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Autore: aturiel    20/09/2015    2 recensioni
"Deve esserci qualcosa di strano in me, qualcosa come un gene particolare che attira la sfiga o uno spirito maligno che mi perseguita."
Era questa la conclusione a cui Nico era giunto dopo l'entusiasmante giornata appena trascorsa e, più ci pensava, più si convinceva che la sua diagnosi fosse esatta. Era impossibile un'altra motivazione che giustificasse tutto l'accaduto. [...] Nico si fermò un attimo: ecco, quello era stato il primo errore della sua giornata. Il Grande Manuale di Sopravvivenza della Greek High School (datato 2010, Di Angelo editore) era chiaro su questo punto: se non vuoi essere preso di mira, mai stare da solo.
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Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jason Grace, Nico di Angelo, Percy Jackson, Quasi tutti, Will Solace
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Capitolo III

Jason tornò a scuola con un enorme peso nel petto: questa volta l'alcool non era stato sufficiente a fargli dimenticare il bacio dato a Will, e nemmeno il desiderio che fra le sue braccia non ci fosse il ragazzo biondo, abbronzato e solare ma il suo esatto opposto, quello dai capelli corvini, la pelle chiara e che centellinava le parole. Si sentiva in colpa, terribilmente in colpa, soprattutto dopo aver scoperto che Reyna era stata male quella sera e che per qualche giorno non sarebbe tornata a scuola.
Attraversò il corridoio, facendosi strada fra un centinaio di studenti che chiacchieravano, scherzavano, si divertivano, quindi vide quello che invece si limitava a starsene impalato sullo stipite della porta della sua classe, quasi come se stesse aspettando qualcuno. Jason allora incominciò ad aumentare il passo per raggiungere Nico, ma poco prima che l'altro incontrasse il suo sguardo, Will sbucò dal nulla e gli rivolse un luminoso sorriso, che Nico – assurdo! – ricambiò appieno. Tra i due sembrava essere nata una certa complicità, tanto che Will ogni tanto posava le sue mani sulle spalle magre dell'altro, e il suo migliore amico non si scostava. Si sentì improvvisamente fuori posto: com'era possibile che Nico si facesse toccare con tanta confidenza? Come mai sorrideva così tranquillamente, mostrando addirittura, di tanto in tanto, i denti bianchi? Un pensiero si fece strada nella mente di Jason: che la sera della festa fosse successo qualcosa fra i due? Che Will e Nico avessero...
No, frena. Nico non lo farebbe mai, e poi è cotto di Percy.
Jason sospirò, quindi andò da loro e tutti i pensieri negativi scomparvero quando vide negli occhi di Nico passare una scintilla di felicità nel vederlo, un po' come se si fosse chiesto “Ma dov'è finito Jason?” e l'avesse cercato fino a quel momento. Si sentì decisamente rincuorato da questo, quasi abbastanza da ignorare invece l'imbarazzo palese di Will e il rumore delle chiavi con cui aveva cominciato a giocherellare per distrarsi. Quasi.
«Allora, com'è andata la vostra divertentissima lezione di greco antico, ragazzi?» chiese quindi, cercando di smorzare la tensione.
«Lo sai benissimo che a me piace greco, Grace» sbuffò Nico, guardandolo storto. Aveva sempre reagito così, ed era stranamente confortante ricevere la stessa risposta anche quando a Jason pareva che l'amico si allontanasse sempre di più da lui.
«Lo so, lo so» rispose quindi, sorridendo. Quindi aggiunse: «Sentite, vi va di venire oggi pomeriggio a vedere la partita?»
Ma Jason non ricevette risposta, e dovette solo seguire lo sguardo di Nico e Will per capire il motivo: Percy Jackson stava venendo verso di loro, e con un'aria seria o, per meglio dire, funerea.
Fu Nico, stranamente, a rivolgergli per primo la parola: «Che succede, Percy?»
L'altro lo guardò come un cucciolo bastonato: «Allora, Jack mi ha detto che Christian gli ha detto che Louis gli ha raccontato che...-».
