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Autore: nettie    20/09/2015    1 recensioni
Non abbiamo mai avuto un vero contatto: non ricordo neanche il suo nome preciso, per me era semplicemente "Il signor Ettore". Ed il signor Ettore, nonostante fosse un vecchio solo e potesse sembrare burbero, aveva un gran cuore. Mi ci ero come affezionata, per quel poco che imparai a conoscerlo.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
- Questa storia fa parte della serie 'Storie brevi scritte in un lasso di tempo breve. '
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Io me lo immaginavo, me lo immaginavo in tutto quello che raccontava, in ogni singola situazione: tutte le avventure che aveva vissuto, le donne, gli incontri, gli amori, i pericoli e le sofferenze. Me lo immaginavo, prima di conoscermi. Fra noi non c'era mai stato niente di speciale, era solo un vecchio che incontravo sempre al bar dove andavo a fare colazione, sempre, ogni mattina prima di andare a scuola. Era solito bere un cappuccino e mangiare un cornetto con la marmellata, e ormai vederlo era diventata quasi una rassicurante abitudine. Era un vecchio solo, impossibile negare quell'evidenza tanto crudele che si leggeva nei suoi occhi chiari e sulle sue mani raggrinzite, si sentiva nel fiato sempre un po' affannoso. Non abbiamo mai avuto un vero contatto: non ricordo neanche il suo nome preciso, per me era semplicemente "Il signor Ettore". Ed il signor Ettore, nonostante fosse un vecchio solo e potesse sembrare burbero, aveva un gran cuore. Mi ci ero come affezionata, per quel poco che imparai a conoscerlo. Il nostro era un rapporto puramente formale, un buongiorno ed un arrivederci all'entrata e all'uscita, qualche domanda, un "come stai?", un "dove studi?", un "cosa ha fatto nella vita?".

Forse era proprio quello che lo rendeva così abbattuto: sapeva di aver perso gli anni della sua gioventù, forse li rimpiangeva, non so, non sembrava disposto a dire molto. Mi disse di avere un figlio, e mi si frantumò il cuore in mille pezzi quando mi rivelò che non aveva più contatti con lui da molti anni. Non sembrava aver avuto una vita troppo felice, e a volte mi chiedevo perché. Mai, e dico mai ho avuto il coraggio di chiedergli una motivazione. Una volta mi raccontò di una donna, anzi, due donne: Maria ed Anna. Ricordava entrambe con tanto affetto, nonostante avesse ferito entrambe in modo alquanto insofferente. Mi disse che non amò veramente nessuna delle due, era semplice affetto ed attrazione fisica quello che lo portò a sposare la prima, e poi a tradirla con la seconda. Mi disse che non gliene era mai importato più di tanto, ma ora rimpiangeva entrambe, me lo disse a sguardo basso e con un gomito sul bancone: dopo un solo colpo di tosse cambiò discorso come se niente fosse mai successo, ma potevo vedere i suoi occhi velarsi di lacrime. La sua voce era rauca, parlava lentamente e con una forte cadenza tipica del sud: i suoi occhi mi ricordavano il mare e l'estate, ma forse non fu esattamente quello che vide.  Una volta mi disse che avevo gli occhi di sua madre, e questa cosa mi colpì dritto al petto. La ricordava come una donna forte, di grande fede, dedita alla famiglia e alla cura della casa. Disse che poteva scorgere nel loro verde intenso qualcosa che gli ricordava casa, quella casa alla quale ormai non tornava da troppi anni, dalla quale scappò in giovane età per andare a fare il giovane rivoluzionario, quello ribelle che si sa godere la vita. Mi confessò che fece molte scelte sbagliate, me lo disse con il tono di chi non ha più niente da perdere, da vincere, e sentii il cuore stringersi in una morsa che quasi mi fece male. Ricordo quando iniziai a frequentarmi con Roberto, e ricordo ancora il sorriso smagliante che sfoggiavo quella mattinata di Dicembre quando entrai al bar. Lui era lì, al solito angolo, mi avvicinai e gli diedi il buongiorno. Sembrò notare subito la mia euforia, e mi chiese il perché di tanta eccitazione. Oh, come poter contenere tanta felicità? Gli raccontai del ragazzo del quale mi ero infatuata tanto intensamente, gli raccontai dei suoi occhi scuri e dei suoi riccioli mori che avevano portato via un pezzo del mio cuore. Gli raccontai di come mi sentivo quando avvertivo i suoi occhi addosso a me, gli raccontai di come mi tremavano le mani, e per la prima volta lo vidi ridere. Era una risata amara ed affannosa, poi mi guardò dritto negli occhi e disse che ero proprio cotta, mi disse che i primi amori non si scordano mai, mi disse di tenermi stretto il ragazzo perché a farmi sentire così sarebbe stato l'unico. Le sue parole, lo confesso, un po' m'intimidirono. Il giorno seguente entrai nel solito bar alla solita ora, e lui mi venne incontro stringendo una piccola foto in mano. Ritraeva una donna, la foto era sbiadita e un po' giallognola, irrimediabilmente corrosa dal tempo. Gli chiesi chi fosse, lui mi rispose che era la donna che lo fece sentire vivo per un attimo che parve un'eternità. In quel momento, sono sicura di aver sentito la sua voce tremare. E mentre la neve si scioglieva lasciando spazio alla primavera, una mattina di Aprile entrai nel solito bar alla solita ora col cuore a pezzi. Roberto a quanto pare non era mai stato fatto per me, né tantomeno io per lui: i miei occhi non avrebbero mai potuto ingannarmi, così mi ritrovai ad affrontare la triste realtà faccia a faccia, mentre quest'ultima si prendeva gioco di me, mi convinsi che no, non sarebbe mai stato mio e io mai sua. Il signor Ettore si accorse immediatamente del mio malumore, non ci pensò due volte a chiedermi il motivo. Quel giorno, sembrava un po' più vecchio del solito, ma solo lì sentii di aver trovato un'amico. Mi disse che tutte le cose troppo belle hanno breve durata, e come dargli torto? Quel giorno imparai a non farmi troppe aspettative e vivere l'attimo: niente torna indietro, e desiderai per giorni interi che Roberto fosse niente. Mi annunciò anche con una vena di nervosismo nella voce che aveva ricevuto un invito, stamattina, l'aveva trovato nella buca delle lettere. Fra i mille ghirigori argentei c'era una scritta ben chiara che annunciava un matrimonio, quello fra un giovane che portava il suo stesso cognome e aveva il nome dato a suo figlio trentotto anni prima. Fui felice e sperai più volte in una riconciliazione: non accadde mai. L'orgoglioso signor Ettore si rifiutava categoricamente di chiedere scusa, scusa per un peccato commesso che non mi è mai stato dato conoscere. E i giorni scorrevano fra un cappuccino e l'altro, fra il mio nuovo amore per il fumo e i ricordi del signor Ettore. Mi disse che anche lui fumava, da giovane, smise perché anche il suo migliore amico lo fece, e lo fece nel peggior dei modi: chiudendo gli occhi e non riaprendoli più. Mi confessò che forse era stato l'unico vero amico mai avuto in vita sua, ma che non ne sentiva la mancanza. Non riuscivo a capire questo ragionamento, mi limitai ad annuire e spegnere istintivamente il mozzicone di sigaretta nel portacenere sul tavolino. Mi ricordo benissimo che dopo essere tornata comoda sulla sedia, lui tossì rumorosamente e lo guardai preoccupata. "Non è niente." mi disse.

