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Autore: Dusky Doll    19/09/2015    1 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 30

Balzai di fronte a Fobos prima che decidesse di colpire nuovamente il sottoposto a terra, ancora rantolante, e con tutta la forza che possedevo lo allontanai con un pugno nello stomaco. Fobos non sentì alcun dolore, ma la sorpresa lo fece sbilanciare e arretrare di qualche passo. Rimasi ferma, in posizione di guardia, certa che non fosse finita lì. Fissavo intensamente la figura di Fobos, cercando di percepire anche la più piccola intenzione di movimento, ma più lo guardavo più lui sembrava immobile. Passò un’infinità di tempo effettivamente prima che sollevasse il capo e mi guardasse.
C’erano sorpresa e delusione affogate nei due pozzi catramati che erano i suoi occhi, ma fu il sentimento che colorava la sua aura a farmi cedere e lasciare la posizione di guardia. Tradimento.
Non volevo affrontare Fobos, non in quello stato d’animo. Per cui, mentre Aracne soccorreva il povero Eracleo, io mi defilai e abbandonai l’appartamento temendo una possibile reazione dell’Ibrido. Non avrebbe mai capito che non amavo Eracleo e che avevo agito solo per evitare un disastro annunciato, in nome di una semplice amicizia. Imprecai, scansando un Mauriano e schizzando via, in corridoio.  Maledissi Fobos e la sua possessività; mi ero ormai convinta che fosse un uomo pericoloso, eppure, mentre fuggivo arrancando per i corridoi della palazzina, non riuscivo a togliermi dalla testa il suo sguardo ferito e il colore arrossato delle nocche della sua mano.
-Dove cazzo è, quella stronza…-.
 La sua voce risultò quasi un grido, rimbalzata dalle pareti in una eco infinita di cori. Non appena giunse alle mie orecchie, quasi mi ribaltai e dovetti concentrarmi per non darmi ad una fuga selvaggia. Scivolai giù, quasi a terra, certa che se mi fossi fatta piccola piccola, quel gigante cattivo non mi avrebbe scovata. Ma si sa, le cose che si vedono nei film o nei cartoni non sono mai ciò che poi succede nella realtà, per cui non feci tempo nemmeno a nutrire una magra speranza che una mano dalle dita lunghe e bianche mi afferrò per i passanti dei pantaloni e mi fece stramazzare a terra. Accusai il colpo trattenendo il fiato e chiusi gli occhi appena prima che una lacrima mi sfuggisse fra le ciglia. Poi Fobos mi fece rialzare e senza alcuna esitazione mi trascinò di peso fuori dall’edificio. Chiesi aiuto agli spettatori di quell’incredibile scena, ma nessuno di loro allungò una mano per trattenermi, certi che Fobos non fosse tipo cui era il caso di opporsi. Mi bastò, infatti, fissare la scia di gomma nera lasciata dai miei stivali sul pavimento scadente del corridoio per rendermi conto di quanto debole fossi e quanto inutile sarebbe stato qualsiasi tentativo di sfuggire alla presa ferrea di un Ibrido. Così rilassai i muscoli e mi arresi, lasciando che Fobos mi conducesse di fronte al mio giudice supremo: il Destino. I presenti si limitarono quindi a fissarmi per tutto il tragitto che mi portò, urlante e scalciante, fuori dalla struttura.
-Sei impazzito?!-, gridai, quando mi lanciò sul pavimento.
-Mi hai rotto! -, urlò di rimando lui, avvicinandosi lentamente. – Quando tutta questa storia sarà finita mi rinchiuderanno in Sanitarium per colpa vostra-.
-Avrebbero già dovuto farlo da tempo-, lo rimbeccai, ma il giovane mi ignorò completamente, oltrepassandomi con un’unica falcata.
-Fobos! -, strillai, puntando i piedi in mezzo alla stanza. -Fobos! -.
-Che c’è! -, strillò lui di rimando, girandosi con uno strano ringhio sul volto. Aveva i pugni stretti e una goccia di sudore gli scivolava lungo il collo.
-Perché lo hai fatto?! Non ce n’era bisogno-.
-Mi hai tradito! -, gridò lui, la furia incontrollata che si disperdeva in scariche elettriche lungo tutto il suo corpo.
Avanzai decisa, prendendo la rincorsa, e quando lo raggiunsi lo schiaffeggiai con forza. Doveva rientrare in sé stesso.
