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Autore: MaCk_a    19/09/2015    4 recensioni
Nel 1910, Virginia Gaetani ha diciassette anni. Fanciulla dalla natura vivace e allegra, si ritrova a dover reprimere le proprie esigenze a causa dei genitori, nobili che tengono all'onore e al rispetto più che all'amore.
La storia ha inizio quando a Virginia viene annunciato che un uomo ha chiesto la sua mano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Non era semplice giungere a Valle, come non è mai stato facile raggiungere località montane; il lungo viaggio da affrontare, la scarsa stabilità della strada piena di curve e il clima gelido della zona aumentavano l’isolamento del paesello che, durante l’Inverno, manteneva col resto del mondo solo i contatti indispensabili per procurarsi il cibo. In Estate, però, gli abitanti di Valle vedevano passeggiare nella piazzetta gente “nuova”, educata e ben vestita, recatasi in quell’oasi perché attratta dall’aria fresca e pulita. In effetti, Valle sarebbe stata davvero un posto tranquillo e piacevole, se non fosse stato per quei boschi… per fortuna, tutti tacevano a riguardo. Sì, i turisti si sentivano ripetere fino allo sfinimento di evitare monte Janara a causa delle bestie feroci che lo popolavano, ma tutto finiva qui.

Finiva qui perché il consiglio era sempre accolto.

L’ultimo “incidente” aveva avuto luogo nel 1913. Oh, certo, nessuno avrebbe mai dimenticato la notte in cui Virginia Gaetani era scomparsa assieme ai dodici servitori della famiglia che, ingenui, erano andati a cercarla; tredici morti, nessun corpo ritrovato, il matrimonio rimandato, i Gaetani che avevano minacciato di far finire la notizia su tutti i giornali. Ma quale giornale avrebbe mai pubblicato una notizia del genere, in un periodo come quello? Alla fine il caso era stato archiviato (per alcuni risolto: lo “spirito del bosco” se li era presi tutti, non c’era altro da dire o spiegare) ed Emma Cardaniese aveva sposato Elio nel 1914, dopo l’anno di lutto dovuto alla memoria di Virginia.

Leonardo Gaetani era stato l’unico membro della famiglia a provare una reale tristezza per l’inspiegabile scomparsa della sorella; Quirino non aveva trovato rilevante l’accaduto ed Elio, come i genitori, era troppo furioso e imbarazzato per poter pensare al dispiacere; anzi, era giunto alla conclusione che senza quella peste si stesse meglio e si convinse che la sua morte fosse stata una salvezza per tutti.

***

Nel 1920, Angela Virginia Gaetani aveva cinque anni ed era identica a suo padre: solo il carattere pacato e l’innata delicatezza rivelavano che fosse figlia anche di Emma. A Emma, comunque, andava il merito di aver educato la bambina, una dama in miniatura buona, gentile e al contempo assolutamente orgogliosa del proprio casato. La piccola non aveva mai conosciuto le donne di cui portava i nomi, perché entrambe erano morte, ma la mamma le aveva raccontato di come la bisnonna Angela fosse stata forte e di quanto la zia Virginia fosse bella. Ritratti delle due non ne aveva visti, ma la bimba era troppo piccola per essere incuriosita da cose del genere; preferiva interessarsi a fiorellini, animali e cappellini. I morti erano morti e non facevano parte del suo mondo, pensava: dunque, la sua vita girava attorno ai nonni, all’adorato cagnolino, alla mamma e, soprattutto, al papà. Emma, innamorata, non aveva mai pensato che il marito fosse una brutta persona; dalla nascita di Angela, poi, era arrivata a convincersi d’aver sposato l’uomo migliore al mondo. Chi aveva conosciuto davvero Elio Gaetani, sapeva che non era mai stato uno stinco di santo; tuttavia, gli stessi che avevano conosciuto la sua insensibilità e la sua arroganza, si erano visti costretti a riconoscere in lui un cambiamento innegabile, dovuto al matrimonio o, più probabilmente, alla paternità.

Elio era oggettivamente un padre perfetto. Sapeva esser severo se necessario, ma solitamente trattava la figlia con una dolcezza tenerissima: Angela si addormentava tra le sue braccia, appariva in pubblico solo se accompagnata da lui e sentiva la necessità urgente di baciarlo ogni dieci minuti; dal canto suo, Elio l’amava a tal punto da voler quasi rinunciare a un figlio maschio: così Angela avrebbe avuto sempre più attenzioni, più amore… e tutta l’eredità.

