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Autore: Andy Black    19/09/2015    3 recensioni
Crystal, Silver e Gold si troveranno catapultati in un avventura senza precedenti, che li costringerà a correre in aiuto della popolazione di Hoenn, sconfitta da terremoti ed altri cataclismi.
C'è lo zampino di Groudon, e di qualcun altro, che sembra attentare alla pace per l'ennesima volta.
Cercherò di portarvi nella mente dei personaggi più amati di Pokémon Adventures
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adriano, Crystal, Gold, Rocco Petri, Silver
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Manga, Videogioco
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- Questa storia fa parte della serie 'Pokémon Courage'
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Harmonia



Crystal stava cadendo verso il nero del mare cattivo quando il Metagross di Silver riuscì a fermarla a mezz'aria tramite i suoi poteri psichici. S'avviò verso di lei repentino, poggiandola con delicatezza sulla superficie piatta della sua testa.
La pioggia, dal lato comandato da Kyogre, continuava a scendere senza sosta, rendendo quella vigilia di Natale parecchio fredda.
La foschia abbassava di parecchio la visibilità, costringendo Crystal a fare un rapido reboot prima di rendersi conto di non essere caduta in acqua.
"Che diamine è successo..." domandò lei, prima di capire che tutto ciò che la circondasse fosse totalmente congelato.
Probabilmente lo shock, ma solo dopo pochi istanti si rese conto del fatto che Metagross stesse proteggendo lei e se stesso tramite i suoi poteri psichici.
"Simili a quelli di Pat" convenne da sola, a bassa voce.
In quel momento un insieme infinito di sensazioni, dal senso di responsabilità alla paura per se stessa, dalla rabbia per gli avvenimenti al terrore per quello che potesse esser successo a Silver, le inondò lo stomaco, dandole la nausea.
Troppe sollecitazioni, troppi pensieri, troppe cose dello stesso peso sullo stesso fragilissimo filo di cotone, che altro non aspettava per spezzarsi, rimanendo diviso e lontano.
Scrutava, o almeno provava a farlo, nella foschia, cercando un segno di vita del fulvo, un suo Pokémon. Anche Honchkrow era sparito, e nessun rumore, oltre allo scricchiolio del ghiaccio che si stava formando sulla superficie del mare, occupava il suo udito. Tirò fuori dalle tasche l'Holovox, cercando in tutti i modi d'accenderlo, ma era zuppo d'acqua e quindi inutilizzabile.
Sentiva il panico crescere nel suo petto, un miscuglio indefinito di sensazioni, d'emozioni, e poi si rese conto dell'abbagliante luminosità di Kyogre, che sostava immobile al centro della baia.
Forse era il momento per incontrare Igor e sconfiggerlo. Quello doveva essere il modo più semplice per battere quel Pokémon leggendario dai poteri così incredibili.
"Metagross... cerchiamo di avvicinarci quanto più possiamo a Kyogre. Alle spalle..." ordinò al Pokémon di Silver e quindi sparì, per riapparire a due metri dall'infinita distesa blu della sua schiena.
Faceva freddo, Crystal sentiva le mani perdere rapidamente sensibilità e quindi le portò alla bocca, alitando caldo respiro sulle dita, inutilmente.
Scrutò l'orizzonte, foschia ovunque e nessuna traccia di Igor, quindi decise di scendere coi propri piedi sulla schiena di Kyogre.
Avanzò lentamente, mano alla Pokéball di Monlee e Metagross che li seguiva alle spalle, attentissimo.
"Igor non c'è..." disse, lentamente, aspettandosi un agguato  da un momento all'altro e muovendo per questo passi cauti ed incerti.
La nebbia era così densa da non permetterle di guardare oltre i due metri. Una ragazza così precisa e maniacale come lei, con il feticismo per il controllo su tutto ciò che le circondava, viveva un incubo.
E camminò, camminò tanto.
Almeno finché non arrivò alla grande ferita che Kyogre aveva sulla fronte.
Grondava sangue, fluido e rosso come un rubino, mentre le striature luminose che aveva sul corpo s'accendevano ad intermittenza, affievolendosi senza mai spegnersi completamente.
Sentiva il freddo salire dal corpo del Pokémon e distribuirsi tutt'intorno. Ma era sola, e la cosa la inquietava.
"Dove diamine sei, Silver?".
 
