Capitolo 30
Balzai
di fronte a Fobos prima che decidesse di colpire nuovamente il
sottoposto a
terra, ancora rantolante, e con tutta la forza che possedevo lo
allontanai con
un pugno nello stomaco. Fobos non sentì alcun dolore, ma la
sorpresa lo fece
sbilanciare e arretrare di qualche passo. Rimasi ferma, in posizione di
guardia, certa che non fosse finita lì. Fissavo intensamente
la figura di
Fobos, cercando di percepire anche la più piccola intenzione
di movimento, ma
più lo guardavo più lui sembrava immobile.
Passò un’infinità di tempo
effettivamente
prima che sollevasse il capo e mi guardasse.
C’erano
sorpresa e delusione affogate nei due pozzi catramati che erano i suoi
occhi,
ma fu il sentimento che colorava la sua aura a farmi cedere e lasciare
la
posizione di guardia. Tradimento.
Non
volevo affrontare Fobos, non in quello stato d’animo. Per
cui, mentre Aracne
soccorreva il povero Eracleo, io mi defilai e abbandonai
l’appartamento temendo
una possibile reazione dell’Ibrido. Non avrebbe mai capito
che non amavo
Eracleo e che avevo agito solo per evitare un disastro annunciato, in
nome di
una semplice amicizia. Imprecai, scansando un Mauriano e schizzando
via, in
corridoio. Maledissi
Fobos e la sua
possessività; mi ero ormai convinta che fosse un uomo
pericoloso, eppure,
mentre fuggivo arrancando per i corridoi della palazzina, non riuscivo
a
togliermi dalla testa il suo sguardo ferito e il colore arrossato delle
nocche
della sua mano.
-Dove
cazzo è, quella stronza…-.
La sua voce
risultò quasi un grido, rimbalzata
dalle pareti in una eco infinita di cori. Non appena giunse alle mie
orecchie,
quasi mi ribaltai e dovetti concentrarmi per non darmi ad una fuga
selvaggia.
Scivolai giù, quasi a terra, certa che se mi fossi fatta
piccola piccola, quel
gigante cattivo non mi avrebbe scovata. Ma si sa, le cose che si vedono
nei
film o nei cartoni non sono mai ciò che poi succede nella
realtà, per cui non
feci tempo nemmeno a nutrire una magra speranza che una mano dalle dita
lunghe
e bianche mi afferrò per i passanti dei pantaloni e mi fece
stramazzare a
terra. Accusai il colpo trattenendo il fiato e chiusi gli occhi appena
prima
che una lacrima mi sfuggisse fra le ciglia. Poi Fobos mi fece rialzare
e senza
alcuna esitazione mi trascinò di peso fuori
dall’edificio. Chiesi aiuto agli
spettatori di quell’incredibile scena, ma nessuno di loro
allungò una mano per
trattenermi, certi che Fobos non fosse tipo cui era il caso di opporsi.
Mi
bastò, infatti, fissare la scia di gomma nera lasciata dai
miei stivali sul
pavimento scadente del corridoio per rendermi conto di quanto debole
fossi e
quanto inutile sarebbe stato qualsiasi tentativo di sfuggire alla presa
ferrea
di un Ibrido. Così rilassai i muscoli e mi arresi, lasciando
che Fobos mi
conducesse di fronte al mio giudice supremo: il Destino. I presenti si
limitarono quindi a fissarmi per tutto il tragitto che mi
portò, urlante e
scalciante, fuori dalla struttura.
-Sei
impazzito?!-, gridai, quando mi lanciò sul pavimento.
-Mi
hai rotto! -, urlò di rimando lui, avvicinandosi lentamente.
– Quando tutta
questa storia sarà finita mi rinchiuderanno in Sanitarium
per colpa vostra-.
-Avrebbero
già dovuto farlo da tempo-, lo rimbeccai, ma il giovane mi
ignorò
completamente, oltrepassandomi con un’unica falcata.
-Fobos!
-, strillai, puntando i piedi in mezzo alla stanza. -Fobos! -.
