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Autore: Lost In Donbass    20/09/2015    2 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO NOVE: L’AMORE PUO’ ESSERE UNA MENZOGNA?

Trattenne il fiato quando le sue mani gelide con quelle unghie orribilmente lunghe gli si conficcarono nelle cosce, aprendogliele di scatto. Gemette come un topolino quando gli afferrò le mani e gliele legò una all’altra con una catena che aveva legato ai pomelli della testata del loro letto. Gli tiravano i muscoli, i nervi, sollecitati da quella posizione orribilmente scomoda e ignominiosa, un misto di violenza e arte erotica che gli scorreva addosso, come l’acqua che gli stava rovesciando in quel momento sul corpo nudo e scosso da brividi di freddo. Gli mise a posto i capelli, di modo che gli ricadessero mollemente sul visino sporco di trucco.
-Dovevi proprio bagnarmi?- pigolò, seguendo il suo corpo sinuoso raccogliere la Polaroid, scostarsi i capelli dal viso pallido e fissarlo come fosse una bella bambola con cui giocare.
-L’effetto da asciutto non sarebbe stato lo stesso, tesoro. Tira giù la testa.
Obbedì, tremando di freddo, aspettando che lo fotografasse per l’ennesimo quadro perverso che gli faceva.
 
-Non esiste il 28. Arriva fino al 25, poi basta, anche perché iniziano le fabbriche.
Georg si grattò la testa, osservando con un certo disgusto Gustav che si sbrodolava di noodles take away mentre Tom guardava il vuoto con aria addormentata.
-Allora avevi ragione quando dicevi che era un nome falso.- disse Gus, ingoiando felice un rotolino di noodles e rovesciando la soia sulle pratiche, come al solito.
-Evidentemente sì. Però non si trova un tubo di niente comunque sul computer; e poi diciamocelo: se non trova nulla Raghnild, figuriamoci noi del Dieci. Tom, qualche idea geniale?
Tom alzò lo sguardo sull’amico, stranito, grattandosi la guancia e si limitò a scuotere la testa mollemente, ma un dubbio lo assillava da quando erano usciti dallo studio del dottor Olbrich. Ovvero, perché diavolo Bill aveva in bagno, nascoste nell’armadietto, dietro cinque smalti accuratamente ordinati, due confezioni di cui una aperta di Zolpidem? Subito, li aveva solo notati da buon detective abituato a notare qualsiasi piccolo particolare, ma non ci aveva fatto caso, primo perché aveva tipo la libidine a mille, secondo perché non sapeva nemmeno cosa fosse. Ma ora ci stava ripensando. E rivedeva Bill, che dormiva come un bambino, senza aver preso nessuna pastiglia. E che sembrava tipo tutto meno che depresso e ansioso. Cioè, se sei depresso non vai in discoteca e ci provi spudoratamente con un poliziotto, no? E non ti metti sin dal loro primo incontro a far battute a sfondo sessuale a raffica.
No, c’era qualcosa sotto. Qualcosa di losco, che c’entrava con l’assassino, che lo avrebbe tirato fuori dalla bratta in cui era finito. E c’era solo un modo per approfondire quel contatto, sempre che poi adesso si potessero considerare una semi coppia: farsi invitare ancora una volta a casa sua, se non proprio a dormire, almeno un pomeriggio. Oppure, anche se pareva più macchinoso, estorcere qualcosa a July; magari lui non aveva delle specie di crisi depressive.
-Ottimo lavoro, Geo. Io vado, vengo dopo, ho un’idea.
Non lo fermarono come al solito, limitandosi a dargli della ragazzina misteriosa ed incosciente, lasciandolo volare fuori dalla centrale e a slanciarsi verso il negozio Chinatown.
Quando arrivò non aveva la minima idea di come iniziare il discorso, di come rendersi furbo, di come gestire la situazione, insomma, non aveva la minima idea del perché era lì, ma si limitò a entrare in quella oscurità puzzolente di incensi. Ricordò per un attimo l’infarto che gli era venuto la prima volta che era entrato, e un brivido gli corse giù per la spina dorsale. Mille occhi che lo fissavano. Ora erano duemila. Gli occhi degli antenati che scuotevano le loro barbe infinite di fronte al piccolo infedele occidentale che andava a disturbare il loro sonno sacro, puntando le loro unghie lunghissime sulla sua testa per decapitarlo e ..
-Ciao, gattino mio, qual buon vento ti porta qui?
Sobbalzò, quando un’altra lampada cinese si accese rivelando Bill seduto a gambe incrociate sulla scrivania di legno scuro, che lo fissava sorridendo maliziosamente, arrotolandosi una ciocca attorno al dito.