Il respiro mancava, ormai, da un minuto e trentasette secondi.
Trentotto.
Trentanove.
Quel grosso Sharpedo s'avvicinava a tutta velocità e la cosa lo preoccupava in maniera sostanziale, dato che alle sue spalle vedeva Igor muoversi con agilità anfibia incredibile.
S'impanicò, alcune piccole bolle lasciarono il suo corpo e si schiantarono contro la spessa lastra di ghiaccio. Capì che non dovesse agitarsi, altrimenti avrebbe speso quei pochi secondi di fiato che gli rimanevano, con conseguenze letali.
Doveva affrontare Igor e poi sfondare la lastra di ghiaccio, ed in meno d'un minuto.
Calcolò che combattesse con due veri e propri squali, agili nel proprio elemento, e la cosa gli diede già una nota di svantaggio.
Inoltre MegaSharpedo era molto veloce. Difatti, in meno di tre secondi aveva già le fauci aperte in direzione di Feraligatr.
Era sott'acqua, non poteva urlare alcun ordine e la cosa lo costrinse a toccare con la mano la spalla del Pokémon, per farlo voltare.
Bastò uno sguardo, ai due. Una sorta di hai via libera, non devi farti ammazzare in nessun modo. Anzi. Attaccalo finché non si muove più.
Avrebbe voluto comunicargli che lui avrebbe pensato ad Igor, ma gli parve inutile, sostanzialmente. I Pokémon non erano malvagi come gli esseri umani, non capivano determinate dinamiche e le cose cattive del mondo, come essere catturati e perdere la libertà, diventavano cose dettate dal fato.
Feraligatr si gettò a capofitto contro Sharpedo, usando Lacerazione sulla sua pelle, ruvida come carta vetrata: gli artigli affondarono il colpo velocemente, lasciando una scia di sangue scuro, una nuvola che si diradò salendo verso l'alto.
Feraligatr era così ben allenato che Silver era sicuro riuscisse a vincere quello scontro.
Doveva occuparsi di Igor; solo in quel modo sarebbe riuscito a fermare tutto.
Lo guardava, i suoi occhi rilucevano facendo rimbalzare la luce, come se fosse un gatto. La sua fisionomia era totalmente cambiata: in acqua la sua pelle sembrava più tirata, gli occhi avevano perso il proprio colore, diventando semplicemente delle pozze nere senza iridi. I capelli vagavano come fossero vivi, come serpenti.
S'avvicinò a Silver, Igor, noncurante della lotta in atto tra i due Pokémon; sorrideva, vedendo il volto di Silver perder colore. Era attratto dalle labbra emaciate del ragazzo, lo sguardo cadeva sempre lì.
Come avesse un motore alle spalle, accelerò ed allargò le braccia. Caricò il pugno, pronto a scagliarlo nello stomaco del ragazzo. Quello sarebbe riuscito a scansarlo con facilità immane se non fosse stato in acqua. Lì tutto era ovattato e più lento: i rumori, i movimenti.
Ma i pensieri viaggiavano veloci e l'ossigeno era sceso quasi a zero. Doveva sconfiggerlo immediatamente.
Valutò la strategia più ovvia ed aspettò che ritornasse all'attacco.
Igor, infatti, partorì delle lame dagli avambracci, protuberanze taglientissime fatte d'osso. Con i polsi rivolti verso l'esterno, s'avviò come un missile verso l'obiettivo.
Silver sapeva che in meno di due secondi sarebbe arrivato da lui.
La scintilla di un pensiero illuminò il suo sguardo, Igor arrivò con i polsi rivolti a lui, puntandogli contro gli spuntoni appuntiti che fuoriuscivano dalla sua pelle pallida, quasi grigiastra.
L'adrenalina scorreva nel suo sangue così velocemente che tutto prese a rallentare. Nelle tempie sentiva i battiti accelerati del cuore mentre i polmoni reclamavano ossigeno e gridavano per il dolore mentre i suoi occhi anticipavano i movimenti del Capo del Team Idro.
Attaccherà da destra pensò, vedendo effettivamente il colpo veloce partire da lì. Cercò di evitare l'attacco il più velocemente possibile mentre percepiva Feraligatr che attaccava Sharpedo con successo.
Scartò di lato, il fulvo, non riuscendo tuttavia ad uscire indenne dall'agguato, ferendosi con gli artigli dell'uomo - se uomo poteva essere chiamato - e cominciando a perdere sangue.
Fu proprio l'odore del sangue a distrarre Sharpedo, che subì un ultimo, pesante attacco al viso, cadendo vittima di un terrificante attacco Codacciaio.
Silver s'attaccò ad Igor, passando alle sue spalle, lasciando una scia rossa come i suoi capelli e stringendo il collo col braccio.
La sua mente volò, aprendo un bagaglio che aveva volutamente deciso di stipare nella soffitta dei ricordi malandati: quelli della sua infanzia.
 