-Che
c’è! -, strillò lui di rimando,
girandosi con uno strano ringhio sul volto.
Aveva i pugni stretti e una goccia di sudore gli scivolava lungo il
collo.
-Perché
lo hai fatto?! Non ce n’era bisogno-.
-Mi
hai tradito! -, gridò lui, la furia incontrollata che si
disperdeva in scariche
elettriche lungo tutto il suo corpo.
Avanzai
decisa, prendendo la rincorsa, e quando lo raggiunsi lo schiaffeggiai
con
forza. Doveva rientrare in sé stesso.
-Smettila!
Non ti ho tradito! Volevo solo fermarvi! –
Le
pupille di Fobos si restrinsero, cercando di capire se ciò
che stavo dicendo
era la verità. Rimanemmo in piedi, l’uno di fronte
all’altra, per un tempo che
mi parve infinito, studiandoci.
-
Non ti ho tradito. Sono in Debito con te-, ammisi, certa che
ricordargli del
Debito lo avrebbe calmato. Ma Fobos, al contrario, ne parve turbato.
Era come
se tutte le sue sicurezze e la sua algida freddezza fossero crollate
come un
castello di sabbia.
Arricciò
il naso e, lentamente, mi raggiunse. Sollevai il mento per riuscire a
guardarlo
negli occhi. Da lui emanava un calore disumano, cocente come le fiamme
degli
Inferi.
-
Tu non vuoi capire, Astreya-, mi disse, con la voce incrinata dalla
rabbia che
lentamente scemava in tristezza.
-
Che il Debito si fotta. Tu non hai più bisogno di me: ti ho
insegnato tutto ciò
che sapevo-, aggiunse, con un mezzo sorriso. Mi carezzò
fugacemente i capelli e
poi fece per andarsene.
Sentii
un sapore amaro in bocca e, mentre lo osservavo uscire dalla mia vita,
qualcosa
si bloccò a livello del mio stomaco. Un peso così
opprimente da impedirmi
persino di deglutire. Tutto il mio corpo si ribellò alla
decisione di Fobos, e
il mio cuore finalmente esplose. Non me ne ero mai resa conto. Non mi
ero mai
accorta di quanto fossi diventata fredda e cinica nel corso degli anni.
Dove
era stato il mio cuore per tutto questo tempo? Mi ero dimenticata
quanto
facesse male essere abbandonati, lasciati indietro a dire addio a una
schiena
senza volto. Lacrime di frustrazione mi salirono alle ciglia, facendole
risplendere come madreperle.
-
Dove pensi di andare! -, urlai, imponendo ai miei piedi di muoversi.
-
Ma si può sapere cosa diavolo vuoi da me? -,
borbottò Fobos, quando lo
raggiunsi e mi appesi ai passanti dei suoi pantaloni nel disperato
tentativo di
bloccarlo. Puntai cocciutamente i piedi a terra, costringendolo a
trascinarmi
di peso sulla ghiaia. Una
cortina di polvere si sollevò da sotto i miei anfibi, mentre
con le nocche
strette attorno alla stoffa della sua divisa, tiravo con tutta la forza
che
avevo. Alla fine, esausto, Fobos si fermò massaggiandosi la
base del naso. Era
ancora arrabbiato, ma almeno non mi stava più urlando
contro. - Non puoi
sparire dalla mia vita così! -, gli urlai in faccia,
sorprendendolo. Lo
afferrai per i capelli e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.
-Non
voglio più vederti. Levati dalla mia vista-,
sputò fuori lui, mentre la sua
aurea lentamente sanguinava lucide lacrime nere.
-
Perché?!-, lo implorai e la mia voce di spezzò a
metà, rimanendo bloccata in
gola. Le lacrime cominciarono a scorrere lente sulle mie guance di
fronte allo sguardo
impietoso di Fobos.
-Perché?
-, mi riprese lui, guardando attraverso di me nel tentativo di ignorare
il mio
pianto.