-Smettila! Non ti ho tradito! Volevo solo fermarvi! –
Le pupille di Fobos si restrinsero, cercando di capire se ciò che stavo dicendo era la verità. Rimanemmo in piedi, l’uno di fronte all’altra, per un tempo che mi parve infinito, studiandoci.
- Non ti ho tradito. Sono in Debito con te-, ammisi, certa che ricordargli del Debito lo avrebbe calmato. Ma Fobos, al contrario, ne parve turbato. Era come se tutte le sue sicurezze e la sua algida freddezza fossero crollate come un castello di sabbia.
Arricciò il naso e, lentamente, mi raggiunse. Sollevai il mento per riuscire a guardarlo negli occhi. Da lui emanava un calore disumano, cocente come le fiamme degli Inferi.
- Tu non vuoi capire, Astreya-, mi disse, con la voce incrinata dalla rabbia che lentamente scemava in tristezza.
- Che il Debito si fotta. Tu non hai più bisogno di me: ti ho insegnato tutto ciò che sapevo-, aggiunse, con un mezzo sorriso. Mi carezzò fugacemente i capelli e poi fece per andarsene.
Sentii un sapore amaro in bocca e, mentre lo osservavo uscire dalla mia vita, qualcosa si bloccò a livello del mio stomaco. Un peso così opprimente da impedirmi persino di deglutire. Tutto il mio corpo si ribellò alla decisione di Fobos, e il mio cuore finalmente esplose. Non me ne ero mai resa conto. Non mi ero mai accorta di quanto fossi diventata fredda e cinica nel corso degli anni. Dove era stato il mio cuore per tutto questo tempo? Mi ero dimenticata quanto facesse male essere abbandonati, lasciati indietro a dire addio a una schiena senza volto. Lacrime di frustrazione mi salirono alle ciglia, facendole risplendere come madreperle.
- Dove pensi di andare! -, urlai, imponendo ai miei piedi di muoversi.
- Ma si può sapere cosa diavolo vuoi da me? -, borbottò Fobos, quando lo raggiunsi e mi appesi ai passanti dei suoi pantaloni nel disperato tentativo di bloccarlo. Puntai cocciutamente i piedi a terra, costringendolo a trascinarmi di peso sulla ghiaia.
Una cortina di polvere si sollevò da sotto i miei anfibi, mentre con le nocche strette attorno alla stoffa della sua divisa, tiravo con tutta la forza che avevo. Alla fine, esausto, Fobos si fermò massaggiandosi la base del naso. Era ancora arrabbiato, ma almeno non mi stava più urlando contro. - Non puoi sparire dalla mia vita così! -, gli urlai in faccia, sorprendendolo. Lo afferrai per i capelli e lo costrinsi a guardarmi negli occhi.
-Non voglio più vederti. Levati dalla mia vista-, sputò fuori lui, mentre la sua aurea lentamente sanguinava lucide lacrime nere.
- Perché?!-, lo implorai e la mia voce di spezzò a metà, rimanendo bloccata in gola. Le lacrime cominciarono a scorrere lente sulle mie guance di fronte allo sguardo impietoso di Fobos.
-Perché? -, mi riprese lui, guardando attraverso di me nel tentativo di ignorare il mio pianto.
-Perché mi fai soffrire. Non riesco a pensare, non riesco a mangiare. Devo seguirti ovunque per evitare che tu corra fra le braccia di qualcun altro. Ho sempre cercato di proteggerti e tu non l’hai mai capito. Forse l’ho fatto con i modi sbagliati, d’accordo, ma volevo che tu diventassi un soldato e una donna abbastanza forte da potermi stare accanto-.
Caddi sulle ginocchia, tremando di paura.
-Ti prego-, lo implorai mentre le lacrime deflagravano come piccole bombe sulle mie mani sporche di sabbia e ghiaia. – Non mi lasciare. Non anche tu-.
Sentii Fobos contrarsi e i suoi stivali premere nervosi sul suolo. Si inginocchiò di fronte a me e mi sollevò i capelli quel tanto che bastava per osservare il mio volto consumato dal dolore e dalla paura.
-Non posso continuare a inseguirti, Astreya. Ho un cuore anche io-.
I miei occhi divennero enormi e le mie labbra si schiusero per la sorpresa. Fobos abbassò lo sguardo, imbarazzato. Non avrei mai immaginato che quella bocca blasfema e tagliente potesse pronunciare delle simili parole.
