare; ma sapeva che per l’orgoglio di Sasuke era meglio un po’ di solitudine... Un bel po’, probabilmente. Così, si lasciò alle spalle il rumore della serratura che scattava e una parete invalicabile di orgoglio e disperazione.

Uscì nell’aria inquinata del quartiere, passando con finta indifferenza dal locale di Pachinko** che era la loro copertura. Fece un vaghissimo cenno al vecchio proprietario che puliva il pavimento, poi fece tintinnare la campanella dell’ingresso, e fu fuori.
Il cielo di marzo era coperto da un sottile strato di nubi grigie e spugnose, che si mescolavano come volute di fumo. Non sembrava che volesse piovere, ma in quel mese dell’anno nulla era mai certo.
Il ragazzo, che fuori dal locale non era più un uomo, ficcò la mano in tasca e ne estrasse un pacchetto malmesso di Camel. Lo fissò con sguardo assente, come se in realtà guardasse altro, poi, sospirando, lo rimise via.
Non ancora. Erano nella merda, non morti.
Alzò lo sguardo e lo passò tutt’attorno. La strada era una banalissima via di quartiere popolare, su un lato della quale si apriva un cantiere. A quell’ora del pomeriggio passavano soltanto una massaia piena di preoccupazioni e un cane, forse un randagio. Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli con un senso di rabbiosa frustrazione.
Il mondo restava sempre indifferente alle calate. Le ascese no, quelle erano celebrate in pompa magna e tripudio di stendardi, ma calate e cadute passavano in sordina, ricordate qua e là con miseri sussurri di compatimento.
A nessuno interessava chi scendeva la china. Come la società ignorava vecchi e deboli, l’interesse ignorava chi aveva perduto il potere, per quanto grande fosse stato. E loro... oh, sì, loro ne avevano avuto tanto, di potere: uomini nei quartieri di mezza città, informatori, collaboratori, infiltrati nella polizia, reti di lavoro efficienti e ben oliate. Un piccolo e fruttuoso impero che si reggeva sull’illegalità – ma quale impero non lo faceva?
La polizia vedeva e taceva, in cambio di piccole bustarelle natalizie, e anche le autorità erano disposte a chiudere occhi, naso e orecchie con un minuscolo incentivo morale, per così dire. Era un perfetto sistema do ut des, e non era mai entrato in conflitto con nessun altro organismo simile.
Chissà cos’era andato storto. Forse all’inizio era stata colpa delle autorità, che avevano preteso di più. O della polizia, che aveva avuto una fiammata di moralità... O forse il problema era interno alla compagnia, e ne minava da sempre le fondamenta con un virus chiamato avidità. Qualunque fosse, era riuscito rapidamente a distruggerli: nell’arco di pochi mesi, settimane quasi, la loro rete si era completamente sfaldata. Gli uomini erano scomparsi, morti o traditi, i confini del loro impero si erano fatti frastagliati, e poi sfilacciati, infine a brandelli. Del loro potere non era rimasta che una grande bolla di sapone, ed erano fin troppe le dita pronte a farla scoppiare.
Ma forse era inevitabile, rifletté il ragazzo.
Con la mani premute a fondo nelle tasche, prese a camminare lungo la strada senza una meta precisa. Il loro mondo si reggeva sulla precarietà, sul carpe diem continuo e ininterrotto. Oggi la fortuna gira, domani chissà. Cogli il momento finché sei sulla cresta dell’onda, e cerca di discenderla con stile. L’importante è non cadere, certo.
Eppure, anche se erano caduti, e pure rovinosamente, lui non provava vergogna, rabbia, o disperazione. Si era in un certo senso rassegnato a quell’idea da molto tempo, forse ancora prima che tutto iniziasse. Sì, doveva essere così, perché non riusciva a scovare nemmeno un briciolo di delusione dentro di sé. Se si guardava, vedeva solo una grande malinconia.
La loro compagnia, per quanto precaria, dissolta.
Persone che si erano salvate la vita a vicenda, ora erano separate e destinate a diventare rivali, o peggio cadaveri.
Il ricordo delle bevute in compagnia sarebbe diventato unicamente un ricordo... e presto anche Sasuke. Lo conosceva. Sapeva che non sarebbe rimasto a farsi guardare mentre cadeva, sapeva che avrebbe preferito affondare da solo, che forse ci avrebbe anche provato.