«Vai al sodo» lo interruppe questa volta Will.
«Sentite, io non so come possa essere accaduto, ma...-».
«Essere accaduto cosa?» chiese quindi Nico, con quell'aria minacciosa che però Jason sapeva riconoscere come espressione della sua preoccupazione.
«Sta girando la voce che Jason abbia tradito Reyna...-».
Jason saltò sul posto, diventando improvvisamente pallido: «Chi? Come...?» balbettò.
«... Con Nico» concluse poi.

Nico dovette sbattere le ciglia più volte per rendersi conto di ciò che Percy stava dicendo loro: la voce era che lui e Jason... no, non riusciva nemmeno a portare a termine il pensiero, era troppo strano da immaginare. E indoviniamo con chi se la sarebbero presa? Bravi, risposta esatta: con Nico Sfigato Di Angelo.
Si passò una mano fra i capelli e incontrò gli sguardi sconvolti degli altri due: Jason aveva un volto cinereo, tanto che, più che sembrare avesse visto un fantasma, sembrava egli stesso un fantasma, invece Will aveva le pupille degli occhi dilatate e una sottile linea di colpa si stava insinuando piano nelle sue iridi celesti. Percy, dal canto suo, non sapeva cosa fare: stava spostando il peso da un piede all'altro con agitazione, senza riuscire in qualche modo a stare fermo.
«Sai chi ha diffuso questa voce?» chiese ad un tratto Nico.
Percy, quasi felice che glielo si chiedesse, ripose subito: «Uno dice di averlo sentito da un'amica di Reyna, ma ben due da Octavian».
Certo, ha senso, d'altronde è avvenuto tutto sotto casa sua. Ma perché io e non Will?
Non ci fu bisogno di porre ad alta voce la domanda, perché Percy gli rispose inconsapevolmente: «Dice di aver visto Grace che tirava per un braccio Nico e lo baciava. Credo fosse il momento in cui invece avete fatto l'abbraccio di gruppo, vero?»
«Sì» rispose a sorpresa Jason. Nico poteva intravedere dietro ai suoi occhi i pezzi di puzzle che si andavano a sistemare al loro posto, e quindi lo vide passarsi prima veloci le dita fra i corti capelli biondi e poi leggere sulla cicatrice che aveva sul labbro. Era quella la sua espressione di preoccupazione, con quei due gesti sfogava tutte le emozioni che provava e, paradossalmente, le ricacciava dentro di lui per non farle poi più uscire se non davanti alle persone di cui si fidava ciecamente.
«Devo parlare con Reyna prima che lo venga a sapere da altre vie» esordì poi, con voce seria e controllata, come se stesse decidendo la strategia per una partita di football.
«Purtroppo temo lo sappia già: nella mia classe di francese c'è una grande amica di Reyna, Calypso – non so se la conoscete! –, e l'ho vista chiamare qualcuno in un angolino tutta preoccupata» disse sconsolato Percy.
«Penso che prima vorrà sentire la tua versione, però» cercò di consolarlo Nico, notando i suoi occhi divenire sempre più duri.
Oh Jason, smetti di voler essere perfetto. Si ritrovò a pensare Nico, vedendo gli effetti dell'opera di soffocamento di sentimenti che stava mettendo in atto. Aveva la sensazione che, così, si sarebbe messo molto più nei guai di quanto volesse immaginare, eppure non era la persona più adatta a dare consigli di questo tipo. Quando era morta Bianca, Nico si era rinchiuso in un guscio impenetrabile e solo dopo mesi Jason era riuscito – più con le cattive che con le buone maniere – a strapparlo da lì; aveva pianto con due mesi di ritardo, fra le braccia del suo migliore amico aveva spremuto fuori ogni goccia di dolore che si era tenuto stretto per paura che di Bianca gli rimanesse solamente quello, e aveva lasciato che le lacrime che avrebbe dovuto tirar fuori al suo funerale vicino a sua madre scorressero finalmente libere sulle sue guance. Che diritto aveva, quindi, di dire all'amico cosa fare e cosa no?