-Che vuoi dire? –.
- Che ti amo-.
Rimasi completamente di sasso, con il cuore che batteva così veloce che avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. Sentivo il desiderio di piangere, di prenderlo a pugni e di ridere selvaggiamente, tutto assieme. I miei occhi si spostavano senza posa su tutto il suo viso, così serio e tetro da rendermi difficile resistere alla tentazione di ricoprirlo di baci. E le mie mani prudevano dal desiderio di afferrarlo e attirarlo a me.
-Adesso che lo sai, puoi anche girare i tacchi-, commentò, apatico.
- Anche io mi sono innamorata di te-.
Silenzio.
Il sole dietro alle mie spalle mi scottava la pelle nuda e il vento ululava tetro annodandomi i capelli.
-Dimmi qualcosa-. Il suo silenzio mi stava uccidendo. Fobos pareva bloccato e solo dopo degli interminabili minuti riuscì a parlare.
-Stavolta ti chiederò il permesso. Posso baciarti? -, mi domandò, una luce di desiderio malcelato negli occhi. Non mi stava guardando in maniera diversa dal solito. I suoi occhi erano sempre imperscrutabili, oscuri e sbagliati, ma era ciò che vi vedevo dentro ad essere decisamente cambiato. Quelle macchie nere e appiccicose affogate nell’iride, vestigia di un doloroso cammino di redenzione, avevano lasciato posto a una disperata richiesta di amore.
Mi allungai istintivamente verso di lui e lasciai che le punte dei nostri nasi si sfiorassero in una dolce carezza. Gli occhi di Fobos ebbero un guizzo di sorpresa che, seppur breve e fugace, riuscii a cogliere in tutta la sua bellezza.
-Devi scegliere me-, mormorò poi, aggrottando le sopracciglia e stringendomi con eccessiva forza il polso. Temeva che me ne sarei andata? Che sarebbe nuovamente rimasto solo?
- L’ho già fatto…-, risposi scostandogli una ciocca di capelli scuri dagli occhi. Il suo viso, nonostante le contaminazioni della magia, o forse proprio grazie a quelle, era di una bellezza disarmante. Sembrava un lupo con quegli occhi dal taglio affilato e quelle lucenti zanne che già in precedenza avevano divorato le mie labbra. Gli sorrisi, sentendomi catturata da quell’uomo più che mai. Per me Fobos era come la nebbia, tanto misteriosa e avvolgente, quanto illusoria e impalpabile. Non volevo essere ferita e perdermi nei suoi meandri, eppure non sembravo desiderare altro.
- Sei ancora in tempo per ripensarci-, ringhiò, spaventato dall’eventualità che accettassi di gettarmi fra le braccia di Eracleo solo per convenienza. Non riusciva ancora a capirmi. Eravamo totalmente incomprensibili l’uno agli occhi dell’altra e la maggior parte delle volte fra di noi scorreva un’alta carica di odio, pericolosa come un corto circuito. Eppure eravamo così diversi da tutti gli altri da riuscire anche ad amarci in qualche modo.
-Non cambierò idea-.
Fobos si stese verso di me e con un sospiro mi diede un lieve bacio. Fu delicato e ruvido, ma anche così dolce che sentii immediatamente la mancanza delle sue labbra quando si scostò per osservare la mia reazione. Vide che i miei occhi rispecchiavano il suo desiderio, che le mie dita temporeggiavano sul suo viso e che il mio volto era arrossito. Vide tutte le debolezze che avevo cercato di nascondere e tutto il malessere che covava dentro si sciolse come ghiaccio al sole.  Era quello che principalmente riuscivamo a fare: cancellavamo il dolore e le sofferenze dell’altro, dandoci affetto senza averne mai ricevuto e senza che qualcuno ci avesse mai insegnato come fare. Avevamo un nostro equilibrio.
Puntellandosi sui talloni, Fobos spostò improvvisamente il suo peso in avanti, cingendomi con le braccia e facendomi quasi cadere a terra. Mi strinse così forte che quasi mi soffocò. Non voleva che gli sfuggissi di nuovo, non dopo che aveva fatto tanta fatica a rimuovere il catrame che per anni gli aveva immobilizzato il cuore e congelato i sentimenti. Gli accarezzai il capo, perdendomi nella morbidezza e lucentezza dei suoi capelli.