Ogni desiderio – desiderio, non capriccio! – di Angela andava esaudito, ogni suo sogno realizzato.

Solo l’aspetto di quella bambina aveva, in principio, turbato suo padre: Angela era identica a Virginia. Passasse il secondo nome, che Elio aveva accordato solo perché lo riteneva una specie di formale obbligo, ma la somiglianza… ! Si era cominciata a notare quando aveva tre anni e per gli altri non era stata una sorpresa: Virginia ed Elio erano stati come due gocce d’acqua e i riccioli castani di Angela, i suoi occhi grandi dalle lunghe ciglia… ricordavano l’uno come l’altra. Semplicemente, Angela era una bimba che somigliava a suo padre.

Eppure per Elio era tanto strano vedere quanto il suo piccolo amore somigliasse alla sciocca sorella… l’essere che più amava, uguale a quello che più aveva odiato.

Non potendo cambiare la realtà, Elio decise dunque che, se Angela somigliava a Virginia, Virginia doveva essere guardata con occhi diversi. Angela non poteva ricordare qualcosa di negativo. Somigliava a Virginia? Bene, allora Virginia era stata buona. Buona, dolce e bella. Lui forse non l’aveva compresa, si era sbagliato sul suo conto… ora non importava. L’importante era convincersi che l’immagine di Virginia, nella sua memoria, divenisse pulita e perfetta, così Angela avrebbe potuto somigliarle tranquillamente.

Nonostante ciò, i ritratti di Virginia Gaetani rimasero a giacere in cassetti chiusi, lontani dagli occhi di tutti.

 

Come molte bambine amate, Angela era molto sicura di sé e piuttosto coraggiosa; non si era mai allontanata da casa perché, come il padre, apprezzava ogni agio; tuttavia, il mondo non la spaventava, come non la spaventava il buio, né i mostri delle storie che a volte le raccontavano. Non condivideva neanche la paura di essere abbandonata, comune a molti bimbi: credeva ciecamente ai suoi genitori e sapeva con certezza che mai e poi mai l’avrebbero lasciata sola.

Quando Emma disse ad Elio che era necessario recarsi a Valle, perché i suoi genitori erano ormai anziani e non era saggio far loro affrontare un lungo viaggio per vedere la nipotina dato che Angela era ormai abbastanza grande per spostarsi senza fare troppi capricci, il ragazzo non fu contento. Valle non gli era mai piaciuta e, dalla scomparsa di Virginia, la riteneva ovviamente pericolosa. Solo quando gli fu assicurato che più nulla era accaduto, che tutto ormai sembrava “normale” e che, comunque, era sempre stato sufficiente tenersi lontani dal bosco durante la notte, Elio si decise.

 

***

 

Nel grande e cupo castello che, invisibile a chi non fosse gradito, troneggiava su monte Janara, il conte e la contessa trascorrevano una vita tranquilla, tra libri, strumenti musicali e pennelli. Il fatto di non poter vedere il giorno e di non aver contatti con altri uomini non rappresentava per loro un grande problema, perché amavano la notte e la solitudine; ognuno bastava all’altro e, se proprio avessero voluto discorrere con una terza persona, avrebbero potuto contare su quel vecchio che avevano preso come maggiordomo. Nessuno lo sapeva, ma dopo quella di Virginia Gaetani c’era stata un’altra sparizione; nessuno lo sapeva, perché quel vecchio era giunto a Valle in silenzio ed era salito sul monte senza farsi vedere in paese.

Solo una cosa intristiva la contessa: lei e suo marito non avevano e non avrebbero mai potuto aver figli… e lei, amante dei bambini, aveva sempre sognato di esser madre; non aveva parlato della sua sofferenza per non addolorare anche il marito, ma questi l’aveva notata e, deciso a vederla felice, le aveva suggerito un’idea ottima.

Non aveva mai provato su nessun essere umano l’ipnosi e non era sicura di riuscire a chiamare qualche bambino vista la distanza che separava il castello dal paese; tuttavia i bimbi hanno delle menti “aperte”, come amava definirle lei, il che avrebbe dovuto rendere più semplice la comunicazione. In ogni caso, tentare non avrebbe fatto male a nessuno… e lei non voleva mica rapirli, i piccoli. Quando fossero cresciuti, o se avessero per caso espresso il desiderio di tornare a casa, li avrebbe lasciati andare.

 

 

«Vieni da me!»

Angela aprì gli occhietti di scatto. Si sentì spaesata per qualche secondo, poi ricordò di trovarsi a Valle, a casa della nonna, in una stanzetta che era stata arredata appositamente per lei! Ma chi era che l’aveva chiamata? Non era la voce della mamma, questo lo sapeva. Si guardò attorno, senza scorgere nessuno.

