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Autore: Matih Bobek    19/09/2015    1 recensioni
Brevi racconti tratti da esperienze quotidiane che vertono sulla vita nella Capitale, con un occhio di riguardo per le zone periferiche al nord, l'ignoranza e la cafonaggine del romano medio, le lotte con i mezzi pubblici, l'ansia di prendere la macchina per via del traffico. Divertenti, ironiche e irriverenti le storie presentano una grande varietà di temi, trattati con ferma lucidità analitica e un certo distacco. Dalla raccolta emerge il dipinto di una Roma in caduta libera, macera e spenta, specchio della situazione in cui versa l'Italia. La crisi economica e sociale vengono descritte con amara ironia.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Avete presente quegli spettacoli tediosi e allucinanti che siete costretti ad assistere a fine maggio perchè avete avuto la malsana idea in autunno di iscrivere vostro figlio ad una scuola di musica?
Dal vostro sguardo terrorizzato, intuisco che i saggi di fine anno rappresentano un incubo anche per voi, come per la stragrande maggioranza della popolazione. Anche se poi il digusto viene abilmente camuffato per quelle due tre ore di estrema sopportazione alla quale veniamo piegati.
In tutta onestà, più che i saggi di fine anno, io odio chi li organizza. Li odio con un trasporto corroborante, con un’imperante intolleranza. Li odio talmente tanto che non posso fare a meno di partecipare come spettatore ad ogni maledetto spettacolo di fine anno. Da due anni a questa parte sono diventato un vero e proprio cacciatore di saggi. Vi starete chiedendo cosa diamine significhi; magari mi starete immaginando, vagabondo tra le periferie coatte di Roma nord, con in mano una penna a mo’ di fucile, mentre setaccio le viuzze anguste in cerca di qualche teatrucolo scrauso e decadente. Ecco, la verità non è troppo lontana. Non so cosa sia e dove provenga questo sentimento contraddittorio e masochista che mi spinge a farmi così male; semplicemente mi diverte terribilmente guardare la superficie dei nostri atteggiamenti e scorgere una frustrazione mai espressa che brulica poderosa appena sotto i volti sorridenti. Pensate, la mia fama di cacciatore è talmente nota nella cerchia dei miei conoscenti, che non ho nemmeno bisogno di alzare le flaccide chiappe dalla sedia, mi basta aspettare che qualche mia amica mi chiami al telefono in un ombroso ma caldo mezzogiorno di giugno e mi chieda con colpevole innocenza se voglio venire a vedere la sorella, la cugina, la nuora del macellaio o chi per voi, che canta:
“Sì, certo volentieri! Posso portarmi anche carta e pena?” L’alternativa sarebbe rimanere a casa a vedere l’emozionante concerto di Marcella Bella. E’ come se Dio avesse d’improvviso deciso di ascoltare i miei più reconditi desideri e mi avesse offerto,su un piatto di lucido platino, i più prelibati esempi di trash nostrano. Scegliere non è facile: rinuncerei in entrambi i casi ad una critica caustica. Ci ho pensato, tanto e a lungo, e sono arrivato alla conclusione che, a ben vedere, Mediaset si sforza quotidianamente di superare i limiti del trash. Riuscendoci sempre, tra l’altro. Marcella Bella oggi, Al Bano domani, no? Quindi, non posso proprio perdere questa grande occasione: tutto il becero provincialismo di Roma nord, questa sera, sarà sotto ai miei occhi, succulento come pancetta sulla brace, pronto a farsi dilaniare dal fluire feroce della penna.

Come ho sottolineato all’inizio, più che i saggi, odio chi li organizza. E il pubblico, molto spesso. Perchè tutto sommato, quei poveri ragazzi tremolanti costretti ad esibirsi nonostante un fifa che se li divora, che colpa hanno? Oltre ad avere genitori in pole position nella corsa all’ipocrisia, intendo.
“Allora, vieni sul serio?” chiede con tono inquisitorio la mia amica “Certo, canta tua sorella, non posso mancare!” ” Più che altro” aggiunge lei, con una nota sardonica nella voce” c’è l’insegnante!” Un motivo in più per non mancare, direi. E’ come se fosse una celebrità, secondo un qualche distorto ragionamento. Nasce tra i campi di grano; cresce a pane e provincialismo; stessa intellettualità di Barbara d’Urso e la capacità d’eloquio di Emma Marrone. Ma soprattutto, quella ridicola convinzione di essere aldilà della massa, originale, anticonformista, quando a dire il vero, è il peggior sottoprodotto delle borgate. Lei è la Cersei del trash, la regina di cuori di questo labirintico mondo perennemente votato alle canzoni dei Modà; La sua vena artistica è in cancrena dal giorno della sua nascita e il suo cuore irrora puro trash nelle vene; i pezzi, dedicati con ostentato sentimentalismo alla figlia o al marito, posseggono quel satanico odore stantio da miasma tossico e richiamano un modo di fare musica che ha smesso di esistere da almeno un secolo, per ovvie ragioni. Il concettismo articolato delle liriche presenta la stessa complessità del pensiero pseudo politico di Salvini.
” Come sarà vestita, stasera?” Chiede la mia amica. Non c’è bisogno di chiederlo, penso: sarà la trasfigurazione del Kitsh, lo so, qualsiasi cosa indosserà. Come nelle occasioni precedenti, dopotutto.
Ci stiamo dirigendo sulla scena del crimine, dove a breve, quell’unica goccia di senso del decoro ancora vagante nei pressi degli ultimi spazi di Roma, riceverà il colpo di grazia sul compensato scricchiolante del palco.
Sceso dalla macchina, sono già preda di un conato. Ammettiamolo, veniamo bombardati da input di pura ipocrisia, provincialismo e pacchianaggine, ogni giorno, ad ogni ora. Anche voi che ora state borbottando ” Ma io non vedo la televisione!” non vi preoccupate: Il provincialismo è ovunque vi voltiate: nelle notizie fasulle di facebook e in quei commenti pregni di ignoranza appena sotto; sul sedile del treno, dove qualche giorno fa un ragazza ha disegnato con lo smalto la svastica nazista; è impresso con inchiostro nero sulle pagine dei quotidiani; aleggia nei gesti della signora che vi è appena passata davanti alla posta. Scoppietta frenetico tra le risatine false della folla di genitori che, qui sotto i miei occhi, starnazza animosamente senza rispetto. Sono tutti sorridenti, imbellettati come pacchi di natale, allegramente inconsapevoli del fatto che non c’è nulla di meno elegante di chi lo è nel contesto sbagliato. Una signora di mezz’età, con un vestito così stretto che deve essersi per forza cosparsa di vasellina prima di indossarlo, mi pesta il piede. Le lancio un’occhiata storta, aspettando le sue scuse. Silenzio. Evidentemente i soldi che tenta di ostentare con brillocchi di dubbi bellezza non possono comprare l’educazione.
Sono le nove e mezza, le poltrone del teatrino sono riempite. Mi guardo intorno, sperando che non ci sia nessuno che conosco, per evitare quella lunga sceneggiata al sapore di convenevoli e sorrisi forzati. Nessuno. Qualche viso conosciuto c’è, ma si tratta di quei casi in cui tu sai chi sono, ma loro non sanno chi sei tu, e allora fai di tutto per mantenere l’anonimato ed evitare ogni contatto umano. Con il tempo, mi rendo conto, sono divenuto insofferente, intollerante, intransigente.
Che peccato, veramente!
Che peccato non esserlo stato prima, intendo!
( continua...)

   
 
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