-Astreya…-, mi chiamò lui, quando la mia mano passò a sfiorare il suo viso. La mia pelle avvampò laddove la sua voce mi raggiunse con il suo calore e biascicai parole senza senso. – …Da adesso sei mia-.

 

 

 

 

Quando partimmo a salutarci vennero soltanto Aracne e Sigma-x, oltre naturalmente ai due Diarchi. Eracleo preferì non venire, non dopo che il suo viso era stato maciullato da uno scatto d’ira di Fobos. Non potevo biasimarlo e anzi mi sentivo in colpa: in fondo non mi ero ancora scusata con lui per aver scelto di seguire l’Ibrido, ma ormai era tardi per rimuginare. I Diarchi, infatti, avevano approvato la nostra idea di raggiungere i Figli del Vento, incontrare di persona Prometheo e capire che piani avesse in mente per noi. In particolare Chastor si era offerto di guidarci, mettendoci a disposizione una jeep nuova di zecca e all’ultimo grido della tecnologia, oltre ad un ben nutrito numero di armi e munizioni.  Sembrava eccitato all’idea di conoscere il suo capo dopo tutti gli anni di servizio, talmente contento da apparire quasi un esaltato.
-Non vedo l’ora di partire-, disse, asciugandosi il sudore dalla fronte e dando un calcio all’enorme ruota del fuoristrada. Era ricoperto di sabbia e polvere e i muscoli delle braccia brillavano sotto ai forti e caldi raggi di sole.
- Mai vista una persona più felice di te…-, mugugnò, invece, Fobos, che per qualche motivo si era risvegliato con un potente raffreddore. Soffiò il naso imprecando e montò sulla macchina dal lato del guidatore.
-Ehi, quello è il mio posto! -, si lamentò Chastor, ma dopo un’occhiataccia da parte dell’Ibrido, si arrese all’evidenza e si rassegnò ad essere il navigatore del nostro trio.
Io caricai le poche cose che avevo nel retro del veicolo, accomodandomi sulla panca in freddo acciaio e rimuginando su tutto ciò che era accaduto fino a quel momento. Mi trovavo in una sorta di tempesta emotiva dopo la notte appena trascorsa. Viaggiavo tra sentimenti di affetto e turbamento per la dichiarazione che Fobos mi aveva dedicato, ma al contempo ero preoccupata e angosciata. Ero, infatti, convinta di aver fatto una pessima scelta nell’avvicinare ulteriormente il Generale; era come se in qualche modo fosse davvero scattato un timer in me, e più Fobos mi stava accanto, più mi sentivo in obbligo di proteggerlo, da me stessa o dagli altri ancora non lo sapevo.
-Piccola, stai attenta là fuori…-, mi appellò Ysmen facendo capolino dal retro della jeep e aiutando Aracne a issarsi sul cassone assieme a me.
-E fai buon viaggio…-, mi augurò la Custode con le lacrime agli occhi. Sembrava stessi per partire per la guerra, e invece stavo solo andando a trovare colui che conosceva la mia Natura più di chiunque altro.
- Sono certa che Prometheo saprà svelare tutta la nebbia che ti avvolge. Noi abbiamo fatto il possibile e, sapendoti ora alleata dei Mauriani, non possiamo fare altro che sostenerti e fornirti tutto l’aiuto possibile…-, soggiunse Ysmen, allungandomi uno strano orologio. Lo guardai perplessa e feci per metterlo nello zaino. Tuttavia la Diarca mi afferrò il polso prima che potessi anche solo muovere il mignolo e mi fissò intensamente negli occhi.
-Quello non è un orologio. E’ un Pigeon, un sistema di comunicazione criptato che ti permetterà di intercettare soltanto la linea dei Mauriani e dei Gyps. La Custode e l’altro soldato ci invieranno dei messaggi tramite questi gioiellini e noi li rimanderemo a voi, così da tenervi aggiornati sulla guerra in corso-.
-Guerra? -, domandai corrucciata, mentre Fobos mi passava accanto ricoperto di armi. Sospirò e appoggiò tutto quanto nel cassone, accanto a me.
-Stanotte il Reggimento dei Ruggenti ha assaltato il Reggimento del Sole…-, ringhiò quasi, rivelando informazioni che probabilmente riteneva fonte di vergogna. I Ruggenti in fin dei conti erano il suo Reggimento e lui si reputava ancora un soldato a tutti gli effetti.
-Perché?!-, domandai stupefatta.
-Non lo sappiamo-.