-Perché
mi fai soffrire. Non riesco a pensare, non riesco a mangiare. Devo
seguirti
ovunque per evitare che tu corra fra le braccia di qualcun altro. Ho
sempre
cercato di proteggerti e tu non l’hai mai capito. Forse
l’ho fatto con i modi
sbagliati, d’accordo, ma volevo che tu diventassi un soldato
e una donna
abbastanza forte da potermi stare accanto-.
Caddi
sulle ginocchia, tremando di paura.
-Ti
prego-, lo implorai mentre le lacrime deflagravano come piccole bombe
sulle mie
mani sporche di sabbia e ghiaia. – Non mi lasciare. Non anche
tu-.
Sentii
Fobos contrarsi e i suoi stivali premere nervosi sul suolo. Si
inginocchiò di
fronte a me e mi sollevò i capelli quel tanto che bastava
per osservare il mio
volto consumato dal dolore e dalla paura.
-Non
posso continuare a inseguirti, Astreya. Ho un cuore anche io-.
I
miei occhi divennero enormi e le mie labbra si schiusero per la
sorpresa. Fobos
abbassò lo sguardo, imbarazzato. Non avrei mai immaginato
che quella bocca
blasfema e tagliente potesse pronunciare delle simili parole.
-Che
vuoi dire? –.
- Che ti amo-.
Rimasi
completamente di sasso, con il cuore che batteva così veloce
che avrebbe potuto
esplodere da un momento all’altro. Sentivo il desiderio di
piangere, di
prenderlo a pugni e di ridere selvaggiamente, tutto assieme. I miei
occhi si
spostavano senza posa su tutto il suo viso, così serio e
tetro da rendermi
difficile resistere alla tentazione di ricoprirlo di baci. E le mie
mani
prudevano dal desiderio di afferrarlo e attirarlo a me.
-Adesso
che lo sai, puoi anche girare i tacchi-, commentò, apatico.
-
Anche io mi sono innamorata di te-.
Silenzio. Il
sole dietro
alle mie spalle mi scottava la pelle nuda e il vento ululava tetro
annodandomi
i capelli.
-Dimmi
qualcosa-. Il suo silenzio mi stava uccidendo. Fobos pareva bloccato e
solo
dopo degli interminabili minuti riuscì a parlare.
-Stavolta
ti chiederò il permesso. Posso baciarti? -, mi
domandò, una luce di desiderio
malcelato negli occhi. Non mi stava guardando in maniera diversa dal
solito. I
suoi occhi erano sempre imperscrutabili, oscuri e sbagliati, ma era
ciò che vi
vedevo dentro ad essere decisamente cambiato. Quelle macchie nere e
appiccicose
affogate nell’iride, vestigia di un doloroso cammino di
redenzione, avevano
lasciato posto a una disperata richiesta di amore.
Mi
allungai istintivamente verso di lui e lasciai che le punte dei nostri
nasi si
sfiorassero in una dolce carezza. Gli occhi di Fobos ebbero un guizzo
di
sorpresa che, seppur breve e fugace, riuscii a cogliere in tutta la sua
bellezza.
-Devi
scegliere me-, mormorò poi, aggrottando le sopracciglia e
stringendomi con
eccessiva forza il polso. Temeva che me ne sarei andata? Che sarebbe
nuovamente
rimasto solo?
-
L’ho già fatto…-, risposi scostandogli
una ciocca di capelli scuri dagli occhi.
Il suo viso, nonostante le contaminazioni della magia, o forse proprio
grazie a
quelle, era di una bellezza disarmante. Sembrava un lupo con quegli
occhi dal
taglio affilato e quelle lucenti zanne che già in precedenza
avevano divorato
le mie labbra. Gli sorrisi, sentendomi catturata da
quell’uomo più che mai. Per
me Fobos era come la nebbia, tanto misteriosa e avvolgente, quanto
illusoria e
impalpabile. Non volevo essere ferita e perdermi nei suoi meandri,
eppure non
sembravo desiderare altro.
-
Sei ancora in tempo per ripensarci-, ringhiò, spaventato
dall’eventualità che
accettassi di gettarmi fra le braccia di Eracleo solo per convenienza.