«La mia versione non cambierà di tanto, Nico» disse quindi Jason, con le dita che di nuovo andavano a cercare la propria cicatrice.
Quindi intervenne Will: «Io credo che sia meglio tu le dica la verità: che hai... sì, che è successo con me» disse.
«No, escluso» disse Nico, sorprendendosi lui per primo. Da dov'era spuntato tutto quel coraggio? «Io sono sotto mira già da tempo, e so gestire queste cose. Tu no, Will. Lascia perdere». E stranamente era vero: non voleva che Will divenisse il bersaglio di commenti acidi, di battute a doppio senso, di scherzi di cattivo gusto e in genere di tutto ciò che succedeva a lui. Se c'era una cosa che voleva evitare, era che qualcun altro subisse ciò che sopportava lui, e d'altronde a lui ormai non pesava più molto: erano tre anni che andava avanti quella storia ed erano tre anni che in realtà per lui la situazione era migliorata, quindi a lui non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Inoltre adesso aveva degli amici che lo aiutavano, amici che potevano tirarlo fuori dai guai se necessario, come aveva fatto Will o come aveva fatto Jason per anni, ma non era solo e questo lo rendeva più forte di prima. Non erano più le medie, quando lui da perfetto ingenuo aveva confessato i suoi sentimenti a un ragazzo più grande e quello l'aveva sbeffeggiato per un anno intero, non erano più gli anni in cui se ne stava sempre solo: ora aveva qualcuno accanto e si sentiva sicuro di se stesso e delle mani che l'avrebbero aiutato.
Il trillo della campanella interruppe i suoi pensieri, quindi ognuno di loro si allontanò per la propria strada: quell'ora nessuno avrebbe avuto una materia in comune.

Will non riusciva a non pensare a due cose, completamente opposte fra loro. Primo pensiero: Nico era terribilmente forte, anche se le sue braccia erano più simili a quelle di un ragazzino appena entrato nell'adolescenza, e da questo si rese conto che i suoi muscoli allenati non avrebbero potuto nulla contro di lui. Secondo pensiero: se anche avesse potuto fare il culo a chiunque con quel suo caratterino, nella loro scuola non bastava la forza d'animo, anzi, serviva molto più quella delle braccia.
Aveva la sensazione che questa volta non se la sarebbe cavata con poco, che il putiferio che stava per avvenire l'avrebbe sballottato troppo e lanciato lontano da lui, lontano da tutti quelli che lo consideravano un amico. Fu proprio quando il professore di matematica iniziò il ripasso sulle proporzioni che Will si fece una promessa: sarebbe dipeso da Nico, se lui fosse cambiato avrebbe assecondato questo suo cambiamento, se si fosse allontanato lui l'avrebbe seguito, se si fosse avvicinato glielo avrebbe permesso. Si sentiva in debito con lui, e non solo perché aveva deciso di prendere tutto – o quasi – il peso che sarebbe derivato da quello stupido pettegolezzo sulle sue spalle, ma anche perché era stato gentile con lui, a modo suo.
No, non l'avrebbe lasciato a se stesso, avrebbe fatto qualsiasi cosa perché non si facesse del male per colpa sua. Sarebbe stato la sua ombra, il suo medico personale... il suo amico.

Jason non riusciva a seguire la lezione. La sua testa andava a una velocità esagerata e lui stesso non riusciva a raggiungere i propri pensieri e a coglierli in tempo, prima che già un altro prendesse il posto del precedente.
Perché non si era opposto alla scelta di Nico, poco prima? Perché non gli aveva dato dello stupido e non gli aveva detto che per lui, così, le cose sarebbero solo peggiorate? Per quale motivo adesso non si era infilato nella sua classe di nascosto (d'altronde l'aveva già fatto altre volte) e non gli stava accanto? In realtà aveva la risposta a ognuna di quelle domande, ma aveva paura di accettarla.