Era la voce di Eracleo. Sollevai lo sguardo di scatto e la sua figura comparve nel mio campo visivo, gli occhi gonfi e un taglio appena ricucito attorno al naso. Fobos non lo salutò minimamente, ancora ferito dalle sue parole, e con rabbia si appoggiò a braccia conserte contro il bollente ferro della jeep. Il Caporale non ci fece minimamente caso e avanzò zoppicante verso di me.
-Sembra che l’Accademia stia davvero tramando qualcosa, alla fine. Sono giunte poche notizie, ma quelle che ho potuto intercettare le ho subito rivelate ai Diarchi. Ho pochi rudimenti nel campo dei Segugi, ma ho dei buoni amici che, come me, vorrebbero disertare, hanno solo troppa paura delle conseguenze. Stanno conducendo strane ricerche nei laboratori dei Biotecnici. Galeno ormai è fuorigioco e il nuovo allenatore del Reggimento non è bendisposto verso il Governo attuale, né verso i ribelli-.
Fobos interruppe il suo discorso con un’alzata di mano. Eracleo lo guardò apatico, poggiandosi alla spalla di Aracne per non pesare troppo sulla gamba malandata.
-Che tipo di ricerche? -.
-Armi di distruzione di massa, di carattere biologico. Galeno sospettava da tempo che Cronyos stesse finanziando delle simili ricerche, per questo ho cercato di far desistere Astreya dall’invischiarsi con quel gruppo. Tuttavia, forse adesso, con le conoscenze che hai conseguito…-, ammise, virando lo sguardo su di me. Nonostante tutto vi lessi ancora una profonda ammirazione. - … potremmo avanzare una controffensiva. I miei uomini stanno cercando di capire cosa stia esattamente progettando Cronyos. Tornerò per dare loro una mano, in segreto, e appena saprò che programmi ci sono, manderò un report-.
Fobos lo squadrò qualche secondo dall’alto al basso, accendendosi una sigaretta e aspirandone profondamente il fumo. Lo soffiò fuori con uno sbuffo, poi si avvicinò al commilitone.
-Evapora. Hai un compito adesso. Vedi di non deludermi-, gli disse rabbioso, ma negli occhi di Eracleo vidi una scintilla che prima di allora non avevo nemmeno minimamente scorto. Non seppi cosa fosse finchè, a viaggio intrapreso, non trovai il coraggio di domandarlo direttamente all’Ibrido. Eravamo seduti attorno un bivacco, con le armi in mano e le orecchie tese. Il Deserto era ancora tutto attorno a noi e il vento soffiava lento fra i nostri capelli. Chastor dormiva tranquillo, steso sulle panche della jeep mentre io e Fobos montavamo di Guardia. Era già passata una settimana da quando eravamo partiti.
- Eracleo se la starà cavando bene? -, buttai lì, incerta.
Fobos sollevò lo sguardo al cielo studiando il lento luccicare delle stelle.
-Che cosa te ne frega? -.
-Ne va della nostra missione. E poi non nego di essere in pena per lui. Alla fine è comunque un mio caro amico-, mormorai, certa di scatenare la furia di Fobos. Lui, invece, si mostrò più paziente del previsto.
- Eracleo e io ci conosciamo da lungo tempo ormai. E’ un uomo debole e ipocrita, sempre con quel falso sorriso sulle labbra. E’ stato con me alla base di Cypris per qualche anno, ma poi non ha retto la pressione e se ne è andato…-, cominciò allungandomi una borraccia di Oruktà. Ne ingollai un po’ avidamente e subito le ombre che mi danzavano attorno svanirono in ondeggianti spirali.
- … Però proprio grazie alla sua doppia faccia, se la caverà. Ho sempre pensato che avrebbe scelto i Segugi viste le sue doti, ma probabilmente per lui era un po’ troppo-.
- Perché lo hai incoraggiato prima di partire? Non me l’aspettavo-.
-Prima che uomo, Astreya, io sono Generale. Ed Eracleo è un mio soldato. Devo proteggerlo anche se lo odio, anche se il solo guardarlo mi fa vomitare. Lui è una mia responsabilità come lo sono tutti gli altri soldati-.
La maturità di Fobos mi sconvolse, a tal punto che volli sapere di più, indagando sul rapporto teso ed elettrico che fin da quando li avevo incontrati scorreva fra i due uomini.
-Siete sempre stati nemici? -.