Il 17 Ottobre del 2001 il signor Ettore non si presentò: entrai dalla solita porta al solito orario, ma lui non era lì. Fu strano fare colazione da sola, sentivo come se un qualcosa mancasse e non mi sbagliavo affatto. Non si presentò neanche il 18, neanche il 18, nemmeno il 20, si assentò anche il 21. Iniziai a preoccuparmi, e il 25 mi vidi costretta a chiedere al barista che fine avesse fatto quel vecchio tanto gentile con il quale conversavo ogni santa mattinata. Lui mi rispose freddamente, dicendomi di andare a controllare fuori il bar, dove al muro era appeso un manifesto tutt'altro che felice.

Quando lo vidi, mi rifiutai di crederci, e capii solo al momento che una parte della mia giornata se ne era andata per sempre. Se solo avessi avuto un po' più di tempo, se solo avessi potuto prevederlo, lo avrei ringraziato di cuore. Quella mattina non andai a scuola, non feci colazione, mi limitai a tornare indietro con il cuore vuoto e le lacrime che lottavano per salire copiose agli occhi. Entrai in casa e mi chiusi in camera con due giri di chiave: tutto quello che volevo era stare sola, perché sì, avevo perso un amico importante. Non sono più tornata in quel bar per non sentire nostalgia, perché entrare e non trovarlo lì faceva quasi male, perché infondo volevo ancora sentir parlare di Anna e Maria, dell'amico passato all'altro mondo troppo presto e del figlio al quale è stato fatto un torto imperdonabile, e di tutte le altre vicende della vita del signor Ettore. Ancora oggi cerco qualcuno che mi faccia sentire come Roberto, e un vecchio che mi possa raccontare le sue storie come il signor Ettore. Senza dubbio, la mia vita iniziò a cambiare il 17 Ottobre 2001, dopo quella perdita così profonda che mi fece maturare e crescere tutto d’un tratto, un passato non troppo lontano nel quale vorrei tanto tornare ancora una volta, per fare cose che avrei voluto fare e non ho fatto. Mi chiedo se un giorno mi ritroverò al bancone di un bar a raccontare ad una ragazza più giovane di sessant'anni tutta la mia vita, e perché no, anche del signor Ettore.

 
   
 
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