La maschera di Silver era decisamente grande e non calzava a pennello. Almeno non come quella degli altri suoi fratelli. Non era sicurissimo del fatto che fossero fratelli e ad un certo punto gli sovvennero dei dubbi pure sulla definizione di fratelli.
Ecco, forse loro erano compagni.
Anche perché, se fossero stati tutti suoi fratelli, lui avrebbe visto ognuno dei loro volti. Invece no.
Erano pochi, quell'inverno, ma all'inizio erano molti di più. C'erano i fratelli più grandi, quelli che aiutavano Maschera di Ghiaccio nelle faccende importanti.
Loro erano autorizzati anche ad uscire, fuori, oltre le grandi mura grigio scuro della fortezza.
Quel venerdì era rimasto particolarmente male per il fatto di aver dovuto effettuare un'altra di quelle sessione di allenamento che sostenevano quotidianamente; generalmente Maschera di Ghiaccio li lasciava liberi di scorazzare per il castello.
In quei casi lui andava da Blue, la ragazzina più grande, e passavano il tempo assieme, giocando a rincorrersi.
In più, assieme a Blue, che quel pomeriggio uggioso era proprio di canto a lui, avevano trovato un nascondiglio perfetto.
Già, proprio al di sotto della brandina della ragazza vi erano alcuni mattoni malmessi e lei aveva cominciato a scavare nella roccia, creando una piccola insenatura grande abbastanza per entrambi.
Quella era la loro fortezza; lì erano addirittura riusciti a levarsi le maschere, ed a guardarsi negli occhi.
Blue aveva gli occhi del colore del cielo, azzurri e profondi.
Non aveva mai visto il cielo, pensava in quel momento, se non attraverso il filtro dei vetri polverosi della fortezza. Lei era molto carina, con i capelli lunghi sulle spalle e sulla fronte, ed il sorriso splendente.
Era più grande, lei, ma ogni volta che la vedeva Silver sorrideva e sognava di vedere il cielo assieme a lei, mano nella mano.
Ammise a se stesso che un po' le piacesse, Blue. Ed anche lei sorrise come aveva fatto lui, quando Silver smontò la grande maschera dal suo viso smagrito, impreziosito dai due dischi d'argento con cui esplorava il mondo.
Spesso rimanevano immobili, nel loro nascondiglio, a guardarsi negli occhi, nel totale silenzio. Lei aveva una bella voce, a lui piaceva.
Ma Maschera di Ghiaccio li aveva battezzati come fratelli, e sapeva che due fratelli non potevano fidanzarsi tra di loro, innamorarsi o altro.
Sarebbero nate cose sconvenienti. Già. I fratelli erano soltanto parte della Famiglia, e la Famiglia doveva essere come un carrarmato, una scatola che conteneva tutto e tutti, che proteggeva e che doveva essere protetta.
Quel pomeriggio era lì, Silver, assieme a Blue, a qualche metro sulla sua sinistra, ed altri tre ragazzini. Uno era bassino, con i capelli violacei. Due ragazzi più grandi osservavano la sessione0 mentre Maschera di Ghiaccio sedeva su di un grande trono, in silenzio.
Una delle sorelle più grandi, si chiamava Karen, si avvicinò al centro dell'arena, dove un grande telo nascondeva qualcosa che si muoveva. La donna, dai lunghi capelli color turchese, ondulati, sistemò meglio la maschera dal sorriso sbieco e poi levò il lenzuolo.
Quattro ragazzini piangevano, bendati e legati. La voce della donna risuonò nell'ampia sala, piena solo di loro.
"Questi ragazzi hanno provato a scappare da qui. Hanno provato a disonorare la famiglia, a danneggiare noi. Volevano farci del male...".
La voce della donna rimbombava per le pareti scure mentre un tuono risuonò prepotente.
"E chi vuole farci del male viene eliminato. Vogliamo però cogliere l'occasione per insegnarvi come mettere fuorigioco i nemici".
Silver si voltò verso Blue ma lei continuava a guardare dritto.
"Tu" disse poi, puntando il dito contro uno dei suoi fratelli. "Sarai il primo. Vieni qui".
Karen mostrò al ragazzino in che modo afferrare il collo di quello. Le mani fragili di quello toccarono la pelle pallida mentre la vittima cercava di svincolarsi dagli stretti nodi che lo tenevano stretto alla sedia.
"Ora gira velocemente. Sentirai il rumore delle ossa che si rompono".
Il ragazzino eseguì freddamente, lo schiocco arrivò e la testa del ragazzino s'accasciò sul suo petto.
Silver rimase inorridito; guardò Blue ma lei era immobile, continuando a fissare dritto attraverso la sua maschera. I ragazzini legati, a cui sarebbe capitata la stessa sorta, piangevano disperati.
"Tu" disse poi Karen, puntando il dito contro Blue. "Sarai la seconda. Vieni qui".
I passi mossi dalla più piccola lasciarono solchi incolmabili. Silver non riusciva a credere che la sua amica, quella dagli occhi color del cielo, sarebbe riuscita ad ammazzare un ragazzino, con le sue mani.
Invece quella posizionò le mani sottili sul collo del ragazzino moro, bendato ed imbavagliato, poi tirò veloce ed eseguì la manovra.
Lasciò andare le mani ed il collo rimase a penzolare come una corda al vento, prima di trovare pace e pendere verso sinistra. Blue tornò rapidamente al suo posto, sotto lo sguardo terrorizzato di Silver.
"Tu" si pronunciò nuovamente Karen, puntando il proprio indice proprio contro di lui. "Sarai il terzo. Vieni qui" fece.
Doveva andare, lui lo sapeva, ma tutto era avverso: aveva paura, il sole era lontano e la pioggia continuava a battere. Aveva reputato tutti come suoi fratelli, gente che era cresciuta con lui.
Per un bambino, portatore sano di vita, donare la morte era una condanna. S'avvicinò con più paura in corpo di quanto in realtà potesse averne, con le mani magre e tremanti.
"Il collo" disse Karen, carezzando la sua chioma rossa. Silver aveva negli occhi la scena di Blue che, immobile e fredda come il ghiaccio aveva eseguito la manovra omicida con la decisione d'un killer. E la emulò, non riuscendo a trattenere le lacrime al di sotto della sua maschera, unico stanzino buio nel quale nascondere le proprie emozioni dal mondo.
 