E lui, come uno scemo, sarebbe rimasto a guardare.
Ho detto che potete andare.
Gli ordini non si discutono, vero teme?

Si accorse dell’altro ragazzo quando ormai gli era quasi andato a sbattere addosso. All’improvviso la sua ombra incespicò nei piedi di un uomo, e allora ricordò di essere ancora un essere umano in un mondo di uomini, e si decise ad alzare lo sguardo.
Il cuore gli rimbalzò nel petto con un sussulto improvviso. Conosceva la persona che gli si era parata davanti.
Quello gli sorrise, amabile, le mani infilate nelle tasche del lungo cappotto di tweed nero e i capelli elegantemente raccolti alla base della nuca. Sebbene i suoi lineamenti fossero totalmente diversi da quelli di Sasuke, era innegabile che Itachi Uchiha ne fosse il fratello: avevano gli stessi, identici occhi... ma sguardi diametralmente opposti.
«Naruto Uzumaki» Itachi chinò lievemente il capo, aspettandosi che il ragazzo rispondesse al saluto; ma quello rimase rigido a fissarlo, nervoso, e non fece nulla.
Il sorriso si raffreddò lievemente sul viso liscio dell’Uchiha, ma non scomparve. Con delicatezza estrasse le mani di tasca e fece un cenno indicando la strada, come lo avrebbe fatto per lasciare la precedenza a una donna.
«Posso offrirti qualcosa?» chiese serenamente.
«Cosa?» scattò Naruto, istantaneamente rigido.
«Un tè, un caffè, una coca, un alcolico... Quello che preferisci»
«Perché?»
«Perché c’è qualcosa di cui vorrei parlare con te»
Era inutile aggiungere che quel qualcosa riguardava Sasuke.

Itachi avrebbe voluto prendere un taxi e spostarsi in un quartiere più ricco, per portarlo in un locale che conosceva, ma Naruto rifiutò categoricamente di allontanarsi. Dovettero accontentarsi di un piccolo bar sporco all’angolo della via, e Itachi ci entrò nascondendo perfettamente il disgusto.
Presero posto nell’angolo più lontano dall’ingresso, che era anche il più buio e meno igienico, e Naruto appoggiò i gomiti sul tavolo con nervosa aria di sfida.
«Allora?» esordì, senza girarci intorno.
Itachi si accomodò, apparentemente a suo agio, guardandosi attorno con ostentata calma.
«Allora?» insisté Naruto, digrignando i denti.
«Un caffè» disse lui all’uomo che li aveva raggiunti, e si puliva le mani in un grembiule macchiato. «Tu cosa prendi?» aggiunse rivolto a Naruto.
«Una coca» sibilò quello rapido, incassando la testa tra le spalle.
«Un caffè e una coca» ripeté Itachi, e l’uomo annuì, li squadrò per un lungo istante, e si avviò verso il bancone zoppicando leggermente.
«Senti, se siamo qui perché ti annoi, allora...» sbottò Naruto, stringendo una mano all’altra con irritazione, ma Itachi lo interruppe prima che concludesse la frase.
«Sasuke come sta?» chiese distaccato, sfilando di tasca un pacchetto di Lucky Strike.
Le spalle di Naruto si irrigidirono, i suoi occhi si affilarono immediatamente. Non rispose, e Itachi gli lanciò un’occhiata rapida, mentre accendeva la sua sigaretta.
«Naruto, non sono qui per minacciarvi» sospirò, con aria annoiata. «La nostra compagnia cresce sulle rovine della vostra, non abbiamo alcun bisogno di infierire: ormai siete condannati. Tutto quello che mi interessa...» fece un piccola pausa, sporgendosi leggermente sul tavolo, e per un attimo espirò brevemente, lasciando che il fumo si sollevasse sul tavolo. «Quello che mi interessa, è soltanto mio fratello»
«Lo so» sibilò Naruto, serrando i pugni. A Itachi era sempre interessato Sasuke, così come a Sasuke era sempre interessato Itachi, più che la sua organizzazione. Tutti ne erano al corrente.