«Vieni da me!»

Le sembrò di tornare a dormire, ma gli occhietti erano aperti. Era strano, non le era mai capito prima: era proprio come dormire, o sognare… ma con gli occhi aperti e senza essere stesi.

«Vieni da me!»

La terza chiamata fu come il canto di una sirena per un marinaio: la piccola balzò giù dal letto, infilò le belle pantofoline e aprì la porta. Piccola e silenziosa com’era, non svegliò i familiari addormentati e riuscì senza troppe difficoltà (e senza sapere come) a sbloccare la serratura del portone. Guidata da una forza che non la spingeva ma la attirava, come se una cordicella fosse legata al suo corpicino e la conducesse dolcemente verso chi ne teneva le redini, Angela camminò in un sentiero disabitato pieno di alberi e in salita; quando giunse nel cuore del bosco, dove ogni direzione le sembrava uguale, fu un lupo a mettersela in groppa e portarla a destinazione. Lei, ancora in trance, non ebbe paura.

 

Il conte non aveva mai visto sua moglie tanto agitata: si sfregava le mani con ansia e spiava il cancello attraverso la finestra.

«Non verrà nessuno» sussurrò mortificata, «devo aver fallito»

«Mia cara, dovresti concedere a questa creatura il tempo di raggiungerci». Sorrise e, avvicinatosi, prese tra le sue le mani di lei. «Hanno le gambe corte, non puoi pretendere che siano veloci»

Come sempre, il tocco di lui la tranquillizzò. La contessa tese le labbra e, quando quelle di lui le raggiunsero, si sentì libera da ogni timore e incertezza: il resto del mondo non la turbava e non le interessava, finché era con Lui. Riaprendo gli occhi lo vide sorridere: col mento le indicò che l’ospite stava arrivando.

Lo baciò nuovamente e, con enfasi, corse a spalancare il portone: un esserino dai riccioli scuri avanzava verso di lei a passo deciso e con lo sguardo perso.

«Buonasera, mia cara» esclamò la stessa voce che aveva chiamato Angela. La bimba sbatté le palpebre e vide una bella signora accovacciata davanti a lei; dietro la signora, in piedi, vi era un uomo vestito elegantemente, che la osservava con stupore. «Hai adescato la persona giusta» lo sentì dire, «potrebbe essere davvero tua figlia… ti somiglia»

«Potrebbe essere davvero nostra figlia», lo corresse la signora senza distogliere lo sguardo dalla bambina.

«Non avevo mai visto un castello» ammise la piccola, meravigliata, dicendo la prima cosa che le venisse in mente. Non aveva paura, perché la signora le sorrideva e la accarezzava… e somigliava anche un po’ al suo papà.

«Vorresti vedere com’è fatto dentro?» domandò la signora alzandosi e mostrando così la maestosità del lungo abito nero.

La piccola esitò. Le vennero in mente le parole dei genitori riguardo gli estranei e si sentì improvvisamente stupita: perché quella signora non le aveva ancora detto chi era?

«Non vuoi sapere il mio nome?» indagò, per preparare il terreno alla domanda successiva.

«No, mia cara, non è necessario; non m’importa conoscere il tuo nome… puoi scegliere tu un nuovo nome con cui farti chiamare»

Angela sorrise, divertita: le sembrava un bel gioco. «Allora voglio esser chiamata Neve!» decise dopo una veloce ma attenta riflessione: la neve era certamente una delle cose più belle che avesse mai visto. «Ma tu chi sei?» tornò a domandare quando, felice, la signora la invitò a entrare nel castello.

«Io sono la contessa di questo paese… e lui è mio marito» spiegò semplicemente, scostando una ciocca di capelli ricci che le aveva coperto gli occhi.

Ancora le parole di Elio ed Emma sull’importanza del non dare confidenza agli estranei si affacciarono nella testolina della bimba, assieme alle immagini di alcune fiabe in cui i bambini venivano puniti per aver disobbedito ai genitori e seguito qualche sconosciuto. Quella signora però viveva in un castello ed era una contessa… e una contessa non poteva essere molto diversa da una principessa. E se quella donna era una principessa, non era una strega, ed era buona.

«Dunque, piccola mia? Vuoi entrare?» La signora aveva una voce tanto dolce da accarezzarla e le tendeva la mano. La bimba la afferrò e, guardandola negli occhi, annuì con un sorriso. Fu il conte a richiudere il portone.

  
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