I polmoni continuavano a bruciare, ma fu tutto rapidissimo: afferrò con la mano destra il mento dell'uomo e con la sinistra la nuca e girò rapidamente la testa di Igor.
Sott'acqua lo schiocco rimbombò sordo, il corpo dell’uomo perse ogni forza, gli occhi tornarono normali e si spensero, abbandonando la scintilla, la pelle si ritirò e la fisionomia tornò umana. Dal suo petto fuoriuscì la Sfera Blu, che lentamente s'adagiò tra le mani sporche di Silver.
Metà di quell'ignobile storia era finita: il corpo di Igor salì vuoto verso l'alto, adagiandosi sul ghiaccio spesso.
Silver stava per perdere tutte le forze. Si riservò un po' d'energia per agitare le braccia e chiamare Feraligatr. Quello, che aveva sconfitto agilmente MegaSharpedo, nuoto velocemente verso di lui e lo brandì, prendendo a salire verso l'alto.
Silver vedeva sempre meno, mentre la luce aumentava e l'adrenalina terminava il suo effetto, rilasciando una dose di sonno e stanchezza nel suo corpo. Un'altra coppia di bollicine lasciarono le labbra violacee del rosso.
Feraligatr prese ad attaccare con le zampe, i denti, la coda, il ghiaccio doppio, raschiando strati doppi, ampi, avvicinandosi sempre di più alla superficie.
L'acqua era congelata, passava lenta tra le dita di Silver fino a quando l'ultima cosa che riuscì a vedere fu il volto di Crystal, oltre quel freddo muro.
Poi chiuse gli occhi: l'ossigeno era finito.
 