Non
riusciva ancora a capirmi. Eravamo totalmente incomprensibili
l’uno agli occhi
dell’altra e la maggior parte delle volte fra di noi scorreva
un’alta carica di
odio, pericolosa come un corto circuito. Eppure eravamo così
diversi da tutti gli
altri da riuscire anche ad amarci in qualche modo.
-Non
cambierò idea-.
Fobos
si stese verso di me e con un sospiro mi diede un lieve bacio. Fu
delicato e
ruvido, ma anche così dolce che sentii immediatamente la
mancanza delle sue
labbra quando si scostò per osservare la mia reazione. Vide
che i miei occhi
rispecchiavano il suo desiderio, che le mie dita temporeggiavano sul
suo viso e
che il mio volto era arrossito. Vide tutte le debolezze che avevo
cercato di
nascondere e tutto il malessere che covava dentro si sciolse come
ghiaccio al
sole. Era quello
che principalmente
riuscivamo a fare: cancellavamo il dolore e le sofferenze
dell’altro, dandoci
affetto senza averne mai ricevuto e senza che qualcuno ci avesse mai
insegnato
come fare. Avevamo un nostro equilibrio.
Puntellandosi
sui talloni, Fobos spostò improvvisamente il suo peso in
avanti, cingendomi con
le braccia e facendomi quasi cadere a terra. Mi strinse così
forte che quasi mi
soffocò. Non voleva che gli sfuggissi di nuovo, non dopo che
aveva fatto tanta
fatica a rimuovere il catrame che per anni gli aveva immobilizzato il
cuore e
congelato i sentimenti. Gli accarezzai il capo, perdendomi nella
morbidezza e
lucentezza dei suoi capelli.
-Astreya…-,
mi chiamò lui, quando la mia mano passò a
sfiorare il suo viso. La mia pelle
avvampò laddove la sua voce mi raggiunse con il suo calore e
biascicai parole
senza senso. – …Da adesso sei mia-.
Quando
partimmo a salutarci vennero soltanto Aracne e Sigma-x, oltre
naturalmente ai
due Diarchi. Eracleo preferì non venire, non dopo che il suo
viso era stato
maciullato da uno scatto d’ira di Fobos. Non potevo
biasimarlo e anzi mi
sentivo in colpa: in fondo non mi ero ancora scusata con lui per aver
scelto di
seguire l’Ibrido, ma ormai era tardi per rimuginare. I
Diarchi, infatti,
avevano approvato la nostra idea di raggiungere i Figli del Vento,
incontrare
di persona Prometheo e capire che piani avesse in mente per noi. In
particolare
Chastor si era offerto di guidarci, mettendoci a disposizione una jeep
nuova di
zecca e all’ultimo grido della tecnologia, oltre ad un ben
nutrito numero di
armi e munizioni. Sembrava
eccitato
all’idea di conoscere il suo capo dopo tutti gli anni di
servizio, talmente
contento da apparire quasi un esaltato.
-Non
vedo l’ora di partire-, disse, asciugandosi il sudore dalla
fronte e dando un
calcio all’enorme ruota del fuoristrada. Era ricoperto di
sabbia e polvere e i
muscoli delle braccia brillavano sotto ai forti e caldi raggi di sole.
-
Mai vista una persona più felice di te…-,
mugugnò, invece, Fobos, che per
qualche motivo si era risvegliato con un potente raffreddore.
Soffiò il naso
imprecando e montò sulla macchina dal lato del guidatore.
-Ehi,
quello è il mio posto! -, si lamentò Chastor, ma
dopo un’occhiataccia da parte
dell’Ibrido, si arrese all’evidenza e si
rassegnò ad essere il navigatore del
nostro trio.
Io
caricai le poche cose che avevo nel retro del veicolo, accomodandomi
sulla
panca in freddo acciaio e rimuginando su tutto ciò che era
accaduto fino a quel
momento. Mi trovavo in una sorta di tempesta emotiva dopo la notte
appena
trascorsa. Viaggiavo tra sentimenti di affetto e turbamento per la
dichiarazione che Fobos mi aveva dedicato, ma al contempo ero
preoccupata e
angosciata. Ero, infatti, convinta di aver fatto una pessima scelta
nell’avvicinare ulteriormente il Generale; era come se in
qualche modo fosse
davvero scattato un timer in me, e più Fobos mi stava
accanto, più mi sentivo
in obbligo di proteggerlo, da me stessa o dagli altri ancora non lo
sapevo.