«Allora, come sta mio fratello?» ripeté l’Uchiha, fissando Naruto dritto negli occhi.
«Come pensi che stia?» irritato, Naruto guardò altrove.
A Sasuke era sempre importato di Itachi. Solo di Itachi.
Per questo lo odiava.
«Lo immaginavo» Itachi si lasciò scappare un piccolo sorriso, giocherellando con la sigaretta accesa. «E’ sempre stato molto orgoglioso»
E tu che ne sai?, avrebbe voluto chiedergli. Da quanti anni non gli rivolgi la parola?
«Che vuoi?» sussurrò cupamente, schivando i suoi occhi.
Itachi sospirò. «Siete sempre così sospettosi nel vostro gruppo, o è una novità degli ultimi tempi?»
«Te l’ho detto, se vuoi solo perdere tempo hai sbagliato persona»
«Ma io non voglio perdere tempo»
Itachi puntò gli occhi in quelli di Naruto, e lui non riuscì ad evitarlo. Odiava che quegli occhi fossero tanto uguali a quelli di Sasuke, e odiava l’idea che Sasuke, guardandosi allo specchio la mattina, fosse costretto ad incontrarli.
L’insulto si acquattò sulla punta della lingua, pronto a sferzare violentemente il nemico, quando il barista tornò all’improvviso con le loro ordinazioni.
«Caffè. Coca» borbottò monotono, e posò il primo davanti a Naruto, e il secondo davanti a Itachi.
L’Uchiha, senza dire nulla, annuì brevemente e li scambiò, mentre l’uomo se ne andava. Naruto afferrò il suo bicchiere e lo strinse per scaricare la tensione, finché le nocche della mano non sbiancarono.
«Mi stai dicendo che siamo qui perché vuoi sapere come cazzo sta tuo fratello?» sibilò astioso. «Non ti bastano gli informatori che hai già?»
Itachi sorrise, e prima di rispondere lo fissò a lungo.
«Gli informatori possono dirmi tutto sulla sua situazione finanziaria» spiegò pazientemente. «Ma chi meglio di te potrebbe informarmi sulle sue condizioni come essere umano?»
Naruto si sentì arrossire, affrettandosi a guardare altrove.
Chi meglio di te?
«Se tu davvero volessi informazioni su tuo fratello, le chiederesti a lui, non a me...» borbottò corrucciato. «Sai che non aspetta altro»
Itachi continuò a sorridere, imperterrito, sorseggiando lentamente il suo caffè. Naruto giocherellò nervoso con la coca-cola, e gli lanciò un’occhiata veloce. Forse avrebbe potuto muoversi talmente bene da spingere i fratelli Uchiha sulla via della riconciliazione... E una volta ottenuta quella, anche la salvezza per la compagnia sarebbe seguita a ruota.
Ma voleva davvero che Sasuke e Itachi si riavvicinassero?
«Allora credi che potrei entrare nel locale di Pachinko a duecento metri da qui e chiedere a Sasuke come sta?» domandò Itachi a quel punto, posando il caffè e intrecciando le dita sotto il mento.
Naruto deglutì, involontariamente costretto a fissare i suoi occhi. Perché ogni volta che succedeva aveva l’impressione di essere sfidato? Perché gli sembrava sempre di essere sotto esame?
Reticente, si strinse nelle spalle. «Certo...» mugugnò abbassando il viso.
«Ma oggi io sono molto impegnato» sbuffò Itachi, quasi con un leggero senso di rimpianto.
«Non abbastanza, direi» replicò subito Naruto, accennando al suo caffè.
Itachi sorrise enigmatico, e svuotò la tazzina. «Già, forse non abbastanza...»
Naruto rimase in attesa di altro, una spiegazione, una richiesta, qualunque cosa; ma, con suo grande sconcerto, Itachi si limitò a pulirsi le labbra con un tovagliolo di carta e a fare un cenno al barista per pagare il conto.
Cosa vuole davvero?, si chiese turbato. Perché è qui?
Svuotò in un colpo solo la coca-cola, sentì le bollicine risalire su per il naso fino a fargli lacrimare gli occhi. Itachi, davanti a lui, si alzò dalla sedia senza degnarlo di uno sguardo, ma rimase accanto al tavolo in sua attesa.