Bill si alzò ancheggiando su un paio di scarpe nere con quella che poteva essere una zeppa col plateau, dondolandogli incontro e abbracciandolo, con un sorriso sollevato e furbo, mentre gli strofinava il naso nel collo.
-Avevo voglia di vederti.- mentì spudoratamente Tom. Che poi in realtà era vero che lo voleva vedere, anche se ora era leggermente imbarazzato da quella situazione; probabilmente Bill lo sapeva che stava mentendo, se lo sentiva addosso, nel modo in cui ridacchiò impercettibilmente quando glielo disse, ma non se ne preoccupò minimamente. Perché, anche se gli sembrava impossibile, sembrava che se mai avessero avuto una vera storia (e Tom sperava tanto che fosse così), sarebbe basata sulle bugie che si dicevano uno all’altro. Ma può essere amore, se è una menzogna?
-Anche io.- miagolò l’angelo, mentre i due si scambiarono un leggero bacio sulle labbra. E Tom si ritrovò a chiedersi perché fu solo uno sfiorarsi di bocche. Perché si
limitarono a quello.
Gli fece strada verso la scrivania, tirando una tenda di velluto verde a fiori bianchi, indicandogli l’interno buio e puzzolente di chiuso e di muffa.
-Vuoi parlare con July, immagino. Vai fino in fondo.
Tom si voltò verso di lui, spaventato da quel corridoio buio che si snodava nelle profondità dell’incubo. Aveva paura degli antenati.
-Ehm, tu non vieni con me?
Bill scosse la testa, con aria dispiaciuta, e quella era troppo realistica per poter essere creata dal nulla. Gli accarezzò il collo, sfarfallando gli occhi gonfi di trucco:
-Devo aspettare una nuova consegna di occhi finti dei santoni mongoli. A dopo, cucciolo.
Tom deglutì, annuendo e limitandosi a fare un mezzo gesto di “a dopo”, che assomigliava più a un S.O.S mal fatto, e poi avviarsi nel corridoio troppo basso per lui, sentendo la tenda richiudersi pesante dietro di lui, e tremolando mentre si addentrava lì dentro, come entrando nella pancia del drago.
In fondo al corridoio c’era un tenda rosso amaranto con i soliti fiorellini bianchi, che il rasta si trovò a scostare con molto poco coraggio, infilando il naso in una stanza dal soffitto basso, di legno scuro, con una lampada cinese penzolante dal soffitto, e due grossi candelabri che gocciolavano cera. Due divanetti verde scuro erano attorno a un tavolino basso con sopra una grosso mazzo di fiori appassiti che emanavano un odore poco piacevole mentre bruciavano, una scacchiera e alcuni libri gettati alla rinfusa. Non poteva vedere i muri della stanza, ma percepiva qualcosa di grosso alle pareti, di ridondante. Qualcosa che non avrebbe voluto vedere.
-Signor Kaulitz, benvenuto.
Sobbalzò di nuovo, e vide July, talmente sbrilluccicoso da far male agli occhi, avvolto in un kimono rosso con grossi disegni di quelli che potevano essere uccelli acquatici in mezzo alle canne, che gli cadeva troppo grosso sul corpicino delicato, i capelli acconciati in una buffa cresta colorata di viola, semi sdraiato su uno dei due divanetti intento a fumare mollemente una lunghissima pipa.
-Buongiorno signor Choy. Comunque, ehm, mi chiami pure Tom. Mi sento vecchio, se no.
Tom si grattò una guancia, un po’ in imbarazzo, guardandosi attorno e tentando di  non aspirare quegli odori di incensi orientali terribili. Se Bill avrebbe voluto andare in viaggio di nozze in Corea, o Giappone, o Cina, o quello che diavolo era, se lo scordava già adesso. Ma poi, chi gli diceva che si sarebbero addirittura sposati? Quella droga gli faceva un brutto effetto.
-Allora tu chiamami pure July. Accomodati. – gli indicò con un languido gesto della mano l’altro divano, dove il ragazzo si sedette tormentandosi il berretto, sprofondando tra le coltri morbidissime verde smeraldo – Vuoi?
July gli allungò una lunga pipa ad acqua, sfarfallando gli occhi.
-Cos’è?- chiese Tom. A lui non piaceva molto fumare, a parte ogni tanto qualche sigaretta quando c’era l’occasione.
-Kiseru. Pipa giapponese.- July la riportò alle labbra dipinte di un buffo blu scuro. Aspirò ed espirò il fumo trasparente, con una grazia e una disinvoltura degne di un grande attore. Una finezza unica, come se fosse solo una bambolina.
