La luce della Luna

L’aveva sempre ammirata, Luna.
Era una persona dolce e sincera come una bambina, magari un po’ stravagante, ma vera. Perché sì, vestiva in modo buffo ed era sempre a caccia di quegli inesistenti Nargilli, ma lei, Luna Lovegood, era una persona autentica e senza filtri. Si poteva dire persino che fosse una ragazza senza segreti.
Era particolare e geniale allo stesso tempo, nessun illustre personaggio o comune mortale al di fuori di Albus Silente era paragonabile a lei. Perché lei era, per così dire, indescrivibilmente sé stessa.

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Neville Paciock, o Longbottom che sia, guardò fuori dalla finestra della Sala Comune Grifondoro. Era stato sopraffatto dalla noia che gli provocava lo studio di pozioni, che poi, tra l’altro, sempre T avrebbe avuto come voto!
Era una sera di metà Novembre e pioveva a dirotto.
Nessuno sano di mente avrebbe pensato di uscire con quella pioggia.
Nessuno, che non fosse Luna Lovegood.
Indossava un vestito blu notte e argento, lungo fino ai piedi e con le maniche corte. E indossava sopra l’abito un gilet di jeans dai mille colori. Era a piedi nudi, e danzava nell’erba bagnata da sola. Sembrava si stesse divertendo.
Neville sorrise.
Gli piaceva guardarla da lontano, con i capelli bagnati che le ricadevano disordinatamente sulla schiena, con gli spettrocoli sul naso, a divertirsi danzando sulle note della pioggia scrosciante.
Possibile che quella ragazza fosse umana? Sembrava più una dea, per la sua perfetta imperfezione…
Il ragazzo prese coraggio, chissà da dove, e iniziò a percorrere il castello a piedi nudi proprio come Luna, per arrivare da lei.
Quando era a un paio di metri dalla Corvonero, si fermò e la osservò ancora.
Possibile che un’anima così vivace, così vera, così sognatrice e tutto il resto fosse racchiusa in quell’esile persona dai grandi occhi colmi di meraviglia come quelli dei bambini? Un corpo così piccolo e debole poteva racchiudere una persona in realtà così forte? A quanto pare sì.
Luna si girò verso di lui, mentre si muoveva al passo del fox-trot degli anni ’20, l’ampio abito le cingeva le gambe intente in un ballo sfrenato.
«Buonasera Neville» lo salutò allegramente, e gli sorrise continuando a ballare.
Il moro rimase così, a guardarla, ad ammirare l’unica Luna che brillasse di luce propria col sorriso da un orecchio all’altro.
Luna a un certo punto si fermò, come se si fosse ricordata della presenza del suo amico. Gli prese le mani e iniziarono a ballare un ballo di risate echeggianti nell’aria fredda di quella sera riscaldata solo da loro due, di verità dette ingenuamente dalla bionda, di reazioni imbarazzate del ragazzo…
E in un minuto di silenzio…
«Luna?»
«Sì, Neville?»
«Il tuo nome ti si addice, sai? Perché…Perché emani luce, tanta luce, però a… a differenza della luna la tua è una luce propria. Tu…tu non sei il riflesso di niente e nessuno, se…se non della mia felicità…» Il Grifondoro scoprì, quella sera, da dove avesse preso quell’audacia, e non si pentì mai di aver trovato le parole giuste nel momento giusto.
Luna sorrise del suo sorriso più sincero, e continuando a muoversi in un lento insieme al suo amico, lo abbracciò forte, come non aveva mai fatto…
«Mia mamma diceva sempre che alcune cose le fai senza pensare, seguendo il tuo cuore, e quelle sono le cose importanti della vita. Grazie per aver seguito il tuo cuore Neville Paciock» affermò tra le sue braccia la ragazza dandogli un piccolo e dolce bacio sulla guancia.
Il Grifondoro sorrise imbarazzato e la strinse più forte.
E rimasero così, eternamente, una sera di metà Novembre sotto la pioggia, a guardare la luce della propria Luna…