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Autore: Elisir86    19/09/2015    1 recensioni
"C'è una strada piccola, affannosa e ripida che mi porta fino a te io vorrei percorrerla e senza rischi inutili, arrivare fino a te fino all'amore"
FINO ALL'AMORE - BIAGIO ANTONACCI
[No incesto]
[Coppie: Francia x Canada – Molte altre]
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Threesome, Triangolo
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Gennaio



 

6

Il fratello



 

Cosa vuol dire?” la voce di Kalus era alterata e la si udiva perfino nelle stanze del piano superiore, figurarsi cosa poteva sembrare a suo figlio che giocava a pochi passi da lui. Sua moglie Annika gli stava difronte allibita da tale reazione, le mani delicate che si stringevano nervose “Non sei felice?” chiese con filo di voce quasi spaventata dall'uomo che aveva sposato, “Felice?!?” l'urlo fu ancora più forte di prima.

L'indice accusatore indicava il viso paffuto del bambino che lo guardava con i suoi occhioni innocenti, “L'ultima volta mi hai dato quello!” ringhiò facendo sobbalzare sia la moglie che il figlio.

Non parlare così difronte a lui...” iniziò Annika irrigidendo i muscoli facciali “In lui non c'è nulla di sbagliato!” avanzò di un passo “È sano e sveglio!”

Klaus batté la mano sulla libreria, il bambino iniziò a piangere “È un mostro! I suoi occhi sono iniettati di sangue!” la donna si portò le mani al volto, tremava di rabbia “Smettila con queste stupidaggini!” strillò facendo azzittire il marito.

Nella stanza il pianto sommesso di loro figlio divenne più forte, per un attimo Klaus si sentì in colpa davanti a quelle lacrime, abbassò lo sguardo “Non voglio un altro figlio. Non così.” e con passi pesanti uscì dal salotto.


 

Gilbert non amava parlare di quel giorno, era un ricordo sfumato uno dei primi che gli era rimasto. E se da una parte era doloroso ripensare a quelle parole dall'altra era il motivo di tutta la sua gioia durante l'infanzia: l'arrivo di un fratellino.

Qualche anno dopo -ormai grande per negare che suo padre in lui non vedeva niente di buono- avrebbe modificato quel ricordo, con una madre sorridente e un padre che orgoglioso lo teneva in braccio. Su un tema scolastico aveva descritto quella bugia nei minimi dettagli, aumentando e gonfiando tutto come se fosse stata la realtà.

Per molto tempo aveva ridipinto la sua infanzia con immagini fasulle, credendo a loro e non più a quello che lo circondava.

Gilbert guardò l'orologio da polso, era in anticipo di qualche minuto rispetto l'orario che suo fratello gli aveva mormorato al telefono il giorno prima.

Era stata dura rispondere di nuovo a quel numero sapendo che era della persona che aveva dato tanti veri ricordi felici.

Alla fine eccolo lì all'aeroporto ad aspettarlo.


 

Gilbert non aveva fatto altro che trottare dietro a sua madre e chiederle in continuazione quando sarebbe arrivato suo fratello.

A maggio sua madre gli aveva dato la notizia che era proprio un maschietto e che lui da bravo fratellone avrebbe dovuto aiutarlo, sempre.

Gilbert non capiva perché papà non fosse felice, perché indicasse in continuazione lui e dicesse che lui non era un bambino. Non capiva perché mamma urlava e tanto meno perché piangesse in silenzio abbracciandolo.

Un bambino di tre anni certo cose non le capisce, ma sa lui sapeva che mamma era triste e papà arrabbiato, che quel fratellino non era niente di buono. Nonostante questo lui continuava a seguire la madre per tutta casa chiedendo ansioso quando sarebbe arrivato e se poteva giocare con lui.

Annika rideva sempre sentendolo parlare in quel modo buffo e magari cercare di pronunciare il nome del fraello. “Lud...Lud...wi..giiiiiiiiiiii...” urlava alzando le manine ogni volta che suonava il campanello nella vana speranza che arrivasse.

Poi era arrivato il caldo e per Gilbert il suo fratellino si era perso o aveva bussato nella casa di fronte alla sua, non serviva niente che sua madre gli dicesse che era ancora presto, che mancavano alcuni mesi e perciò tanti, tantissimi, giorni. Lui voleva suo fratello.