-Senti, July, ehm … - iniziò Tom, sentendosi subito imbarazzato dallo sguardo penetrante del coreano – Devo farti qualche domanda riguardo a Hansi Spiegelmann. Lo so che in qualche modo lui è … legato, se posso dirlo, a Bill. E in qualche modo io devo capire come. Non me le spiego, le sue reazioni. E ho bisogno di te, che lo conosci più che bene.
Non sapeva che effetto avesse fatto il suo stupido discorso su July, intento a fumarsi la sua Kiseru come se lui non avesse nemmeno parlato, perso nel suo mondo, il corpo immobile, senza dare il minimo segno di vita. Forse si sarebbe chiuso anche lui in se stesso. O forse l’avrebbe fatto picchiare dalle due sorelle ninja. Forse gli avrebbe risposto seriamente. Forse gli avrebbe mentito.
-A volte i quadri nascondono più di quello che vogliono dare a vedere.
Tom guardò sbigottito July fissarlo con la sua maschera di cera al posto del viso, i tratti immobili, le labbra quasi congelate.
-Cosa vorresti dire?- sussurrò, come a non voler turbare la pace di quel luogo quasi sacro, come un tempio. Peggio di quando lui e Georg erano andati dalla Maga Esmeralda, a casa, a farsi leggere la mano durante la festa del patrono di Magdeburgo, che oltretutto però aveva a lui predetto “ci saranno dei bugiardi nella tua vita, ragazzo. Ma verranno smascherati”. Beh, due li aveva già trovati e anche smascherati: forse Esmeralda non aveva ceffato del tutto.
-Ci sono persone che hanno perso anche il loro onore, e una volta che l’hai perso non ritornerà mai più. Ci sono altri che si nutrono dell’onore degli altri.- continuò il ragazzo, per poi girarsi verso Tom e metterlo di nuovo a fuoco – E poi ci sono quelli che non hanno più niente da perdere, perché li hanno già spogliati di tutto quello che avevano.
Tom spalancò gli occhi, avvicinandosi a July senza nemmeno rendersene conto, impregnato della sua voce melodiosa e cantilenante.
-E questo cosa mi servirebbe?- sussurrò, senza volerlo chiedere veramente.
-Sai, Tom-sama, ci sono certi segreti che non dovrebbero essere portati alla luce, e proprio ora tu mi chiedi di farlo.- July gli si sedette accanto, fumando in pace, con lo sguardo perso nel vuoto – E poi, c’è l’amore, in fondo.
-L’amore?
July gli posò una manina, che era quasi metà della sua, sul gomito, avvicinandoglisi ancora un po’, i grandi occhi neri spalancati come due pozzi, inquietante nella sua bellezza orientale, diametralmente diversa da quella di Bill ma mostruosamente simile. Il fascino dei perduti.
-Tu ti chiedi se possa esistere l’amore, se è una menzogna. Sì, Tom-sama. L’amore può essere un’unica, orrenda, bugia.
-Ma come facevi a sapere che io me lo stavo chiedendo?- sbottò Tom, scostandosi di scatto dall’altro, e allontanandosi un po’, quasi spaventato dalla piega che aveva assunto la conversazione.
-Sesto senso. Comunque, bada alle mie parole. Non dare il tuo cuore al chong bulmyeong-ye. Sarebbe il tuo più grande errore.
-Non dare il mio cuore a chi? A Bill? E come diavolo l’hai chiamato?!
-Chong bulmyeong-ye, Tom-sama. E no, non è un insulto a Bill-chan.
Il rasta scosse la testa, guardando storto July. Oddio, non ci stava seriamente capendo più niente. Era tutto confuso nella sua testa, tutto così ammonticchiato come una valanga di fumetti usati e strappati. Grugnì, incapace anche solo di affrontare la situazione paradossale in cui era finito. Un agente dell’Anticrimini in balia di un mezzo mafioso nordcoreano con il rossetto blu. Deplorevole, se non ci fosse l’Inferno di mezzo e con lui l’angelo più demoniaco del cosmo.
-Che … che vuol dire saeloun jangnangam?- chiese poi di punto in bianco. Glielo aveva detto al Bite Vampire, e non l’aveva dimenticato perché Bill era arrossito e lui si era sciolto in brodo di giuggiole alla vista di quella guanciotte rosse. Oh, che dolce.
July alzò un sopracciglio e sorrise, lisciandosi il kimono con le mani:
-Vuol dire “nuovo giocattolo”, Tom-sama. Ed era riferito a te.
-Ma io non sono il nuovo giocattolo di Bill!- sbottò, incrociando le braccia al petto.
-In effetti no. Mi devo ricredere, non sei un giocattolo.- July sorrise, guardandosi le unghie troppo lunghe e dipinte di blu come le labbra.