Reyna si sarebbe infuriata di certo, e poi lo avrebbe lasciato. Ma non sarebbe stata una di quelle che si sarebbero scagliate contro Nico, lei se la sarebbe presa solo e solamente con lui, e per il momento era l'unica cosa positiva di quella storia: qualcuno doveva arrabbiarsi con l'unico vero colpevole della situazione, non semplicemente sfogarsi su quello che meno sapeva difendersi. E Jason quasi desiderava che qualcuno lo insultasse e lo riempisse di pugni, perché sentiva di meritarseli dal primo all'ultimo, e non solo per ciò che effettivamente aveva fatto, ma anche per ciò che non aveva fatto e soprattutto per il perché.
Non aveva impedito a Nico d'immolarsi come un agnello sacrificale per la felicità di Jason e di Will perché, in fondo, lui si sentiva così meno bugiardo. Aveva immaginato fosse Nico a baciarlo, ed era con Nico che, in fin dei conti, aveva tradito Reyna; perché, quindi, impedire alle persone di sapere la verità? Non stava mentendo, non stava fingendo, e offrendosi come capro espiatorio Nico aveva come ricambiato il suo... sentimento che ancora non comprendeva.
Dovette finire la lezione perché riuscisse a giustificare anche la seconda cosa che non aveva fatto, e rispondere quindi all'altra grande domanda. Non era accanto a Nico perché si sarebbe allontanato da lui: doveva staccarsi da quegli occhi neri e dalle sue braccia bianche; era colpa di Nico se adesso lui si trovava in quella situazione, anche se non l'aveva fatto apposta, anche se n'era inconsapevole, quindi doveva allontanarsi, tirare una linea netta che separasse Jason Grace da Nico Di Angelo.
E poi, si disse lo faccio anche per il suo bene: è meglio che la gente non ci veda insieme, o potrebbe ancora più prenderlo di mira.
E con questo pensiero arrivò alla conclusione che stava dalla parte del giusto, anche se il suo cuore gli diceva tutt'altro.

****

Nico era a dir poco furioso: era trascorsa una settimana da quando Percy era venuto lì da loro tutto trafelato a riferire La Terribile Notizia, ed era trascorsa una settimana da quando Jason era scomparso dalla circolazione. I primi due giorni si era limitato a far di tutto per non incontrarlo nei corridoi, ma se succedeva faceva finta di nulla e gli parlava come al solito, ma poi la situazione era peggiorata e lui aveva incominciato ad accampare scuse su scuse per non parlargli, per non accompagnarlo a casa, per non fare niente di niente con lui, tanto che a Nico pareva volesse troncare definitivamente ogni contatto. E la cosa lo faceva terribilmente infuriare: era stato al suo fianco in ogni momento della sua vita da liceale, era stato la spalla su cui piangere e l'amico che mai ti abbandona, cosa c'era di diverso questa volta? Forse che non era solo Nico a essere sotto lo sguardo accusatorio di tutti, ma anche lui? Forse che si sentiva in colpa per qualcosa? Forse che era uno stupido menefreghista e basta?
«Secondo me dovresti parlargli chiaramente» intervenne Will. Era curioso che proprio lui gli avesse letto negli occhi ciò che stava pensando, ma forse era dovuto alla distanza fra loro che si stava sempre più assottigliando.
Ecco un altro bell'interrogativo: Will. Da un giorno all'altro aveva iniziato a seguirlo ovunque, a trascurare i suoi amici di sempre per stare insieme a lui, a dargli consigli e a comportarsi da amicone. Non che prima l'avesse trattato male, anzi, ma l'aveva sempre considerato più un “socio in affari particolarmente amichevole” piuttosto che un amico vero e proprio, e invece adesso era sempre disponibile, sempre pronto a porgergli una mano anche quando non ne aveva bisogno, eppure non esagerava, sapeva quando doveva lasciarlo solo, quando poteva cavarsela e quando una frase di conforto avrebbe stonato più che una battuta. Si stava rivelando un amico vero, a differenza di qualcun altro.