Fu quando le foglie iniziarono a cadere dagli alberi in giardino che sua madre urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Gilbert si era alzato e era andato verso le scale, “Mamma...” chiamò avanzando tra i vari vestiti caduti chissà come sul pavimento. I suoi occhi grandi e pieni d'innocenza si posarono sul corpo riverso tra quei panni profumati, il viso pallido e il sangue che le macchiava il vestito giallo.

Mamma...” chiamò piano inchinandosi, la donna respirò a fatica posando i suoi teneri occhi azzurri su di lui, stiracchiò un sorriso stanco e affannato e gli accarezzò con le punta delle dita la guancia paffuta.

Signora!” la voce spaventata della cameriera fece sobbalzare il bambino “Signora!”


 

Gilbert accavallò le gambe sistemandosi meglio su quella sedia di plastica che era tutt'altro che comoda.

Il ritorno di suo fratello stava portando a galla ricordi infelici, che nei suoi diari e nei racconti ai suoi amici erano camuffati in qualcosa di bello.

Ad esempio per tutti quel giorno sua madre si sentiva che suo fratello volesse nascere in anticipo e che era andata in ospedale da sola attendendo pacifica l'arrivo delle contrazioni.

Gilbert a forza di raccontarla in quel modo si era quasi scordato di quella scena, di quanto avesse odiato Ludwig in quel momento e di quante lacrime aveva versato lui quando un'ambulanza aveva portato via sua madre.

Guardò il tabellone degli arrivi, l'aereo era atterrato, ancora una quarantina di minuti su per giù e avrebbe rivisto suo fratello dopo tanti anni.
 

 

Gilber aveva aspettato per tutta la mattina stretto al suo panda di peluche davanti alle scale d'ingresso, che la cameriera aveva ripulito dai vestiti e dalle macchie di sangue.

Era rimasto lì a guardare la porta sperando che sua madre tornasse sorridendo, ma all'ora di pranzo, quando il maggiordomo lo aveva preso in braccio e portato fino al tavolo per mangiare, nessuno aveva era rientrato a casa.

Nemmeno suo padre rientrò, lui ritornato sulle scale era rimasto fermo, con i suoi occhioni rossi a fissare l'entrata per tutto il pomeriggio.

Quando era sera inoltrata, il maggiordomo aveva deciso di chiamare qualcuno, perché ne lui ne la cameriera riuscivano a spostarlo da lì, ne con le buone ne con le cattive.

Nonno Augustus entrò in casa poche ore dopo, giusto il tempo per preparare una piccola valigia e partire dalla campagna. Lo trovò ancora seduto abbracciato al peluche e con lo sguardo serio rivolto alla porta.

Gilbert spostò finalmente l'attenzione su qualcos'altro, lasciò andare il panda e allungò le braccia verso il collo del nonno. Augustus non era mai stato particolarmente affettuoso nemmeno con sua figlia Annika, ma con suo nipote era diverso. La prima volta che lo aveva visto era stato una settimana dopo la sua nascita, sua figlia era andata da lui per passare un paio di giorni lontana dal marito che considerava loro figlio disgustoso.

Appena posò i suoi gelidi occhi su quella creaturina pallida e indifesa se ne innamorò. Inutile dire che fu proprio una sua visita a sorpresa a far mettere la testa e soprattutto la lingua a posto a Klaus.

Gilbert era un bambino sveglio per la sua età perciò Augustus aveva deciso di spiegargli tutto. Gli aveva detto che sua madre aveva preso una brutta botta e che probabilmente non avrebbe potuto camminare per un po, gli aveva spiegato che bisognava avere pazienza e sperare che si trovasse una soluzione ma che lui non doveva far pesare la faccenda ai suoi genitori.

Infine con un dolce sorriso gli aveva annunciato la nascita di suo fratello, in anticipo di un mese e mezzo.

Gilbert aveva riso felice per urlare subito dopo quel nome troppo difficile “Lud...wi...giiiiiiiiiii!” e la sua allegria contagiò anche il nonno.


 

L'albino si alzò dalla sedia dopo trentacinque minuti, si sistemò il capotto lungo e nero, il cappello altrettanto scuro e la sciarpa di un bel rosso acceso che gli aveva regalato quello stupido di uno spagnolo.