Naruto sbatté il bicchiere sul piano di plastica e si tirò su, torvo. Quindi Itachi era venuto lì, l’aveva innervosito e ora se ne andava senza nulla di fatto. Gli faceva tanta rabbia che lo avrebbe volentieri aggredito. Invece si limitò a incassare la testa tra le spalle e avanzare verso la porta, ansioso di allontanarsi dall’aria pesante del locale e tornare a immergersi nella sua solitaria malinconia. Gli faceva schifo essere triste, ma era sempre meglio che ronzare attorno a Itachi Uchiha.
Quando arrivò alla porta e stese la mano per aprirla, si rese conto anche del perché fosse così.
«Prego» sussurrò Itachi, precedendolo sulla maniglia. Facendolo, si trovò – involontariamente? – a chinarsi dietro la schiena di Naruto, e per un istante il suo respiro gli solleticò il collo.
Naruto sentì il sangue salire alle guance, per l’irritazione e anche per altro, e di scatto, senza ribattere, uscì dal bar e si avviò lungo la strada. Non si girò neanche una volta.


Il pelo dell’acqua aveva raggiunto la bocca.
Ormai dovevano annaspare con il naso, se non volevano morire soffocati, e Naruto si rese conto all’improvviso che erano rimasti solo in tre: lui, Sasuke e il vecchio strambo Jiraya.
Ancora una volta avevano fatto il punto della situazione, contato defezioni e morti, e avevano raggiunto la conclusione che la fine era a un tiro di sputo; ancora una volta Sasuke aveva preteso di essere il primo ad affondare, e li aveva congedati senza guardarli negli occhi; e, ancora una volta, Naruto aveva capito che l’umiliazione era troppa e troppo pesante. Che, probabilmente, se Sasuke fosse scivolato sott’acqua non sarebbe più tornato su.
Quando lasciò il locale di Pachinko, di nuovo fu colto dalla tentazione di fumare il pacchetto di Camel nelle sue tasche. Giaceva lì da anni, con gli angoli rovinati e i colori sbiaditi, e simboleggiava la fine, l’ultimo tassello di una rovina iniziata tempo prima. Ma ancora una volta lo lasciò intatto. Lo guardò, e lo guardò ancora, poi lo infilò in tasca senza aprire bocca.
Quando rialzò lo sguardo, Itachi era lì.

«Allora, come sta Sasuke?»
Naruto ebbe uno scatto nervoso. «Vai a chiederglielo!» ringhiò aggressivo, stringendo i pugni.
Erano nel cantiere che si apriva lungo la strada davanti al Pachinko, e il vento fischiava tra le travi coprendo il suono delle loro voci. Itachi, stretto nel suo cappotto, scostò una ciocca di capelli dal viso, e socchiuse gli occhi.
«Ha alzato il muro, vero?» domandò, con voce a malapena percepibile nelle folate.
Naruto tacque. Non c’era nulla che sapesse dire.
«Lo fa sempre, quando si trova in difficoltà. Per orgoglio è disposto ad andare a fondo e trascinare tutti gli altri. Anche te» continuò Itachi, pacato, e fu proprio la calma nella sua voce a irritare Naruto.
«Perché lo dici a me?!» scattò, furioso. «Perché continui a cercare me, invece di andare da lui? Sai tutto ciò che succede, sai come sta, eppure continui a seguire me! Sei uno stronzo bastardo cagasotto!»
L’Uchiha sorrise a malapena, nient’affatto turbato.
«Hai paura?» domandò sottovoce.
Naruto si irrigidì.
«Hai paura di vederlo scivolare via, giorno dopo giorno, e non poter fare nulla? Quando sarà affondato, tu a chi ti aggrapperai?»
Naruto scosse la testa.
«Idiota» sibilò, a sguardo basso e denti stretti. «Che ne sai tu di quello che voglio io?»
Non andartene.
Non andare da solo.
«...Capisco»
Itachi prese ad avanzare, sotto l’espressione tesa di Naruto.
«Cosa vuoi?» inveì lui, facendo un passo indietro. «Vai da Sasuke!»
«Chi sei tu per Sasuke?»
La mascella di Naruto si serrò contro la mandibola in uno spasmo d’irritazione.