«Non stavo pensando a Jason» rispose Nico.
«E allora perché guardi nella sua direzione e lo fulmini con lo sguardo manco fossi Zeus?»
«È che è il mio migliore amico, Will... mi dà fastidio non sapere perché mi sta evitando, e soprattutto che lo faccia» esclamò ad un tratto Nico, esasperato.
«Parlagli allora».
«E come? Mi evita tutti i giorni, tutto il giorno da una settimana a questa parte».
«Spero che tu non abbia dimenticato il suo indirizzo, nel frattempo!»
Nico esitò un attimo, poi disse: «E va bene: oggi andrò a casa sua e gli parlerò».

Will continuava a chiedersi che cosa ci facesse lì: va bene che si era ripromesso di aiutare Nico in ogni circostanza, ma non pensava che questo nella sua testa avrebbe significato pedinarlo di nascosto per evitare che gli succedesse qualcosa di male fino a casa di Jason. Non era forse un po' un'esagerazione? Sicuramente se Nico l'avesse visto, si sarebbe arrabbiato con lui e l'avrebbe allontanato.
Ok, forse è meglio che me ne torno a casa.
Appena formulato il pensiero, vide ben tre facce conosciute entrare nell'orbita di Nico. E sapendo che facce fossero, non si sentì per nulla tranquillo: si trattavano di tre ragazzi della loro scuola, di quelli che si divertono ad aspettare fuori da scuola, quando nessuno vede, i secchioni della classe, le matricole, i ragazzi indifesi o senza amici e rendevano la loro vita un inferno. Solitamente Nico non avrebbe fatto parte di nessuna di quelle categorie, ma il suo nuovo statuto di “gay che ruba i fidanzati a brave ragazze” non gli giovava affatto e, anzi, lo rendeva decisamente una preda appetibile per nerboruti come quelli. Senza contare poi che, dopo quella faccenda, le offese a scuola erano più pesanti e spesso, quando Will magari era lontano e quindi non poteva intervenire (ma alcuni non si fermavano nemmeno con la sua presenza), lo urtavano mentre camminava nei corridoi. Non era una bella situazione, Will se ne rendeva conto, ma a Nico sembrava non pesare e continuava a dire che sarebbe passato, non appena “la gente avrebbe trovato qualcun altro su cui sparlare”, e Will, anche se non ci credeva davvero, l'aveva assecondato.
Ora però era davvero preoccupato: la via era troppo silenziosa, non c'era nessuno oltre quei tre e Nico (e lui, ma non contava: era nascosto dietro la sua auto, con il viso abbassato e apparentemente concentrato su un libro che teneva aperto a pagina 321 da almeno tre quarti d'ora) e, soprattutto, si stavano avvicinando troppo al suo amico – che si era trasformato nel suo protetto – e con l'aria di voler piantare grane.
Will vide che uno di loro si era voltato nella sua direzione, quindi dovette abbassare per un attimo lo sguardo verso il suo libro, nella speranza di sfuggire alla sua vista e di passare inosservato almeno finché non avesse capito cosa volevano quei tre da Nico. Fu in quell'attimo che sentì come una scossa sulla nuca, come se sentisse che stava succedendo, a pochi metri da lui, qualcosa che non sarebbe mai dovuto succedere, quindi si voltò di scatto e Nico e i tre ragazzi erano scomparsi dalla strada principale.

Nico si sentì afferrare improvvisamente di scatto da dietro, una mano enorme e sconosciuta che gli tappava la bocca per impedirgli di urlare. Nella sua mente ci fu come un blackout: per un attimo il suo unico grido interiore fu di ribrezzo, per quelle dita che l'avevano toccato senza permesso, che si erano avvinghiate alla sua faccia con violenza e, adesso, lo trascinavano in un vicolo laterale dove, lo sapeva, si trovava un enorme spiazzo di cemento intorno a cui non c'era nient'altro che un'enorme fabbrica abbandonata. Intanto, quelle mani sudaticce e prepotenti continuavano a tappargli la bocca, e il disgusto era talmente tanto che non riusciva a pensare altro che “Non toccatemi”.