Crystal guardava l’enorme figura di Kyogre, totalmente immobile.
Aveva paura che Igor spuntasse all’improvviso da qualche parte, tra gli scogli ghiacciati e gli aliti condensati che s’alzavano dalla sua bocca.
Muoveva passi leggeri sulla superficie ghiacciata del mare. Cercava di stare quanto più attenta potesse, per non inciampare e farsi del male.
Monlee camminava accanto a lei, silenzioso e guardingo, mentre le esplosioni al di là del muro attiravano la propria attenzione in maniera massiva.
“Non c’è, Igor. Sono sola con Kyogre…”.
E questa era l’occasione giusta, pensò. Doveva assolutamente catturare Kyogre e mettere fine alla metà di tutti quei problemi. Il solo Hitmonlee, però, non era bastevole ad indebolire alla goccia il Pokémon leggendario
Per farlo aveva bisogno d’un altro leggendario.
Alzò gli occhi al cielo: attraverso la nebbia, i fili luminosi di MegaRayquaza fluttuavano lemmi attraverso gli aliti di vento.
“Martino!” urlò lei, alzando le mani al cielo e cercando d’attirare la sua attenzione. “Martino!” ripeté nuovamente, agitando le braccia.
Quello abbassò gli occhi e la vide rivolgersi a lui.
“Che c’è?!” urlò, analizzando la situazione e cercando la chiave di volta per la mossa successiva.
“Attacca Kyogre!”.
“Cosa?!” rispose lui, non avendo colto le parole della moretta.
“Colpisci Kyogre! Attaccalo!”.
“Kyogre?! Ma è immobile! Groudon sta combinando un casino, di là!”.
“Non m’importa, fai e basta!”.
“Ma...”.
“Martino! Attacca Kyogre!” ringhiò Crystal, quasi stremata. Il Ranger sbuffò e punto il dito contro il Pokémon azzurro, vedendo poi un forte attacco Iper Raggio colpire l’obbiettivo.
Vi fu una forte esplosione, e Kyogre parve risentito della cosa.
“Ora!” urlò Crystal. “Vai, Ultraball!”. Lanciò la sfera in aria e la colpì con i piedi; la traiettoria che prese fu incredibile, riuscendo a colpire il Pokémon sul muso, proprio dove aveva mirato.
“Lì c’è il centro delle tue energie vitali, Kyogre… ora rilasciale...”. L’ansia cresceva nel suo petto a dismisura, lievitava e spingeva i polmoni in avanti.
Era quasi doloroso, gli occhi cristallini della bella puntarono la figura mastodontica del Pokémon, che poco a poco ridusse la propria taglia per entrare all’interno della sfera.
 
Un movimento della sfera.
 
Milioni di persone erano morte, annegate tra le strade delle proprie città, affogate all’interno delle proprie automobili, delle proprie abitazioni. Città intere, come Bluruvia e Porto Selcepoli erano state trasformate da Kyogre in grossi acquari silenziosi, nel profondo blu dell’oceano.
Aveva visto migliaia di corpi a galla, senza vita, senza futuro e senza più parole da dire.
Il sangue che si riversava sulle coste nuove, create dall’onda gigante, macchiava l’erba ed il terreno, le case, le scarpe di chi guardava in lacrime l’orizzonte, ogni giorno un po’ più ampio.
E quando, tra la spuma delle onde, apparivano delle scarpine taglia 28 coi lacci inzaccherati di rosso, beh, era proprio in quel momento che si chiedeva il reale significato del concetto di giustizia divina.
Non capiva dove fosse giusto che una divinità ammazzasse un bambino, più bambini, per gli errori commessi da qualcuno mille anni prima.
Pensò che probabilmente, se fosse stata Arceus, con poteri straordinari e forza oltre ogni limite di razionalità, sarebbe stata in grado di punire soltanto i più meritevoli del suo trattamento.
Inondare un’intera città significava uccidere.
Proprio come uccidevano gli umani.
 
Due movimenti della sfera.
 