Vattene! Stai lontano da me!, avrebbe gridato, se solo la voce avesse risposto.
E invece rimase muto e immobile, aspettando che Itachi si avvicinasse, e quando fu a meno di un braccio da lui sentì tornare il rossore che lo aveva colto all’uscita dal bar, l’ultima volta.
Avevano gli stessi, identici occhi... e Naruto, quegli occhi, li amava.
«Vai da Sasuke» ripeté, roco. «Non da me»
Perché, sebbene amasse quegli occhi, sapeva verso chi erano rivolti.
Itachi non sorrideva. Immobile, fissò Naruto con un’intensità quasi dolorosa, come aghi ardenti sulla pelle.
«Se io andassi da Sasuke, so già cosa vedrei» mormorò, e una folata di vento spinse i suoi capelli fin contro il viso. «Orgoglio. Disperazione. Solitudine. So di cosa ama rivestirsi mio fratello. Ma tu...»
Lentamente, sollevò una mano e posò un singolo polpastrello contro la guancia fredda di Naruto, facendolo sobbalzare.
«Tu sai cosa c’è dietro, non è vero? Tu hai guardato fino in fondo a Sasuke, a te è stata concessa l’ultima chiave; sai cosa nasconde»
Il suo dito scorse leggermente lungo il viso, seguito da un altro, e un altro ancora; finché l’intero palmo non accarezzò il collo di Naruto, e la mano affondò tra i capelli della nuca.
«Come sei riuscito ad arrivare fin là?» chiese in un sussurro. «Cosa hai fatto per oltrepassare l’ultima barriera?»
Naruto rimase immobile sotto lo sguardo di Itachi. Il suo corpo vedeva soltanto gli occhi degli Uchiha, non tutto il resto, e, purtroppo, reagiva di conseguenza. Il respiro correva affannato nel petto, le labbra serrate e livide erano strette sotto i denti, così come le unghie affondavano nei palmi delle mani.
Itachi, non Sasuke. Itachi.
«Perché, a te, lui ha permesso di vedere?» mormorò Itachi, con suadente lentezza.
E poi, senza preavviso, fu lì, a pochi millimetri dalle sue labbra. E altrettanto improvvisamente le sue labbra furono loro.

«Come ci sei riuscito?»
«L’ultima barriera»
«Cosa hai fatto?»
«Perché a te...?»
Ricordi confusi e parole, nella sua testa.
Naruto non ricordava come fosse arrivato in quella stanza d’albergo, ma iniziava fortemente a sospettare che Itachi, in qualche modo, lo avesse drogato.
Rimase rannicchiato in un angolo del letto, avvolto strettamente alle lenzuola, e fissò la parete bordeaux davanti ai suoi occhi.
«Cosa hai fatto per oltrepassare l’ultima barriera?»
Quella era la domanda che, per assurdo, gli era rimasta più impressa... E poi, c’erano il calore di Itachi sotto le sue mani, la sensazione morbida dei suoi capelli tra le dita, i baci sul corpo e sulla bocca, i brividi, gli ansiti, il suo odore, il suo sapore, e la confusione tra lui e Sasuke, in ogni gesto, in ogni istante.
Distrattamente, sentì che l’acqua della doccia veniva chiusa nel piccolo bagno della stanza, e un brivido gli corse lungo la schiena.
Ora Itachi sarebbe rientrato. Lo avrebbe guardato negli occhi. E Naruto avrebbe capito di aver dato l’ultima spinta a Sasuke, quella definitiva che lo avrebbe portato sul fondo.
La porta scattò debolmente, nella luce ambrata delle lampade. Naruto si irrigidì, serrando convulsamente le dita alle lenzuola. Sentì i movimenti sommessi di Itachi alle sue spalle, il fruscio dei vestiti, il tonfo impercettibile dell’asciugamano gettato sul letto. Quando sentì la sua voce per poco non trasalì, sorpreso di avvertirla tanto forte.
«Non devi preoccuparti per il conto»
«Non l’avrei fatto comunque» trovò la forza di bofonchiare.
Silenzio. Il rumore impercettibile di una cravatta che veniva annodata. Qualcuno deglutì.