-Cos’è successo a Bill?- a quel punto della conversazione Tom era quasi tentato di prendersi la Kiseru, anche se poi ci ripensò: chissà quali droghe c’erano dentro.
-Lo scoprirai da solo, Tom-sama. La risposta è nei quadri e nell’odore della sua pelle. La risposta è celata nei suoi occhi, dietro ai suoi specchi. Il motivo di tutto questo lo troverai se sarai abbastanza abile da ritrovare l’onore che ha perduto. Ho giurato, mio caro. Non posso dirti altro.
Tom lo guardò storto, perché gli aveva complicato ancora di più la vita, eccitandolo inaspettatamente. Ormai c’era troppo dentro per poter non prenderne attivamente parte. Avrebbe proposto anche ai coinquilini quell’indizio, chissà che loro non ci fossero arrivati. Si concesse un’ultima domanda, prima di andarsene dalla stanza maledetta. Una domanda fatta a bassa voce, che si perse nelle pareti.
-Che cosa sono i triangoli sovrapposti?
-Aspettavo questa richiesta.- July si passò una mano tra i capelli – In Corea indicano il legame tra schiavo e padrone.
-Schi … schiavo? E padrone?
-Sì, Tom-sama. Il legame tra il mio servo e io, la schiavitù che va ben oltre la parte economico produttiva della cosa. I triangoli sovrapposti sono l’appartenenza spassionata di una persona a un’altra.
Tom annuì, quasi spaventato. E allora, chi era Bill? Lo schiavo, o il padrone? Aveva il comando, o subiva in silenzio? Amava la sua testa, o il suo cuore? E, fondamentale, chi era stato la seconda parte del filo?
-Vai per la tua strada, Tom-sama. E raddrizza il nostro piccolo Chong bulmyeong-ye.
July si inchinò, posandogli la mano sul petto e sussurrando qualcosa di intellegibile alle orecchie del rasta.
Tom annuì in silenzio, inchinandosi goffamente a sua volta. Si girò a guardarlo solo quando fu sul punto di chiudersi la tenda alle spalle, scosso, spaventato da se stesso e dagli altri, incredulo, pieno di dubbi sulla sua sanità mentale e ancora più intenzionato a smascherare l’assassino.
-July, cosa vuol dire Chong bulmyeong-ye?
-Disonore con la pistola.- rispose secco il ragazzo, scomparendo in uno sbuffo di fumo azzurrino della Kiseru, come se si dissolvesse con l’aria stessa della stanza.
Tom ebbe per una qualche ragione sconosciuta un terribile conato di vomito, e cominciò a correre verso l’uscita, felice di essere uscito da quella casa degli orrori fuori programma.
 
-Ma tu mi ami, vero?
Stava immobile sulla porta dello studio, fissandolo mentre era impegnato a finire il suo splendido ritratto, quello della fabbrica. Quello dove lo aveva vestito con veli, come una nuova Salomè nordica e impregnata di metallo fin nell’anima.
Non si girò, come al solito, continuando il suo metodico lavoro, i capelli talmente biondi da sembrare bianchi che ondeggiavano leggermente ogni volta che piegava la testa, il fumo della sigaretta che si innalzava dalla sua figura.
-Certo, tesoro. Io ti amo alla follia.
Si avvicinò piano, ciabattando un po’, i capelli che gli ricadevano arruffati sulle spalle avvolte nelle sue magliette. Era così bello vestirsi con i suoi abiti.
-Anche io ti amo. Però non mi porti mai fuori con te. Non mi hai ancora portato a cenare fuori per il nostro anniversario.
Incrociò le braccia al petto, con una smorfia infantile stampata sul volto. Lui si girò un attimo, fissandolo con quei suoi occhi completamente apatici, il suo mezzo ghigno che aveva un qualcosa di maligno dentro, ma che a lui piaceva così tanto, stampato sulle labbra. Gli accarezzò una guancia, e li sentiva i polpastrelli rovinati dai colori e dagli oli che usava così spesso per ristrutturare e dipingere quadri.
-Lo so. Deciderò io quando portarti fuori, tesoruccio. Vai a letto adesso, sei stanco.
Si passò una mano tra i capelli corvini, indeciso se farlo o no, e poi lo abbracciò di slancio, seppellendogli la testa nelle spalla e sussurrò:
-Quando ci sposiamo, allora sarò sempre tuo? Nessuno mi porterà via.
-No, tesoro.- lo abbracciò a sua volta, accarezzandogli i capelli – Sarai solo di mio uso e consumo. Nessuno ti sfiorerà più con un dito
 
  
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