-Dobbiamo proprio parlarne? -, sbuffò Fobos, appoggiandosi con i palmi delle mani a terra, mezzo sdraiato. Non risposi, ma l’Ibrido, dopo una breve pausa di silenzio, mi accontentò.
- Eracleo è l’ultimo figlio di una famiglia molto numerosa. I suoi lo hanno cacciato a calci in culo quando ha compiuto dieci anni e lui è finito a vivere sotto i ponti. Durante una ronda di controllo del Reggimento degli Ulivi, cui sfortunatamente partecipavo anche io, Achileos trovò questo ragazzetto puzzolente che dormiva in un cassonetto dei rifiuti. Se ne impietosì e se lo portò in Accademia, spacciandolo per suo nipote e integrandolo come nuova matricola. L’ho conosciuto così. All’inizio ci frequentavamo e lo allenavo io stesso. Non mi fece domande sul perché un ragazzo più o meno della sua stessa età avesse l’autorità di istruirlo, ma poi qualcuno gli spifferò qualcosa ed Eracleo cominciò a cambiare. Mi disprezzava ogni giorno di più e lo beccai più volte a chiamarmi “mostro”. Non lo ressi più e, come hai potuto vedere in una delle mie visioni, lo attaccai brutalmente-.
Ripensai al ragazzino biondo dei ricordi di Fobos e mi venne un colpo. Non avevo riconosciuto il volto e la zazzera di capelli biondi di Eracleo forse perché il suo naso non era stato ancora modificato dalla nocche di Fobos o forse perché la sua voce era ancora immatura.
-Quando tornò a Cypris, alcuni anni dopo, decidemmo semplicemente di ignorarci, anche perché io allora ero già Generale e lui un mio subordinato. Fingemmo di non esserci riconosciuti e andammo avanti. E’ stata dura per lui abbassare la testa di fronte a me, e per me è stata una tortura subire il suo sguardo disgustato ogni giorno, ma i miei doveri vengono prima di qualsiasi cosa…-
Mi dispiaceva sinceramente per Fobos, per quel ragazzino iroso che non aveva nessun amico al mondo e per l’uomo schivo e diffidente che era diventato. Eppure anche così, non potevo che essere felice del ragazzo che ora avevo al mio fianco.
-Dai, vai un po’ a dormire. Ci penso io qui…-, gli dissi allora, e Fobos pigramente si sollevò da terra.
-Non strafare-, mi disse semplicemente, passandomi una mano fra i capelli scuri. Poi se ne andò, lasciandomi sola a contemplare le fiamme rossastre del nostro piccolo bivacco.
La mattina seguente fu Chastor a svegliarmi, con uno strattone decisamente violento. Mi ridestai come da un lungo letargo con la mente ancora annebbiata e una strana sensazione appesa alla bocca dello stomaco. Nausea.
-Perché ci stiamo già muovendo? -, domandai, rendendomi conto solo in quel momento che Fobos era già alla guida e che noi stavamo macinando chilometri già da un po’. Il paesaggio era completamente cambiato e al posto della distesa brulla di rocce e arbusti stecchiti, ci trovavamo innanzi a uno spettacolo mozzafiato.
Una vera oasi, con palme rigogliose e rivoli di acqua cristallina, disegnava un panorama quasi soprannaturale con un piccolo paese bianco latte abbarbicato su un promontorio. Sollevai lo sguardo quando vidi l’enorme Tempio che sovrastava la punta del precipizio, lì dove un’enorme e scrociante cascata cadeva a rotta di collo nel tormentato lago ai suoi piedi.
-Non ditemi che siamo già arrivati! -, esclamai meravigliata, balzando in piedi e spingendo Chastor contro il finestrino per fiondarmi a guardare.
-Sì, abbiamo deciso di accelerare così da arrivare prima del mezzogiorno. Fobos ritiene che un po’ di anticipo ti faccia capire cosa stiano preparando realmente i tuoi ospiti, si tratti di un banchetto o di una fucilazione-.
Annuii, mentre l’Ibrido parcheggiava poco distante dal primo casolare. Non c’erano recinzioni, guardie o cani, niente di niente. La vita lì sembrava scorrere tranquilla, vigilata a malapena dagli occhi vitrei delle Cavallette.
-Fischia! Mi aspettavo una base militare con i contro cazzi e invece, guardate qui-.
Fobos spense il motore e, issandosi oltre il finestrino, osservò la folla di persone che stavano scivolando come un miasma nero dalle viuzze.