Arceus quindi si metteva al loro stesso livello, perdeva lo smalto divino che aveva sul pelo lucido e si macchiava del sangue di inutili vittime, che, di quella situazione, avevano soltanto dovuto pagare lo scotto.
Non era colpa di quel bambino, se respirava e vedeva con gli occhi stupiti un mondo che ormai crollava sotto tutti i punti di vista.
Erano passati venti secondi, a lei sembrarono un’eternità.
Kyogre era ormai nella Ultraball e non si dimenava più; si rese conto dell’avvenimento e raccolse velocemente la sfera del Pokémon. Le pareva scottasse.
La pioggia sparì rapidamente, come se una manata forte avesse diradato le nuvole arrabbiate, mitigando il loro bisogno di una carezza, lasciando soltanto il forte sole di Groudon a sovrastare tutto.
Pose il Pokémon catturato nel suo zaino e continuò a guardarsi attorno. Monlee era accanto a lei, ma mancava qualcosa.
Mancava qualcuno.
Non riusciva a scorgere la chioma rossa di Silver; i ghiacci non accennavano ad assottigliarsi nonostante il grande calore riscaldasse la calotta congelata.
Le nuvole impazzite, difatti, erano sparite dopo la cattura del Pokémon re degli oceani, come scacciate da una mano dura ed amorevole, in grado di soddisfare il loro bisogno di una carezza.
Il sole di Groudon, forte e tiranno, prese a scottare la pelle diafana della donna.
“Silver!” urlava lei, mentre vedeva Rayquaza e Martino oltrepassare il muro e lasciare da sola la Catcher. La nebbia non si diradava nonostante il sole la penetrasse come coltello in un panetto di burro, e le camminava con rabbia e rapidità, non riuscendo ad ascoltare nessuna risposta alla sua chiamata.
Poi sentì dei tonfi sordi.
E la cosa era strana. Non capiva da dove potessero venire quei rumori così gutturali e bassi. Cercò d’avvicinarsi alla fonte del rumore ed anche quando vi fu proprio dentro, non riusciva a capire.
Poi però abbassò gli occhi: sotto lo spesso strato di ghiaccio si stavano spegnendo gli occhi d’argento di Silver.
Quelli cristallini della ragazza, invece, si spalancarono. Silver era sotto al ghiaccio, e non sapeva nemmeno da quanto. Aveva visto il ragazzo perdere i sensi.
Il panico prese in mano il suo cuore, il suo cervello, i suoi polmoni ed ognuna delle fasce muscolari della ragazza, permettendole solo di espellere una sapida lacrima.
Ma poi si svegliò da quel coma cosciente, capendo che se non avesse fatto qualcosa Silver sarebbe morto.
Si riattivò.
“Silver!” urlò, cominciando a prendere a calci la doppia lastra di ghiaccio. Lei sapeva di doverlo salvare, e sapeva di poterci riuscire: il pesante allenamento fatto sul Monte Scodella, anni prima, le aveva conferito una grande forza nelle gambe.
Fu quello il motivo per cui continuava a pestare il ghiaccio con i piedi, sfiancandosi e piangendo impotente, mentre il corpo del ragazzo prendeva a scendere giù.
“No! Silver!”.
E poi un’altra pestata, una crepa si formò e le capì che doveva battere lì, proprio come una carie fa sul dente.
Una pestata, tre, cinque pestate, la crepa era ormai diventata una grande voragine; lei vi si tuffò.
L’acqua era incredibilmente fredda, i muscoli s’erano irrigiditi e sentiva le dita delle mani e dei piedi perdere rapidamente sensibilità.
A lei però non importava, lei nuotava soltanto verso il basso, verso il fondale totalmente nero, dove la capigliatura di Silver si scuriva sempre di più.
Fece uno sforzo, non sapeva da quanto tempo il cervello del ragazzo non ricevesse ossigeno, quindi accelerò, nuotando ancora di più verso il basso.
E poi afferrò la sua mano, ancor più congelata di quanto s’aspettasse. Tirò, tirò su, e nuotò più velocemente di quanto avesse potuto fare in realtà.
L’adrenalina, certamente lei.
I polmoni bruciavano ed il panico e la paura s’erano uniti in un miscuglio omogeneo nella sua testa. Temeva di tirare la mano di un uomo ormai morto e la cosa la squassava dentro.
Lentamente la spaccatura nel ghiaccio s’avvicinava, l’acqua era molto più chiara su di lei, a soli tre metri.
Poche bollicine lasciarono la sua bocca e l’anticiparono, quando, le loro due teste irruppero tra i ghiacci creati da Kyogre.

 

 
   
 
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