Come previsto, alla fine lo gettarono come un sacco per terra, proprio contro il cemento che, per un secondo, gli sembrò la cosa più bella e pulita che esistesse sulla Terra. Purtroppo il senso di liberazione durò molto poco, perché sopraggiunse un dolore lancinante allo stomaco: quello che prima l'aveva trascinato, ora aveva incominciato a tirargli calci in ventre e sui reni, bloccandogli il respiro. Nico si accartocciò su se stesso, cercando di attutire i colpi, quindi sibilò un “Lasciatemi in pace” poco convinto che venne subito spezzato da un altro calcio. Fu in quel momento che incominciò a lottare: prima cercò di strisciare via, poi cercò di mettere in pratica quelle – poche – lezioni che aveva preso nel corso di autodifesa, ma nessuna delle due opzioni ebbe l'effetto desiderato: prima uno dei due ragazzi che, fino a quel momento, si era limitato a star a guardare gli arrivò da dietro e gli impedì di retrocedere, poi, quando invece cercò di tirarsi su a sedere, il capobanda lo afferrò per i capelli e, dopo una serie d'insulti che non si preoccupò nemmeno di annotare nel suo cervello – e nemmeno avrebbe potuto, anche volendo – lo schiaffeggiò, abbastanza forte da annebbiargli la vista.
Nico, che accidenti fai. Vai via di qui! Continuava a urlare nella sua mente, ma i muscoli non rispondevano e la sua voce, prima di allora sempre pronta a farsi sentire con battute acide e frasi che riuscivano a tirarlo sempre fuori dai guai, questa volta era rimasta strozzata in fondo alla sua gola e gli unici suoni che riusciva a far uscire erano i mugolii di dolore che si succedevano ogni volta che un nuovo colpo giungeva.
Gli sembrava di essere ritornato alle medie, quando quelle aggressioni arrivavano quasi mensilmente, come se si trattasse di una rivista che si ordinava per posta, solo che lui non aveva mai chiesto nulla di tutto ciò, non aveva intenzione di ritornare al punto di partenza, non voleva sentirsi di nuovo solo, debole e impotente com'era allora. E soprattutto non voleva che i suoi aggressori lo vedessero piangere e urlare, come invece succedeva quando era più piccolo. Aveva deciso che le uniche lacrime che avrebbe sparso sarebbero state per Bianca, e che solo le persone che tenevano davvero a lui avrebbero avuto il diritto di vederle, che solo loro avrebbero potuto asciugarle, e per questo riuscì a non dar loro la soddisfazione di sentire un grido né di vedere una singola lacrima sul suo viso.
Proprio quando era concentrato a non urlare, a non muoversi troppo, a non registrare le parole che quei tre gli stavano rivolgendo, sentì una voce urlare.
«Brutti bastardi, lasciatelo in pace!»
Il ragazzo voltò piano il capo, e vide Will, con i suoi capelli biondi tutti spettinati, i muscoli tesi dalla collera e gli occhi, generalmente di un azzurro tranquillo e gioioso, di una freddezza terribile, come se tutta la rabbia che il resto del corpo stava mostrando non avesse raggiunto quelle pozze cristalline che quindi, invece di arrossarsi e scaldarsi, si erano trasformati in due stiletti di ghiaccio.
«Will...-» tentò di dire Nico, ma la sua voce faticava a uscire. Voleva dirgli di andarsene, che tanto non sarebbe riuscito a fermarli e, anzi, sarebbe finito anch'egli nei guai.
Sei un idiota: pensi davvero di piombare così e di fare un'entrata da supereroe? Certo, sei meglio di me a difenderti, ma con questi qui nemmeno tu puoi cavartela.
«Ho chiamato la polizia, fra qualche minuto sarà qui. E se voi non muovete quei culi flaccidi che vi ritrovate immediatamente, saranno cazzi vostri».