«Hai trovato quello che cercavi?» sussurrò poi Naruto, torvo. «Qualunque cosa fosse...»
Non arrivò nessuna risposta. Naruto contò fino a dieci, poi fino a venti, ma a ventitré perse la pazienza e scattò a sedere, voltandosi bruscamente.
«Che cosa volevi?» sbottò. «Perché hai fatto tutto quanto, se ciò che ti interessa e ti è sempre interessato è tuo fratello? Perché coinvolgermi, perché mentire, perché questo
Itachi gli gettò un’occhiata distratta, e tornò ad allacciare i bottoni sulle maniche.
«Voi Uchiha siete dei maledetti idioti» sibilò allora Naruto, passandosi una mano tra i capelli. «Cazzo»
«Mio fratello non esiste» mormorò Itachi inaspettatamente.
Naruto corrugò la fronte e risollevò la testa, rabbiosamente confuso.
«Davanti ai miei occhi esiste solo Sasuke Uchiha» continuò Itachi. «La stessa immagine che mostra alla gente, e che non è quella che conoscevo da bambino. Sono tanti anni che cerco il vecchio Sasuke, da qualche parte. Tanti anni che questo mondo minaccia di schiacciarlo e fargli dimenticare chi è... Poi ho trovato te»
Itachi fece una pausa, sistemandosi il colletto della camicia.
«Pensavo seriamente che sarebbe stata una donna a cambiarlo» proseguì. «Che avrebbe scoperto l’amore e forse la sua maschera si sarebbe trasformata, o, per assurdo, sarebbe scomparsa. Sapevo che se fosse successo sarebbe morto, perché è così che vanno le cose, perché il vero Sasuke non è abbastanza forte per stare qui, ma lo credevo lo stesso. E invece quella donna non c’è stata, e ci sei stato tu. Ma la sua maschera, con me, non è caduta»
Naruto sbatté le palpebre, interdetto.
«Tu...?» mormorò confuso.
«Se so che tu e Sasuke siete amanti? Naturalmente. Se mi pento di averti spinto al tradimento? No. Era necessario. Volevo capire. Speravo di trovare Sasuke dentro di te, o almeno di intravederlo»
«E ci sei riuscito?»
Itachi non rispose. Dopo un lungo istante voltò il viso e si avvicinò allo specchio, per sistemarsi i capelli, ancora umidi dopo la doccia.
Naruto strinse un pugno e gettò indietro le coperte, balzando in piedi.
«Sei uno stupido idiota cieco!» sbottò, portandosi alle spalle di Itachi e fissando rabbiosamente il suo riflesso nello specchio. «Tu e lui, tu come lui... Voi siete uguali! Se cerchi Sasuke non devi guardare dentro di me, ma dentro te stesso! Li vedi quegli occhi? Di chi credi che siano?»
Itachi smise di armeggiare con l’elastico e si bloccò.
Fissò il proprio riflesso, altrettanto immobile, e per un attimo, con la coda dell’occhio, gli parve quasi di riconoscere un altro viso. Corrugò la fronte.
«Tutti e due siete così impegnati a salvare l’orgoglio da non accorgervi di nient’altro» continuò Naruto, con voce bassa e vibrante. «Sasuke si lascerà morire, e tu lo lascerai fare, perché tutti e due siete stupidi e ciechi! Non fate altro che cercarvi e cercarvi e cercarvi, ma non vi vedete mai perché siete occupati a nascondervi! Ahh, mi fate incazzare!» esasperato, si mise le mani nei capelli e li scompigliò furiosamente.
Ma Itachi non si mosse. Soltanto i suoi occhi scorsero lungo il viso, con una lentezza nuova e studiata. Scavarono tra le piccole rughe d’espressione, lungo il contorno degli zigomi, il mento, la bocca, e poi scrutarono sé stessi, intenti, pensierosi.
Sasuke era dentro di lui, lo era sempre stato.
E tutt’a un tratto, per un brevissimo istante, gli sembrò di intravvederlo.
Ne fu sinceramente stupito. Non si era mai osservato troppo attentamente allo specchio, ma per la prima volta capì di non essersi mai guardato davvero.