Si diresse verso le transenne che costeggiavano le porte scorrevoli, da lì sarebbe uscito suo fratello: chissà com'era cambiato in quei dieci anni. Sua madre ogni tanto gli mandava piccoli scatti fatti con quel cellulare che lei faticava ad usare, erano immagini sfocate o storte e non lo ritraevano mai completamente.

Aveva visto il suo viso squadrarsi sempre di più, il taglio dei capelli cambiare e soprattutto lo sguardo diventare sempre più serio.

Sua madre diceva sempre che si assomigliavano, in qualche modo, anche se erano completamente differenti d'aspetto.

Sciolse la sciarpa per l'ennesima volta, troppo agitato per quell'incontro. Le mani gli tremavano leggermente e il cuore gli batteva talmente forte che sembrava un tamburo. Nello stomaco una strana sensazione che lo faceva piegare in avanti.

Gilbert non era mai stato un tipo che faceva vedere i propri sentimenti -solo una volta- e per quanto gli era difficile rimase fermo con la schiena rigida e lo sguardo tagliente puntato su quelle uniche vie di uscita.


 

Notarlo non fu difficile: era alto, lui si trattenne nell'urlare “Ma quanto cazzo ti sei alzato?” e grosso, non grasso -perché non c'era un filo di ciccia in quel corpo- ma muscoloso, e si domandò che cavolo di sport praticasse per avere muscoli così definiti che -cavolo!- si notavano anche sotto quel pesante maglione.

Rise divertito, non c'era che dire quel piccolo scricciolo era diventato un grande uomo.

Ludwig da canto suo, aveva notato subito suo fratello, non era cambiato per nulla -a parte l'altezza- ed lo vedeva chiaramente che si stava trattenendo nel dire qualcosa. Nei suoi ricordi Gilbert parlava tanto e per la maggior parte delle volte da quella bocca uscivano scemenze di prima categoria.

Lo raggiunse con pochi passi, le tre valige sollevate da terra senza un minimo sforzo e la giacca buttata sottobraccio per il troppo caldo all'interno dell'aeroporto.

“Ciao!” il primo a parlare fu Gilbert con un ghigno stampato in faccia e gli occhi pungenti fissi su quelli freddi del minore “Sei diventato un gigante! E pensare che prima dovevo abbassarmi per guardati in faccia!” e rise divertito dalla situazione.

Ludwig alzò un fino sopracciglio “Ora è il contrario.” rispose atono facendo smorzare l'allegria dell'altro e facendo nascere un broncio infantile “Come sei cattivo! E pensare che volevo offrirti un caffè nel miglior bar di Venezia!” iniziò muovendo le braccia in maniera spropositata come era solito fare da bambino.

Il biondo non fece una piega, ma vederlo in quel modo gli aveva tolto quell'ansia che aveva nel petto, lo fece rilassare -anche se forse nessuno riusciva a notarlo-.


 

Sua madre rientrò a casa due settimane dopo su una sedia a rotelle, tra le braccia un neonato e sul volto un bel sorriso.

Gilbert l'aveva raggiunta saltandole sulle gambe rischiando di schiacciare quel piccolo bambino, “E fai attenzione!” fu il ringhio rabbioso del padre che stava dietro alla sedia, “Non vedi che c'è tuo Ludwig?!”

Il bambino allora aveva posato gli occhi su quello più piccolo, aveva un ciuffo di capelli biondi e grandi occhi chiari, non era come lui ed anche se era un pensiero causale lo disse ad alta voce. Incredulo che fosse di quelle dimensioni e che non riuscisse ancora a camminare non badò alla risposta del padre e tanto meno alla discussione che avvenne dopo.

Suo fratello era lì, che lo guardava curioso ed era la cosa più bella che avesse visto. Sorrise “Lud...wi...giiiiiiiiiii!!!” esclamò facendo calare il silenzio tra i due genitori e ridacchiare il maggiordomo.


 

Erano rimasti in silenzio per tutto il tragitto, cercando in un modo o nell'altro di non sembrare troppo goffi o curiosi.

In silenzio si erano anche seduti al tavolo di quel bar -dove Gilbert aveva fatto l'ultimo dell'anno in depressione- e avevano ordinato i caffè senza riuscire a proferir parola.