Fu il più grosso di loro a parlare, ridendogli in faccia: «Credi davvero di fotterci così? Stai dicendo solo cazzate per aiutare il tuo amico frocietto».
«Potete rimanere qui ad aspettare, però io sento già le sirene. Voi no?» rispose Will, sorridendo in modo sicuro e terribile, come qualcuno che pregusta già la propria vittoria. E in effetti si sentiva il suono di sirene, in lontananza.
I tre si guardarono negli occhi, quindi sputarono per terra, a pochi centimetri dal viso di Nico e se ne andarono.

Will era terrorizzato: non si era mai trovato in una situazione simile, e il suo cervello era stato inizialmente congelato dalla paura, tanto che la sua migliore idea era stata quella di arrivare e iniziare a colpire a caso qualsiasi cosa si muovesse, ma poi era riuscito a calmare i nervi e a farsi venire in mente un piano migliore.
Ora, però, anche quello gli sembrava terribile: quei tre pezzi di merda se ne stavano a tre metri da lui e lui non poteva colpirli fino a fargli sputare sangue, non poteva far loro ogni cosa che avevano fatto patire a Nico. E Nico... Nico era vicinissimo, eppure il suo sguardo era lontano, la sua mente altrove, ogni parte del corpo coperta di lividi, graffi o ematomi di vario genere. La sua rabbia non aveva mai raggiunto livelli simili, ma allo stesso tempo era una rabbia gelida, non bollente e devastante come le altre volte in cui gli era capitato di provarla, e per la prima volta sentì che in quell'istante se qualcuno avesse tentato di avvicinarsi a lui o a Nico ancora, sarebbe stato capace di fare davvero del male. Allo stesso tempo, quindi, la sua coscienza era terrorizzata da ciò che avrebbe potuto fare, mentre il suo cuore batteva velocissimo nel suo petto per la paura che il suo piano saltasse da un momento all'altro. Per fortuna, grazie a una botta di fortuna enorme, delle auto della polizia erano effettivamente passate nelle vicinanze e quei tre bulli se l'erano data a gambe.
Quando quei tre decisero di allontanarsi da lì, Will corse subito incontro a Nico. Il ragazzo era davvero messo male e, anche se continuava a dire che stava bene, una volta in piedi fu necessario aiutarlo a sorreggersi perché da solo avrebbe rischiato di cadere.
«Nico, ora ti porto all'ospedale» esordì a un tratto Will.
«No, sto bene» rispose l'altro, secco. Non voleva incrociare i suoi occhi, e si vedeva chiaramente che il motivo era perché stava mentendo. Non stava bene, per nulla, e Will ne era più che certo. D'altronde dovevano darsi una mossa a decidere cosa fare perché, una volta che i tre si fossero accorti che effettivamente era stata tutta una finta, sarebbero tornati a cercarli, e questa volta non ci sarebbero state altre possibilità di non iniziare una rissa e di non prendersele di santa ragione. Quindi Will prese il braccio di Nico – forse con un po' troppa foga, visto che l'altro fece una smorfia di dolore – e se lo mise su una spalla, quindi lo accompagnò fino alla sua auto.
«Will, che ci fa qui la tua macchina?» chiese Nico, appena salito.
Will trasalì: era stato talmente occupato a preoccuparsi di aiutare Nico che si era completamente scordato della sua Missione Stalker: «Ecco, vedi...-» incominciò, a disagio.
Per fortuna l'altro lo interruppe con una scrollata di spalle e un “Non voglio sapere, che è meglio”. Poi, dopo alcuni minuti durante i quali Will aveva macinato i primi metri verso l'ospedale, Nico bisbigliò qualcosa. Inizialmente Will non capì cosa avesse detto, quindi gli chiese di ripeterglielo.
L'altro sbuffò: «Ho detto grazie» disse Nico, con il viso ancora rivolto verso un punto lontano pur di non incontrare il suo sguardo. «È già la seconda volta che mi salvi da qualche bullo...»