-Piccola,
stai attenta là fuori…-, mi appellò
Ysmen facendo capolino dal retro della jeep
e aiutando Aracne a issarsi sul cassone assieme a me.
-E
fai buon viaggio…-, mi augurò la Custode con le
lacrime agli occhi. Sembrava
stessi per partire per la guerra, e invece stavo solo andando a trovare
colui
che conosceva la mia Natura più di chiunque altro.
-
Sono certa che Prometheo saprà svelare tutta la nebbia che
ti avvolge. Noi
abbiamo fatto il possibile e, sapendoti ora alleata dei Mauriani, non
possiamo
fare altro che sostenerti e fornirti tutto l’aiuto
possibile…-, soggiunse
Ysmen, allungandomi uno strano orologio. Lo guardai perplessa e feci
per
metterlo nello zaino. Tuttavia la Diarca mi afferrò il polso
prima che potessi
anche solo muovere il mignolo e mi fissò intensamente negli
occhi.
-Quello
non è un orologio. E’ un Pigeon, un sistema di
comunicazione criptato che ti
permetterà di intercettare soltanto la linea dei Mauriani e
dei Gyps. La
Custode e l’altro soldato ci invieranno dei messaggi tramite
questi gioiellini
e noi li rimanderemo a voi, così da tenervi aggiornati sulla
guerra in corso-.
-Guerra?
-, domandai corrucciata, mentre Fobos mi passava accanto ricoperto di
armi. Sospirò
e appoggiò tutto quanto nel cassone, accanto a me.
-Stanotte
il Reggimento dei Ruggenti ha assaltato il Reggimento del
Sole…-, ringhiò
quasi, rivelando informazioni che probabilmente riteneva fonte di
vergogna. I
Ruggenti in fin dei conti erano il suo Reggimento e lui si reputava
ancora un
soldato a tutti gli effetti.
-Perché?!-,
domandai stupefatta.
-Non
lo sappiamo-.
Era
la voce di Eracleo. Sollevai lo sguardo di scatto e la sua figura
comparve nel
mio campo visivo, gli occhi gonfi e un taglio appena ricucito attorno
al naso.
Fobos non lo salutò minimamente, ancora ferito dalle sue
parole, e con rabbia
si appoggiò a braccia conserte contro il bollente ferro
della jeep. Il Caporale
non ci fece minimamente caso e avanzò zoppicante verso di me.
-Sembra
che l’Accademia stia davvero tramando qualcosa, alla fine.
Sono giunte poche
notizie, ma quelle che ho potuto intercettare le ho subito rivelate ai
Diarchi.
Ho pochi rudimenti nel campo dei Segugi, ma ho dei buoni amici che,
come me,
vorrebbero disertare, hanno solo troppa paura delle conseguenze. Stanno
conducendo strane ricerche nei laboratori dei Biotecnici. Galeno ormai
è
fuorigioco e il nuovo allenatore del Reggimento non è
bendisposto verso il
Governo attuale, né verso i ribelli-.
Fobos
interruppe il suo discorso con un’alzata di mano. Eracleo lo
guardò apatico,
poggiandosi alla spalla di Aracne per non pesare troppo sulla gamba
malandata.
-Che
tipo di ricerche? -.
-Armi
di distruzione di massa, di carattere biologico. Galeno sospettava da
tempo che
Cronyos stesse finanziando delle simili ricerche, per questo ho cercato
di far
desistere Astreya dall’invischiarsi con quel gruppo.
Tuttavia, forse adesso,
con le conoscenze che hai conseguito…-, ammise, virando lo
sguardo su di me.
Nonostante tutto vi lessi ancora una profonda ammirazione. -
… potremmo
avanzare una controffensiva. I miei uomini stanno cercando di capire
cosa stia
esattamente progettando Cronyos. Tornerò per dare loro una
mano, in segreto, e
appena saprò che programmi ci sono, manderò un
report-.