Infine quando le tazzine erano state poggiate davanti a loro il maggiore decise di smorzare quella tensione che lo stava facendo impazzire: “Ti stai trasferendo?” chiese indicando con lo sguardo le valige e facendo arrossire un poco il minore.

Ludwig aveva sperato di riuscire a intavolare il discorso con calma, sospirò iniziando a mescolare, “Papà mi ha cacciato di casa...” la voce atona come se non fosse nulla d'importante, Gilbert alzò entrambe le sopracciglia incredulo “Perché?”

Ora se avesse saputo che quella domanda avrebbe fatto tornare muto come un pesce il fratello l'avrebbe evitata, ma a quanto pare lui non aveva il dono di prevedere il futuro. Dopo ben dieci minuti buoni di silenzio l'albino sbuffò “Al magnifico me puoi dirlo, chi meglio del tuo perfetto e meraviglioso fratello potrebbe capirti?” socchiuse gli occhi color rubino indicandosi il petto orgoglioso. In fondo suo padre aveva fatto di tutto per allontanarlo da casa e lui ne aveva approfittato tanto da farsi comprare un appartamento e un ristorante.

Ludwig abbassò lo sguardo sentendosi a disagio, non parlava con suo fratello da dieci anni e si rifaceva vivo solo perché aveva disperatamente bisogno di aiuto. Si morse il labbro inferiore mostrando per la prima volta un cedimento nella sua aria austera “Ho lasciato l'università.”

Gilbert sospirò rilassandosi sulla sedia, accavallò le gambe e iniziò a tamburellare con le dita sul tavolo, tirare fuori le informazioni da suo fratello era difficile, voleva sapere perché l'avesse fatto e cosa pensasse di fare in quel momento.

Deciso a non lasciare che il silenzio s'impadronisse ancora di loro iniziò con una semplice domanda che poteva avere anche una risposta positiva “Centra una ragazza?” un ghigno divertito sul viso “No!” Ludwig lo disse con forza facendo sbattere la tazzina sul piattino in malo modo. “Non sono così!” continuò abbassando la voce ma corrugando ancor di più la fronte: davvero indignato, lui non scappava dai suoi problemi, non era un tipo di quel genere. Gilbert rise divertito “Scherzavo, scherzavo...” sventolò la mano davanti al viso, facendo uno strano verso con la lingua sui che sembrava un kesekesekese.

Calò di nuovo il silenzio, questa volta meno teso, “Ho bisogno di un posto dove stare...” la voce di Ludwig era tornata atona, i suoi occhi fissi sulla sciarpa del fratello -ma davvero va in giro con quella?- “Solo finché non trovo un appartamento. Solo qualche giorno.” volle precisare, alzando lo sguardo su quelle iridi rosse che aveva adorato tanto. Si sentì come quando da bambino era incapace di fare qualcosa e chiedeva aiuto a lui, pentendosi quando l'altro iniziava uno sproloquio su quanto fosse magnifico e di come fosse indispensabile.

Gilbert rimase a fissarlo a lungo, tanto che l'ansia che aveva avuto per tutta la durata del viaggio era tornata a riempirgli il petto, sperò che i sentimenti di suo fratello verso di lui non fossero cambiati e che lo perdonasse per quel suo mutismo.

Da parte sua l'albino stava valutando la situazione, Ludwig non gli aveva rivolto la parola per ben dieci anni evitando perfino di mandargli email -se non per ringraziarlo dei regali-, ma se era lì, davanti a lui, dopo tanto tempo un motivo più che valido ci doveva essere. Prese un sospiro, appoggiò il capo sulla mano sinistra puntando lo sguardo in quello azzurro del fratello.

Assomiglia a nonno Augustus…

Sorrise dolcemente come non faceva da anni, “C'è una regole a casa mia: Il magnifico me ha la precedenza su tutto.”

 




 

 

Angolo dell'autrice:

Gilbert può sembrare un cretino di prima categoria ma ama molto suo fratello! ^_^

Ed ecco il capitolo sei di Gennaio, me lo sono immaginata ambientato nel giorno della befana, anche se non ci ho fatto alcun accenno, ma insomma e un capitolo incentrato su due uomini con un certo orgoglio…

Comunque, spero di non avervi deluso con questa piccola parte. Se vi piace lasciate un commento che se no mi deprimo :p

Un abbraccio a tutti!

  
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