-Dicevi, coglione?!-, esclamò, con un sorriso inquietante e aguzzo. Era eccitato dal fatto che ci stessero già aspettando e dalla possibilità non troppo remota che, vista la quantità di forze dispiegate, ci temessero incredibilmente.
Chastor afferrò le armi che ci eravamo portati. Scelse per sé un fucile da cecchino, per me un paio di pistole e a Fobos lanciò una katana e una piccola mitraglia.
-Io vado sul tettuccio a tenerli sotto mira-, annunciò issandosi sulla jeep con un movimento degno di un serpente. Io, invece, caricai le mie pistole con tutta calma. L’Astreya che temeva le armi e viveva al Tempio, non c’era più.
-Non credo vogliano farci fuori. Hanno fatto di tutto per farci arrivare qui, persino assumere quei disagiati dei Mauriani. Qui si tratta di una guerra fredda…-, mormorò Fobos, aprendo la portiera e scendendo lentamente, come un assassino beccato sulla scena del delitto. Lo seguii anche io, scivolando giù dal cassone con un balzo;  il ragazzo estrasse prontamente la katana e io stinsi saldamente le pistole, pronti a essere minacciati. Quello che accadde, invece, fu incredibile. A riversarsi di fronte a noi non furono frotte di soldati o uomini in divisa, ma ministri di culto e fedeli. Erano tutti vestiti con toghe bianche e portavano il cranio rasato, sia uomini che donne.
Non appena giunsero di fronte a noi, scalzi e con numerosi tatuaggi di libellule, si inchinarono e cominciarono a recitare preghiere. Terrorizzata, cominciai a indietreggiare, il naso arricciato e gli occhi a fessure. Se c’era una cosa che temevo più delle armi erano i pazzi esaltati.
-E chi cazzo sono questi? -, domandò Chastor, confermando la mia ipotesi: davvero Prometheo era riuscito a manovrare i Diarchi senza rivelare loro alcunché.
-Non ne ho idea, ma se continuano a strisciare verso di noi, io taglio loro la testa-, rispose Fobos, allontanando con la punta dello stivale il cranio lucido di sudore di un uomo anziano. Lo guardò con disgusto, ma anche con crescente preoccupazione.
Tuttavia gli occhi di quella gente non sembravano per nulla pericolosi o malintenzionati. Riflettevano più qualcosa come la sorpresa dell’uomo di fronte all’epifania di un Dio.
-Nostra Salvatrice! Nostra guida, tocca i nostri capi e benedici le nostre mosse…-, disse una donna gravida avanzando in ginocchio. Mi guardai attorno per capire a chi diavolo stesse parlando, mentre altri ragazzetti avanzavano correndo, richiamati dal trambusto del nostro arrivo. Ormai di fronte a noi si erano radunate almeno un centinaio di persone.
Poi improvvisamente la donna fece un passo più lungo e si afferrò alla mia canotta, tirandola verso il basso e cercando di poggiare il suo cranio sotto la mia testa. Mi mostrò fiera il tatuaggio a libellula che aveva sulla nuca e a me venne quasi da vomitare. Era con me che parlava? Per chi mi avevano scambiata?
Cominciai ad annaspare, mentre tra la folla accorsa iniziavano a comparire volti distorti e ombre longilinee e danzanti. Il mio mostro impazzì all’istanti e, con un urlo disumano, mi scaricò un brivido lungo tutta la colonna vertebrale. Rimasi senza respiro, con le mani ancora strette attorno alle pistole.
La donna mi abbracciò i fianchi e mi rivolse parole traboccanti di amore. Erano le stesse preghiere che si riservavano agli Dei e questo mi fece sentire ancora più sbagliata ed empia. Mi voltai verso Fobos, in cerca di supporto, ma anche lui era stato circondato da degli uomini che gli toccavano le vesti, le braccia o i piedi. Fobos ringhiava a tutti e li allontanava con la custodia della katana.
-O venerabile compagno! Che la tua benedizione ci porti tanta fortuna e una prole degna del vostro operato-, gli sussurrò un vecchietto e Fobos per poco non lo decapitò con lo sguardo.
-Compagno?! Compagno di cosa? -, domandò quindi, sollevando l’uomo per la tunica e portandolo all’altezza dei suoi occhi.
-Compagno del Deadly Child, della nostra Prescelta! -.
Al suono di quelle parole vomitai a terra, piegandomi in due.

   
 
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