Fobos
lo squadrò qualche secondo dall’alto al basso,
accendendosi una sigaretta e
aspirandone profondamente il fumo. Lo soffiò fuori con uno
sbuffo, poi si
avvicinò al commilitone.
-Evapora.
Hai un compito adesso. Vedi di non deludermi-, gli disse rabbioso, ma
negli
occhi di Eracleo vidi una scintilla che prima di allora non avevo
nemmeno
minimamente scorto. Non seppi cosa fosse finchè, a viaggio
intrapreso, non
trovai il coraggio di domandarlo direttamente all’Ibrido.
Eravamo seduti
attorno un bivacco, con le armi in mano e le orecchie tese. Il Deserto
era
ancora tutto attorno a noi e il vento soffiava lento fra i nostri
capelli.
Chastor dormiva tranquillo, steso sulle panche della jeep mentre io e
Fobos
montavamo di Guardia. Era già passata una settimana da
quando eravamo partiti.
-
Eracleo se la starà cavando bene? -, buttai lì,
incerta.
Fobos
sollevò lo sguardo al cielo studiando il lento luccicare
delle stelle.
-Che
cosa te ne frega? -.
-Ne
va della nostra missione. E poi non nego di essere in pena per lui.
Alla fine è
comunque un mio caro amico-, mormorai, certa di scatenare la furia di
Fobos.
Lui, invece, si mostrò più paziente del previsto.
-
Eracleo e io ci conosciamo da lungo tempo ormai. E’ un uomo
debole e ipocrita,
sempre con quel falso sorriso sulle labbra. E’ stato con me
alla base di Cypris
per qualche anno, ma poi non ha retto la pressione e se ne è
andato…-, cominciò
allungandomi una borraccia di Oruktà. Ne ingollai un
po’ avidamente e subito le
ombre che mi danzavano attorno svanirono in ondeggianti spirali.
-
… Però proprio grazie alla sua doppia faccia, se
la caverà. Ho sempre pensato
che avrebbe scelto i Segugi viste le sue doti, ma probabilmente per lui
era un
po’ troppo-.
-
Perché lo hai incoraggiato prima di partire? Non me
l’aspettavo-.
-Prima
che uomo, Astreya, io sono Generale. Ed Eracleo è un mio
soldato. Devo
proteggerlo anche se lo odio, anche se il solo guardarlo mi fa
vomitare. Lui è
una mia responsabilità come lo sono tutti gli altri soldati-.
La
maturità di Fobos mi sconvolse, a tal punto che volli sapere
di più, indagando
sul rapporto teso ed elettrico che fin da quando li avevo incontrati
scorreva
fra i due uomini.
-Siete
sempre stati nemici? -.
-Dobbiamo
proprio parlarne? -, sbuffò Fobos, appoggiandosi con i palmi
delle mani a
terra, mezzo sdraiato. Non risposi, ma l’Ibrido, dopo una
breve pausa di
silenzio, mi accontentò.
-
Eracleo è l’ultimo figlio di una famiglia molto
numerosa. I suoi lo hanno
cacciato a calci in culo quando ha compiuto dieci anni e lui
è finito a vivere
sotto i ponti. Durante una ronda di controllo del Reggimento degli
Ulivi, cui
sfortunatamente partecipavo anche io, Achileos trovò questo
ragazzetto
puzzolente che dormiva in un cassonetto dei rifiuti. Se ne
impietosì e se lo
portò in Accademia, spacciandolo per suo nipote e
integrandolo come nuova
matricola. L’ho conosciuto così.
All’inizio ci frequentavamo e lo allenavo io
stesso. Non mi fece domande sul perché un ragazzo
più o meno della sua stessa
età avesse l’autorità di istruirlo, ma
poi qualcuno gli spifferò qualcosa ed
Eracleo cominciò a cambiare. Mi disprezzava ogni giorno di
più e lo beccai più
volte a chiamarmi “mostro”. Non lo ressi
più e, come hai potuto vedere in una
delle mie visioni, lo attaccai brutalmente-.