Will sorrise tristemente, quindi disse: «In entrambi i casi è stato però a causa mia che ti sei ritrovato in quella situazione».
«Non sentirti in colpa, Will. Te l'ho già detto, sono abituato a queste cose, non mi sconvolgono più di tanto, cosa che invece sicuramente sarebbe successa a te. Sto bene, davvero» rispose Nico.
Improvvisamente Will si sentì quasi arrabbiato con Nico: «Nico, non dire cazzate: nessuno si abitua a certe cose, e a nessuno dovrebbero accadere. Ora, per piacere, promettimi che verrai con me all'ospedale e che, una volta tornati a scuola, denuncerai quei tre pezzi di merda. E diremo a tutti cos'è successo davvero, perché io non voglio trovarti mai più in un vicolo pestato a sangue per motivi che non hanno nulla a che fare con te».
Improvvisamente Nico voltò lo sguardo e incrociò i suoi occhi, quindi disse duramente: «Tu non capisci: a loro non fregava un cazzo della storia di Jason e Reyna, forse non interessava loro nemmeno il fatto che fossi gay. È perché sono io, capisci? Troveranno sempre una scusa per pestarmi in un cazzo di vicolo: l'hanno trovata alle medie quando ho ingenuamente fatto sapere che mi piacevano i ragazzi, l'ha trovata Clarisse per un cazzo di aeroplanino di carta, l'hanno trovata quando è morta Bianca... qualsiasi cosa faccia o non faccia, a loro non andrà bene, capisci? Probabilmente riuscirebbero a rompere il cazzo anche perché ho questa faccia, o questo colore di capelli» prese fiato un attimo, quindi continuò: «Ma, se alle medie questa cosa poteva buttarmi giù, poteva farmi sentire sbagliato, ora non è più così. E non me ne frega un cazzo se mi picchiano, tanto non possono fare altro che quello, ciò che più mi interessa è non tocchino le persone che hanno smesso di farmi sentire sbagliato. E tu sei una di quelle, Will, quindi taci e portami a casa, che sto più che bene e non voglio che mia madre se ne torni dalla sua vacanza solo perché suo figlio non è stato abbastanza forte da non farsi menare da tre bulletti».
Will parcheggiò velocemente in un angolo della strada, quindi spense il motore e guardò, finalmente, Nico dritto negli occhi: «Punto primo: sai che ti dico? Hai ragione. Non devi vivere facendo solo cose che pensi non li facciano incazzare, e non devi sentirti sbagliato mai più, Nico, perché sei la persona più giusta che io abbia mai incontrato. Punto secondo: questo non significa però che tu debba continuare a prenderti insulti, battutine e botte per il resto dei tuoi giorni al liceo. Quindi tu devi dire a qualcuno ciò che succede, non mi interessa se alla polizia, al preside o a tua madre, ma a qualcuno devi dirlo, non voglio sentire scuse. Punto terzo: anche se credo che tua madre debba saperlo comunque, va bene, non andiamo all'ospedale. Ma andiamo da mio zio: è un dottore generico, però scommetto che riuscirà a visitarti. Punto quarto: Nico, io...-» Will prese un grande respiro, quindi esclamò, rosso in viso: «Sei mio amico, quindi su di me potrai sempre contare, ok?»
Vide Nico sorridere piano, quindi annuire e rispondere: «Grazie, Will. Di tutto».









 

Note capitolo:
In questo capitolo inizio ad utilizzare uno stile diverso dal primo, semplicemente perché inizia la parte angst, quella dove i protagonisti incominciano ad avere i primi veri problemi.
Quando ci sono quattro asterischi di fila (****) significa che c'è stato un salto temporale più o meno lungo (in questo caso di una settimana).
Il discorso che Nico fa a Will rispetto alla sua condizione mi è stato fatto, in linea di massima, da una persona molto importante per me dopo un episodio analogo. Ho sempre pensato che fosse un grande segno di forza, e per questo ho voluto riportarlo.
   
 
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