Sasuke, lo stesso Sasuke con cui era cresciuto e che credeva di avere perso, in realtà era sempre stato lì, in un angolo della sua memoria, o forse della sua coscienza, in attesa di essere guardato come quando erano bambini. E lui non se ne era mai accorto.
Non se ne era mai accorto prima di incontrare Naruto.
Lo cercò con la coda dell’occhio, scrutando il riflesso della stanza attraverso lo specchio. Lo vide in fondo al letto, mentre si infilava rabbiosamente i pantaloni, e socchiuse leggermente le palpebre.
Inavvertito, lo raggiunse con passo felpato. Si prese un paio di secondi per guardarlo imprecare con la lampo dei jeans, poi, delicatamente, gli afferrò un polso.
Naruto trasalì, sulla difensiva, e lo fissò guardingo.
«Che vuoi ora?»
«Dove vai?»
«L’ho chiesto prima io»
«Voglio sapere dove vai»
Naruto mugugnò contrariato: detestava perdere con la logica.
«Da Sasuke» grugnì distogliendo lo sguardo. «Prima che decida di legarsi una pietra al collo, idiota com’è»
Itachi sorrise a malapena, allentando la stretta sul suo polso.
«Lo salverai» sussurrò piano. «Tu puoi»
Naruto sbatté le palpebre arrossendo.
«Eh?» fece, balbettando leggermente, e di scatto allontanò il polso.
«Ti affido mio fratello» continuò Itachi. «Voglio che sopravviva, e voglio che lo faccia con te. Se fallirai, mi costringerai ad ucciderti»
Naruto strabuzzò gli occhi e avvampò contemporaneamente.
«Cos...? Ma che è, sei suo padre e io la sposa?! Cosa blateri? Brutto deficiente, guarda te se sono discorsi da...»
Non finì mai la frase.
Con la maglia stretta nella destra e il bottone dei jeans ancora slacciato, si trovò la mano di Itachi premuta sulla nuca e le sue labbra contro le proprie.
Itachi non lo lasciò andare subito. Gli riservò un bacio lungo e lento, senza tuttavia spingersi oltre.
In fondo all’anima era convinto di aver ritrovato Sasuke grazie a Naruto. Come se lui, in qualche modo, avesse avuto anche la sua, di chiave.
Naruto era una persona spaventosa. Strana, impulsiva, irragionevole, ma spaventosa.
Riusciva ad aprire serrature delle quali si ignorava addirittura l’esistenza, e con il suo sangue caldo si faceva strada attraverso i corpi più gelidi. Naruto Uzumaki fendeva qualunque resistenza, senza mai perdere se stesso.
Quando Itachi si allontanò dalle sue labbra, gli accarezzò i capelli fino a scompigliarli.
«Vai» sussurrò contro la sua bocca, ancora leggermente affannata. «Torna da Sasuke»


«Nel secondo chō
«Niente di nuovo»
«A Nakano?»
«Tutto sotto controllo, abbiamo respinto anche gli ultimi uomini degli Aburame»
«Quelli di Shinjuku
«Proliferano. Abbiamo preso il controllo di due case da gioco e una sala da tè»
«Ottimo»
Sasuke sorrise del sorriso tronfio che riservava ai giorni migliori, e levò gli occhi dalla cartina nuova che era dispiegata sulla scrivania.
«Bel lavoro, questa settimana avrete degli extra»
Gli uomini nella stanza si scambiarono occhiate soddisfatte e pacche sulle spalle, promettendosi bevute su bevute. Non erano più due, né tre, né cinque. Ormai otto facce tra nuove e vecchie si scambiavano occhiate moderatamente fiduciose, e l’aria era nettamente più respirabile. Naruto, fermo in un angolo con le braccia conserte, taceva e si limitava a sorridere.
Sasuke congedò i suoi uomini con espressione soddisfatta, e li guardò uscire dall’ufficio parlottando come giovani commilitoni. L’ultimo ad andarsene fu il vecchio Jiraya, che prima ancora di essere fuori lanciò un grido di richiamo al gestore del Pachinko, annunciandogli grandi perdite, infine rimase solo Naruto.
Si scambiarono un’occhiata d’intesa, che sostituiva qualunque parola, mentre Sasuke infilava nel portamatite il pennarello con cui aveva segnato la cartina. Si passò una mano tra i capelli, che da qualche tempo erano tornati lucenti e in ordine, e oltrepassò la scrivania fino a raggiungerlo.