Ripensai
al ragazzino biondo dei ricordi di Fobos e mi venne un colpo. Non avevo
riconosciuto il volto e la zazzera di capelli biondi di Eracleo forse
perché il
suo naso non era stato ancora modificato dalla nocche di Fobos o forse
perché
la sua voce era ancora immatura.
-Quando
tornò a Cypris, alcuni anni dopo, decidemmo semplicemente di
ignorarci, anche
perché io allora ero già Generale e lui un mio
subordinato. Fingemmo di non
esserci riconosciuti e andammo avanti. E’ stata dura per lui
abbassare la testa
di fronte a me, e per me è stata una tortura subire il suo
sguardo disgustato
ogni giorno, ma i miei doveri vengono prima di qualsiasi
cosa…-
Mi
dispiaceva sinceramente per Fobos, per quel ragazzino iroso che non
aveva
nessun amico al mondo e per l’uomo schivo e diffidente che
era diventato.
Eppure anche così, non potevo che essere felice del ragazzo
che ora avevo al
mio fianco.
-Dai,
vai un po’ a dormire. Ci penso io qui…-, gli dissi
allora, e Fobos pigramente
si sollevò da terra.
-Non
strafare-, mi disse semplicemente, passandomi una mano fra i capelli
scuri. Poi
se ne andò, lasciandomi sola a contemplare le fiamme
rossastre del nostro
piccolo bivacco.
La
mattina seguente fu Chastor a svegliarmi, con uno strattone decisamente
violento. Mi ridestai come da un lungo letargo con la mente ancora
annebbiata e
una strana sensazione appesa alla bocca dello stomaco. Nausea.
-Perché
ci stiamo già muovendo? -, domandai, rendendomi conto solo
in quel momento che
Fobos era già alla guida e che noi stavamo macinando
chilometri già da un po’.
Il paesaggio era completamente cambiato e al posto della distesa brulla
di
rocce e arbusti stecchiti, ci trovavamo innanzi a uno spettacolo
mozzafiato.
Una
vera oasi, con palme rigogliose e rivoli di acqua cristallina,
disegnava un
panorama quasi soprannaturale con un piccolo paese bianco latte
abbarbicato su
un promontorio. Sollevai lo sguardo quando vidi l’enorme
Tempio che sovrastava
la punta del precipizio, lì dove un’enorme e
scrociante cascata cadeva a rotta
di collo nel tormentato lago ai suoi piedi.
-Non
ditemi che siamo già arrivati! -, esclamai meravigliata,
balzando in piedi e
spingendo Chastor contro il finestrino per fiondarmi a guardare.
-Sì,
abbiamo deciso di accelerare così da arrivare prima del
mezzogiorno. Fobos
ritiene che un po’ di anticipo ti faccia capire cosa stiano
preparando
realmente i tuoi ospiti, si tratti di un banchetto o di una
fucilazione-.
Annuii,
mentre l’Ibrido parcheggiava poco distante dal primo
casolare. Non c’erano
recinzioni, guardie o cani, niente di niente. La vita lì
sembrava scorrere
tranquilla, vigilata a malapena dagli occhi vitrei delle Cavallette.
-Fischia!
Mi aspettavo una base militare con i contro cazzi e invece, guardate
qui-.
Fobos
spense il motore e, issandosi oltre il finestrino, osservò
la folla di persone
che stavano scivolando come un miasma nero dalle viuzze.
-Dicevi,
coglione?!-, esclamò, con un sorriso inquietante e aguzzo.
Era eccitato dal
fatto che ci stessero già aspettando e dalla
possibilità non troppo remota che,
vista la quantità di forze dispiegate, ci temessero
incredibilmente.
Chastor
afferrò le armi che ci eravamo portati. Scelse per
sé un fucile da cecchino,
per me un paio di pistole e a Fobos lanciò una katana e una
piccola mitraglia.