«Andiamo?» chiese, e Naruto annuì, affiancandolo.
Richiusero la porta dell’ufficio con un doppio giro di chiave, passarono attraverso il Pachinko mezzo pieno per uscire in strada. Il vecchio proprietario li salutò sfoggiando i nuovi denti d’oro che gli ornavano la bocca, e Naruto ridacchiò dell’orgoglio con cui li portava.
Ignorarono gli inviti di Jiraya e di un paio di uomini, e invece uscirono all’aria aperta, sotto il sole di maggio. Naruto levò gli occhi al cielo limpido e inspirò l’aria del quartiere, avvertendone il sottile retrogusto di smog. Abbassò poi lo sguardo, e sorrise guardando il nuovo palazzo che era sorto all’altro lato della strada, dove prima c’era il cantiere.
«A che pensi?» gli chiese Sasuke, rovistando in tasca alla ricerca di un accendino, con la sigaretta già stretta tra i denti.
«Penso che va tutto bene» rispose lui, tirando fuori un pacchetto consunto di Camel.
«Da quando Akatsuki si è ritirata dal porto va più che bene» rincarò Sasuke, trovando finalmente l’oggetto della sua ricerca. «Ora siamo all’asciutto»
«Sì, siamo all’asciutto» ripeté Naruto, soppesando le sigarette nella mano.

«Vai. Torna da Sasuke»
Naruto aveva fissato Itachi con occhi leggermente smarriti, poi aveva sorriso.
«Tu e lui avete sempre guardato dalla stessa parte» aveva commentato, con un leggero senso di amarezza.
«Dici?»
Itachi non aveva detto che sia lui che Sasuke avevano guardato attraverso Naruto, ma aveva lasciato che lui lo capisse da solo, o che, un giorno, fosse lo stesso Sasuke a spiegarglielo.
«Stai per fare qualcosa con Akatsuki, vero?» aveva chiesto Naruto a quel punto.
Itachi si era limitato a sorridere enigmaticamente, senza ribattere, finché, prima di indossare il cappotto, non gli era venuta in mente una cosa.
«Quelle sigarette che ti porti sempre dietro... Se fossi in te le getterei. Non sono pesanti?»

Le aveva tenute in mano tante e tante volte, senza mai fumarle. Ma quel giorno, in quel sole, con quel Sasuke accanto, a Naruto sembrò che il pacchetto di Camel fosse di un quintale.
Sin dall’inizio si era aspettato che sarebbero affondati, e aveva conservato le sigarette a quello scopo: prima di andare giù, si sarebbe fatto una poco sana fumata con Sasuke, e poi lo avrebbe seguito.
Ma ora non serviva più. Ora erano a galla, e si sarebbe sforzato di restarci, per salvare sé e Sasuke, perché Itachi glielo aveva chiesto, perché sì.
Con noncuranza, fece volare il pacchetto ancora integro verso il più vicino bidone della spazzatura, e quello rimbalzò sul bordo e cadde dentro con un tonfo metallico.
Sasuke lo lasciò fare inarcando un sopracciglio, poi gli scompigliò i capelli con una mano, espirando la prima boccata della sua sigaretta.
«Sei fortunato che le Camel mi fanno schifo» commentò. «Altrimenti ti avrei picchiato»
«Ma tu fumi solo Lucky Strike» ghignò Naruto.
Come lui.













* Chō: blocco di edifici di estensione variabile all’interno di un quartiere; il numero dei chō è uno degli elementi di un indirizzo giapponese.

** Pachinko: passatempo assai diffuso in Giappone che consiste nel lanciare biglie d’acciaio all’interno di un circuito, tentando di provocare la caduta di ulteriori biglie, che diventano patrimonio di chi gioca. Le biglie conquistate possono essere sostituite con premi, a loro volta spesso convertibili in soldi, anche se in teoria il gioco non dovrebbe permettere di ottenere vincite in denaro.


- Note tratte da: Kafka sulla Spiaggia, di Murakami Haruki -
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Naruto / Vai alla pagina dell'autore: _ayachan_