-Io
vado sul tettuccio a tenerli sotto mira-, annunciò issandosi
sulla jeep con un
movimento degno di un serpente. Io, invece, caricai le mie pistole con
tutta
calma. L’Astreya che temeva le armi e viveva al Tempio, non
c’era più.
-Non
credo vogliano farci fuori. Hanno fatto di tutto per farci arrivare
qui,
persino assumere quei disagiati dei Mauriani. Qui si tratta di una
guerra
fredda…-, mormorò Fobos, aprendo la portiera e
scendendo lentamente, come un
assassino beccato sulla scena del delitto. Lo seguii anche io,
scivolando giù
dal cassone con un balzo; il ragazzo estrasse prontamente la
katana e io stinsi saldamente le pistole, pronti a
essere minacciati. Quello che accadde, invece, fu incredibile. A
riversarsi di
fronte a noi non furono frotte di soldati o uomini in divisa, ma
ministri di
culto e fedeli. Erano tutti vestiti con toghe bianche e portavano il
cranio rasato, sia
uomini che donne.
Non
appena giunsero di fronte a noi, scalzi e con numerosi tatuaggi di
libellule,
si inchinarono e cominciarono a recitare preghiere. Terrorizzata,
cominciai a
indietreggiare, il naso arricciato e gli occhi a fessure. Se
c’era una cosa che
temevo più delle armi erano i pazzi esaltati.
-E
chi cazzo sono questi? -, domandò Chastor, confermando la
mia ipotesi: davvero
Prometheo era riuscito a manovrare i Diarchi senza rivelare loro
alcunché.
-Non
ne ho idea, ma se continuano a strisciare verso di noi, io taglio loro
la
testa-, rispose Fobos, allontanando con la punta dello stivale il
cranio lucido
di sudore di un uomo anziano. Lo guardò con disgusto, ma
anche con crescente
preoccupazione.
Tuttavia
gli occhi di quella gente non sembravano per nulla pericolosi o
malintenzionati. Riflettevano più qualcosa come la sorpresa
dell’uomo di fronte
all’epifania di un Dio.
-Nostra
Salvatrice! Nostra guida, tocca i nostri capi e benedici le nostre
mosse…-,
disse una donna gravida avanzando in ginocchio. Mi guardai attorno per
capire a
chi diavolo stesse parlando, mentre altri ragazzetti avanzavano
correndo,
richiamati dal trambusto del nostro arrivo. Ormai di fronte a noi si
erano
radunate almeno un centinaio di persone.
Poi
improvvisamente la donna fece un passo più lungo e si
afferrò alla mia canotta,
tirandola verso il basso e cercando di poggiare il suo cranio sotto la
mia
testa. Mi mostrò fiera il tatuaggio a libellula che aveva
sulla nuca e a me
venne quasi da vomitare. Era con me che parlava? Per chi mi avevano
scambiata?
Cominciai
ad annaspare, mentre tra la folla accorsa iniziavano a comparire volti
distorti
e ombre longilinee e danzanti. Il mio mostro impazzì
all’istanti e, con un urlo
disumano, mi scaricò un brivido lungo tutta la colonna
vertebrale. Rimasi senza
respiro, con le mani ancora strette attorno alle pistole.
La
donna mi abbracciò i fianchi e mi rivolse parole traboccanti
di amore. Erano le
stesse preghiere che si riservavano agli Dei e questo mi fece sentire
ancora
più sbagliata ed empia. Mi voltai verso Fobos, in cerca di
supporto, ma anche
lui era stato circondato da degli uomini che gli toccavano le vesti, le
braccia
o i piedi. Fobos ringhiava a tutti e li allontanava con la custodia
della
katana.
-O
venerabile compagno! Che la tua benedizione ci porti tanta fortuna e
una prole
degna del vostro operato-, gli sussurrò un vecchietto e
Fobos per poco non lo
decapitò con lo sguardo.
-Compagno?!
Compagno di cosa? -, domandò quindi, sollevando
l’uomo per la tunica e
portandolo all’altezza dei suoi occhi.
-Compagno
del Deadly Child, della nostra Prescelta! -.
Al
suono di quelle parole vomitai a terra, piegandomi in due.